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La dea di Milo: Harmony History
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La dea di Milo: Harmony History

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Grecia/Inghilterra, 1820
Melina deve raggiungere Londra al più presto per far valutare dal curatore del British Museum il tesoro che ha scoperto sull'isola greca in cui vive con le sorelle: una statua di donna che risale con tutta probabilità all'antica civiltà ellenica. Ma quando l'Ascalon attracca a Milo, la determinazione della giovane si scontra con l'avversione che il proprietario della nave, il Conte di Warrington, nutre nei confronti delle donne. A quel punto a Melina non resta che giocare la carta della seduzione. Quando si scherza col fuoco, però...
LanguageItaliano
Release dateDec 10, 2020
ISBN9788830522619
La dea di Milo: Harmony History

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    La dea di Milo - Liz Tyner

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Safe in the Earl’s Arms

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2014 Elizabeth Tyner

    Traduzione di Elena Vezzalini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-261-9

    1

    A bordo di una nave che beccheggiava sul Mar Egeo, Warrington intrecciò le dita delle mani, puntellò i gomiti sulla battagliola e cercò di ignorare il vento che gli sferzava il viso.

    I commenti amichevoli di suo fratello non erano per lui di alcun aiuto, però.

    «Noi due non possiamo essere parenti» disse esasperato, interrompendo la serie di battute. «Parli più di due donne messe insieme.»

    Quando Ben ridacchiò, per un istante le loro spalle si sfiorarono. «Io invece sono orgoglioso di me stesso. Avere a bordo una vecchia zitella immusonita come te, e resistere alla tentazione di gettarla in mare, mi rende un buon capitano.»

    «Ci hai portato su un’isola priva di ogni comodità.» Si scostò i capelli dal viso.

    «Non mi porti il rispetto che mi è dovuto» brontolò il fratello, scuotendo il capo con aria eccessivamente costernata. «Ho salvato la vita a tutti quando è scoppiato l’incendio a bordo. È vero che sei nobile, tuttavia sappi che un conte annega come un semplice capitano, quando la nave affonda.»

    Warrington decise di non rispondere: forse concedergli l’ultima parola avrebbe portato un po’ di silenzio.

    Aveva lasciato l’Inghilterra, pensando che la lontananza avrebbe reso meno dolorosi i ricordi, ma doveva riconoscere di essersi sbagliato. Se non vedeva più il viso di sua moglie, in compenso era ossessionato dalle lettere che formavano il suo nome, incise sulla cripta.

    Si abbandonò al rollio della barca augurandosi di dimenticare quella serie infinita di giorni tutti uguali, interrotta soltanto dagli inconvenienti a bordo dell’Ascalon.

    Sognava stivali lucidi come specchi e calze asciutte; i pantaloni inumiditi dall’aria salmastra, una volta asciugati, erano duri, simili a quelli scartati da uno stalliere.

    Quando vide la scialuppa di ritorno dalla spiaggia con l’equipaggio, si augurò che l’Ascalon potesse salpare con la marea successiva, dato che le riparazioni erano quasi finite.

    Dopo qualche minuto l’imbarcazione urtò la fiancata della nave. Sulla scaletta apparvero prima le mani nodose poi il viso di Gidley, il primo ufficiale. «Abbiamo un altro di quei problemi che siete così bravo a risolvere, Capitano Ben» esordì con occhi scintillanti, prima ancora di posare i piedi sul ponte.

    «Se questa volta qualcuno di voi ha rubato una capra, lo strozzerò con le mie mani» disse Ben, raddrizzando le spalle e avanzando di un passo.

    «Non si tratta di una capra, capitano.» L’uomo si calò sul ponte, trattenendo a fatica un’espressione compiaciuta.

    «Di cosa, allora?»

    «Di una donna» disse Gidley lentamente. A quel punto si spostò per far passare gli altri tre uomini che erano con lui sulla scialuppa, che sembravano ansiosi di vedere la reazione del capitano.

    «Una donna?» Ben si avvicinò a Gidley. «L’isola è affollata di sgualdrine. È possibile che non riusciate a condurre una semplice transazione e finirla lì?»

    «Be’...» L’uomo gli rivolse un sorriso pudico. «... questa dice di essersi tenuta in serbo per il capitano.» A quel punto fece un passo indietro, posò una mano sulla battagliola mentre con l’altra si tirava i baffi. «Ho cercato di convincerla a prendere me, ma non ne ha voluto sapere. Voglio il capitano, diceva. E insisteva col dire che ha un tesoro per lui.»

    I denti bianchi e regolari di Ben scintillarono alla luce del sole. «È graziosa?»

    Gidley si strinse nelle spalle, anche se il sorriso esprimeva la sua totale approvazione. «Ha una specie di voglia qui» spiegò toccandosi il petto, «che ha attirato il mio sguardo sul seno» concluse con un sorriso.

    Nessuna emozione passò negli occhi di Ben, che si girò verso Warrington indicando la costa con un cenno del capo. «Va’ sull’isola e scopri cosa vuole.»

    L’interessato non credeva alle proprie orecchie. Guardò il fratello negli occhi e fece un passo verso di lui. «No» dichiarò, scuotendo la testa.

    «È un ordine del capitano.» Non v’era traccia di affetto nelle parole che risuonarono nell’aria come una frustata.

    «Sono un conte» protestò Warrington con voce dura.

    «Nel caso tu l’abbia dimenticato, non ci troviamo in terra inglese. Qui il titolo di capitano è più importante.» Ben assunse l’atteggiamento baldanzoso che aveva perfezionato dall’età di cinque anni. «E l’equipaggio obbedisce a me. Va’ da quella donna, o ti lascerò sull’isola, quando salperemo.»

    «Neanche per sogno.»

    Un sorriso. «Prima o poi dovrai provarci con un’altra donna.» Alzò una mano per chiamare tre marinai, che si erano fermati per ascoltare.

    Se non fosse andato di sua iniziativa, sette uomini erano pronti a gettarlo sulla scialuppa. Warrington guardò il fratello negli occhi, provando il desiderio di ucciderlo.

    «Vai sull’isola, occupati della faccenda e forse potrai tornare in Inghilterra a bordo di questa nave.»

    «Io...» Strinse le mani a pugno.

    «No» lo interruppe Ben, abbassando la testa, non la mano. «Fidati di me. Dopo che una donna ti avrà chiamato capitano in un momento di intimità, ti sentirai tale per sempre.» Agitò la mano nell’aria. «Giusto?»

    Sette teste assentirono, e sette paia di occhi maschili scintillarono divertiti guardando Warrington.

    «D’accordo» si arrese lui. Nel momento in cui si accingeva a dare una spinta al fratello che gli ostruiva il cammino questi, sgusciando come un’anguilla, si spostò di lato mandandolo a babordo.

    Dopo averlo fulminato con un’occhiata, Warrington si aggrappò alla battagliola e si girò per scendere la scaletta di corda. Poi vide gli stivali del primo ufficiale sul piolo sopra la sua testa: a quanto pareva, avrebbe avuto compagnia.

    Quando raggiunsero la riva e il fondo della barca stridette sulla sabbia, Warrington saltò giù e si fermò un istante: la terra ferma sotto i piedi gli fece uno strano effetto, dopo tanto tempo trascorso in mare.

    Sguazzando nell’acqua si avvicinò alla spiaggia, seguito dai marinai che tirarono a riva la barca come se fosse un giocattolo.

    A quel punto imboccarono un sentiero.

    Gidley arrancava al fianco di Warrington. «Abita vicino al paese.»

    Il vento che soffiava portava con sé il caratteristico odore di zolfo dell’isola, che secoli prima era stata teatro di diverse eruzioni vulcaniche. La costa puzzava ancora come l’alito di un diavolo.

    Warrington si limitò ad annuire con fare brusco, e continuò a trascinarsi faticosamente. Poco dopo la sabbia lasciò il posto a un terreno color grigio scuro, e frammenti di terriccio simili a schegge di vetro gli scricchiolavano sotto i piedi. Quella terra bizzarra suscitava il suo interesse, a parte l’odore. Se soltanto suo fratello, dopo l’incendio che aveva messo a rischio le loro vite, avesse scelto un’isola senza un tanfo simile...

    Gidley gli stava illustrando ciò che una donna come quella che aveva incontrato poteva fare per il piacere di un uomo. Descrisse la voglia sul seno in quindici modi diversi, via via sempre più dettagliati; sembrava impossibile che potesse avere visto tanto.

    Eppure pareva sincero, ed era talmente sicuro di sé da avere convinto almeno uno dei marinai che quella donna fosse la discendente di qualche dea. Anche se Warrington dubitava che Afrodite in persona dispensasse il proprio fascino con tanta generosità, come Gidley raccontava.

    A un tratto la strada si inoltrò tra gli alberi di ulivo e gli sterpi.

    Warrington pensava a quella donna, una sfacciata che si era permessa di disturbare un conte che da un mese non si coricava su un materasso decente, non dormiva una notte di sonno decente e da ancora più tempo non si godeva due salti sotto le lenzuola.

    Poi decise che incontrarla poteva essere interessante, perché sarebbe tornato da suo fratello e gli avrebbe raccontato cosa si provava a portarsi a letto una dea in carne e ossa. Comunque fossero andate le cose, gli avrebbe servito una storia di passione travolgente.

    Gidley si fermò a un bivio, da cui partiva un sentiero. «Vive in una casetta dal tetto rosso affacciata sul mare, più avanti lungo questo sentiero.»

    Warrington si fermò e si rivolse ai marinai: «Continuerò da solo».

    «Vogliamo essere presenti all’incontro» disse il primo ufficiale, con le labbra leggermente piegate all’ingiù per la delusione di essere stato escluso.

    «Posso vederla da solo, non ho bisogno di alcun aiuto.»

    Gidley fece un passo in avanti, e quando alzò la testa il suo berretto logoro si piegò da una parte. «Immagino che un conte sappia come procurarsi piacere. Voglio dire... con una donna.»

    Gli altri ridacchiarono.

    Con un sopracciglio inarcato, Warrington lanciò loro l’occhiata imparata dopo ore trascorse insieme al maestro di scherma, che diceva: Spade o pistole, e sceglietevi i testimoni.

    Tornato al suo posto, il primo ufficiale distolse lo sguardo brontolando disgustato. «Saremo alla nave fra un’ora circa» borbottò, «prima del calar del sole. Il tempo sufficiente per conoscerla, innamorarvi e rimettervi i pantaloni.» Le ultime parole furono pronunciate quando si era già avviato lungo la strada principale.

    Warrington passò a fatica tra i rami di un albero che si piegavano sul sentiero, e vide il tetto di una casa a due piani; la scala che conduceva al piano superiore era priva di ringhiera. Era simile alle altre costruzioni che aveva visto la prima volta che aveva visitato l’isola. Al pianterreno viveva il bestiame, perché la casa era vicino al mare e, in caso di allagamento, gli animali sarebbero stati liberati e si sarebbero contenuti i danni al mobilio. Inoltre era più economico che costruire due abitazioni.

    In un angolo c’era una capra che brucava, accanto a un capretto. Vicino alla scogliera notò una donna, seduta su un masso; quando si girò verso di lui, la brezza mosse il fazzoletto rosso che le copriva il capo. Warrington restò immobile: era stata lei a convocarlo, doveva essere lei ad avvicinarsi.

    Il colore scarlatto del fazzoletto la rendeva visibile come un faro, lo scialle che le avvolgeva le spalle era di una sfumatura di rosso più chiara. Mentre camminava, la donna si strinse nell’indumento cercando di ripararsi dal vento freddo.

    Quando fu più vicina, Warrington trattenne il respiro: gli occhi castani erano incorniciati da lunghissime ciglia.

    «Mi chiamo Melina. Voi siete il capitano dell’Ascalon

    Warrington era sbigottito. Aveva parlato in un inglese perfetto, con un vago accento che dava alle sue parole un tocco esotico. E la voce gli era entrata dentro, suscitando una forte emozione che gli ricordò quanto una donna potesse costituire una tentazione.

    Melina esaminò l’uomo che aveva davanti. Si aspettava un individuo con i capelli bianchi, magari deturpato da qualche cicatrice, mentre quello era uno che si prendeva cura di se stesso. Sembrava forte e, anche se probabilmente non era in grado di arrampicarsi sul sartiame come certi marinai francesi che lei aveva visto, sicuramente avrebbe trovato chi lo facesse al posto suo.

    Gli abiti aderivano al corpo muscoloso, e lui sembrava indifferente al vento che gli soffiava addosso. Lo sguardo profondo dei suoi occhi la lasciò senza fiato, e le causò uno sfarfallio allo stomaco.

    Da mesi lei aspettava che una nave inglese gettasse l’ancora nella baia, perché doveva lasciare l’isola per scoprire la verità sul tesoro che aveva trovato. Le sue sorelle dovevano pur mangiare...

    «Dove avete imparato l’inglese?» le domandò lo sconosciuto, ignorando la sua domanda.

    «Vorrei andare a Londra.»

    «Io invece vorrei dormire in un letto morbido, però sulla nave non c’è. E non c’è nemmeno posto per i passeggeri.»

    «Posso pagare» dichiarò lei sollevando il mento con aria di sfida. Non si sarebbe lasciata sfuggire quell’occasione, solo la certezza della morte l’avrebbe fatta desistere.

    Warrington si rilassò, e le rivolse un sorriso di scuse. «C’è stato un incendio a bordo. La nave è quasi pronta a salpare, stiamo finendo le ultime riparazioni, tuttavia potrebbe non essere in grado di resistere a una tempesta. Tra poco ne arriverà un’altra, chiedete a loro.»

    Melina, che di solito manteneva una certa distanza dagli sconosciuti che giungevano sull’isola, fece un passo in avanti. «Prima che decidiate, voglio mostrarvi una cosa» dichiarò, guardandolo negli occhi.

    Lui si strinse nelle spalle, inarcando un sopracciglio. «Vi ho detto che non mi interessa.» A Melina non sfuggì lo sguardo che, dopo essersi posato un istante sul suo seno, tornò sul viso.

    «Si trova nella stalla» insistette. E si mosse verso l’edificio.

    Warrington si allungò e le afferrò un braccio, senza aggressività.

    Melina girò la testa di scatto, pronta a costringerlo a seguirla prima con le parole poi, se necessario, con la forza.

    «Non vorrei...» Il tono dell’uomo si era addolcito, tuttavia non la lasciò andare. Negli occhi, il cui colore ricordava quello della corteccia di un albero spoglio, brillava una traccia di compassione. «Non posso portarvi a Londra, aspettate la prossima nave.» Abbassò la voce prima di continuare: «Oppure restate qui. Il mondo non è gentile con le donne che lasciano la loro casa».

    Ogni parola le si cancellò dalla mente, Melina non riusciva a distogliere lo sguardo da quel viso; sentiva sulla pelle la mano calda che le impediva di muoversi.

    «Seguitemi» riuscì a dire con uno sforzo, riprendendo coraggio.

    Warrington scosse il capo. «Io... La nave non è un luogo adatto per una donna, nemmeno per una...» Meglio riprovare. «Sono certo che durante la traversata avreste molte occasioni di riempirvi le tasche, tuttavia gli uomini non devono essere distratti. Invece di svolgere il loro dovere, si contenderebbero i vostri favori. Non potete venire con noi.» Infilata la mano libera nella tasca del gilet, ne estrasse una moneta che le porse. «Prendete questa.»

    Immobile, lei continuava a fissarlo.

    «È vostra, per avermi fatto scendere dalla nave e fatto udire una voce femminile. Non desidero altro.» Lo sguardo si addolcì. «Non ho altro denaro con me, altrimenti ve lo darei.»

    Lei scosse la testa, in segno di rifiuto.

    A quel punto War le liberò la mano, rimise la moneta in tasca e fece un passo indietro.

    Melina si allungò e lo afferrò per una manica, doveva assolutamente fermarlo.

    Warrington si girò. Aveva la bocca aperta, quasi cercasse le parole per convincerla. «Signorina, davvero, non voglio... Non potete venire con noi.»

    Era inutile, lei aveva bisogno di un uomo che la portasse via. «Lasciate che ve lo mostri» lo supplicò.

    «D’accordo, a patto che accettiate il fatto che non salirete a bordo. I marinai...» Terminò la frase in tono più dolce. «... non riuscirebbero a ignorarvi.»

    «Devo mostrarvi il mio tesoro.» Entrò nella stalla, sapendo che l’avrebbe seguita.

    Camminarono sul pavimento sporco, respirando il forte odore di stallatico. Dopo essersi avvicinata a una catasta di rami pronti da ardere, Melina si inginocchiò e ne estrasse un oggetto avvolto in un panno, svolse il tessuto e nell’oscurità apparve un lucore bianco.

    Warrington prese in mano il braccio di marmo, un po’ più grande di un arto umano; le dita della mano erano delicate, femminili. «È di una statua» disse.

    «Sì. Due anni fa uno studioso è venuto sull’isola, e ci ha detto che dovevano esserci dei manufatti di un certo valore. Lui non trovò nulla, io invece dopo la sua partenza ho rinvenuto questo... e non solo.» Osservò lo sconosciuto che esaminava il braccio, e guardava la mano con la stessa intensità con cui una donna avrebbe ammirato un bambino. «Portatemi a Londra, dopo che l’avrò mostrato al British Museum vi pagherò il viaggio.»

    «Vi faccio una proposta. Quando sarò in Inghilterra lo mostrerò a un esperto d’arte; se si tratta di un oggetto di valore, lui vi manderà i soldi.»

    Melina gli strappò il braccio di marmo dalle mani. «Devo partire subito. Non la prossima settimana, non con la prossima nave: devo andarmene.» I vicini l’avevano già avvisata: l’uomo che comandava sull’isola intendeva sposarla. E lei non avrebbe potuto rifiutare.

    Si girò per raccogliere il tessuto in cui era avvolto il braccio. Quando alzò lo sguardo, si accorse che lo sconosciuto stava fissando la voglia che lo scialle, inavvertitamente aperto, lasciava intravedere. Con la mano libera, sfiorò la macchia e notò i suoi occhi incupiti dal desiderio.

    Inspirò a fondo, senza sorridere. E decise di ignorare il campanello d’allarme che sentì suonare dentro di sé, e le suggeriva che se avesse imboccato quella strada non sarebbe più tornata indietro. «È quello che volete per farmi salire a bordo?» domandò.

    «Sì.»

    «Allora stringiamo un patto.»

    Warrington scosse il capo. «No, il capitano non permetterà a una donna di viaggiare con noi.»

    «Voi non siete l’archigos?» Melina afferrò il braccio di marmo e lo strinse con delicatezza. Anche se lui non rispose alla domanda, era sufficiente guardarlo in viso per capire la verità.

    «Sono il Conte di Warrington. Sono comproprietario della nave, ma non la governo. Vi condurrò a bordo della Ascalon, dove potrete parlare col capitano.»

    «Bene.» Gli si leggeva negli occhi che era sicuro che il capitano avrebbe rifiutato la sua richiesta. Lei però confidava in un fatto: se chi comandava era come

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