La cucina consapevole: Criteri per ripensare la nostra alimentazione
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In cucina non basta conoscere quel che si fa, ma bisogna anche sapere perché lo si fa.
Questo libro propone un percorso finalizzato a sviluppare una nuova consapevolezza gastronomica, proponendo criteri e riflessioni che aiutano a ridefinire il nostro rapporto con l’alimentazione e la cucina.
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Book preview
La cucina consapevole - Giovanni Ballarini
PERICOLOSI
PREFAZIONE
PERCHÈ CONSAPEVOLE?
CUCINA CONSAPEVOLE
Caro lettore, questo non è un libro di cucina, ma un libro sulla cucina.
Ogni anno compaiono nelle librerie circa mille libri di cucina, più di due libri ogni giorno, in gran parte libri di ricette più o meno originali e non tutte sicuramente provate. Non mancano inoltre pubblicazioni e manuali di tecnica culinaria per le scuole alberghiere, opere sulla storia dell’alimentazione e piacevoli libri su aneddoti e curiosità della cucina ma molto rari sono i testi su che cosa è la cucina nella sua grande varietà di aspetti, alcuni dei quali sono considerati nelle pagine che seguono.
Anche in cucina non è sufficiente conoscere quel che si fa, ma bisogna anche sapere perché lo si fa. Mai come oggi si dice e si ripete che il cibo, gli alimenti, la cucina e quanto ruota loro attorno sono cultura, ma soprattutto per la cucina si rimane sul generico e non si approfondisce come sarebbe necessario per divenire consapevoli di quello che si fa. Consapevole era la cucina tradizionale e quindi identitaria, diversamente di gran parte dell’odierna cucina che pur avendo i suoi pregi se non minimamente comunica valori di consapevolezza.
Per questo il presente non è un libro di tecniche di cucina, di storia di cucina e tanto meno di ricette di cucina ma un libro di pensieri sulla cucina volti a sviluppare una consapevolezza e per questo, come istruzioni per l’uso, si consiglia di leggere lentamente e separatamente i singoli capitoli meditandoli al fine di sviluppare una consapevolezza di quello che si fa in cucina e quindi in ultima analisi una cucina consapevole.
CUCINA E ANALFABETISMO ALIMENTARE
Quasi due secoli fa, all’inizio del dicembre del 1825, Parigi è folgorata da un libro di autore anonimo che non può rimanere nell’ombra: si tratta di un magistrato, Jean Anthèlme Savarin, che non può godere di una fama che arriva fino ai giorni nostri, perché rapito da morte il primo febbraio del 1826. Il libro, ampio di argomenti e scritto in modo arguto, ha per titolo Fisiologia del Gusto o Meditazioni di Gastronomia Trascendente, interpreta l’essenza della Cucina Borghese Moderna che arriva fino ai nostri giorni, è continuamente pubblicato perché si legge con piacere, ma soprattutto rimane vivo per lo spirito positivo con il quale affronta e risolve i tanti quesiti della cucina.
Tre aforismi di quello che è stimato tra i più celebri gastronomi di tutti i tempi, Jean Anthèlme Brillat-Savarin, celebrano il piacere della tavola. Il primo afferma che questo piacere è di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni, può associarsi a tutti gli altri piaceri, e resta ultimo a consolarci della loro perdita. Il secondo aforisma dice che il piacere di mangiare è il solo che, preso modestamente, non è seguito da stanchezza. Infine il terzo, forse il più celebre, dichiara che la scoperta di un nuovo manicaretto fa per la felicità del genere umano più della scoperta di una stella. Affermazioni pienamente condivisibili e che oggi, in un tempo di dubbi e paure che pervadono e spesso rovinano la cucina, devono essere completate da approfondimenti, perfezionamenti e ammodernamenti, perché il mangiare e soprattutto l’idea che abbiamo di questa essenziale funzione cambiano con le società e i tempi. Paure e dubbio che portano a chiedersi se è vero che non mangiando si muore è altrettanto vero che mangiando si rischia di morire.
Tre sono le pulsioni umane che si collegano al cibo: paura, piacere e potere. Oggi pare che la paura pervada il mondo del cibo oscurando se non annullando il piacere. Il piacere di cibo, un vizio contro il quale si scagliavano le religioni, oggi sostituite dalle scienze mediche più miopi e tecnologicamente restrittive, raccoglie un’infinita varietà di elementi, costitutivi di un’umanità che, unica tra tutte le specie, ha inventato la cucina portandola ai livelli di una gastronomica che in quanto arte deve dare piacere. Conoscere i piaceri dei cibi, della cucina con le sue regole e miti, è riportare la cucina e la gastronomia ai loro ruoli costitutivi di una Civiltà della Tavola. L’alimentazione è un atto sociale oggi messo in crisi dall’industrializzazione alimentare, dal progressivo decadimento di rapporti della società urbana con l’ambiente dal quale originano i cibi e soprattutto dalla progressiva ignoranza anche simbolica della alimentazione quale elemento d’identificazione personale e soprattutto sociale, ma soprattutto dall’aver perso molte delle dimensioni del piacere dei cibi, della cucina e della tavola.
In un mondo in cambiamento anche l’alimentazione e la cucina stanno mutando e gli italiani spesso non si accorgono di vivere una preoccupante divisione. Da una parte la cucina di ieri non c’è più e la maggioranza della popolazione ha abbandonato tradizioni secolari mentre a tavola dilaga un progressivo analfabetismo funzionale di chi, pur facendo cucina anche con tecniche appropriate e apprezzando i buoni sapori, è divenuto estraneo ai significati e ai valori culturali del cibo. Un analfabetismo funzionale che non può essere rimediato da tabelle e tanto meno da semafori o etichette nutrizionali di non facile comprensione da una popolazione che raramente comprende il linguaggio tecnico-scientifico (cosa sono le calorie o gli joule? Cosa significano le sigle di una E seguita da un numero?). Da un’altra parte in Italia fiorisce un gran numero di artisti della cucina o chef che con macchine e tecniche sempre più sofisticate (dagli abbattitori alle cotture sottovuoto e a bassa temperatura) creano una gastronomia postmoderna propagandata su tutti i nuovi mezzi d’informazione, televisione in primo piano, e sostenuta da critici gastronomici più o meno improvvisati che di queste cucine magnificano i grandi effetti visivi ma di difficile comprensione da parte dei consumatori, come peraltro avviene per altre arti moderne. L’analfabetismo alimentare si constata anche frequentando le innumerevoli sagre che costellano la nostra penisola (da diciottomila a trentamila ogni anno, quattro per ciascuno degli ottomila comuni italiani) e di come sono ricostruite, inventate, tradite le tradizioni alimentari.
Una situazione, quella ora descritta, non è solo italiana, perché negli altri paesi industrializzati esiste una progressiva divaricazione tra una cucina popolare sempre più anonima e di derivazione industriale (piatti pronti, monopasti e pasti rapidi o fast food) e un’alta gastronomia d’élite che trova spazio sulle pagine patinate delle riviste e sugli schermi televisivi, ma soprattutto è il campo di sempre più diffuse falsificazioni che non riguardano soltanto gli alimenti, ma l’essenza stessa della cucina nei suoi significati e valori culturali, favorendo le sempre più diffuse imitazioni e falsificazioni dei cibi, ricette e menù.
Nella presente cambiamento di era, quando la cucina di ieri non c’è più e a tavola vi sono analfabeti funzionali divenuti estranei ai significati e ai valori culturali del cibo e sull’idea che chi sa solo di cucina non sa nulla di cucina, non è forse inutile considerare la cucina per sfatare l’idea che mangiando non si rischia di morire e soprattutto ricuperare il piacere della tavola.
CAPITOLO I
ALIMENTI, CUCINA E SOCIETÀ
La cucina e le abitudini alimentari sono un linguaggio specchio della società tanto che si dice mangia come parli. Una placida società agricola ha una tranquilla cucina rustica, come la nostra convulsa società tecnologica ha una cucina rapida se non frenetica.
Con la cucina l’umanità inventa una nuova via di sviluppo, quella di trasformare gli alimenti in cibi, perché la cucina partecipa della natura e della cultura. Con un lungo cammino si erano raggiunti delicati e saggi equilibri di cui la tradizione era depositaria, ma oggi questi equilibri sono stati rotti e una cultura che sempre più tende a sopravanzare la natura è divenuta la causa degli attuali malesseri, paure e fobie oggi particolarmente forti ed evidenti.
Alimentazione naturale o alimentazione culturale? O, meglio, quale rapporto tra le due linee che guidano l’alimentazione dell’uomo? Un breve sguardo alle radici biologiche e culturali della nostra alimentazione è indispensabile per meglio comprendere, anche attraverso l’alimentazione, chi veramente siamo e, al di là di idee errate e di ideologie, istituire un nuovo patto alimentare tra natura e cultura.
La cucina partecipa sia della natura che della cultura e con la cucina l’umanità ha inventato una nuova via di sviluppo, quella di trasformare gli alimenti in cibi, e con un lungo cammino si sono raggiunti delicati e saggi equilibri, di cui la tradizione era depositaria e che oggi sono stati rotti dando origine ad importanti aree di rischio. Una cultura che sempre più tende a sopravanzare la natura, è una delle basi di questi rischi causa anche degli attuali malesseri, paure e fobie oggi sono particolarmente forti ed evidenti nell’alimentazione umana dove natura e cultura si incontrano e si scontrano con maggiore evidenza.
Alimentazione naturale o alimentazione culturale? O, meglio, quale rapporto tra le due linee che guidano l’alimentazione dell’uomo? Un breve sguardo alle radici biologiche e culturali della nostra alimentazione è indispensabile per meglio comprendere, anche attraverso l’alimentazione, chi veramente siamo e, al di là di idee errate e di ideologie, istituire un nuovo patto alimentare tra natura e cultura.
ALLE ORIGINI DELL’ALIMENTAZIONE UMANA
Noi siamo quello che hanno mangiato i nostri antenati.
Noi siamo quel che mangiamo, ha detto Ludwig Andreas Feuerbach, ma oggi ci rendiamo conto che invece noi mangiamo quel che siamo e che siamo anche quel che hanno mangiato i nostri lontanissimi antenati preumani che con i loro geni ci hanno anche trasmesso necessità nutrizionali e voglie alimentari insopprimibili o difficilmente controllabili, ad esempio la voglia di grasso. Se non dobbiamo dimenticare che in biologia nulla ha senso se non alla luce dell’evoluzione, come ha detto Theodosius Dobzhansky, è anche vero che l’uomo non è solo biologia, quindi natura, ma anche cultura.
La ricerca delle radici biologiche della nostra alimentazione è una delle linee direttrici dell’Alimentazione Evoluzionista o Darwiniana, che rimanda indietro di milioni di anni le origini della nostra alimentazione e dei nostri problemi alimentari, ad iniziare dall’interrogativo se l’uomo è un carnivoro od un erbivoro. La risposta della biologia è chiara. L’uomo ha una duplice alimentazione ed al tempo stesso è un carnivoro ed un erbivoro, come risulta anche dalle strutture anatomiche che abbiamo ereditato. Un’alimentazione è quindi corretta se tiene conto di un giusto equilibrio tra due grandi categorie di alimenti, quelli vegetali e quelli di origine animale (carne e pesce, uova, latte e loro derivati).
La nostra storia biologica ci illumina anche sulle caratteristiche o qualità degli alimenti vegetali ed animali che devono far parte di un’alimentazione corretta. L’apparato digerente umano non è conformato in modo da poter utilizzare con grande efficienza gli amidi crudi ed in modo assoluto la fibra insolubile mentre la fibra solubile è fermentata ed utilizzata nel grosso intestino. In linea di massima l’uomo ha le caratteristiche biologiche più di un frugivoro e cioè di un mangiatore di frutta (ed ortaggi, aggiungiamo) che di erbe e dai vegetali e dalle fermentazioni intestinali già gli antenati dell’uomo ricavavano anche vitamine ed altri princìpi attivi utili a sviluppare un’immunità contro le infezioni ed avere una buona prolificità.
Per gli alimenti di origine animale l’apparato digerente dell’uomo è ben dotato per una loro digestione, particolarmente attiva nei riguardi del grasso ricco di energia e nel quale sono presenti vitamine utili alla salute. La ricerca alimentare di grasso animale non deve apparire strana, se si considerano gli stili di vita dei nostri antenati, simili a quelli conservati fino a qualche decennio fa nelle popolazioni agricole. Lo stile di vita naturale dell’uomo è di una sostenuta attività fisica per almeno otto ore al giorno, un’attività che fa percorrere circa quaranta chilometri per la caccia o la raccolta di cibo o venti chilometri con un carico sulle spalle, o che permette di lavorare una superficie di