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La Setta dell'Aurea Croce
La Setta dell'Aurea Croce
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La Setta dell'Aurea Croce

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About this ebook

“Un libro che è esso stesso un mistero. Nella società dell’apparire chi si cela dietro il nome di Athanasius Raalnad? Sicuramente dei sapienti che conoscono a fondo le vicende dei Cavalieri della Setta dell’Aurea Croce. Siamo nel Seicento, durante il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, ma le vicende narrate sembrano riferirsi a una dimensione eterna, rappresentabile sempre e ovunque. Tratto da fatti realmente accaduti, il romanzo è un susseguirsi di magie e rivelazioni, fraintendimenti e ripensamenti in una Venezia che assume i connotati dell’athanor alchemico presso cui la materia si trasforma. Tra letterati libertini che si riuniscono segretamente, pittori bizzarri e sorprendenti, commercianti e banchieri, nobiluomini e nobildonne, si inscena l’eterno Carnevale veneziano, in una girandola di maschere e identità nascoste”.
(The Hermetic and Alchemical Magazine)
LanguageItaliano
PublisherScripta sc
Release dateDec 1, 2020
ISBN9788831933803
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    La Setta dell'Aurea Croce - Athanasius Raalnad

    Epilogo

    Nota dell'editore

    Non ancora debellata la pandemia del tristemente noto Corona-virus, mi fu consegnato questo romanzo. Del mago e alchimista Federico Gualdi e della sua Setta sapevo di uno studio post dottorato condotto presso l’Università di Padova e alcuni altri interventi in volumi e riviste del settore. Un amico, ben informato, mi confidò che il nome di Gualdi fu utilizzato, a partire dall’Ottocento, negli alti gradi della massoneria rosicruciana americana. Approfondendo l’argomento sono venuto a sapere che Federico Gualdi è il cosiddetto Maestro Veneziano, con cui certi teosofi indicano uno di quei maestri cosmici, che, tramite la Gerarchia del nostro pianeta nota sotto il nome di Grande Fratellanza Bianca, da centinaia di generazioni cercano di aiutare l’umanità. Tale formulazione spetta alla teosofa Alice Bailey, la quale ne dava conferma in una sua dichiarazione del 1934.

    Alice e il marito Foster Bailey nel 1920 fondarono la Lucis Trust, l’associazione no-profit che attualmente coopera con il Consiglio delle Nazioni Unite, presso la cui sede di New York gestisce l’esoterica Meditation Room.

    Il romanzo chiama in causa persone effettivamente esistite e fatti realmente accaduti, dal negromante Federico Gualdi al principe dei letterati veneziani del tempo, Giovan Francesco Loredan, passando per i pittori Tiberio Tinelli e Joseph Heintz il Giovane.

    L’opera, mi fu detto, è il frutto della collaborazione di più persone che si riuniscono sotto il nome di Athanasius Raalnad. Tali sconosciuti ne hanno eletto uno a rappresentante, il quale, occupando un ruolo istituzionale preferisce rimanere incognito ai lettori. Il testo, quando mi giunse, era accompagnato da un biglietto, che trascrivo:

    Egregio Sig. Dott.

    Sapendo di porlo in buone mani le consegno questo romanzo ambientato nella Venezia del Seicento. Nel testo si fondono vicende realmente accadute e altre d’invenzione. Tra quelle realmente accadute alcune sono già note al pubblico e agli studiosi, altre sono inedite. Il lavoro è conseguenza della sintonia mentale instauratasi tra diverse persone di cultura, uomini e donne, informate sui fatti.

    Cordialmente

    Prologo

    Campo San Polo era deserto, si sentiva solo il rumore della pioggia scrosciante e le urla di un manipolo di uomini che si faceva largo fra le calli veneziane per raggiungere il palazzo dell’eretico. Neanche il diluvio li avrebbe fermati. L’ordine era chiaro: prelevare Francesco Giusto. Abituati ai capricci di quell’inverno dell’anno 1661, marciavano sicuri fra le ombre della notte.

    Deodato Scaglia, giudice della Fede e commissario generale del Santo Uffizio, aveva fatto molta strada per arrivare a Venezia. Era stato richiamato alcuni giorni a Roma per ricevere un incarico speciale che solo un Supremo Inquisitore avrebbe potuto portare a termine. Conosceva bene la lascivia che scorreva fra i canali e le calli di Venezia, da anni cercava di far valere la legge divina e bruciare le anime eretiche.

    Don Alessio, se non la smette di marciare su ogni pozzanghera che il Signore le mette davanti, comincerò a credere che ci sia dell’intento nel suo passo, più che sbadataggine il Superiore Domenicano si sistemò il cappello a tese larghe con un motto di stizza mentre rivoli d’acqua scendevano sulle tuniche nere dei suoi due giovani aiutanti.

    Proprio questa notte gli doveva capitare di portarsi appresso due novellini, pulcini che avevano appena alzato il naso dai manuali dell’Inquisizione, intimoriti perfino dai tuoni e dai lampi invece di intenderli come sottofondo appropriato della loro marcia divina.

    Don Lino, mi dica un po’, come si comportano gli Inquisitori nei confronti degli indagati poco collaborativi? chiese all’improvviso il Superiore, i lineamenti illuminati da un lampo di luce.

    Oh… dunque… si procede con l’identificare il colpevole, poi si comunicano i sacrilegi compiuti, quindi… Don Lino si interruppe cercando di proteggere la sua lampada ad olio, scossa da un’improvvisa sferzata d’acqua.

    Non si perda a proteggere fiamme destinate a spegnersi! Un Inquisitore deve farsi largo nel buio e illuminare da sé le zone oscure in cui si nascondono gli eretici, digrignò il Superiore il cui passo divenne furioso, rimbombando fra le pareti mute dei palazzi.

    Don Alessio lanciò un’occhiata di pietà al suo compagno di studi, poi gli occhi caddero sul portone del palazzo di Francesco Giusto, che a ogni passo si faceva più imponente.

    Francesco li stava osservando, nascosto dalle tende pesanti di velluto che incorniciavano la bifora della sua camera da letto. Si era preparato da tempo a questo incontro. Ogni notte si sistemava sulla poltrona imbottita che aveva posizionato davanti alla finestra, lasciando correre i pensieri nel buio labirinto della città. Aveva già esorcizzato, immaginandoli, i momenti in cui sarebbe stato scoperto: le urla, gli strattoni, l’espressione di rimprovero dei conoscenti e le sue carni martoriate dalla tortura.

    Eppure niente di tutto questo era paragonabile a quello che aveva dovuto passare settimane prima. Scostò la tenda per vedere meglio: due Guardie spuntarono dal fondo del Campo, marciando a passo lento e costante.

    Dietro loro riconobbe tre tuniche domenicane. Ce n’era una che spiccava, più svolazzante e ribelle delle altre: vestiva un uomo ritto dal passo marziale le cui grandi mani correvano ritmicamente a sistemarsi il tricorno imbarcato di pioggia per cui ad ogni tocco, scrosci d’acqua finivano sulle teste delle due figurine tremolanti che lo seguivano.

    Francesco si alzò dalla poltrona, si sistemò i polsini vaporosi e si diresse verso le scale.

    Gli eretici fanno sempre opposizione, urlano e si difendono invocando virtù che non appartengono loro e onori che sono luccichii dorati per confondere la via della verità. Non lasciatevi convincere da questi lamenti, siate sempre irremovibili nel colpire il peccato, tuonò il Superiore voltandosi all’improvviso verso i due novellini che cercavano di stare dietro al suo passo.

    Don Alessio che fa? La smetta di giocare con il mantello: bagnato è… bagnato rimane, i suoi occhi si fecero fessure. La vostra inesperienza questa notte cade come una prova su di me e una lezione per voi, l’uomo che andiamo ad affrontare è assai pericoloso, invischiato nel magma nero che induce gli uomini ad azioni malvagie. Il Superiore si voltò, alzò il mento minaccioso e quasi superò le due Guardie che li scortavano per raggiungere il portone di Francesco Giusto.

    La domestica si svegliò di soprassalto, ultimamente le capitava di alzarsi a fatica al mattino, perciò si preoccupò di essere in ritardo con la tabella di marcia per le faccende di casa. Nessuno l’avrebbe rimproverata, aveva visto il suo padrone crescere e diventare un uomo rispettabile a Venezia, lo aveva atteso durante le sue peregrinazioni fino al ritorno in città: Maria, le diceva sempre, senza il suo tocco questa casa sarebbe perduta. Se solo si fermava a pensare a quello che era successo… scacciò quelle immagini orribili. I colpi alla porta si fecero più intensi, si alzò dal letto e si accorse che era buio pesto.

    Maria guardò suo marito che dormiva placidamente, il petto mosso da respiri profondi. Erano invecchiati assieme alle dipendenze dei Giusto, eppure il suo Giovanni vantava ancora un fisico forte e delle braccia toniche grazie agli anni passati a manovrare la gondola di famiglia.

    Ser Giusto, le ordiniamo di aprire la porta!

    Giovanni svegliati! Stanno bussando talmente forte che non so come tu faccia ancora a dormire. Ho una brutta sensazione, credo siano loro… Sono arrivati. Maria si mise la vestaglia, forza… io vado a chiamare Ser Giusto… tu vai ad aprire.

    E dovevano scegliere proprio il cuore della notte per andare nelle case degli altri? sospirò Giovanni, che messosi in piedi, prese il forcone che teneva accanto al letto, come gli aveva insegnato suo padre fin da quando era bambino.

    Ser Giusto, se non apre questo portone le Guardie troveranno un altro modo per entrare! Non le conviene fare resistenza! Nel nome del Signore, ci apra!

    Maria corse al piano superiore e quasi urlò mentre stava per sbattere contro quella che le sembrava una statua di cera e si rivelò invece essere il suo padrone. Se ne stava lì immobile, appoggiato alla balaustra delle scale, con un sorriso indecifrabile che Maria mai aveva visto prima dipingersi sul suo volto.

    Ser… si sente bene? Ci sono delle Guardie fuori al palazzo, chiedono di Lei… Ser… mi sente?

    Ma certo Maria, non l’ho mai udita meglio. Non si accigli, non si dia pena per me. Detto questo Francesco accarezzò la guancia della sua domestica, che per anni si era presa cura di lui e della sua dimora e si diresse verso Giovanni, il quale, con le braccia ben in vista e brandendo l’inseparabile forcone, stava fronteggiando le due Guardie sull’uscio di casa.

    Che modi sono? sbottò il domestico Persino gli uomini di Dio si comportano come banditi?

    Il Superiore scostò bruscamente i soldati e si mise davanti a quel ridicolo uomo in veste da notte: Metta via questo inutile attrezzo, rischia di infilzarsi da solo. Me la ricordavo diverso Ser Giusto. Che stregoneria è questa? Ebbene, siamo venuti a prelevarla nel nome… cominciò a decantare l’Inquisitore gonfiando il petto.

    Mi scusi domenicano, ma le sembro un Ser? chiese Giovanni mettendosi in posa con il mento all’infuori e usando il forcone come fosse un bastone aristocratico.

    Giovanni, adesso basta. Francesco mise una mano sulla spalla del suo servitore, che molte volte si era rivelato essere una valida guardia del corpo nelle notti passate fra le vie di Venezia.

    Inquisitore, sono io Ser Francesco Giusto, al vostro servizio.

    Le lampade a olio illuminarono un viso sereno, senza traccia di paura.

    Il Superiore spostò gli occhi di brace dall’omuncolo che aveva osato sbeffeggiarlo all’uomo dai capelli neri, i baffi curati e l’abito ricamato da fili d’oro, sentì i muscoli irrigidirsi e un brutto presagio macchiò la sua mente. Lo respinse e a pieni polmoni sentenziò:

    Don Alessio, Don Lino! Osservate bene. È questa l’altra faccia della menzogna, è questa ardita ostentazione di tranquillità che mira a farvi cadere nel dubbio e nello sbaglio. Respingeteli! Scavate in quell’animo che sempre si rivela per ciò che è dopo un giusto e lungo interrogatorio.

    I due domenicani parevano ancora più esili, con la tunica e il mantello oramai completamente inzuppati d’acqua. Don Alessio era sconcertato dalla piega che stava prendendo quell’incontro; si era aspettato un’atmosfera più solenne ma forse era così che la realtà si presentava quando non veniva trasformata dalle mani degli scrittori di cui tanti trattati aveva letto.

    Don Lino, dal canto suo, cercava disperatamente di non scoppiare a ridere, fissando il forcone che era ancora era ben saldo nelle mani di quello che si era rivelato essere un domestico.

    Finalmente nel suo luogo di maggior ispirazione, il Superiore diede inizio all’interrogatorio.

    La stanza segreta, incubata all’interno del convento di San Domenico, era l’unico posto che Deodato Scaglia sentiva di poter chiamare casa. Tutto era studiato nel minimo dettaglio per far sentire in difetto l’interrogato e moralmente elevato l’interrogante. La sedia del primo era scomoda, artificialmente manomessa per dondolare ad ogni sussulto, posizionata nel punto più basso del pavimento, proprio dove le pietre formavano una curva convessa scavata da secoli di umidità, acqua salina e intervento divino.

    Al contrario, l’Inquisitore stazionava su un palchetto di legno. Talvolta quando voleva fingere di credere a ciò che diceva l’eretico di turno, si sedeva sulla sua poltrona imbottita e meditava per alcuni istanti con lo sguardo accigliato.

    Il Superiore si sistemò le vesti e si preparò a fare luce nell’ombra e condurre il vero nella bocca del falso.

    "Don Alessio, trascriva Lei l’interrogatorio.

    Iniziato oggi, 22 dicembre 1661.

    In Nomine Dominus… Francesco Giusto di Ser Jacopo e Donna Margarita d’anni 38, confessi ogni cosa Lei sappia di una Setta satanica che opera in questa città".

    Don Alessio strabuzzò gli occhi, Don Lino si agitò sulla sedia di legno accanto alla poltrona dell’Inquisitore. Ancora nessuno aveva detto loro l’esatta colpa che veniva imputata a quell’uomo di bella presenza, così calmo e a prima vista innocuo.

    Niente di meno che una Setta satanica… Don Lino si fece il segno della croce, le sopracciglia di Don Alessio si aggrottarono rendendo ben visibile la ruga d’espressione in mezzo alla fronte.

    Il Superiore, che aveva tutti i sensi ben acuiti, registrò il cambio d’umore dei due novellini e si compiacque di aver finalmente catturato la loro attenzione.

    Faccio parte di questa Setta da un anno circa. Ho visto e sentito cose che hanno fatto vacillare il mio senno e sicuramente per voi, Superiore, condannato a dannazione eterna la mia anima.

    La sorpresa passò fugace sul viso di Don Scaglia, un istante che sperò nessuno avesse avuto il tempo di catturare. Una confessione piena a interrogatorio iniziato era un avvenimento inconsueto anche per un Inquisitore come lui, con anni di esperienza sulla tonaca.

    Si prese del tempo per osservare l’imputato: la sedia non oscillava, ferma, come fermo era il corpo di chi vi era seduto. Eppure nella sua immobilità non vi era rigidezza, piuttosto sembrava animato da una pacata convinzione di sapere cose che agli altri erano nascoste. La sua padronanza del corpo infastidiva l’Inquisitore, non un tremito, neppure un lieve gesto di nervosismo. Quel polso mollemente adagiato sulla gamba accavallata e la bocca dispiegata in un sorriso enigmatico; dava l’impressione di non essere un indagato a servizio del Demonio, piuttosto un uomo comprensivo che cercava d’aiutare tre pecorelle smarrite.

    Il Superiore pensò alla successiva mossa, non era proficuo ai fini della verità che un interrogato avesse il pieno controllo degli avvenimenti. Decise di vedere fino a dove il suo avversario volesse spingersi, per poi individuare il suo punto debole e piegarlo al volere divino. Scelse la via della provocazione:

    Che tranquillità Ser! Come fosse una cosa da poco. Magari desidera sorseggiare un bicchiere di buon vino mentre si diletta a illustrarci i membri di sette Demoniache che lordano le nostre anime, le chiese, i palazzi… visto che siete così predisposto, ditemi di più sulla vostra Setta.

    "La Setta è la più importante e potente di tutta la Serenissima Repubblica di Venezia. Si compone di due ordini, uno di 72 cavalieri, l’altro più ristretto di 12. Molti di questi nobiluomini hanno degli scolari ai quali insegnano segretamente

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