I custodi dell'eternità: Il custode dell'Eterno si affaccia al mondo in vesti variopinte e talvolta persino mascherato per non lasciare mai l'uomo solo nella difficile lotta per la sopravvivenza
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Giunge un momento nella vita in cui si ha la necessità inderogabile di dare risposta alle domande esistenziali che ci hanno accompagnato fin dall’infanzia.
A quel punto bisogna prendere una decisione e tuffarsi a capofitto nell’impresa, facendo tabula rasa di tutto quello che ci è stato inculcato nella mente da una cultura condizionata e condizionante che non solo non è riuscita a soddisfare i nostri interrogativi, ma ci ha addirittura portati fuori strada, gettandoci in un pantano di dualismo nel quale buona parte della società sprofonda lentamente e inesorabilmente.
La fatica di fare tabula rasa di una cultura religiosa che ci ha plasmato in modo unidirezionale è gravosa.
Qualcuno, più fortunato, non si è lasciato plasmare in un senso così deviante e ha aperto la strada verso altre filosofie, come facevano i grandi esploratori dei secoli passati.
Seguendo la loro rotta molti ricercatori sono riusciti a trovare la luce o almeno un porto ragionevolmente sicuro.
Trovare la luce non significa soltanto accogliere un insegnamento più razionale, ma avere la possibilità di sperimentare in prima persona che le istruzioni ricevute portino effettivamente all’obiettivo previsto.
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I custodi dell'eternità - Rosati Giancarlo
fine.
1.
LE RADICI
Io sono stato mandato dal Padre mio che sta nell’alto dei cieli
Gesù
Da ragazzo ero rimasto colpito dalla storia di Gesù. La chiesa proponeva un uomo comparso nella Palestina di duemila anni fa, proveniente dal cielo, che aveva assunto il titolo di Figlio di Dio e faceva miracoli di ogni genere. A quell’età l’aspetto che più mi aveva colpito del Nazareno era la compassione verso i malati, i poveri e i diseredati.
Gesù veniva anche proposto come un martire che era salito sulla croce per riscattare le colpe degli uomini. Quando si è ragazzi non si pongono domanda come queste: Che colpe hanno commesso i nostri padri? E perché quella colpa è stata trasmessa di generazione in generazione per migliaia di anni?
.
Nella mia ingenuità accettavo la cosa come un peccato che ciascuno di noi doveva scontare. I preti chiamavano la colpa peccato originale, e tutti i bambini del mondo, nati dopo quella colpa si portavano dietro un carico che li avrebbe fatti soffrire per tutta la vita, salvo che non si sottoponessero a un cerimoniale assurdo come il battesimo. Secondo la chiesa, l’immersione in acqua aveva il potere di mondare l’individuo e di renderlo ancora degno di Dio.
Come tutti i cattolici, anch’io ero stato indottrinato e indotto a recitare la commedia più sciocca che si possa immaginare, quella di sentirsi peccatori per una colpa commessa migliaia di anni fa da un uomo creato di sana pianta dal fango.
Dopo averlo creato, Dio lo aveva posto in un luogo felice chiamato Eden e per non farlo sentire solo gli aveva creato anche una donna, Eva, dalla quale aveva avuto almeno tre figli (Abele, Caino e Seth). Abele rappresentava il figlio buono e Caino quello cattivo. Durante un diverbio Caino aveva ucciso Abele: il Male aveva avuto il sopravvento sul Bene. Ma la colpa che era ricaduta su tutto il genere umano non era quella del fratricidio. Era qualcosa di più banale. Il fratricidio passava in secondo piano per lasciare posto al furto di una mela da un albero che agli uomini era vietato toccare. Era quella disobbedienza che aveva macchiato il DNA dell’uomo costringendolo a vagabondare senza meta per un pianeta ancora sconosciuto, faticando per nutrirsi, per proteggere i figli, per costruirsi un riparo, per difendersi dagli animali feroci. Dell’omicidio di Caino non se ne parlava nemmeno. Era più importante il furto di una mela!
Dopo avere subito la perdita di Abele, Eva aveva indotto il marito Adamo a disobbedire al Signore che li aveva creati a condizione di non mangiare il frutto di un albero proibito. Dopo avere mangiato il frutto, Adamo era entrato in una sorta di trance durante la quale la sua mente si era proiettata nel futuro e aveva visto quello che sarebbe accaduto nei cento anni successivi.
Il melo dal quale Eva aveva colto il frutto era chiamato albero della conoscenza e a noi ragazzini non era mai venuto il sospetto che si trattasse di una pianta allucinogena in grado di espandere la coscienza fino alla chiaroveggenza e oltre. Nell’infanzia e nell’adolescenza non avevo mai sentito parlare di stupefacenti, di droghe, di sostanze psicoattive e degli effetti che avevano sulla psiche. Eppure tutti i popoli ne facevano uso.
Nell’America Centrale (Messico) e in quella del Nord (Texas) esistono ancor oggi comunità religiose che affermano di potersi mettere in contatto diretto con Dio grazie al consumo di dosi adeguate di mescalina. La mescalina, un alcaloide psichedelico, è contenuto nel peyote cactus. Nella Siberia invece i cercatori della Verità si affidano all’amanita muscaria uno dei funghi magici che inducono uno stato di trance se usato nella giusta dose, ma che diventa mortale se la dose è sbagliata. Anche in Palestina, la terra di Gesù, si faceva uso di alcune droghe: la mandragola, l’asclepiade acida, l’Hashish e l’Haoma proveniente dalla Persia.
Cactus Peyote
Noi bambini che frequentavamo la parrocchia avevamo connotato Gesù come un’incarnazione divina e non posso nascondere che abbia influenzato il nostro comportamento e persino le scelte della nostra vita.
Gesù era compassionevole soprattutto verso i poveri e i malati, e nel cuore di alcuni di noi era germogliato un analogo sentimento che pensavamo di mettere in pratica in un modo o nell’altro. Gesù curava i malati con il tocco o l’ordine verbale e io aveva pensato che fare il medico dei poveri potesse essere un modo di imitarlo.
Ai miei tempi si parlava molto di un medico missionario che esercitava la professione nel Gabon. Il dottor Albert Schweitzer (1875-1965) aveva rinunciato al mondo moderno per dedicarsi alla cura dei malati del paese africano.
Mi laureai in Europa e poi tornai in Africa, dove ero nato e dove ancora risiedeva la mia famiglia, con l’intento di praticare la medicina tra la gente più povera ed abbandonata del paese. Dopo un intenso tirocinio all’ospedale di Asmara, uno degli ospedali più quotati del Corno d’Africa grazie al lavoro di prestigiosi clinici italiani, come Ferroluzzi, Musso, e Manfredonia che ne avevano fatto la storia, venni incaricato di un ospedale che confinava con il Mar Rosso e con il Sudan.
L’Africa mi era cara e non avrei avuto nessuna difficoltà ad adattarmi a qualunque situazione e ad affrontare qualunque avversità pur di realizzare il mio sogno. Gli abitanti erano davvero poveri e non avevano mai visto un medico nella loro vita. L’unica risorsa sanitaria cui potevano appoggiarsi era un’assistente sanitaria tuttofare che si recava nei villaggi per dare consigli igienici o per praticare l’infibulazione alle bambine di pochi anni (vedi Un sufi mi svelò il segreto). Il mio primo sogno si era realizzato, ma ne avevo un altro ben più importante per la mia vita, quello di incontrare qualcuno come Gesù.
A caccia di misteri
Il periodo trascorso tra la gente più povera del paese, era stato ricco di esperienze, si interrogativi, di abbattimento dei dogmi religiosi, di una nuova visione di Gesù che restava tuttavia al centro della mia ricerca nella sua veste di incarnazione divina.
Nonostante certe riflessioni sull’Antico Testamento che lo trovavo sempre più una lettura da proibire alla gente per bene e ai giovani, la figura di Gesù continuava ad affascinarmi tanto da approfondire la sua miracolistica e la sua figura storica che non combaciava affatto con quella raccontata ufficialmente dalla sua chiesa (vedi La storia mai raccontata di Gesù).
Il sogno che avevo da bambino era di incontrare un personaggio analogo che conoscesse i misteri del mondo e dell’aldilà e fosse in grado di rivelarli a gente semplice come me. Come me, molti bambini avranno sognato di sedersi ai piedi di Gesù mentre spiegava il mistero della vita o li incuriosiva facendo qualche miracolo.
Mansour, il capo spirituale della comunità musulmana della regione che mi era stata affidata, mi diceva che l’insegnamento era di importanza somma, ma che i miracoli erano semplici giochi psichici che dovevano essere ignorati dal ricercatore spirituale, chiunque fosse chi li produceva. Se ti guardi in giro
, diceva, scoprirai quante persone possiedono dei poteri magici che spesso nascondono per non essere oggetto di culto o di scherno da parte degli sprovveduti
.
Il nonno di Mansour era ricordato localmente come uno degli uomini più dotati di poteri extrasensoriali, ma lui cercava di non parlarne affatto. I capi spirituali delle regioni musulmane possono non essere dotati di poteri psichici, ma devono essere necessariamente imparentati con Maometto o con il genero Alì ed educati fin dall’infanzia al loro futuro ruolo spirituale.
In Africa si trovano uomini e donne dotati di poteri psichici che vanno dalla chiaroveggenza alla psicodiagnosi e alla taumaturgia, come se fossero dei superdotati. Io stesso avevo avuto diverse opportunità di verificarlo.
Spesso questi personaggi seguivano quella che si chiama Tradizione primordiale. Dalla Tradizione derivano delle verità utili per capire il mondo e uscire dalla trappola che ci trattiene in questa realtà infernale.
La Tradizione
La Tradizione indica una forza ordinatrice in funzione di principi trascendenti che agisce lungo le generazioni attraverso istituzioni, leggi e ordinamenti
e comprende forze di cui l’umanità non ha ancora la più minima comprensione, anche se negli ultimi decenni la fisica quantistica ci sta trasportando in una realtà che trascende quella materiale cui siamo abituati.
Nella mia visione, Gesù era uno dei tanti maestri della Tradizione. Pensare che i maestri fossero tanti accendeva in me la speranza che un giorno avrei potuto anch’io incontrarne uno. Poiché ogni maestro insegna una sola verità che, essendo tale, deve essere necessariamente unica, un maestro valeva l’altro purché fosse illuminato, cioè avesse sperimentato l’assolutezza e conoscesse il segreto della vita e della morte, dell’aldiquà e dell’aldilà, che sapesse che cos’è Dio.
Il sogno mi rincorreva e mi induceva a viaggiare senza sosta, sperando sempre di trovare un saggio che mi aprisse la porta del mistero. All’età di 40 anni un veggente mi disse: Tu hai ancora cinque paesi da visitare e due grandi sogni da realizzare. La tua fortuna è trasparente come il vetro e riuscirai sicuramente a realizzarli tutti e due
. Il primo desiderio era proprio quello di incontrare un maestro di Verità.
In quegli anni in Etiopia soffiavano venti di guerra. Prima che un ufficiale del Negus ideasse e portasse a termine un colpo di Stato, chi era ben informato della situazione politica mi aveva consigliato di rimpatriare.
Le mie ricerche sulla psiche umana proseguirono anche in Italia. Non disponendo però di sensitivi, stregoni e sufi, avevo deciso dii indagare nel mondo della psiche utilizzando l’ipnosi. I risultati furono molto incoraggianti.
Insieme con alcuni amici fondammo un Centro di Parapsicologia di cui per qualche tempo fui direttore scientifico affiancato da un presidente, Mario Scalvini, che fu un ricercatore di grande valore.
L’esperienza con l’ipnosi mi confermava che nel nostro cervello doveva esistere un nucleo adibito al collegamento con una Coscienza Cosmica che avrei potuto chiamare Anima Mundi o Dio a mio piacimento.
Talvolta i risultati erano così sorprendenti da ritenere che in determinate condizioni la nostra mente avesse la capacità di mettersi in contatto con un’ipotetica entità superiore e ricevere informazioni di metafisica che non avremmo potuto ottenere da nessun altro all’infuori di un maestro di Verità.
In quel periodo mi ero convinto che l’umanità non venisse mai lasciata sola nel buio dell’ignoranza e che da qualche parte dovesse esistere un maestro che continuasse a mantenere viva la fiaccola della Tradizione, un maestro che continuasse a indicare ai ricercatori spirituali le vie da seguire per approdare al trono di Dio. Si trattava soltanto di scovarlo.
La cosa non era facile. Quando si parla di ignoranza, diciamolo una volta per tutte, ci si riferisce alla metafisica, non all’intelligenza o alla preparazione scolastica delle persone. Uno potrebbe avere cinque lauree, parlare venti lingue, avere inventato ordigni elettronici, ma ignorare i principi che governano il mondo e la vita, essere cioè metafisicamente ignorante. Secondo il filosofo e psicologo dell’università di Harvard, George Mead, l’ignoranza spirituale è schiavitù, la radice di ogni servaggio da cui l’uomo è legato.
A quel tempo viveva a San Giovanni Rotondo un frate cappuccino, Padre Pio da Pietrelcina, al quale si attribuivano segnali di santità come le stigmate e alcuni poteri psichici eccezionali. La gente lo venerava soprattutto per i suoi poteri taumaturgici. Da ragazzo ero stato attratto dalla sua fama e divenni suo figlio spirituale.
Pur essendo figlio spirituale di Padre Pio
e di tenere corrispondenza con lui tramite, suppongo, il suo segretario, l’esperienza africana mi aveva convinto di due cose. Prima di tutto che i poteri psichici posseduti da un uomo non potevano far di lui un santo e in secondo luogo che un santo non aveva bisogno di manifestare la propria devozione a Dio facendosi venire le stigmate.
La gente tuttavia era convinta che le stigmate fossero un dono di Gesù per compensare la grande devozione dimostrata. Da bambino avrei creduto anch’io che le stigmate potessero essere un dono di