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Abilene
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Abilene

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About this ebook

Londra 1837 - Abilene Fairfax è abituata a dare scandalo al Ton e non si cura delle chiacchiere e alle maldicenze che la seguono da quando ha sposato il vecchio Conte di Stonefield.
Arthur Lake è un amico d’infanzia della Duchessa di Clarendon, che ha riversato nella professione medica e nell’affetto per il figlio la sua passione e le sue speranze.
Quando le condizioni di salute del Conte si aggravano, Lady Stonefield decide che deve dare a tutti i costi un erede al casato. Contatta così il dottor Lake, affinché attesti il suo stato e la segua nella gravidanza e nel parto.
Basta poco perché il senso etico e morale con cui Arthur Lake conduce se stesso e la professione medica vadano in collisione con la spregiudicatezza della contessa e ancora meno perché i due provino una forte attrazione reciproca.
Il decesso del conte e la nascita di una femmina sconvolgeranno i piani di Abilene, separandola dalla figlia e allontanandola da Londra.
Il destino però ha in serbo altri piani e nell'estate del 1841 le cose cambiano...


“«Pensate che ce ne siano altre così?»
«Così come?»
«Altre donne così. Ce ne sono altre?»
«Non ti capisco Samuel.»
Il bambino con un enorme sforzo mise i gomiti sul tavolo, cosa che Mrs Connor gli rimproverava regolarmente, poi si sporse in avanti e, con il tono che riservava alle cose segrete, provò a chiarire la propria idea: «Mi piace molto. Più in là vorrei sposarne una così, uguale identica.»
Arthur non trovò la cosa divertente, quindi suo figlio si sentì in dovere di essere più preciso:
«Bella come le giornate senza pioggia e che rida. Avete notato com'era bella quando rideva?» chiarì Samuel.
Lady Stonefield non rideva mai.
E non aveva niente a che fare con i giorni in cui non pioveva.
In realtà era intrinsecamente uggiosa.
Assomigliava a quelle giornate tormentate dalle mosche, ai pomeriggi in cui non si riesce a concentrarsi su niente perché quegli insetti maledetti ti ronzano nelle orecchie senza tregua, occupano i tuoi pensieri, fendono la tua aria, attirano la tua attenzione.”
LanguageItaliano
PublisherRebecca Quasi
Release dateNov 13, 2020
ISBN9791220219976
Abilene

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    Book preview

    Abilene - Rebecca Quasi

    PARTE

    1

    Lady Stonefield

    Londra, fine settembre 1837.

    Nessuno parlava bene di Lady Stonefield.

    I motivi della maldicenza e dei mormorii erano molteplici, alcuni fondati altri no.

    Una delle poche cose che non era oggetto di discussione riguardava il fatto che a diciassette anni avesse sposato lord Conrad Fairfax, conte di Stonefield, di una quarantina d'anni più vecchio di lei. Ma non era certo, anche se la cosa era data per molto probabile, che al momento del matrimonio fosse vergine e che il vecchio non se ne fosse nemmeno accorto. Del resto, si diceva anche che il conte avesse avuto non poche difficoltà a concludere l'atto.

    Un altro aspetto su cui molti si trovavano concordi era che Lady Abilene vestisse in modo molto audace esasperando la moda del momento. Nessuno però sapeva con certezza chi fosse la sua sarta; alcune nobildonne avevano giurato di averla vista uscire dall'atelier di Madame Chantal, la famigerata couturière delle più note cortigiane di Londra.

    Non usava belletto, ma si truccava gli occhi, indossava metà delle sottogonne imposte dalla moda, girava sempre scortata da Hector, un valletto di origine giamaicana al quale permetteva, quando pioveva, di entrare in carrozza insieme a lei.

    Veniva ricevuta ovunque, nonostante fosse noto che avesse diversi amanti e che difficilmente tenesse a freno la lingua; ciò accadeva perché una donna tanto bella, tanto ricca e tanto chiacchierata era indispensabile al Ton.

    A due anni dalle nozze, il consorte era ancora in vita e la giovane contessa non era riuscita a dargli un erede, o comunque un infante che ne potesse fare le veci. Si mormorava che fosse sterile, non si spiegava altrimenti il viavai di amanti e il fatto che la fanciulla non procreasse.

    C'era chi sosteneva che il conte chiudesse un occhio sulla faccenda pur di avere un erede e che, considerata la salute precaria e le tramontate doti amatorie, potesse considerarsi fortunato se Lady Stonefield fosse riuscita a concepire con qualcun altro.

    Dalla prima moglie il conte aveva avuto un solo figlio maschio che era morto nel 1821 a seguito delle ferite riportate in guerra. Alla morte della consorte avvenuta nel 1833, Stonefield si era messo immediatamente alla ricerca di una sostituta in grado di procreare.

    La scelta era caduta sulla bellissima e giovanissima Abilene, figlia del barone Moore che era stato lietissimo di sbarazzarsi così facilmente di quella figlia con una dote ridicola.

    Un'altra questione sulla quale non sussistevano dubbi era il fatto che la giovane non avesse avuto scelta.

    Aveva debuttato per modo di dire sotto l'egida di una lontana parente, Lady Harris, aveva presenziato a un paio di eventi mondani e, non appena Stonefield aveva avanzato la proposta, la nobildonna aveva scritto al barone, il quale aveva subito accettato e formalizzato l'affare.

    Due mesi dopo il debutto, Abilene era la moglie di Lord Stonefield.

    A due anni da quell'infausto evento non era cambiato nulla.

    Proprio nulla.

    La contessa riceveva il martedì, ma si trattava per lo più di visite sporadiche, prevalentemente di uomini o donne dalla fama non propriamente specchiata.

    Non mancavano gli inviti ai balli, soprattutto quelli che smuovevano piccole folle, gli accompagnatori e le maldicenze.

    Lady Abilene sopportava il deplorevole andamento delle cose senza far trapelare nessuno stato d'animo. Aveva dovuto rassegnarsi a viverci in mezzo, ma aveva altresì deciso di attraversare tutto badando solo a non raccogliere niente.

    Avere una routine nel condurre la pantomima che costituiva la sua vita era d'aiuto anche se, a differenza di chi sconta una condanna, lei non conosceva la data di scadenza.

    Il mercoledì lo teneva per sé.

    Non usciva, non restituiva visite, lasciva fluire le ore dormendo, leggendo, e dedicandosi ai fiori della serra.

    Quel mercoledì si trovava appunto nella serra quando fu raggiunta da Hector, il suo valletto personale.

    «Il dottor Lake chiede di te» disse il giamaicano. Tra loro non vigeva nessun formalismo quando erano soli.

    «Il mercoledì non vedo nessuno, doveva venire ieri sera» fu la risposta lapidaria che la contessa diede senza levare il capo dal proprio lavoro.

    «Si scusa, ma ha avuto un'emergenza.»

    Abilene si voltò, stava interrando delle piantine aromatiche, era spettinata, le mani nere di terra, gli abiti stazzonati e sporchi.

    «Devo cambiarmi» sospirò rassegnata.

    «Mi pare che anche ora abbia una certa premura.»

    «Ieri ho aspettato io, oggi aspetta lui.»

    «Io credo che un medico che fa quello che fa Lake non baderà se tu...»

    «Nessuno può vedermi così, men che meno un plebeo. Trattienilo.»

    Hector raggiunse il dottor Lake che era stato condotto nel salotto della contessa a piano terra.

    L'uomo alto, visibilmente impaziente, fremeva rigido e nervoso davanti all'enorme vetrata che dava sulla strada.

    «La contessa vi raggiunge immediatamente» comunicò il valletto.

    «Immediatamente è adesso» precisò Lake voltandosi.

    «Vi attendeva ieri sera.»

    «Ieri sera ero occupato.»

    Con la signora Cole, che aveva dato alla luce due gemelli ed era morta tre ore dopo.

    Aveva dovuto sistemare i bambini, tutti e cinque, e mandare a cercare il marito che non era nella solita bettola. Il tutto gli era sembrato più urgente che ascoltare i capricci di una dama annoiata.

    Aveva smesso da tempo di accorrere nelle case dei nobili, non perché non si ammalassero, la salute era una delle poche cose veramente democratiche che avesse incontrato nella vita, ma non compativa i riguardi e le ipocrisie che comportava assistere i membri del Ton. Con alcune eccezioni.

    Aver accettato di incontrare Lady Abilene Stonefield purtroppo faceva parte delle eccezioni.

    In un primo momento in effetti aveva detto di no, ma quando c'era di mezzo Emma, la duchessa di Clarendon, dire di no non era un'opzione.

    Arthur Lake stabilì che avrebbe concesso un quarto d'ora alla nobildonna: se non si fosse presentata entro quei quindici minuti, se ne sarebbe andato.

    All'ottavo minuto una cameriera portò il tè. Il valletto si era defilato subito dopo averlo introdotto nel salotto.

    «La contessa arriva subito» disse la ragazza prima di congedarsi.

    «Avete un singolare concetto di subito, in questa casa.»

    «Gradite il tè?» domandò la ragazza ignorando del tutto il commento.

    «Gradisco non perdere tempo!»

    La poveretta arrossì e sgattaiolò fuori dalla porta.

    Abilene comparve allo scoccare del quattordicesimo minuto, e ciò aumentò la frustrazione di Arthur che, a quel punto, non poteva andarsene.

    «Vi aspettavo ieri sera» disse la nobildonna senza nemmeno provare a scusarsi o perdere tempo in convenevoli.

    Lake si voltò attirato dalla sua voce.

    Una voce del genere, bassa e roca, avrebbe dovuto appartenere a una donna corpulenta, e invece Abilene Fairfax era minuta ed esile. E biondissima, i capelli quasi bianchi.

    Emanava una luce sinistra.

    Aveva occhi di un azzurro liquido, pericolosi e scaltri, un'espressione indecifrabile nei lineamenti perfetti del viso e un atteggiamento di comando che faceva invidia a un uomo.

    Arthur la detestò subito.

    Elegantissima, in un abito che da solo avrebbe risolto i problemi economici della famiglia Cole per un semestre, la vide avanzare nella stanza.

    «Mi avete aspettato per il tè? Non avreste dovuto.»

    Arthur alzò le sopracciglia.

    La contessa non parve farci caso, si sedette sul sofà e gli fece segno di accomodarsi sulla poltrona adiacente.

    In quel momento si scostò l'uscio e comparve Hector, che avanzò nella stanza ponendosi in disparte sul fondo.

    Lo sguardo interrogativo di Lake suscitò una blanda spiegazione da parte della contessa: «Hector è la mia guardia del corpo.»

    «Veniamo a noi» tagliò corto il medico. L'unica cosa positiva di quella donna era che non si sarebbe scandalizzata se lui avesse infranto l'etichetta.

    Abilene sorrise con una freddezza artica. «Niente tè?»

    «Perché avete voluto vedermi?»

    Niente tè.

    «Mio marito non è in grado di ingravidarmi.»

    Arthur valutò innumerevoli commenti, ma poi decise di aspettare.

    «Dio solo sa quanto ci ha provato. Estenuante. Per entrambi, davvero. Resta il fatto che mi ha sposata esclusivamente per avere un erede.»

    Anche lì Arthur accantonò una mezza dozzina di commenti e altrettante domande.

    «A questo punto della faccenda, data l'età e le condizioni precarie di salute del conte, occorre che mi organizzi autonomamente per l'erede.»

    Arthur sgranò gli occhi.

    Abilene rise.

    «Non temete, non vi sto chiedendo di fornirmi i vostri servigi a scopo riproduttivo... anche se potreste andare bene. Siete moro, alto, avete gli occhi scuri come mio marito per cui sareste perfetto. Mi occorre solo un medico molto discreto che confermi le mie delicate condizioni e che mi assista durante la gravidanza e il parto.»

    La presenza di Hector alle loro spalle rendeva tutto più surreale.

    Arthur gli lanciò un'occhiata, il giamaicano era immobile e perfettamente composto.

    «Hector sarebbe la mia prima scelta se non fosse che ha la pelle troppo scura. Difficilmente potrei far credere che il bambino sia di mio marito, non credete?»

    «Sono un medico, non una mezzana!» esplose Arthur ,alzandosi in piedi in barba al galateo e alle regole per cui un uomo non poteva disporre liberamente dei propri movimenti in presenza di una signora.

    «Emma mi aveva avvisata che sareste stato ostico...»

    Con Emma avrebbe fatto i conti.

    Clarendon sapeva che questa depravata chiamava la sua duchessa per nome?

    «Provvederò da sola a individuare il donatore. Voi dovrete solo essere il mio medico per nove mesi.»

    «Milady...»

    «Se acconsentiste a fornirmi tutti i servizi, dal concepimento al parto, sarei lusingata, ma percepisco una certa resistenza.»

    «Sono sposato!»

    «Anche io. E se mio marito fosse in grado di fottere come si deve non sarei qui a rendermi ridicola e a cercare qualcuno che lo faccia al posto suo.»

    Per una frazione di secondo, sulla parola fottere erano trapelate una disperazione e un'angoscia abissali. Poi la contessa aveva ripreso il controllo di sé, la padronanza completa di espressione, confermando l'assoluta mancanza di sentimenti.

    «Nemmeno nei bassifondi le comunicazioni circolano in modo tanto diretto» osservò Lake.

    «Non sono una sostenitrice dell'ipocrisia. Mi piace andare dritta al sodo, quando le circostanze lo richiedono. E voi, mi pare di capire, non gradite perdere tempo.»

    In effetti era così.

    «Ho avuto diversi amanti. Meno di quelli che si mormora, ma la fedeltà coniugale non rientra tra le mie scarse virtù. Eppure, non ho mai concepito. I medici che mi hanno visitata, però, si ostinano a dire che non sono sterile.»

    «I medici sbagliano a volte.»

    «Volete visitarmi anche voi?»

    «Nessun medico onesto può dirvi con certezza se siete sterile.»

    Abilene sorrise con una punta di malignità. Era troppo intuitiva. Era abituata a suscitare disgusto e riprovazione e aveva imparato a difendersi.

    «Quindi? Avete qualche consiglio?» lo incalzò.

    «Studi controversi dicono che la fertilità della donna è concentrata nel periodo centrale tra un ciclo e l'altro. Dovreste... provare a concepire in quei giorni.»

    «Ha un senso...» rifletté la contessa.

    «Altro?»

    «Il seme maschile deve essere denso. La frequenza non garantisce il successo.»

    Arthur non credeva di riuscire a provare ancora imbarazzo a quel punto della sua carriera e con quello che aveva visto, e invece...

    Dire a una donna come procedere per farsi ingravidare da un estraneo era un baluardo inesplorato sulla china della decadenza.

    «Quindi consigliate di procedere con tentativi cadenzati. Quante volte al giorno per quanti giorni?»

    Arthur avrebbe voluto piantarla in asso.

    Il tono della contessa aveva un che di provocatorio. O forse era lui che lo percepiva così, sta di fatto che lo irritava moltissimo.

    Hector sembrava una statua di alabastro. Anche quello gli dava sui nervi.

    «Il medico siete voi» lo incalzò lady Abilene, ferendolo con un sorriso studiato.

    «Nei giorni centrali dovreste... provare... maggiore umidità. La secrezione naturale dovrebbe aumentare.»

    «Ho presente» lo incoraggiò la contessa.

    «Bene. Quello dovrebbe essere il periodo fertile.»

    Arthur sudava.

    La calma apparente di quella donna di porcellana scardinava ogni sua sicurezza.

    Era come se lei si cibasse della sua tranquillità.

    Più lei era quieta e serafica, più lui sentiva la tensione salire fino a esplodere.

    «Sembra quasi che madre natura abbia voluto venire incontro alle donne attenuando il disgusto che generalmente proviamo accoppiandoci.»

    Era ovvio che le piaceva provocarlo.

    Come se un medico non fosse un uomo, una persona, e non potesse collocare una conversazione in un contesto differente da quello sanitario.

    Infine, lo congedò bruscamente.

    «Direi che potete tornare fra una ventina di giorni. Spero che per allora potrete confermarmi il mio stato.»

    «Fra venti giorni non potrò confermare nulla» rispose bruscamente. Non riusciva ad abituarsi ai modi della contessa.

    Abilene gli sorrise con sinistra malizia.

    «A meno che non vogliate passare prima a dare il vostro contributo.»

    «Verrò fra venti giorni.»

    Il che sottintendeva che aveva accettato l'incarico.

    «Sarete costretto a visitarmi, lo sapete?»

    Ovviamente ci aveva pensato, ma se ne andò senza replicare.

    Abilene fece scortare il dottor Lake alla porta da un valletto e poi lo seguì dalla finestra fino a che non si confuse nella folla cittadina.

    «Aveva ragione Emma. Integro come un uovo» sospirò la contessa.

    Hector si avvicinò, ma non disse nulla.

    «Quelli traboccanti di senso morale sono i peggiori.»

    «Se si azzarda a giudicarti lo faccio fuori.»

    Abilene accarezzò la guancia scura del valletto e gli sorrise con calore.

    «Devi trovare uno in grado di mettermi incinta.»

    «Abilene...»

    «Il vecchio potrebbe morire da un momento all'altro e senza un erede io e te ci troveremmo con un pugno di mosche in mano.»

    «Io dico che ce la possiamo cavare anche da soli.»

    «Una puttanella e un negro?»

    «Abilene!»

    «Parlo come voglio! Oh Hector sono così arrabbiata...»

    «Non dobbiamo per forza restare a Londra.»

    «Fino a che ho un marito, non posso andare dove voglio. Comincia a cercare qualcuno a cui si drizzi velocemente e che tenga la bocca chiusa. Trova qualcuno di passaggio che non venga a ricattarci fra qualche anno.»

    Hector sbuffò e si sedette sul divano.

    «E fallo lavare, prima.»

    «C'è un piroscafo che parte per gli Stati uniti fra una settimana. Se partissimo. credo che non ci cercherebbe nessuno.»

    «Non metterò piede su una nave neanche fra un milione di anni. Si tratta di tenere duro un altro po'. Solo un po'. Poi staremo alla grande.»

    «Ti fidi di quel medico?»

    «Mi fido della duchessa di Clarendon.»

    2

    Un borghesuccio perbene

    Uno che divorava il tempo come Arthur Lake, una volta uscito dall'abitazione della contessa di Stonefield, si sarebbe dovuto precipitare in ambulatorio dove aveva lasciato tutto in mano al suo assistente, eppure non ci pensò neanche a correre là, piuttosto imboccò la strada che in pochi minuti lo portò a Clarendon House.

    Per lui non c'erano giorni di visita, orari o restrizioni di alcun genere; quando si presentava alla porta, Morris, il maggiordomo, gli chiedeva chi volesse vedere e lo accompagnava subito.

    Quel giorno voleva vedere Clarendon e spiegargli senza giri di parole, visto che era di moda il linguaggio esplicito, che genere di nobildonne frequentasse sua moglie.

    Il duca era nella sala da ballo.

    Quella stanza immensa che veniva utilizzata per i ricevimenti una o due volte l'anno, era impiegata tre volte a settimana per le lezioni di scherma che Clarendon impartiva alla figlia e ai nipoti.

    In quel momento Maggie, una cosina di sei anni, stava provando gli affondi. Accanto a lei, un moccioso di qualche anno più grande, Ethan, il figlio dell’amministratore, seguiva le sue stesse mosse. Dietro entrambi, svettavano sei piedi di duca in tenuta da scherma intenti a declamare comandi con voce stentorea.

    Arthur avanzò fino a trovarsi nel campo visivo di Clarendon.

    Il duca smise di colpo di impartire ordini e congedò i bambini.

    «Per oggi basta» disse, «potete reclamare le frittelle, ve le siete guadagnate.»

    I due salutarono come prevedeva il rito della scherma e consegnarono le armi al duca.

    «Molto bene.»

    Poi Maggie fece segno al padre di chinarsi e lo baciò sulla guancia prima di andarsene seguita da Ethan.

    «State insegnando a Ethan a tirare di scherma insieme a Maggie?» domandò Lake senza riuscire a trattenersi.

    «È sveglio e abile e per lei è più facile con un altro bambino. Imparano tutti e due molto in fretta.»

    Arthur si accigliò.

    «Finirà che sarà disposto a gettarsi nel fuoco per lei e non potrà nemmeno sposarla. Lo sapete vero?»

    A quel punto fu Clarendon ad accigliarsi.

    Decise di accantonare la questione per rifletterci dopo con calma. Non era un'osservazione stupida, né priva di sfumature.

    Ma se Lake era lì non era per discutere di come lui teneva occupati i figli dei domestici.

    «Quando capitate così senza preavviso, di solito è segno che mia moglie pensa di essere incinta» suppose, accigliandosi.

    «Lo dite come se la cosa non vi riguardasse.»

    Arthur non era mai stato molto deferente. Cresciuto insieme ad Emma alla stregua di fratelli, aveva assorbito dai duchi di Rothsay, padre e matrigna di Emma, un atteggiamento un po' troppo disinvolto verso la nobiltà di cui non faceva parte (se si escludeva l'accidentale discendenza illegittima da un visconte che aveva inavvertitamente ingravidato l'istitutrice dei propri figli).

    «Vi ha fatto venire Emma? È di nuovo incinta?» lo interrogò Clarendon che tollerava Lake solo per amore della moglie e perché non avrebbe comunque messo la vita dei suoi cari nelle mani di nessun altro.

    «Siete voi il marito. Sono io che lo chiedo a voi.»

    «Lake! Ditemi subito perché siete qui di mercoledì mattina quando il vostro ambulatorio è sicuramente strapieno di gente moribonda!»

    «Ho fatto visita a Lady Stonefield, amica intima di vostra moglie. Ne sapete qualcosa?»

    Clarendon si accigliò di nuovo.

    «Avete idea di che sorta di depravata frequenti Emma?»

    «La duchessa è perfettamente in grado...»

    «Quando avete cominciato a pensare che Emma potesse fare di testa sua? Vi stanno forse avvelenando lentamente?»

    Clarendon finse di non cogliere la provocazione, quindi aggiunse in tono pacato: «Spero che siate stato d'aiuto a Lady Stonefield.»

    «Temo di no. Voleva qualcuno che la ingravidasse. E Emma le ha mandato me!»

    Il duca non si scompose, non lo faceva mai.

    «Vi concedo che questa sfaccettatura della personalità di mia moglie meriti attenta riflessione» convenne Clarendon sforzandosi di non ridere. «Oh eccola.»

    La duchessa comparve in fondo alla sala e affrettò il passo quando vide che con Clarendon c’era il dottor Lake.

    «Arthur!» esclamò contenta.

    «Emma» rispose lui piccato.

    «Arthur si sta lamentando della libertà che ti concedo» spiegò Clarendon toccandole distrattamente il braccio.

    «Avete visto Lady Abilene?» indovinò Emma.

    «Esatto.»

    «Vi lascio soli» disse Clarendon, poi si congedò posando un bacio sui capelli della moglie. «Giurami che non sei di nuovo incinta.»

    «Te lo giuro.»

    «Bene. Bene.»

    Quindi il duca se ne andò lasciandoli soli nell’immensa sala da ballo.

    «Seguimi» disse Emma.

    Lake non aveva tempo, ma quella faccenda andava messa in chiaro.

    La duchessa lo condusse nel proprio salotto privato, una stanza che solo lui e pochi altri avevano visitato.

    «Hai idea di che razza di depravata sia la tua Lady Stonefield?» sbottò non appena furono soli nella stanza.

    «Non sai di cosa stai parlando» rispose Emma facendolo accomodare sul sofà e chiamando per il tè.

    «Sta cercando qualcuno che la metta incinta. Ne eri al corrente?»

    «Sì.»

    «Ha aggiunto piuttosto esplicitamente che avrei potuto candidarmi per l'impresa.»

    Emma scoppiò a ridere. «Avrà voluto metterti alla prova. Lo fa spesso.»

    «Immagino che la noia faccia brutti scherzi.»

    «Abilene non si annoia. È disperata e conoscendoti ti sarai comportato da borghesuccio perbene.»

    «Sono un borghesuccio perbene!»

    «Oh Arthur finiscila! Pensavo che tra quello che hai passato e quello che hai visto, avessi smesso da tempo di giudicare le persone!»

    «È una donna perfida e senza scrupoli.»

    «Ti sbagli, è solo cinica e disperata.»

    «Ha scartato il valletto solo perché un bambino scuro di pelle sarebbe difficile farlo passare per figlio del conte.»

    «Devi averla urtata parecchio, mio caro. Hector è come un fratello per lei, sono cresciuti insieme, come noi due. La madre di Hector era una schiava giamaicana, li ha allattati entrambi quando la madre di Abilene morì di parto.»

    Dopo quell'informazione Arthur decise che un tè non gli avrebbe fatto male.

    «A diciassette anni il padre l'ha obbligata a sposare un uomo che aveva quarant’anni più di lei. Cosa avresti fatto tu se mio padre mi avesse imposto una cosa simile?»

    «Lo avrei impedito.»

    «Be', Hector, come uomo di colore, non ha avuto questa opportunità. E adesso stanno cercando di sopravvivere e ci riuscirebbero meglio se tu non facessi tante storie.»

    Non male come argomentazione.

    Arthur sorbì il tè, ciò gli consentì di barricarsi dietro una minuscola tazza e riflettere su quanto Emma gli aveva detto.

    Non che ciò modificasse di molto il suo punto di vista, Lady Abilene rimaneva una donna volgare e altezzosa per la quale, però, cominciava a provare compassione.

    «Aiutala, ti prego.»

    «Non tradirò Ruth.»

    «Non è quello che vuole e lo sai. Sta solo cercando qualcuno che non la giudichi e che non la lasci morire.»

    «Va bene. Dille che mi scriva quando... quando sarà il momento e io andrò da lei.»

    «Grazie.»

    Dopo di che Arthur si congedò e finalmente si recò all'ambulatorio.

    La visita a Lady Stonefield e la successiva deviazione a Clarendon House fecero rincasare il dottor Lake più tardi del solito.

    Il silenzio che udì, varcando la soglia, sottolineò quanto fosse in ritardo per tutto.

    Percorse il vestibolo e raggiunse la cucina in fondo al corridoio.

    Seduta al grande tavolo, intenta a pulire delle verdure, c'era la loro governante, Mrs Connor.

    «Finalmente! Pensavamo che foste salpato per il Nuovo Mondo» lo accolse, alzandosi.

    «La prossima settimana mi decido davvero» scherzò Arthur.

    «Il bambino dorme da un pezzo. Vi ha aspettato, ma poi è crollato.»

    «Mi dispiace.»

    «Vostra moglie non stava bene. Emicrania.»

    Non aggiunsero altro. Certi silenzi dicevano tutto e lui e Mrs Connor non avevano bisogno di parlare.

    Da studente, Arthur aveva vissuto per un periodo nel Devon a casa di Mrs Connor e quando si era sposato le aveva chiesto di trasferirsi a Londra come loro governante. Dato l'affetto che li legava, la donna aveva accettato di buon grado e, a distanza di tempo, Arthur poteva dire che era stata un'autentica benedizione.

    Ruth, sua moglie, si era rivelata una ragazza fragile e poco adatta a essere la moglie di un uomo che lavorava anche venti ore al giorno, per cui la presenza solida di Mrs Connor aveva salvato spesso la loro routine familiare, tenuta salda la casa e garantito attenzione e vigilanza su Samuel, il figlio che Arthur e Ruth avevano avuto cinque anni prima.

    Nonostante la stanchezza, Arthur si accorse di avere fame.

    Il tè che aveva bevuto da Emma costituiva l'unico pasto della giornata.

    «Volete della carne e del formaggio? È avanzato del pane.» Assai spesso Mrs Connor gli leggeva nel pensiero.

    «Ma sì, grazie.»

    Si sedette a tavola e osservò la donna lavorare.

    Aveva più o meno l'età di sua madre, la vita però l'aveva segnata molto di più.

    Due donne molto diverse: una, Cassandra Lake, segnata in gioventù dalla nascita di un figlio illegittimo, aveva poi trovato un porto sicuro come istitutrice presso il Duca di Rothsay, l'altra, sposata giovanissima, non aveva avuto la gioia di veder nascere nessun figlio vivo ed era rimasta vedova prima dei trent'anni con la ferma convinzione che il matrimonio rappresentasse una delle sciagure più terribili che una persona potesse autoinfliggersi.

    Sul matrimonio Mrs Lake e Mrs Connor avevano visioni simili.

    Anche Mrs Lake, nonostante non si fosse mai sposata, trovava deprecabile ogni forma di relazione uomo - donna e nemmeno l'idilliaca unione dei duchi di Rothsay, che aveva sotto il naso da un ventennio, era servita a farle cambiare idea.

    In ogni caso era enormemente grata a Rothsay, gli doveva il privilegio di aver fatto studiare Arthur, ma soprattutto la sicurezza di una casa serena in cui vivere e lavorare.

    «Ecco, mangiate» disse Mrs Connor ponendogli davanti un piatto ricco di buone pietanze.

    «Sono arrivato in ambulatorio molto tardi, oggi. Ho fatto visita a Lady Stonefield.» Un attimo dopo si pentì di averlo detto, quando era molto stanco gli capitava di parlare da solo, anche se solo non era.

    La buona donna infatti alzò le sopracciglia: «La sgualdrina?»

    «Il dono della sintesi è cosa rara in una donna» commentò il dottore.

    Mrs Connor aveva vissuto quasi tutta la propria vita nel Devon e, solo dopo il matrimonio di Arthur, si era trasferita a Londra; tuttavia il talento spiccato che aveva sempre avuto per l'intercettazione e la divulgazione dei pettegolezzi, si era rapidamente allineato alle vicende intricate del Ton, senza contare che Lady Stonefield era comunque sulla bocca di tutti.

    «Che diavolo voleva da voi?»

    «Niente che possa dirvi. Viola il rapporto medico paziente.»

    «Quando fate così siete odioso. Che me lo dite a fare se poi non mi raccontate nulla?»

    Doveva darle ragione, ma gli era sfuggito.

    Stuzzicare la curiosità di Mrs. Connor per poi lasciarla a bocca asciutta costituiva una crudeltà indegna della sua persona.

    «Il rapporto medico paziente sussiste solo quando fa comodo a voi» precisò la governante.

    «Sussiste è un bel termine. Complimenti.»

    «Be', state alla larga da quella donna. È infida come una serpe e rigira gli uomini come burattini.»

    «Vi ringrazio infinitamente degli avvertimenti, ma credo di essere al sicuro.»

    «No, che non lo siete» profetizzò la signora Connor.

    Sulla fiducia che la governante poneva in

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