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Aurora di un amore
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Aurora di un amore

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Dottori sotto le stelle 1/2
Due dottori in cerca del'avventura - e dell'amore - sotto il cielo luminoso dell'Antartide.

Soltanto nelle acque ghiacciate del Polo Sud il biologo marino Zeke Edwards è in grado di accantonare il dolore di aver perso la sua famiglia. Finché un inaspettato e bollente bacio con la sua nuova collega, il chirurgo Jordan Flynn, non riesce ad abbattere la sua fredda determinazione a restare lontano da tutti.

Nessuno dei due crede nell'amore, così optano di comune accordo per una relazione a breve termine: pratica e priva di qualsiasi coinvolgimento emotivo. Fino a quando il destino non li costringe ad ammettere che le emozioni che provano sono tutt'altro che temporanee.
LanguageItaliano
Release dateNov 20, 2020
ISBN9788830521803
Aurora di un amore

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    Aurora di un amore - Robin Gianna

    successivo.

    1

    Con la nave che beccheggiava in su e in giù come sulle montagne russe, era praticamente impossibile tentare di prendere sonno. La dottoressa Jordan Flynn era abituata a dormire ovunque e in qualsiasi momento; le bastavano una mascherina per gli occhi, i tappi per le orecchie e il rassicurante generatore di rumore bianco accanto a lei. Questa volta, però, era tutto inutile.

    Forse perché a ogni ondata rischiava di essere catapultata giù dalla branda mentre attraversavano il famigerato Canale di Drake sulla rotta per raggiungere l'Antartide. O forse perché il rumore bianco di sottofondo veniva completamente sovrastato da quello reale del vento che fischiava talmente forte da rendere inefficace qualsiasi tipo di tappo per le orecchie.

    Si girò nervosamente sull'altro fianco e le parve quasi che la nave ruotasse insieme a lei. C'erano persone che spendevano un sacco di soldi per fare la stessa esperienza nei parchi di divertimento, ma in quel preciso momento, se solo avesse potuto, avrebbe speso ogni centesimo del suo conto in banca per scendere a terra.

    Strizzò gli occhi sotto la maschera, poi rise tra sé. Erano i primi giorni di ottobre e in Antartide c'era luce quasi tutto il giorno. Ma sapeva che a tenerla sveglia non era il debole chiarore che penetrava dal piccolo oblò sopra di lei.

    Cercando di non pensare alle sgradevoli sensazioni di quel dondolio, si concentrò sull'aspetto positivo dell'avventura in cui si era imbarcata. Sì, lavorare come medico in una stazione scientifica nell'Antartide sarebbe stata sicuramente un'esperienza entusiasmante.

    La Stazione Fletcher era di nuova costruzione, e lei, nonostante il momentaneo malessere, era davvero felice di essere stata assunta come medico generico e chirurgo. Il contratto aveva una durata di sei mesi, e tra i suoi compiti c'era anche quello di organizzare l'ospedale e l'ambulatorio in modo che tutto fosse pronto quando le centinaia di persone che avrebbero lavorato lì sarebbero arrivate nel giro di una settimana. E poi le era piaciuta l'idea che i biologi marini, durante le loro immersioni, avrebbero testato gli speciali tappi da sub progettati dai suoi genitori.

    In quel momento assieme a lei c'erano altre settantacinque persone ad attraversare il Canale di Drake, e tutti – come nel suo caso – avevano un ruolo ben preciso nel predisporre i vari servizi della base. I cuochi e la loro brigata avrebbero pensato alle cucine e alla dispensa, gli ingegneri si sarebbero occupati dei macchinari e delle attrezzature, e non mancava il personale di supporto per tutte le attività di allestimento. Ovviamente c'erano anche diversi scienziati, e altri ne sarebbero arrivati nelle settimane successive. E questo perché le esplorazioni scientifiche, gli studi e le scoperte erano gli unici veri motivi per cui era stata realizzata la Stazione Fletcher.

    Jordan ripensò al suo appartamentino a Londra, al suo lavoro di chirurgo e alla sua vita prevedibile e organizzata, che poi era ciò che aveva sempre desiderato da quando – per la prima volta in vita sua – aveva deciso una volta per tutte di mettere radici in un posto. Girare il mondo con i suoi genitori, entrambi medici, era stato bellissimo durante la sua giovinezza, ma adesso che era una donna fatta e finita desiderava qualcosa di diverso per il futuro, ed era felice delle sue scelte.

    Aveva dovuto riflettere parecchio prima di decidere di partire per quella spedizione in Antartico. Ma poi aveva accettato. Perché no, in fondo? Prima o poi avrebbe trovato un marito, si sarebbe fatta una famiglia e avrebbe vissuto per sempre felice nella sua casa. Ora però era ben contenta di godersi quell'avventura, occuparsi dei pazienti e sperimentare il dispositivo messo a punto dai suoi genitori che lei sperava avrebbe risolto il problema del barotrauma. Se avesse funzionato nelle acque ghiacciate dell'Antartide, sarebbe stato un passo in avanti verso la sua commercializzazione.

    La nave sobbalzò violentemente per l'ennesima volta, e Jordan, per concentrarsi su qualcosa che non fosse quella turbolenta traversata, cercò di immaginare come sarebbe stato il centro medico e in che modo l'avrebbero coinvolta nei lavori d'installazione. Poi, inspiegabilmente, quel pensiero venne offuscato dall'immagine di un volto attraente. Il volto dell'uomo che alloggiava nella cabina accanto.

    Lo aveva incontrato il giorno prima mentre cercava di aprire la porta della sua cabina, facendo forza sulla maniglia con tutto il suo corpo. In quel momento lui stava arrivando dal corridoio e si era fermato a pochi metri da lei a fissarla. La chiave in mano, le aveva rivolto un sorriso pieno di fascino, chiedendole se aveva bisogno di aiuto.

    Lei gli aveva risposto con un sorriso e un cordiale no, grazie, e alla fine era riuscita a ruotare la maniglia. Era entrata subito nella piccola stanza e si era chiusa la porta alle spalle, sollevata di potersi sdraiare finalmente nella sua cuccetta.

    Fare conversazione mentre cercava – in preda alla nausea – di compensare le oscillazioni della barca non le era sembrato particolarmente opportuno. Ma ora, nella oscurità della cabina, quel corpo alto e muscoloso, dalla pelle scura come i suoi occhi, pareva fluttuarle davanti al naso. Erano occhi profondi che emanavano senso dell'umorismo e intelligenza, oltre a un luccichio che aveva attirato subito la sua attenzione provocandole addirittura un ridicolo – e non richiesto – fremito al cuore.

    Aggrottò la fronte, domandandosi perché mai stesse pensando a un tizio che nemmeno conosceva. Un'ondata particolarmente violenta si infranse contro la chiglia dell'imbarcazione costringendola ad aggrapparsi alle sbarre di metallo sopra il letto. Per fortuna non soffriva il mal di mare, altrimenti avrebbe di certo trascorso tutta la notte in bagno.

    Forse non era stata un'idea geniale dormire sulla branda più in alto, ma, considerati i movimenti ondulatori della nave, aveva preferito sistemare tutto il materiale che aveva con sé nella cuccetta sotto di lei, così da evitare cadesse rovinosamente a terra. Mentre cominciava a considerare l'opportunità di coricarsi sul pavimento, una serie di ondate poderose colpirono l'imbarcazione su un fianco. Il barcone prese a sobbalzare impetuosamente da una parte e dall'altra, e poi in su e in giù, e un attimo dopo lei si ritrovò proiettata in aria. Non ebbe nemmeno il tempo di capire quello che stava succedendo che il suo corpo raggiunse la parte opposta della cabina. Picchiò la testa contro la parete e finì per terra come una bambola di pezza lanciata da una bambina. «Oh... dannazione!»

    Stordita dalla caduta, rimase immobile per qualche istante. La botta che aveva preso al gomito iniziava a dolerle, e la testa pulsava. A un tratto sentì un rivolo caldo colarle sulla fronte, e quando si portò la mano alla testa capì che quel liquido era sangue. Si tolse la mascherina dagli occhi e tastandosi i capelli con le dita si rese conto di essersi tagliata. Era una piccola lesione, nulla di grave, ma comunque sanguinava.

    Inspirò profondamente e si mise a sedere. Cercò di capire come intervenire, ma si rese conto che non sarebbe stato facile. Da qualche parte c'era uno specchio dove potersi guardare?

    Tre colpi alla porta della cabina la indussero a spostare lo sguardo sul pannello di metallo grigio di fronte a lei. Sbatté le palpebre per tornare in sé e in quell'istante si accorse che nella caduta aveva perso un tappo dall'orecchio. Prese un altro respiro e cercò di ricomporsi. Tolse il tappo che le era rimasto, raccolse quello che le era caduto e li mise in tasca.

    «Ehi, tutto bene? Fammi entrare.»

    Magnifico. Chiuse gli occhi e un altro movimento secco della barca la fece sbattere nuovamente contro la parete. Avrebbe scommesso un giorno di paga che quella voce sexy apparteneva all'uomo che occupava la cabina vicino alla sua. Ma l'ultima cosa che voleva in quel momento era che lui le toccasse la testa e la facesse sentire nervosa. Cosa che temeva potesse accadere, considerato che fino a pochi minuti prima lei stava pensando proprio a lui.

    Era una situazione ridicola. Certo, quel tipo era interessante, ma lo erano anche altri uomini a bordo della nave. Erano tutti lì per lavoro e lei non aveva alcuna intenzione di imbarcarsi in un'avventura passeggera.

    Jordan aprì la bocca per comunicare che stava bene, ma quando sentì il sangue scivolarle sul viso capì che doveva affrontare la dura realtà e alzarsi per farlo entrare. Era meglio che qualcuno le desse una controllata alla testa piuttosto che cercare di farlo da sola. Non c'erano specchi, la stanza era buia e l'imbarcazione oscillava in balia del mare.

    «Arrivo.» Cercò di mettersi in piedi, ma si rese conto di tremare, e il beccheggio della nave non aiutava certo i suoi movimenti. Strisciò verso la porta sentendosi un po' stupida, poi l'aprì e si appoggiò di nuovo alla parete. «Entra pure.»

    Lui aprì la porta lentamente e fece capolino nella stanza. Lo vide guardarsi intorno con aria incerta e poi abbassare lo sguardo su di lei. Aveva la fronte corrugata e l'espressione inquieta.

    «Sei ferita?» Accese la luce e le si inginocchiò accanto tenendosi aggrappato alla maniglia. «Ho sentito un tonfo e un grido. Cos'è successo?»

    «Sono precipitata giù dalla cuccetta e ho battuto la testa. Mi sono ferita, ma non credo sia nulla di grave. Puoi darmi un'occhiata?»

    Un'altra violenta ondata sollevò la nave di qualche metro e la fece rotolare sul pavimento. Lui subito allungò il braccio per afferrarla. «Adesso alzati e sdraiati sulla branda in basso.»

    «Non c'è spazio. Ho sistemato lì l'attrezzatura e il materiale che ho portato con me.»

    «Be', è stata un'idea magnifica mettere al sicuro le tue cose e correre il rischio di romperti un braccio o la testa» commentò lui facendo una smorfia di disapprovazione. «Tieniti da qualche parte. Torno subito.»

    Jordan appoggiò la testa alla parete, sperando che ciò che le era appena accaduto non fosse di cattivo auspicio per il viaggio. Ma in fondo alcuni degli episodi più folli che lei e i suoi genitori avevano vissuto nei loro viaggi intorno al mondo erano poi divenuti piacevoli aneddoti da raccontare agli amici.

    Udendo i passi del tizio avvicinarsi, si voltò verso la porta e lo vide rientrare nella cabina portando con sé delle coperte. «Ti sistemo in questo angolo così rimarrai ferma mentre ti do un'occhiata.»

    «La piccola Jordan se ne stava seduta in un angolo a mangiare pezzetti di formaggio e bere siero» borbottò.

    «Stai facendo un po' di confusione con le filastrocche per bambini...» La prese in braccio e, come se stesse spostando una piuma, la sistemò in un angolo, mettendole tutt'intorno le coperte in modo che si sentisse più sicura. «Hai la nausea? Ti senti confusa?»

    «Sono quasi certa di non avere un trauma cranico» rispose lei, facendo una smorfia di dolore mentre si toccava il bernoccolo che aveva in testa. «E poi anche se avessi la nausea non sarebbe tanto strano, considerato che siamo sulle montagne russe da chissà quante ore.»

    «Giusto.» Le rivolse un sorriso così caldo e gentile che lei si sentì tremare le ginocchia. «Comunque, io sono Ezekiel Edwards. Per gli amici Zeke.»

    «Piacere, Jordan Flynn.»

    «Lo so. Sei il medico della Stazione Fletcher» disse annuendo. «Io sono un biologo marino e climatologo, e sto facendo un dottorato. Ma sono anche medico, perciò puoi fidarti di me.»

    «Come fai a sapere chi sono?» gli chiese lei stupita.

    «Ho visto il tuo nome sull'elenco dei presenti. E poi, se devo essere sincero» continuò sorridendo, «mi avevano detto che il medico a bordo era uno schianto... Così, appena ti ho visto nella hall, ho capito che dovevi essere tu.»

    «È questo il modo che usi di solito per approcciarti a una donna?» Alzò gli occhi al cielo, ma se ne pentì subito. Quel movimento le aveva riacceso il dolore alla testa.

    Lui rise. «Be', in ogni caso, sono contento di conoscerti, finalmente.» Prese una torcia dalla tasca e le si inginocchiò davanti, sollevandole il mento per guardarla negli occhi.

    «Non ho un trauma cranico, davvero» continuò lei.

    «Come fai a dirlo? A me non sembra normale che canticchi strane filastrocche...»

    «Invece lo è. È un trucco che mi hanno insegnato i miei genitori per quando sono preoccupata o sofferente. Serve a distrarmi.» E in quel momento aveva decisamente bisogno di spostare la sua attenzione dai lineamenti scolpiti, dalla bocca sexy e dal profumo virile di quell'uomo. La ferita alla testa e il rollio della barca potevano aspettare...

    «Questa mi è nuova»

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