Nel buio ogni cosa è illuminata
By Tamara Diana
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About this ebook
Il giovane Dale vive il naturale passaggio nell’età adulta coltivando il sogno di diventare uno scrittore. La sua singolare famiglia non lo sostiene, di amici neanche l’ombra, se non l’ombra sua stessa, con la quale ingaggia esilaranti scambi di battute. Solitario e incompreso, obbedisce alla voce della propria coscienza correndo il rischio di apparire inadeguato, perso com’è nelle sue letture o nel barattolo di Nutella. Goffo come Bridget Jones e distaccato dal mondo al pari del ben più ribelle Holden, racchiude in sé contraddizioni tali da risultare irresistibile, tenero ed esilarante... Un personaggio di quelli che restano, tra i tanti che i libri generosamente ci regalano, perché vicino a noi, alle debolezze e alle aspirazioni di ciascuno.
Tamara Diana è nata a Taranto il 16 dicembre 1995. Adora la natura, viaggiare e imparare nuove lingue. Apprezza qualsiasi forma d’arte, ma ama particolarmente la musica, la fotografia, la lettura e la scrittura. Si è appassionata alla lettura da bambina ed ha incominciato a dedicarsi alla scrittura all’età di undici anni. Attualmente frequenta l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro dove sta studiando la lingua inglese e quella francese. Contemporaneamente, sta anche ampliando la sua conoscenza sulla letteratura italiana, inglese e francese.
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Nel buio ogni cosa è illuminata - Tamara Diana
Tamara Diana
Nel buio ogni cosa è illuminata
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-2628-7
I edizione elettronica agosto 2020
Questo libro è dedicato con amore a:
Francesco Diana,
Antonella Galeandro,
Vanessa Diana
Capitolo 1. Bridgetto Jones
È sabato sera e mi preparo a vivere… un déjà-vu: alla tv trasmettono il primo capitolo della saga di Harry Potter, ed io, per l’ennesima volta, lo sto guardando avvolto per bene nel mio plaid. Il pensiero di assomigliare ad un involtino mi fa venire fame, ma sono troppo pigro per trascinarmi in cucina… troppo pigro per prendere il telecomando ed alzare il volume, ma tanto che importa… conosco le parole a memoria! Sembro Bridget Jones al maschile… solo più giovane e più nerd. Bridgetto Jones? Bridgetto? Qual è il maschile di Bridget? Esiste? No, non credo di volerlo sapere… meglio ignorare, ignorati.
«Quella ha bisogno di rivedere le sue priorità!».
Le parole di Ron Weasley prendono vita dalle mie labbra riecheggiando nella mia coscienza… probabilmente anch’io dovrei rivedere le mie priorità, ma non oggi… per ora mi darò a popcorn e patatine. Vorrei che la mia vita fosse come quella di Jack Kerouac in On The Road
, ma non è così… la si può racchiudere in una sola parola: solitudine. All’asilo ero il bambino che non aveva amici e se ne stava sempre in disparte a colorare con i pastelli. Odiavo la scuola… non volevo andarci. Per tale ragione, alle elementari sono state combattute feroci battaglie: maestri e bidelli, complici di mia madre, ogni mattina s’improvvisavano esperti di lotta libera; mentre io, supportato dallo spirito di un vero guerriero, mi difendevo con le unghie e con i denti. Nonostante tutti gli sforzi impiegati, finivo puntualmente per ritrovarmi sollevato a mezz’aria con mani e piedi legati. Tra i presenti vi era sempre qualcuno pronto a giurare che sarei stato perfetto per un eventuale remake di Jesus Christ Superstar
. Le lotte perseverarono, fino a quando un giorno pensai: Farò il loro gioco, seguirò le loro regole, e poi scriverò le mie!
.
Ho odiato quegli anni: bambini cattivi, lezioni per niente stimolanti, persone noiose, ma è stato proprio quello il periodo in cui mi sono avvicinato ai libri. Ah, i libri! Luoghi fantastici in cui potersi rifugiare: storie sempre diverse, avventure eccitanti, mostri da combattere, misteri, magia. Questi, pagina dopo pagina, mi facevano dono della cosa più preziosa al mondo: la speranza. Leggere libri però non mi bastava: io volevo scriverli. Ricordo ancora il giorno in cui strappai un foglio di carta da uno dei miei quaderni e, impugnando una penna nera, iniziai a dare vita ai personaggi che allietavano le mie giornate. Proprio come uno scultore, li modellavo plasmando le loro vite. Mi sentivo Dio: artefice delle loro avventure, delle loro disavventure, dei loro amori, dei loro successi, dei loro insuccessi. Avevo il controllo di tutto… di tutto, tranne che della mia stessa vita. Giunto alla fine delle scuole superiori, mi sono trovato davanti ad un bivio… no che dico, non ad un bivio… ad un punto morto! Il mio sogno più grande è sempre stato quello di diventare uno scrittore. L’ho sempre saputo. Ho tenuto il segreto per anni… lunghissimi anni, ma poi, un bel giorno, ho fatto l’errore più grande della mia esistenza: ho raccontato ai miei genitori delle mie aspirazioni letterarie. Ripensandoci, il termine raccontare
è un eufemismo in confronto a quello che è accaduto realmente… è stato più uno sfogo… un urlo disumano:
«DIVENTERÒ UNO SCRITTORE!».
Nella stanza calò il silenzio. Gli occhi di mio padre uscirono dalle orbite, le labbra di mia madre si piegarono in un’espressione di dolore.
Il tutto avvenne un lunedì all’ora di pranzo. Ricordo che stavamo consumando il nostro pasto in tranquillità, quando mia madre, sul piede di guerra, ruppe il silenzio per rivolgere domande alquanto invadenti a me ed ai miei fratelli:
«Quali progetti avete per il futuro?».
«Io voglio fare l’avvocato come zio Thomas!» esclamò Bailey, il mio fratellino di undici anni.
«Samantha?» incalzò mia madre cercando lo sguardo di mia sorella.
«Non ne ho idea» rispose lei facendo spallucce.
«Non sai cosa fare dopo la laurea?».
«No!».
«Non pensi di dover iniziare a pensarci?».
«No, non è tanto difficile mamma… cercherò lavoro! Come tutti del resto… sperando di trovarlo!».
«Sì dai… magari troverai un ragazzo che si prenderà cura di te!».
Ci risiamo
pensai tra me e me.
«Quante volte devo dirtelo? Nessun ragazzo!» sbottò Samantha portando alla bocca un pezzo di pane.
«Non ti credo!» esclamò mia madre. «Non ci credo che non vuoi un ragazzo! Non stavi conoscendo qualcuno?».
«Samantha ha il ragazzo! Samantha ha il ragazzo!» cantilenò Bailey divertito.
«Stanne fuori moccioso! No, mamma… se ti stai riferendo al banchiere che tu e zia Gertrude mi avete presentato… beh, voglio solo che tu sappia che non l’ho preso neanche in considerazione!».
A quelle parole, gli occhi di mia madre si ridussero a piccole fessure. Il suo respiro rallentò, lasciando divampare la rabbia.
«Perché???» domandò con un tono di voce più alto del normale.
«Perché? È un deficiente! Ecco perché!» rispose Sam con prontezza.
«Non lo hai neanche conosciuto! Dagli una possibilità!» la implorò mia madre.
«L’ho conosciuto invece… mi sono bastati due minuti di conversazione per capire che è un deficiente».
«Tu cerchi la perfezione, ma nessuno è perfetto! Provaci, fai esperienza!».
«Fare esperienza? Davvero? Mamma, ti ascolti quando parli?».
«Sì» annuì mia madre con fare provocatorio.
«Non ho bisogno di fare esperienza!».
«A me non sembra!» contestò squadrandola dalla testa ai piedi.
«A me sì! Non mi serve fare esperienza… io so cosa e chi voglio nella mia vita… non è lui!
Per mettere in chiaro: sono consapevole del fatto che nessuno è perfetto! Io non cerco la perfezione, ma l’imperfezione che più si adatti alla mia. Cerco l’incastro perfetto, il pezzo mancante di un puzzle, un’anima complementare alla mia» aggiunse Samantha.
«Cara mia, tu cerchi l’impossibile! Penso sia davvero difficile trovare qualcuno che si adatti a te!».
«Morirò sola allora!» sentenziò Samantha posando con foga la sua forchetta sul tavolo.
«Non vuoi avere una famiglia? Dei bambini?».
«Non ci posso credere! Stiamo facendo questa conversazione per l’ennesima volta! NO, mamma! NON VOGLIO! Cosa non ti è chiaro?»
«MA PERCHÉ?» domandò mia madre sull’orlo della disperazione.
«Basta! Mi è passata la fame!» Samantha lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle con violenza.
Io e mia sorella siamo sempre stati i brutti anatroccoli, le pecore nere, gli anelli mancanti dell’evoluzione dei Dale; siamo completamente diversi l’uno dall’altra, ma al tempo stesso, lo siamo anche dal resto della famiglia… ed è proprio questo quello che ci accomuna.
Nessuno osò parlare. Ci raccogliemmo tutti in un religioso silenzio; ognuno di noi lottava contro se stesso, contro le proprie speranze, contro le proprie insicurezze, contro le proprie paure. La pioggia battente fece da colonna sonora a quegli istanti di pura agonia che più volte sfiorarono la tragedia.
«Non capisco perché ti ostini ad uscire il discorso! Lascia perdere! Sai com’è fatta!» sbottò mio padre. «In questa casa non si riesce mai a godere di un momento di pace!» aggiunse sorseggiando un bicchiere di vino rosso.
«Non riesco a capire! È mia figlia, ma non la capisco!» esclamò mia madre accarezzandosi il mento con lo sguardo perso nel vuoto.
«Non c’è molto da capire, mamma. Sam non è interessata a quel tipo di vita… forse cambierà idea, forse no… ma