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Non solo le stelle brillano in cielo
Non solo le stelle brillano in cielo
Non solo le stelle brillano in cielo
Ebook419 pages6 hours

Non solo le stelle brillano in cielo

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About this ebook

Kelly non è una ragazza per bene. Non crede nell’amore e non sogna il principe azzurro: vive la propria vita alla giornata, a cavallo tra i tanti locali di Roma e altrettanti trascurabili amanti. Non si fa scrupoli. Si gode i suoi diciannove anni in un modo che non molti approverebbero. Fino al giorno in cui conosce Adam. È bello, simpatico e, a differenza di tutti gli altri, desidera salvarla dal vortice di perdizione nel quale si ritrova. Eppure non si fida: Kelly infatti, sotto l’aspetto adulto e l’atteggiamento determinato, è fragile, fatica a respingere un passato che non riesce a trascurare. I due legano fin da subito, con la facilità di molte altre relazioni e la difficoltà di doversi fidare di qualcuno che la costringe a vedere inediti aspetti positivi di sé. Però c’è anche Vins, il cameriere del locale sotto casa. È talmente ossessionato da lei che Kelly si convince di vederlo ovunque. Lo scorge tra le vie della città, nei negozi, in periferia. Kelly lo teme, ma al tempo stesso ne è attratta: la sregolatezza con cui Vins affronta la vita sposa alla perfezione la filosofia che Adam sta cercando di combattere, quella con cui Kelly ha sempre convissuto. Quindi perché cambiare proprio adesso? Qual è la direzione giusta? Ma sia Vins che Adam non sono completamente onesti con lei, le mentono e la trattano come una marionetta nelle mani di avidi giocattolai. Una sensazione che la perseguita fin da quando era piccola. Kelly aveva quasi creduto di potersi meritare qualcosa di buono. E cosa fare ora? Fidarsi di Vins e il suo amore malato, o di Adam, con la sua dolcezza non del tutto sincera?
LanguageItaliano
Release dateNov 19, 2020
ISBN9791220224390
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    Non solo le stelle brillano in cielo - Alessia Malvestio

    Alessia Malvestio

    Non solo le stelle brillano in cielo

    NON SOLO LE STELLE BRILLANO IN CIELO

    di Alessia Malvestio

    Prima edizione: luglio 2020

    Tutti i diritti riservati 2020 © BERTONI EDITORE

    Bertoni Editore

    www.bertonieditore.com

    info@bertonieditore.com

    È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la copia fotostatica se non autorizzata

    UUID: 00917bc0-8615-4b0e-b832-35dbcbd04858

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    CAPITOLO VII

    CAPITOLO VIII

    CAPITOLO IX

    CAPITOLO X

    CAPITOLO XI

    CAPITOLO XII

    CAPITOLO XIII

    CAPITOLO XIV

    ​CAPITOLO XV

    CAPITOLO XVI

    CAPITOLO XVII

    CAPITOLO XVIII

    CAPITOLO XIX

    CAPITOLO XX

    CAPITOLO XXI

    CAPITOLO XXII

    CAPITOLO XXIII

    CAPITOLO XXIV

    EPILOGO

    Ringraziamenti

    CAPITOLO I

    Kelly era superficiale. Talmente superficiale da poter ap parire, per molti aspetti, quasi ingenua. Ma, in realtà, una come lei con l’ingenuità aveva poco a che fare.

    Era quel genere di persona costantemente con la puzza sotto il naso. Una che, per quanto glielo si ripetesse, non solo non era in grado di capire che il suo non era un mondo perfetto, ma che la perfezione non esiste proprio. Viveva una vita spericolata, incurante di tutto ciò che aveva intorno, senza lasciarsi fregare da legami instabili o da relazioni che potessero mettere in dubbio ciò che, da sempre, riteneva essere il suo mondo fatto e finito, un mondo che la rendeva fiera delle scelte che aveva compiuto. Qualunque cosa volesse se la prendeva e questo poteva quasi essere un punto a suo favore, se non fosse per il fatto che non faceva altro che utilizzare la sua tenacia per autodistruggersi. Si comportava come se nulla avesse importanza, come se niente potesse toccarla, come se nessuna ferita potesse farla soffrire davvero. Era apatica, incapace di provare sentimenti veri. L’amore, poi, non sapeva davvero cosa fosse, non aveva idea di cosa significassero quelle cinque lettere buttate lì, alla rinfusa. Era un termine che non rientrava nel suo vocabolario ed era convinta che mai vi avrebbe trovato posto.

    Ma, a dispetto di tutto ciò e contro ogni aspettativa, Kelly era una buona amica. Sapeva come guadagnarsi la fiducia degli altri e non aveva peli sulla lingua. Se doveva fare un complimento era la prima a farlo, così come non si faceva troppi scrupoli nel dire ciò che pensava qualora si fosse trattato di far notare ciò che non andava. Insomma, la sincerità era il suo forte e lei ne era ben consapevole. Una qualità non da tutti.

    Proprio questo suo modo di essere, le aveva attirate addosso odio e altrettanti sguardi maligni ma, dall’altra parte, anche tanto rispetto. E un gruppo di amici lo aveva anche lei, sebbene le uniche persone con cui avesse mai intrattenuto rapporti fossero quelle che più le somigliavano, una sorta di cloni non ben riusciti ma che, tutto sommato, altro non erano se non una sua fotocopia, in grado soltanto di seguirla per le strade di Roma scodinzolando e obbedendole come fosse la loro padrona.

    Kelly era anche una di quelle che, quando le si incrocia per strada, riconosci al primo sguardo. Non era bella. No, questo non è di certo l’aggettivo più adatto a descriverla, lei era semplicemente splendida, meravigliosa. L’incarnazione perfetta di tutti gli ideali di bellezza messi insieme e, quando le si puntavano gli occhi addosso, sarebbe addirittura potuto crollare il mondo e nessuno se ne sarebbe accorto, ovviamente la consapevolezza dell’immenso dono che Madre Natura le aveva fatto rappresentava uno dei suoi peggiori difetti che, però, sapeva sfruttare a suo piacimento. Al primo impatto poteva apparire arrogante e senza cuore, ma non le era mai importato. Non aveva mai prestato troppa attenzione alle considerazioni degli altri, alla folla di persone invidiose che conducevano la loro esistenza monotona convinti di non poterla cambiare e che non la guardavano di buon occhio solo perché, contrariamente a loro, lei di rimpianti non ne aveva.

    Quella sera, questi pensieri stavano animando la mente di Kelly: era una di quelle serate che sarebbe andata a posizionarsi all’ultimo posto di una lista di momenti noiosi che sperava ben presto di non dover più sopportare.

    Andrea, suo padre, le stava raccontando del nonno e di come per lui fossero stati difficili gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Ma, ovviamente, tutto questo a Kelly non interessava. Quella storia l’aveva già sentita almeno un centinaio di altre volte, sebbene non riuscisse ancora a ricordarne i particolari, troppo noiosi per poter essere catturati dal suo cervello iperattivo e desideroso di evadere. Nonostante ciò, il padre continuava a ripetergliela nella speranza che in lei si accendesse quel barlume di luce che le permettesse di uscire da quello che, secondo lui, era un momento buio della sua vita. Una spinta che la portasse a rialzarsi, anche se lei non ne aveva alcuna voglia visto che le andava bene così com’era.

    Andrea sperava di poter aiutare la figlia in vista dell’esame di Stato, che avrebbe dovuto sostenere a giugno di quello stesso anno, sapendo bene che Kelly era sempre stata contraria a qualsiasi attività prevedesse l’apertura di un libro e lo studio per ore e ore. Non era ciò che voleva e tanto meno lo avrebbe fatto. Non era nata per assecondare i desideri degli altri e suo padre non faceva eccezione.

    Era arrivata a frequentare la quinta liceo senza avere la più pallida idea di chi fossero Napoleone, Platone, Galilei o qualsiasi altro grande personaggio che aveva contribuito a migliorare le sorti dell’umanità, o almeno aveva provato a farlo. Ai suoi occhi apparivano tutti come sconosciuti qualsiasi. Erano soltanto nomi in una società nella quale, come lei stessa puntava a fare, l’unico grande traguardo era quello di farselo un nome. Ed era proprio questa l’unica e più grande ambizione di Kelly.

    Per lei la maturità sarebbe stata una passeggiata. Era convinta che, ogni anno, Andrea avesse pagato la scuola per farla promuovere ed era certa che lo avrebbe fatto anche per l’ultima, decisiva, volta. Non le importava nulla del voto. Le bastava soltanto uscire da quelle maledette quattro mura piene di menzogne, falsità e mazzette. Avrebbe voluto correre dritta verso una passerella qualsiasi per dimostrare al mondo ciò che valeva, sfoggiando la sua più preziosa qualità: la bellezza.

    Quello sarebbe stato il suo destino, lo sapeva. Se ne sarebbe andata in giro per i palchi di tutta Italia, avrebbe fatto l’attrice o magari soltanto la conduttrice di un programma insensato sul sesso che, però, l’avrebbe fatta conoscere come una delle più grandi stelle che il cielo avesse mai visto brillare. E così sarebbe diventata immortale. La sua vita sarebbe stata caratterizzata da un eccesso dopo l’altro, da falsi fidanzati, false amicizie, alcol, droghe di qualsiasi tipo e, anche e soprattutto, sesso. Un’idea che non le dispiaceva affatto.

    Chi avrebbe voluto condurre una vita del genere? Forse nessuno, tranne Kelly ovviamente, insieme a tutti coloro che erano già entrati a far parte di quel circolo vizioso dal quale inevitabilmente non si poteva uscire. Se non dentro una bara.

    «Cos’hai intenzione di fare il prossimo anno?» le chiese suo padre, distogliendola dai suoi sogni di gloria.

    «Non ho cambiato idea, se è questo che speri» sbottò lei.

    «E se non ce la dovessi fare?»

    «Non capiterà.»

    Andrea scosse la testa sconsolato. Erano anni che spingeva la figlia a pensare seriamente a un futuro plausibile e a mettere la testa a posto, ma senza risultato. Aveva tentato invano di imporle le proprie idee, di convincerla che quello che stava facendo fosse sbagliato e che, invece, seguendo le sue orme, tutto si sarebbe risolto per il meglio e lei sarebbe stata felice.

    In molti ci avevano provato a farla ragionare. Persino sua madre le aveva fatto discorsi infiniti, di cui però non aveva ascoltato una parola. Kelly, infatti, sapeva ciò che voleva e non si era mai preoccupata di pensare a un piano B, a un futuro diverso da quello che aveva programmato. Non si sarebbe tirata indietro, nemmeno di fronte alle innumerevoli lusinghe che già si aspettava di ricevere.

    A quel punto suo padre girò i tacchi e uscì, sbattendo forte la porta. Ormai ci aveva rinunciato forse era meglio così. Continuare sarebbe stata solo una perdita di tempo. Cosa diavolo aveva fatto di tanto sbagliato per meritarsi una figlia come lei?

    Kelly sospirò, come se si fosse finalmente tolta un peso dal petto e potesse respirare di nuovo, e rimase sola nella sua stanza dalle pareti ancora dipinte di quel rosa acceso che aveva scelto quando aveva a malapena dodici anni e che al tempo adorava. Adesso però le cose stavano in tutt’altro modo.

    Fissò il soffitto vuoto, tappezzato di poster di quelli che erano da sempre i suoi artisti preferiti. Tutta gente che aveva saputo godersi la vita fino a quando la droga non aveva deciso di prenderseli e di portarli in un mondo diverso da quello reale, ma sicuramente migliore. C’erano Kurt Cobain, Amy Winehouse, Marilyn Monroe e tanti altri. E poi c’era Jim Morrison, di cui aveva una citazione, scritta sul muro sopra la scrivania a caratteri cubitali, che era il suo motto: ‘The future is uncertain, and the end is always near’.

    Kelly, quegli artisti, li ammirava non per come erano morti, riversi a terra sul pavimento di una qualche camera ultra lussuosa, piuttosto per come avevano saputo guadagnarsi fama, prestigio e la fiducia di un pubblico che non aveva idea di chi fossero e di come fosse imperfetta e complicata la loro vita, ma che li considerava comunque degli idoli, dei modelli da seguire e adorare.

    Kelly estrasse il cellulare dalla tasca destra dei jeans e scrisse su Facebook una di quelle frasi fatte che negli ultimi tempi avevano riscosso un numero infinito di Mi piace. Poi appoggiò il telefono sulla scrivania, prese la giacca e decise che sarebbe uscita anche quella sera. Se ne sarebbe andata in giro per qualche locale, in cerca di qualche finto gentiluomo che, prima di scoparsela, le avrebbe offerto qualcosa da bere. Aveva sete, desiderava sentire l’alcol scorrerle nelle vene, ma sapeva che non si sarebbe ubriacata. Non aveva soldi da spendere e conosceva fin troppo bene gli uomini che frequentavano quelle zone. Nessuno avrebbe speso tanto solo per vederla un po’ brilla.

    Una volta fuori, si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò alle scale, ma, quando fu a metà, ripercorse all’indietro i pochi scalini che aveva fatto e se ne ritornò nella sua stanza, indecisa se esternare la sua rabbia al mondo intero o se tenersela per sé. Raggiunse la scrivania, riprese tra le mani il suo IPhone e scrisse un’altra frase sul social network che ormai per lei era diventata un’abitudine visitare: ‘ L’ennesima discussione con mio padre finita con un nulla di fatto. Ma perché cazzo nessuno mi capisce?’.

    Quindi premette invio, si mise il cellulare in tasca e questa volta uscì, senza più ripensamenti. Attraversò a grandi passi il corridoio e fece appena in tempo a sentire sua madre che le chiedeva dove stesse andando, prima di sbattere la porta con tutta la forza che aveva. Poi raggiunse correndo il locale più vicino, tentando di coprirsi la testa con un cappuccio troppo piccolo per offrirle un qualche riparo. Stava piovendo a dirotto, aveva i capelli praticamente inzuppati e spettinati, ma in quel momento non le importava. Voleva solo fuggire per qualche ora da quella che sapeva non essere la vita giusta per lei e che sentiva come una prigione dalla quale avrebbe fatto di tutto per evadere.

    Suo padre aveva sempre tentato di cambiarla, di trasformarla nella sua marionetta personale, ma lei non poteva accettarlo. Non era fatta per sottostare agli ordini, al massimo poteva darli e di certo da uno sporco doppiogiochista come lui non li avrebbe accettati mai. Ci aveva già provato in passato quando era soltanto una bambina ingenua e ora, con il senno di poi, non poteva che maledirsi per tutti gli errori che aveva commesso, per tutta la fiducia che aveva dato alle persone sbagliate e che, puntualmente, si erano poi rivelate per ciò che realmente erano.

    Immersa in questi pensieri, entrò nel locale, non prima di essersi sistemata i capelli alla meno peggio. Quindi salutò il barista, con il quale era stata a letto qualche mese prima, e si sedette al suo solito tavolo, quello in fondo alla sala, vicino alle enormi vetrate da cui poteva scorgere la gente che camminava in strada senza essere vista. Se l’avessero scorta, qualcuno avrebbe potuto sbandare andandosi a schiantare contro il primo cassonetto dell’immondizia. Sarebbe stato il posto perfetto per uno del genere. Se non sei in grado di tenere le mani ferme sul volante quando vedi una bella ragazza seduta al tavolo di un bar, chissà cosa combini a letto pensò, ritrovandosi a ridere da sola sotto i baffi.

    Sorrise alla vista di un bambino che, con una mano, teneva il filo di un palloncino e con l’altra stringeva quella del padre. Kelly si domandò cosa ci facesse quel ‘mocciosetto’ ancora in piedi a quell’ora. Certo non era tardissimo, ma ormai si avvicinava l’orario in cui bimbi della sua età si accoccolavano sotto le coperte calde: non era il momento di andare in giro per locali.

    Quella scena riportò Kelly a ripensare alla sua infanzia. Non aveva mai avuto niente di simile. I suoi genitori non si erano preoccupati di renderla felice o di portarla con loro a vedere il mondo. Piuttosto avevano sempre desiderato imporle la loro stessa strada. Li aveva odiati anche per questo, per averle negato la possibilità di decidere da sola, per averle costruito attorno un mondo che non voleva e che non le si addiceva. Ormai non riusciva a rimanere per più di dieci minuti nella stessa stanza con entrambi senza che le urla riempissero il silenzio che tanto amava.

    Nel frattempo il cameriere, un tipo alto e magro, dai capelli biondi ossigenati, che aveva già conosciuto un paio di settimane prima, le venne incontro con il listino stretto tra le mani.

    «Ehi, bellissima. Cosa ti porto?» le chiese come se, anziché conoscerla solamente da pochi giorni, si frequentassero da una vita.

    Ma, pensandoci meglio, Kelly si rese conto che probabilmente era stato proprio lui a riaccompagnarla a casa dopo l’ultimo sabato sera di eccessi, alcol e un po’ di sano sesso. E, quasi sicuramente, quel tipo era riuscito a infilarsi tra le sue gambe senza che lei se ne ricordasse. Senza dubbio ave- va alzato il gomito un po’ troppo, come si era ritrovata a fare spesso negli ultimi tempi. Era ubriaca un weekend sì e l’altro pure e ormai aveva perso il conto dei ragazzi con cui era stata, delle cazzate che aveva fatto e delle pastiglie che aveva buttato giù.

    Il cameriere le fece l’occhiolino, impaziente di sapere se tra loro ci sarebbe stato qualcos’altro o se se ne sarebbe dovuto andare a mani vuote.

    «Non prendo niente, grazie - gli rispose lei - Aspetto che il prossimo cavaliere mi offra da bere.»

    «Capisco» disse, guardandola con un sorrisino malizioso che non ammetteva equivoci. Sperava davvero che Kelly si sarebbe accontentata di lui quella sera? Avrebbe potuto farlo, certo, ma lei contava sul fatto di essere ancora in grado di acchiappare carne fresca, qualcuno che fosse più carino di quel biondo dalla ricrescita inguardabile.

    Nonostante ciò il cameriere se ne andò via, passando con disinvoltura tra un tavolo e l’altro, senza smettere di tenerle gli occhi puntati addosso e Kelly sentiva tutto il peso dei suoi sguardi sulla pelle. Tuttavia, a differenza di quello che aveva sperimentato con suo padre poco prima, questo era un peso che non le creava disagio ma, al contrario, le provocava quasi piacere. Sarebbe stata la sua ultima spiaggia, nel caso la battuta di caccia di quella sera si fosse rivelata inconcludente.

    Kelly iniziò, così, a guardarsi attorno per cercare la sua prossima preda ma, contrariamente alle aspettative, quella sera il locale era quasi vuoto e, non avvistando nessuno di interessante, recuperò il cellulare dalla borsa e controllò l’ora. L’applicazione di Facebook era ancora aperta e sullo schermo era apparso addirittura un commento di qualcuno che aveva osato intromettersi nella sua vita: ‘Forse perché non permetti a nessuno di conoscerti davvero’.

    Era stato un certo Adam a scrivere quella frase insulsa, ma Kelly non avrebbe potuto riconoscerlo. Il ragazzo infatti, anziché inserire il suo cognome come i comuni mortali, aveva ben pensato di nascondersi dietro un nickname. Kelly controllò il suo profilo, alla ricerca di una foto o di qualcosa che lo identificasse, ma non trovò nulla. Non aveva la più pallida idea di chi potesse essere quello sconosciuto impertinente: non aveva mai incontrato nessuno con quel nome, ma poteva benissimo immaginare cosa volesse da lei. Quello che desideravano tutti: la soddisfazione di una notte. Solo che, di solito, le persone si facevano trovare ed evitavano di rifugiarsi dietro un falso nome. Ormai la gente che Kelly conosceva l’aveva presa per una troia, per una ragazza facile che avrebbe accettato qualsiasi proposta da chiunque. E forse lo era sul serio. O meglio, lo era diventata quando aveva deciso che fare la brava ragazza non faceva più per lei, quando si era resa conto che a nessuno sarebbe mai importato se avesse scelto la strada sbagliata, nessuno l’avrebbe fermata se avesse avuto la malsana idea di gettarsi in un burrone o dalla banchina di una stazione qualsiasi. Non ci sarebbe stata una sola persona al mondo pronta a correre a salvarla, a rischiare la vita per lei. Non ci sarebbe stato nessuno e non c’era stato nessuno ad asciugarle le lacrime quando aveva pianto fino a prosciugarsi.

    Nel frattempo alcuni ragazzi entrarono nel locale, ma Kelly non li degnò di uno sguardo. In quel momento era troppo presa da se stessa, sebbene si fosse seduta al suo tavolo preferito proprio per farsi notare.

    «Credo che il principe azzurro sia arrivato» le disse il cameriere che nel frattempo si era avvicinato di nuovo, indicando un tipo seduto accanto alla porta d’ingresso e cogliendo Kelly decisamente alla sprovvista.

    «Un misero Spritz? Mi aspettavo di meglio» sbottò lei, afferrando il bicchiere che lui le stava porgendo e bevendone un sorso.

    «Non si può avere sempre tutto. Beh, se non dovesse essere di tuo gradimento, fammi un fischio. Sono più che disponibile per te» continuò lui, strizzandole l’occhio per l’ennesima volta.

    «Certo, continua a sognare!» rispose lei, alzandosi e avvicinandosi a quella che sarebbe stata la sua preda per quella sera.

    «Non eri della stessa idea l’altra notte» le sussurrò ridendo mentre lei si lasciava scivolare tutto addosso e, attraver- sando a grandi passi la sala, andò a sedersi di fronte a quel ragazzo tutto sommato carino che la guardava con i suoi grandi occhi azzurri.

    «Ti ringrazio» esordì Kelly, indicando il bicchiere che aveva tra le mani.

    «Non c’è di che! Ho casa libera. Ti va di fare un giro?» le domandò lui, senza perdersi in chiacchiere e giri di parole inutili.

    Questi erano proprio i tipi che le piacevano, quelli senza troppi peli sulla lingua e che non si vergognavano a portare a letto una ragazza di cui non conoscevano neanche il nome. Inoltre, ormai anche la sua reputazione era fatta e finita e lei non aveva certo tempo da perdere in convenevoli.

    Per cui Kelly annuì e lo seguì fino alla sua auto, una BMW della quale non avrebbe saputo indovinare il modello. Non aveva mai avuto la passione per le macchine e il mondo automobilistico non era la sua ambizione nella vita. Era suo padre quello che perdeva la testa alla vista di quattro bei cerchioni e lei non avrebbe voluto assomigliargli per niente al mondo. Già era troppo condividere con lui gran parte dei geni.

    Appena Kelly si sedette sul sedile del passeggero, il ragazzo ingranò la marcia e sfrecciò ad alta velocità tra le vie del centro. Dopo nemmeno due chilometri, l’auto si arrestò, di fronte al vialetto di una maestosa casa a tre piani. A Kelly sarebbe piaciuto vederla di giorno, in tutto il suo reale splendore, con la luce che filtrava tra le enormi vetrate del piano terra.

    Lui spense il motore e andò ad aprirle la portiera. Se non altro, le buone maniere qualcuno le ricordava ancora pensò lei.

    Poi l’accompagnò al piano di sopra, in quella che doveva essere la sua stanza e Kelly non ebbe nemmeno il tempo di guardarsi intorno che lui le si gettò addosso: la spinse sul letto, con tutta la forza del suo desiderio, e prese a strapparle di dosso i vestiti. Lei non se lo fece ripetere due volte e, armeggiando abilmente con la cintura dei pantaloni, la aprì per poi abbassare la cerniera dei jeans, sfilarglieli e lanciarli a terra, ai piedi del letto. Quindi passò ai boxer e, posando una mano sopra al tessuto, notò con piacere come il suo membro fosse già in piena erezione. Nel giro di qualche secondo anche lei si ritrovò con soltanto la biancheria intima addosso e una voglia folle che lui le togliesse anche quella, per poi passare al sodo.

    Come se le avesse letto nel pensiero, lui prese a baciarle il collo, scendendo a poco a poco, mentre le mani erano impegnate a tentare di staccarle il gancetto del reggiseno. Quando ci riuscì, dopo un tempo che a Kelly parve infinito, le prese il seno tra le mani, strizzandolo con forza, e continuando a baciarla con ardore. Poi le afferrò una coscia e con le labbra scese ancora, lentamente, verso il punto che sarebbe stato il suo traguardo, come se pensasse che Kelly si sarebbe tirata indietro proprio sul più bello, se lui lo avesse fatto più in fretta.

    Ma lei ci era abituata, ormai. Da più di due anni, due o tre sere la settimana, trascorreva la notte infilandosi nel letto e soprattutto nelle mutande di qualche sconosciuto. Erano davvero pochi quelli che non avevano ancora avuto la fortuna di sbattersela, ma Kelly continuava a stupirsi di come, ogni serata, ci fosse un nuovo spasimante pronto a farsi avanti. Probabilmente era diventata più famosa di quanto pensasse tra le vie di Roma e chissà se lui era venuto fino a lì solo per lei, soltanto spinto dalla speranza di incontrarla e di raggiungere quel momento di estasi. Si sentì lusingata al solo pensarlo.

    In quell’istante lui le strappò via le mutandine, gettandole a terra e fece lo stesso con i suoi boxer, che altrimenti avrebbero rischiato di cedere per la potenza della sua erezione. Continuò a scendere, baciandole la pelle tra il seno e passandole la lingua sui capezzoli che a quel punto si erano induriti, per poi raggiungere l’ombelico e bloccarsi a un centimetro dal clitoride. Notando che lui si era fermato a guardarla, Kelly allungò la mano per afferrargli i capelli e lo spinse giù, verso la sua zona di piacere. Lui armeggiò con la lingua e con i denti, mordendola delicatamente un po’ ovunque, per poi infilarle due dita dentro: una scarica di piacere le invase il corpo e, sebbene avesse provato di meglio, non rimase delusa da come lui si muoveva.

    Nel momento in cui il suo viso riemerse, Kelly, per ricambiare il favore, prese ad armeggiare con il suo membro, baciandolo e succhiando come solo lei sapeva fare. Si staccò appena un secondo per riprendere fiato e, in un attimo, lui le si posizionò sopra e i loro corpi diventarono un tutt’uno quando lui le entrò dentro con tutta la voglia di sovrastarla e farla godere come non mai. Kelly non si sorprese affatto che lui desiderasse così tanto trascorrere quella notte di passione con lei. Quel tipo ci sapeva fare, Kelly doveva ammetterlo, ma non sarebbe rientrato comunque nella sua top 10.

    Il migliore della lista rimaneva sempre e comunque Peter McDonald, che le aveva fatto perdere la verginità e con il quale aveva desiderato spassarsela più volte, sebbene lui non si fosse comportato proprio da bravo ragazzo quella volta di tanti anni prima. Non avrebbe in ogni caso potuto farlo, perché se ne era andato a Londra con una certa Jennifer, quella che doveva essere la sua attuale fidanzata ma che, per quanto ne sapeva lei, poteva benissimo essere una delle sue tante sgualdrine. D’altronde non poteva aspettarsi di meglio da un tipo del genere. La sua fama era andata di gran lunga oltre quella che la stessa Kelly si era costruita tanto che si era diffusa la voce che fosse riuscito nell’impresa di portarsi a letto metà delle ragazze della loro scuola, il tutto in appena sei mesi.

    Kelly ripensò a quella volta in cui lui le aveva fatto provare un piacere indescrivibile e l’aveva penetrata in un modo che nessun altro era più stato in grado di eguagliare. Quel ricordo, ormai sbiadito, era l’unica cosa che le rimaneva, l’unica a cui aggrapparsi nella memoria della sua prima volta. Probabilmente le era sembrato così bello perché, in quel momento, non sapeva a cosa sarebbe andata incontro. Era piccola, non aveva ancora capito come funzionasse, ed era una povera illusa che credeva di poter veramente riuscire a conquistare un cuore selvaggio come quello di Peter, quando l’obiettivo era stato soltanto quello di collezionare l’ennesima verginella ignara.

    Quando il suo compagno di sesso di quella sera decise che ne aveva avuto abbastanza e si staccò da lei, si alzò in piedi come a volerle mostrare il suo corpo nudo. A muscoli del genere però Kelly era già abituata e ormai non la eccitavano come un tempo. Erano soltanto un modo come un altro di dimostrare al mondo la magnificenza del genere umano, per darsi delle arie che poi si trasformavano in illusioni al culmine della prestazione. Aveva imparato che un corpo palestrato era inversamente proporzionale alla prestanza fisica nel momento dell’atto e che, pur ammettendo l’esistenza di piacevoli eccezioni, in linea di massima un ragazzo ben piazzato lì sotto e con un filo di pancetta riusciva a soddisfarla molto di più di tutti gli istruttori di fitness con cui aveva trascorso qualche nottata.

    Intanto lui si allontanò di qualche passo e rimase ad ammirarla, completamente nuda, poi raccolse i jeans da terra per estrarne il portafoglio, aprirlo e controllare quanto contenesse. «Quanto ti devo?» le chiese, con la luce della luna che, neanche a farlo apposta, gli illuminava i glutei sodi.

    Di fronte a quella domanda Kelly strabuzzò gli occhi senza rendersi inizialmente conto di cosa lui le stesse dicendo. L’aveva davvero presa per una puttanella da quattro soldi, per una che, per un servizietto da niente come quello, si faceva pagare?

    «Assolutamente nulla. Io lo faccio gratis» gli rispose, alzandosi in piedi e cominciando a raccogliere i vestiti da terra mentre non lo degnava neanche di uno sguardo.

    «Buon per me allora» mormorò lui, sogghignando, come se di soldi non ne avesse già abbastanza e avesse bisogno di risparmiarne ancora.

    Kelly si rivestì in fretta, presa per la prima volta in vita sua dal folle desiderio di andarsene e tornare a casa, il posto che odiava, ma che le appariva quasi migliore di tutto quello schifo. Quindi si diresse verso la porta, spalancandola e richiudendola al suo passaggio.

    «Aspetta!» le urlò lui, fermandola appena prima che raggiungesse il salone d’ingresso.

    «Che c’è? Non sei ancora soddisfatto?»

    «Lo sono eccome, ma non posso lasciarti andare a casa da sola.»

    «Un passaggio da te non lo voglio. Grazie dell’offerta, ma preferisco rifiutare.»

    «Prendi almeno questi… Per l’autobus» le disse, porgendole una banconota da cento euro, che le sarebbe bastata per percorrere il tragitto da lì a casa almeno una cinquantina di volte.

    Kelly rimase a fissarlo per un paio di secondi, chiedendosi se quello fosse uno scherzo oppure no. Poi, prima che lui potesse fare anche il minimo passo, uscì correndo e lasciandosi quella casa alle spalle.

    Raggiunse la fermata più vicina e constatò che l’ultima navetta di quella sera sarebbe arrivata di lì a qualche minuto. Mentre attendeva impaziente, con il piede che sbatteva ininterrottamente contro il palo della luce, una marea infinita di pensieri la invase.

    Come si era permesso quel tizio di trattarla in quel modo? Lei non era la sua puttanella personale, né lo sarebbe mai stata. Come aveva potuto anche solo pensare che lo fosse? Certo, Kelly non aveva un viso d’angelo, né tanto meno avrebbe voluto essere classificata come una ragazza acqua e sapone, ma non era nemmeno una sprovveduta. Sapeva il fatto suo e l’offesa subita quella sera non l’avrebbe dimenticata facilmente.

    A quel pensiero, Kelly diede un calcio al palo della luce e, quando l’autobus si fermò, vi salì senza indugio. L’autista la fissò, come ammaliato da tanta bellezza, ma lei non vi badò. D’altronde ci era abituata e non aveva la minima intenzione di ascoltare le ennesime lusinghe. Non aveva mai desiderato tanto come in quel momento di tornare a casa, chiudersi a chiave tra quelle che erano le quattro pareti della sua stanza e rimanere lì fino a quando la sveglia non fosse suonata per indicarle l’inizio di un nuovo giorno.

    Quando entrò in casa non si degnò nemmeno di salutare i suoi genitori, che la aspettavano ancora svegli, come ogni volta, per qualche strana ragione che lei non riusciva ancora a comprendere. Come se non fosse stata abbastanza grande per decidere con la sua testa, per stare via tutta la notte o tornare all’ora che voleva.

    Poi, finalmente, raggiunse il suo rifugio segreto e rimase a guardare il soffitto buio per chissà quanto, come fosse un mare in tempesta che non aspettava altro che travolgerla. Prese in mano il cellulare e scrisse d’istinto una frase su Facebook, perché aveva un gran bisogno di sfogarsi e non avrebbe potuto continuare a tenersi tutto dentro. Non ancora, non per l’ennesima volta: ‘ Li odio, li odio tutti’. Digitò quelle parole sul suo IPhone come un fiume in piena che aveva atteso quel momento per uscire e sommergere tutto ciò che si presentava sulla sua strada.

    Kelly non chiuse gli occhi e si ritrovò costretta a versare lacrime amare. Non si era mai sentita tanto debole e vulnerabile come se qualsiasi cosa, da quel momento in poi, avrebbe potuto ferirla. Ma non voleva questo, doveva tornare a essere la solita Kelly, quella stronza che non presta attenzione a niente e a nessuno se non a se stessa. Non le era mai importato nulla di ciò che la gente pensava di lei, ma quella volta non era riuscita a evitare che il dolore emergesse sotto forma di piccole gocce salate. Le stesse che ora le rigavano il viso.

    Sentirsi dare della zoccola faceva male e facevano ancora più male le parole non pronunciate, quelle date per scontato e che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di dirle in faccia. Kelly non poteva non prendersela con il mondo intero per tutto ciò che era successo e per la persona orribile che era diventata. Per ciò che gli altri l’avevano portata a fare e per come, inevitabilmente, tutti ormai la considerassero una poco di buono. Sapeva che non sarebbe cambiata, non in quella vita. Non avrebbe spento la sua luce, non si sarebbe offuscata come fanno tutti coloro che, privi di una vera e propria motivazione, permettono agli altri di sopraffarli.

    Poi riprese il telefono tra le mani, quasi senza accorgersene e lesse: ‘Come puoi odiarli se sono così simili a te?’. Le parole erano dello stesso ragazzo, quell’Adam, e la colsero alla sprovvista. Perché continuava a scrivere quel genere di assurdità? Perché tentava di farla passare per la scema del villaggio, per quella che non sapeva cosa desiderare dalla vita?

    Kelly non era stupida, tutto il contrario, e decise che doveva parlare con quel ragazzo, chiunque fosse, per capire perché ce l’avesse tanto con lei. Non aveva forse il diritto di saperne di più?

    ‘Hai ragione, non li odio. Li disprezzo in una maniera che tu non saresti nemmeno in grado di immaginare’ gli scrisse in chat privata perché non voleva che il mondo intero sapesse e che tutti capissero cosa le stava accadendo.

    ‘Lo vedi? Non ti illudere. Tu non sei diversa. Pensi che il mondo intero debba inginocchiarsi ai tuoi piedi e continui a comportarti come una stronza. Non guardi in faccia nessuno e vai avanti per la tua strada e questo potrebbe anche essere un bene, se non stessi percorrendo la via sbagliata’ le rispose prontamente Adam.

    ‘Quindi per te è sbagliato avere delle ambizioni, puntare in alto?’ gli domandò Kelly.

    ‘Certo che no, ma se il tuo più grande desiderio è quello di andare a letto con mezza Roma, beh, mi dispiace, ma non approvo’ la incalzò lui.

    ‘ Ma chi ti credi di essere? Io non cerco certo la tua approvazione. Tu non sai niente di me, non mi conosci. Non sei nessuno’ lo insultò lei.

    Poi rimase ad aspettare una risposta per dieci minuti buoni con lo sguardo fisso al soffitto. Non ne poteva davvero più di quella casa, di quella stanza, di quella vita e anche di quello sconosciuto che credeva di sapere tutto di lei, ma che non aveva nemmeno il coraggio di svelarsi al mondo, di mostrare il suo vero volto.

    ‘Che ne dici di una scommessa?’ le propose a quel punto Adam mentre Kelly si era già stancata di aspettare una risposta che pareva non arrivare più.

    No’ rispose, decisa.

    ‘Scommettiamo che riuscirò

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