Milano scomparsa, o quas…: I luoghi della città
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Milano scomparsa, o quas… - Milano scomparsa
Introduzione
Non ricordo dove, come e quando mi sia nata la passione per la Milano dei tempi andati. Quando ero bambino, a casa, avevamo alcuni volumi fotografici della Libreria Milano di via Meravigli, altri della Hoepli, vecchi libri con quelle foto seppiate di una città scomparsa che ogni tanto sfogliavo affascinato da quei canali che passavano tra le antiche case. Forse la passione nacque grazie anche ai nonni materni, che abitavano vicino a Piazzale Aquileia, dove c’era il grande rondò dei tram delle linee di circonvallazioni, il 29 e il 30. Da lì partivano le mie avventure sino ai Giardini Pubblici, i miei preferiti, perché c’era lo zoo, c’erano le cascatelle, le grotte, le montagnole di roccia da scalare, fa niente se in realtà fosse cemento e ghiaia… Oppure al più vicino Parco Sempione, dove il nonno mi portava sempre alla fontana dell’acqua marcia, al Ponte delle Sorelle Ghisini, al grande e nascosto monumento a Napoleone III°. Tante volte andammo su, alle terrazze del Duomo, o dentro la cattedrale e poi mi portava spesso a San Siro, a vedere il Milan; del calcio, a me, fregava nulla, per reazione e per non andare più a San Siro, diventai interista… Allora, scartato San Siro andavamo in giro per la città, via Omenoni, su e giù da quei bellissimi tram che solo Milano ha, alle Cinque Vie dietro al Cordusio, al Castello che mi pareva gigantesco… e lo è! Certe volte mi portava invece al circolino di via Washington, forse nato come Dopolavoro della Borletti, dove il nonno giocava a bocce e a carte coi suoi amici. Parlavano tutti milanese, ovviamente, tranne il nonno che era nato a Venezia e, pur conoscendolo, rivendicava la sua diversità. Tra i suoi amici ricordo un certo Giuann, un cinese, nato e cresciuto a Chinatown. Giuann aveva la peculiarità di parlare solo due lingue, il milanese, la sua madrelingua e il dialetto Wu, una forma di cinese molto diffusa nella comunità. Ero affascinato dalle loro conversazioni, quando Giuann comunicava con mio nonno in milanese e lui rispondeva in veneto o talvolta in italiano. Da quei pomeriggi passati a girare Milano, col nonno che mi diceva qui c’era la ferrovia
, là c’era un gasometro
, dalle soste al Camparino o al circolino, forse dal dover immaginare una Milano che non c’era più è nata la voglia di vederla su foto e poi raccontata nei libri e negli articoli di decenni fa…
Lo Zoo dei Giardini Pubblici
Lo Zoo di Milano è figlio delle voliere che venivano poste nei Giardini Pubblici di Porta Venezia nel corso del XIX secolo. Agli inizi del XX secolo le voliere vengono concentrate nell'angolo nord-ovest dei Giardini, a ridosso di Via Manin. Sorgono anche le prime larghe gabbie per ospitare grandi animali. Nel corso degli anni aumentano sia gli animali sia le gabbie e il piccolo zoo di Milano diventa un appuntamento fisso per i bambini milanesi.
Nel 1922 lo zoo ospitava ancora una fauna per lo più locale e composta soprattutto da pennuti, ma anche un puma, sette scimmie, degli sciacalli, per un totale di 224 animali. Nel 1927 il Reparto Zoologico dei Giardini Pubblici fu oggetto di una visita del Podestà accompagnato dal direttore e dal segretario generale del grande Zoo di Roma; gli ospiti diedero suggerimenti e consigli per ampliare il piccolo zoo ambrosiano; nello stesso anno vennero comprate anche tre tartarughe giganti delle Galapagos.
Nel settembre 1930 diversi quotidiani scrissero articoli di denuncia per la pessima condizione del piccolo zoo, con animali morenti, malnutriti, malati e una generale sporcizia. Il laghetto dello zoo con decine e decine di uccelli era praticamente vuoto, tra pennuti volati via e altri finiti nelle pentole dei milanesi. Per malattie erano morti tutti i cammelli e dromedari e due delle tre tartarughe delle Galapagos. Morirono in pochi mesi anche la maggior parte delle scimmie.
Alla fine fu stipulato un contratto con un'azienda di Torino che avrebbe preso in gestione lo zoo e ripopolato le gabbie. Un altro problema del piccolo zoo erano le nascite. Ogni cucciolata rappresentava un problema, non avendo spazi e fondi sufficienti per avere nuovi nati. Nel 1931 nacquero tre cuccioli di leone, un fu donato e due morirono. Lo stesso accadde con cuccioli di orsi e leopardi.
Negli anni 30 arrivarono molti animali dall'Etiopia, dall'Eritrea dalla Somalia e dal Senegal, tra cui la celebre elefantessa Bombay, che divenne la vera star dello zoo.
Lo zoo continuò a crescere senza controllo, pur ristretto nei due miseri ettari e arrivò a contenere addirittura 600 animali a fine anni 50; la situazione continuò a peggiorare sino a metà anni 80, quando una nuova sensibilità iniziò ad emergere e molti milanesi chiesero di chiudere lo zoo. Gli animali furono donati o venduti ai parchi di tutta Europa e nel 1991 lo zoo fu chiuso e definitivamente smantellato.
Bombay, l'elefantessa era intanto morta nel 1985, ma fu resa immortale
imbalsamandola e posizionandola in uno dei grandi diorami del Museo di Storia Naturale degli stessi Giardini Pubblici. Lo stesso accadde per molti altri animali che ancor oggi si possono osservare nei diorami del museo, come con l'orso polare.
La Cascina Arzaga
La stupenda Cascina Arzaga si trovava al fondo dell'omonima via, quasi di fronte alla Chiesa dei Santissimi Patroni d'Italia, alle spalle di Viale San Gimignano, non lontano da Piazza Giovanni dalle Bande Nere.
Si trattava di una cascina del Quattrocento sviluppatasi in un doppio cortile, entrambi chiusi su tutti i lati, su modello delle grange medievali.
La corte principale aveva una splendida villa padronale goticheggiante sul lato d’ingresso, con uno enorme portale ad arco sesto acuto come accesso; sugli altri tre lati vi erano le dimore dei fittavoli e, nel mezzo del cortile, una piccola chiesetta a pianta ottagonale, replica in scala di San Carlo al Lazzaretto, oggi in Viale Tunisia. L'intero perimetro interno era dotato di portici. L'altra ala ospitava laboratori, stalle, magazzini, scuderie e l'enorme aia centrale; nel mezzo vi era una monumentale vasca in granito per abbeverare le bestie. Da entrambi i cortili si aveva accesso ai vastissimi campi pertinenziali, tramite pesanti cancelli in ferro, che una volta chiusi facevano della Cascina Arzaga quasi un castello fortificato.
L'acqua era fornita dal fontanile Rongion, che aveva la testa nei pressi dell'attuale Piazzale Siena; la roggia Castelletto portava l'acqua sino alla Cascina Arzaga, percorrendo l'attuale Viale San Gimignano.
La via Arzaga o Arsaga, che conduceva alla cascina, era una strada molto lunga, ancora nei primi decenni del Novecento; partiva infatti da Corso Vercelli,