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Magnifiche conseguenze
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Magnifiche conseguenze

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About this ebook

La vita di Lisa, all'apparenza perfetta, nasconde la mancanza di qualcos'altro e lei, persa nel tentativo di scoprirlo, finisce per smarrirsi ancora di più. Sposata, un lavoro d'insegnate, è costretta a stipare i suoi sogni, quando immaginava di vivere ricercando la felicità. Poi un giorno incontra Marco, capace di mischiare la sua vita solo con uno sguardo. Di farla rinascere di nuovo. Lisa vive la loro storia d'amore, attraverso un diario, che l'accompagna in un viaggio fatto di speranze e sogni perduti. Un viaggio che porta Lisa a capire di averla solo desiderata la felicità, senza mai viverla davvero.
LanguageItaliano
Publisherlfapublisher
Release dateNov 6, 2020
ISBN9791220216760
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    Magnifiche conseguenze - Gian Franco Pepe

    Gian Franco Pepe

    MAGNIFICHE CONSEGUENZE

    -Romanzo-

    Gian Franco Pepe

    Magnifiche Conseguenze

    Prima Edizione -Giugno/2019

    ISBN - 978 - 88 - 3343 - 166 - 6

    Quest’opera è frutto di fantasia ogni riferimento a fatti,

    persone o luoghi è puramente casuale.

    LFA Publisher

    Lello Lucignano Editore

    Via A. Diaz, 17 -80023-

    Caivano -Napoli, Italy

    Partita Iva 06298711216

    www.lfaeditorenapoli.it --- info@lfaeditorenapoli.it

    Distribuzione cartacea Libro Co. Italia -Firenze -

    Impaginazione a cura di L. Giordano

    A mio padre

    Non si è mai troppo vecchi per fissare un altro obiettivo o per sognare un altro sogno.

    (C.S. Lewis)

    Il tempo è solo una convinzione

    che sfuma le certezze e

    muta le intenzioni in pentimento,

    quando voltandoci indietro,

    ci accorgiamo di averlo perso.

    Caccia via i pensieri,

    riprendi il controllo,

    no... non è quella la direzione.

    Torna indietro,

    riparti dai tuoi passi,

    non puoi lasciarti coinvolgere,

    non devi assecondarli.

    Ecco ragiona,

    non farti ingannare,

    molte volte un soffio di vento,

    anche se piacevole, annuncia una tempesta,

    e tu sei ancora in tempo per metterti al riparo.

    SETTEMBRE

    I

    Ognuno di noi conosce se stesso. Sa quali sono le cose in grado di farlo stare bene, quelle capaci di renderlo felice e altre invece dannose. Eppure, il più delle volte, non riconosciamo il nostro malessere o non sappiamo come affrontarlo. Trasciniamo giorno dopo giorno un peso nell’anima, rallentando, fino a soccombere del tutto sotto le nostre paure, per arrivare poi al punto in cui si preferisce non fare, non pensare, spaventati dall’analisi sulle scelte fatte e di conseguenza sui propri sbagli. Basterebbe fare pace con se stessi, evitando di nasconderci dietro un muro di pentimenti, che hanno come unica soluzione quella di accontentarsi della propria vita e di bagliori di felicità destinati a scomparire quasi subito. Diventiamo talmente insicuri da smarrirci, aspettando quel momento che non arriverà mai, sconfitti e incapaci di sognare.

    Il suono del sassofono di Your latest trick, proveniente dalla radio-sveglia, le fece aprire gli occhi nel tepore del buio, piacevolmente disorientata. Con la mano destra spense la sveglia e accese la lampada sul comodino. Nel bagliore giallognolo della camera, si voltò a osservare la sagoma raccolta sotto le coperte di suo marito, accorgendosi di essere nel proprio letto, nella propria casa, nel proprio mondo. Rimase ancora per un po’ distesa, nel tentativo di ricomporre ogni frammento della sua vita, poi con uno sforzo raccolse le sue certezze e si tirò fuori dal letto.

    Nei due metri di distanza tra la camera da letto e il bagno, Lisa sentì risvegliarsi l’angoscia assopita con lei la sera prima e tentò inutilmente di sciacquarla, insieme alla faccia, prima di truccarsi. Un po’ di mascara sulle ciglia, una linea di matita intorno agli occhi; non le era mai piaciuto il trucco troppo accentuato. Da ragazza le bastava mettere un filo di rossetto, guardarsi allo specchio giusto il tempo di sistemare i capelli e uscire.

    Fuori dalla finestra, il crepuscolo esplodeva nell’aria frizzantina del primo mattino, animato dal crescendo di cinguettii, lasciandola del tutto indifferente concentrata davanti allo specchio: insegnante di liceo, quarant’anni, una vita passata nei rimpianti. Lisa si avvicinò di più alla donna riflessa allo specchio. La nuova ruga comparsa intorno agli occhi non sembrava interessarle molto, era più attenta a controllare il suo viso alla ricerca della ragazza andata via troppo in fretta, portando con sé tutti i suoi sogni.

    Scese le scale del piano di sotto ed entrò in cucina. Il sabato era il giorno in cui poteva finalmente allentare la tensione. L’intera settimana scivolava via dopo averla trascinata a fatica, e lei riusciva, in un certo qual modo, a sentirsi liberata. Posò la borsa da lavoro sulla sedia vicino al tavolo e nella solitudine preparò il caffè. Mentre la moka borbottava, aveva disposto sul tavolo una pila di appunti e verifiche da riordinare velocemente, prima di andare a lavoro.

    In uno scomparto della borsa, un diario rilegato in pelle arancione era nascosto sotto l’agenda e alcuni fogli, e lei lo sfiorò sentendo il contatto morbido sotto le dita. La disperazione si fece avanti, Lisa si piegò su se stessa con gli avambracci premuti contro l’addome, per evitare di lanciare un grido, soffocato quasi subito tra le lacrime.

    È sempre difficile andare avanti, quando non vedi al di là del tuo tormento. Quel continuo ripensare a cosa ti ha portato a non essere più felice. Inizi con l’alternarti tra i momenti di calma e quelli di agitazione, tra lacrime e gioia, che nascondono la totale mancanza di capacità nello stare in equilibrio.

    Riuscì a farsi coraggio, in un tempo minimo tra il dolore e la rassegnazione, mentre fuori l’alba mescolava i colori di un giorno nuovo, per lei, uguale agli altri.

    Ognuno di noi dovrebbe conoscere se stesso, o meglio capire i propri stati d’animo, avvertire i più piccoli cambiamenti, riconoscere gli stadi di chiusura. Finiamo col diventare spettatori anziché attori, mentre tutto scorre davanti senza avere nessuna possibilità di interferire, incapaci di modificare il corso della nostra vita. Iniziamo con lo sprofondare in quell’abisso fatto di occasioni attese, scendendo man mano sempre più in basso fino a toccare il fondo. Eppure c’è qualcosa di incredibilmente vero dallo stare a un passo dall’ultimo gradino, la certezza che da lì in poi puoi soltanto salire. Girare le spalle, prendere fiato e iniziare la risalita, tutto ciò con un’assurda felicità addosso, solamente perché riusciamo a intravedere una luce, sia pure in lontananza. O forse è solo la nostra immaginazione a farcela vedere, quando risalendo, ci rendiamo conto che è più facile scendere. Ci aggrappiamo allora a qualunque cosa dia un valore a quello sforzo fatto contro ogni logica. Alla fine sarebbe molto più semplice lasciar correre, considerare le proprie incapacità, sottostare alle sconfitte, lasciare insomma che sia la corrente a trascinarci.

    Come ogni mattina Lisa svegliò suo figlio, preparò la colazione e attese fosse pronto per accompagnarlo a scuola. Questo era il suo rituale. Tranne la domenica, dove amava chiudersi in bagno, riempire la vasca di schiuma e oli profumati e immergersi dentro. In questo microcosmo fatto di silenzi e pensieri, si sentiva un’altra donna, e finalmente le sue ansie, le paure, erano lavate via insieme all’acqua.

    D’altronde ci si lascia andare, è inevitabile quando abbandoniamo i nostri sogni, completamente risucchiati dalla realtà. La mente ormai totalmente assuefatta non si ribella più, ma lo spirito sì. Attraverso l’organismo si dimena, si contorce, manda segnali inequivocabili. Qualcuno chiama questi sintomi stress, qualcun altro quasi sussurrando stati depressivi. Diventiamo sempre più apatici, indifferenti alla vita, senza stimoli né spinta. Tutto diventa monotono, ripetitivo, un corpo fermo mosso per inerzia, incapace di ribellarsi, di riconoscere il proprio male.

    Arrivò in ritardo a scuola, un piccolo incolonnamento, causato da un incidente sulla statale, aveva spezzato la sua monotonia. Entrò di fretta nella sala dei professori, salutando con un buongiorno masticato a forza, sedendosi dietro il grande tavolo di legno posto al centro della stanza.

    Era così immersa in se stessa, da notare a male appena l’uomo dietro l’altro capo del tavolo. Seduto tra gli altri professori, stava discorrendo con Marina, la sua collega di geografia, che gli restava incollata, mentre lui faceva finta di ascoltarla.

    Lui la guardò per un istante prima di sorriderle, poi con un cenno del capo in segno d’inchino, si allungò verso di lei per stringerle la mano. «Piacere, Marco Zanardi. Sono il nuovo professore di matematica.»

    «Lisa Parussini, professoressa di storia», rispose lei con voce decisa, ritta sulla sedia, a volersi dare una sicurezza che sapeva di non avere.

    Continuò a non dargli molta importanza, talmente chiusa nel suo silenzio da riuscire a estraniarsi completamente. Ormai assuefatta dalla sua vita, chiusa tra la famiglia e la scuola, aveva perso qualsiasi entusiasmo e costretta a vivere nel rimpianto di ciò che avrebbe voluto essere.

    Quando davvero s’inizia a rimpiangere? Nel momento in cui ci accorgiamo, di non essere più giovani, quando la spensieratezza dei sogni porta a credere che ogni cosa sia possibile? Oppure quando le cose lasciate indietro rimangono come orme indelebili e abbiamo la certezza di aver camminato poco, convinti invece di essere andati lontano? Non è la strada percorsa a darci compiacimento, né la soddisfazione di essere giunti in un punto a farci sentire appagati, ma l’ostinazione di andare sempre e comunque avanti. Forse il vero rimpianto sta nel non riuscire più a credere.

    Lisa avvertì l’insistenza dell’uomo appena conosciuto nel fissarla e questo la infastidiva. Si era sempre sentita a disagio quando qualcuno la guardava e questa volta non faceva eccezione. Aprì il registro facendo finta di leggere, aggiustò con le dita la ciocca di capelli sulla fronte e accavallò le gambe sotto il tavolo. In quel momento, per curiosità, alzò gli occhi. Lui arricciò la bocca su un lato e pronunciò lievemente le labbra, sorridendole di nuovo. Era certamente un bell’uomo, alto, moro, con le spalle larghe e il fisico ben piazzato. Sicuramente faceva palestra o forse nuoto. I lineamenti simmetrici del viso esaltavano i suoi occhi sottili e travolgenti, il suo modo di sorridere ipnotizzava, tanto da costringerla a concentrarsi di nuovo per non alzare lo sguardo. Se ne stava seduto di sbieco sulla sedia, un po’ indietro rispetto al tavolo, l’avambraccio sinistro appoggiato allo schienale e tra le dita della mano destra roteava una penna a sfera, con un’aria sicura, ricoperto da un alone di fascino.

    Sì, era certamente un bell’uomo, eppure a Lisa metteva disagio.

    I suoi occhi profondi, la scandagliavano da dietro al tavolo, mettendo a fuoco ogni particolare: i capelli biondi raccolti dietro la testa, le labbra carnose coperte da un filo di rossetto, scendevano lungo le spalle, poi il collo, fino a soffermarsi sulla camicetta aperta leggermente davanti. Di nuovo risalivano verso il viso, le ciglia sottili, gli occhi verdi, messi ancora più in risalto da un contorno di matita. Scavavano e spiavano sempre più a fondo, quasi a voler leggere dentro di lei.

    La scena d’imbarazzo fu interrotta dall’arrivo del Preside. Lisa si sentì sollevata nel vederlo entrare, nonostante non lo avesse mai tollerato. Almeno aveva distolto l’attenzione su di lei, pensò.

    A onor del vero c’è da dire che il preside Nicola Olivo era antipatico a buona parte della scuola. Arcigno e con un modo tutto suo di voler apparire simpatico, era famoso soprattutto tra le colleghe per le sue avance sfacciate. Con una voce stridula, fastidiosa, ogni parola era un’allusione, una chiara affermazione del suo essere maiale. Grasso e sempre sudato, ti parlava a non meno di pochi centimetri dalla faccia, obbligandoti a respirare l’odore di sudore e sigarette, ti toccava le mani, le braccia, le spalle, tanto da farla sentire violata, violentata.

    Eppure quella mattina, Lisa sentì quasi di ringraziarlo.

    «Buongiorno a tutti!» esordì il preside. «Vedo che avete già conosciuto il professor Zanardi, il nostro nuovo supplente di matematica.» Poi rivolgendosi a lui, guardandolo dall’alto, aggiunse: «Spero che la sua permanenza in questa scuola sia delle migliori. Sono sicuro riuscirà a essere all’altezza della professoressa Degano, la nostra stimata collega, assente per via del congedo per maternità.» Disse quelle parole, senza preoccuparsi troppo di nascondere al loro interno un leggero livore. La professoressa Degano era la sua pupilla, una sorta di factotum che lui gestiva a piacimento. La sua assenza per lui era solamente una seccatura. «Mi segua nel mio ufficio professore. Le mostro il programma e gli orari delle lezioni.»

    Lisa mosse leggermente la testa, lanciandogli un’occhiata veloce e accorgendosi di essere nuovamente spiata. Si girò di scatto, come se fosse stata lei quella sorpresa nel guardarlo.

    Fuori la pioggia batteva sulle grandi vetrate e sulla tettoia di ferro della palestra sotto, talmente forte da farle venire in mente il percussionista da strada ascoltato da ragazza, durante una vacanza a Firenze. Il ragazzo africano che usava piatti, pentole e barattoli, produceva un suono metallico ritmato, molto più gradevole. Il ricordo le diede un sussulto, ripensando a quei giorni lontani nei quali lei era libera e fiduciosa.

    Che fine fanno i sogni? Dove li aveva nascosti? Lisa non lo ricordava. Non aveva nessun ricordo della sua vita passata, quando era felice, spensierata. Quante volte da ragazza aveva immaginato il suo futuro: da grande voglio fare… La fretta della ragazzina di crescere, correva insieme a suoi sogni, sempre affiancati, sempre con lo stesso passo. Ora era diventata adulta, finalmente una donna, accorgendosi a un tratto della verità: lei e i suoi sogni, avevano corso su due binari diversi, due rette parallele che non s’incrociano mai.

    Era ancora presto per iniziare la sua lezione di storia. Nell’attesa Lisa decise di leggere il libro comprato su una bancarella alcuni giorni prima, nel piccolo mercatino di piazza XX Settembre a Udine, concentrandosi fino al punto di dimenticare il rumore, la pioggia, la scuola.

    Il suono della campanella dava inizio alle lezioni. Lisa raccolse velocemente i libri e i suoi appunti e si avviò verso la porta stringendoli a sé. Quando lo vide in piedi a pochi passi da lei, di nuovo fu colta dall’imbarazzo. Che ridicola che sei!

    Marco era rientrato nella stanza senza che lei se ne accorgesse e ora chiacchierava con la segretaria, davanti alla porta. Nel vederla avvicinare le fece un cenno con la mano, cedendole il passo. «Prego.»

    Lisa simulò un sorriso con una smorfia della bocca, poi abbassò la testa cercando il punto esatto dove mettere i piedi. Si avviò lungo il corridoio fino alle aule, camminando in mezzo ai colleghi e studenti ritardatari, con la stessa rigidità di un soldato durante una parata, per evitare di voltarsi indietro. Sapeva di essere seguita dai suoi occhi vedendolo uscire subito dopo di lei. Entrò veloce nell’aula, quasi a volersi nascondere da un pericolo, intanto una voce dentro di lei copriva il rumore dei banchi e delle sedie spostate tra risate e urla, dicendole qualcosa che non capiva. Una di quelle voci difficili da distinguere, da non sapere mai se darle ascolto, oppure ignorarle. Forse le stava facendo semplicemente notare il modo in cui quell’uomo appena conosciuto, aveva rivoltato in un solo colpo le sue sensazioni, dandole un imbarazzo diverso dal solito. Ormai era abituata al fatto che gli uomini la guardassero con insistenza e a volte riusciva perfino a immaginare i loro pensieri.

    Eppure lui prima, non stava per nulla simulando pensieri peccaminosi, al contrario la stava ammirando, come si può apprezzare un quadro o un fiore di particolare bellezza.

    Ci mise un po’ per capire. In realtà non si era per nulla sentita in soggezione, ma qualcosa di nuovo le aveva lavato via di dosso quello che per lei era stato normale fino a quel momento, e cioè sentirsi impacciata e goffa davanti agli altri.

    La verità è che per la prima volta, davanti a un uomo, si era sentita lusingata.

    AUTUNNO

    II

    L’aria tersa slanciava le montagne in lontananza, fino a toccare il cielo, facendole apparire tanto vicine da poterle raggiungere con un salto. Nell’azzurro, nuvole bianco latte, formavano figure immaginarie e la luce limpida incorniciava le vie del centro di Udine, dove il via vai delle persone, dava l’impressione di tante formiche indaffarate nel loro lavoro.

    A Lisa, piaceva particolarmente quel clima: la tipica aria di fine settembre che ti riscalda, mettendoti voglia di fare.

    Intorno ai tavolini fuori ai bar, qualcuno approfittava dei raggi del sole, per togliere il maglione e restare in maniche corte, mentre i rumori erano chiusi fuori dalla zona a traffico limitato, aumentando la desolazione intorno a lei. Sotto i portici, nascosta all’ombra del sabato pomeriggio, Lisa percorreva i suoi pensieri, incrociando ogni tanto volti a cui lei non faceva caso. Vite diverse dalla sua che non immaginavano i precipizi dai quali si affacciava, cercando il senso in Dio, o in un destino cinico

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