Quant'è bella giovinezza
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Fantascienza - romanzo breve (56 pagine) - È scomparsa l’unica donna che può essere giovane
L’inizio delle pubertà è la fine della giovinezza per le donne. La Sindrome di Geras non perdona. Diventare donne conduce all’invecchiamento progressivo, tanto che i trucchi e i belletti sono gli unici rimedi che tentano di riportare le cose a un’epoca pre-pandemia. Tutto il mondo ne è colpito e Nuova Polis, la città più importante dell’Africa, non è da meno. Ma tra i suoi vicoli e quartieri c’è un uomo, un investigatore privato, chiamato Genny Ruggiero, che un giorno viene contattato da un ricco abitante di quella che un tempo era chiamata la collina di Posillipo.
Il lavoro sembra di normale routine, ma la persona scomparsa da ritrovare non è affatto comune. È una rarità preziosa tenuta nascosta che può ingolosire anche la criminalità organizzata. Si tratta di una donna, ed è una donna che è immune alla Sindrome di Geras. Una donna che può essere giovane.
Bruno Vitiello è nato a Napoli il 3 febbraio 1966. Laureato in Lettere Moderne, ha svolto per alcuni anni attività di assistente presso la cattedra di Storia del Rinascimento dell'Università di Napoli Federico II. Nel 1994 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia Moderna. Docente di ruolo d'Italiano e Latino, dopo aver insegnato nella Scuola italiana è attualmente professeur détaché di materie letterarie presso l'Ecole européenne di Bruxelles. Ha pubblicato il suo primo racconto di SF nel 1983, e da allora non ha mai cessato di scrivere, comparendo su tutte le principali riviste italiane specializzate nel settore. Attualmente ha all'attivo svariati romanzi, racconti, saggi e articoli sia nel campo della science fiction che in quello del thriller e del mystery, pubblicati in Italia e all'estero.
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Book preview
Quant'è bella giovinezza - Bruno Vitiello
all'estero.
Subito per la pelle mi scorre sudore copioso,
e io tremo a contemplare il fiore della giovinezza,
seducente e a un tempo leggiadro.
Potesse durare più a lungo!
Ma l’età cara è fuggitiva come un sogno.
A un tratto le incombe sul capo
la vecchiaia dolorosa e deforme,
odiosa e spregevole a un tempo.
Mimnermo, Frammento Diehl 5
1
Nuova Polis, tempo presente
Arrivo in ufficio ancora intontito dal sonnellino pomeridiano. È un vizio che non riesco proprio a togliermi, dopo pranzo mi si chiudono gli occhi, non c’è nulla da fare. L’alternativa sarebbe assumere stimolanti ma di quelli forti, perché il caffè mi fa l’effetto di un sonnifero. Credo sia lo stesso per la maggioranza degli abitanti autoctoni di questa megalopoli (sempre di meno, a sentire i dati demografici). Siamo cresciuti a ettolitri di caffè, l’abbiamo assunto da neonati assieme al latte, da adulti siamo completamente assuefatti al nostro nero, bollente, aromatico elisir tradizionale, guai a chi ce lo toglie, e poi la città stessa ci spinge alla sonnolenza, non solo postprandiale, con il suo caldo, umido abbraccio soffocante. Qui si suda anche quando piove. Le gocce sono grandi, tiepide. Di notte l’escursione termica fa battere i denti. Il clima sub-sahariano si è insediato anche da noi. Nuova Polis. La città più importante dell’Africa, il monumento più antico dell’Europa.
A proposito, mi chiamo Genny Ruggiero e faccio l’investigatore privato.
– Buona resurrezione, Genny – ironizza Karima, la mia segretaria tunisina. Mi prende sempre in giro per le mie abitudini. Dice che, per quanto la pago, devo concederle almeno la soddisfazione di sfottermi. Forse ha ragione. Spesso mi chiedo perché non sia rimasto in polizia, invece di sfruttare i miei cinque, onorati anni di servizio per ottenere la licenza per l’attività privata. Refrattarietà alla disciplina, direbbe il vecchio Scialoja, il mio superiore di quei tempi al commissariato della Riviera di Chiaia, strada di signori ma, al tempo stesso, avamposto difensivo contro il Pallonetto di Santa Lucia, uno dei quartieri più malfamati di Nuova Polis. E forse avrebbe ragione anche il burbero Scialoja. Tutti hanno ragione, a modo proprio.
– Grazie, cara – sospiro, buttandomi sulla poltroncina girevole del mio studio, una stanzetta spartana di pochi metri quadri attigua allo sgabuzzino dove Karima tenta di mettere ordine nel mio caos lavorativo. – Però ti avverto che miracoli non te ne faccio, eh? – sorrido malinconico, strofinandomi gli occhi ancora assonnati. – Successo qualcosa di epocale mentre discutevo con Morfeo?
– Ha chiamato questo numero – bofonchia lei inviandomi il contatto, dal vecchio portatile quantico dell’ufficio, sul mio CUG nuovo di zecca, un comunicatore universale globale a tecnologia 12G dal design elegante e compatto, un vero gioiellino, una pazzia che ho fatto per atteggiarmi coi clienti. Pagato un occhio della testa perfino al mercatino clandestino di Forcella. Tanto risparmio sul caffè, e su tante altre cose.
– Sembra un numero di Shù bùjiànle… – mormoro, leggendo le cifre sul mio display.
– Non sembra – mi corregge Karima, col suo solito sorrisino ironico. – Lo è.
– Era un modo di dire… So riconoscere i numeri di Nuova Polis. Allora si tratterà di un riccone…
Shù bùjiànle, Albero scomparso in cinese mandarino, è un esclusivo quartiere residenziale costruito da un’immobiliare di Pechino su quella che un tempo era chiamata la collina di Posillipo. Deve il nome a un bellissimo esemplare di pino domestico piantato in quella zona alla metà del XIX secolo, che per più di cento anni si è stagliato sul panorama della città, del golfo e del Vesuvio campeggiando in miliardi di foto e cartoline. Lo dico per chi non lo sapesse, e perché sono appassionato di antica toponomastica. Il grande pinus pinea fu abbattuto circa un secolo fa perché malato, privando Nuova Polis di uno dei suoi più celebri simboli. Ecco perché Albero scomparso. I Cinesi sanno essere molto poetici.
– Chissà che potrà mai volere da me, un residente a Shù bùjiànle… – mormoro di nuovo, fissando meditabondo il display del CUG. Là ci abitano solo borghesi pieni di soldi, per lo più Cinesi, Giapponesi o Russi. Un pezzetto di Asia nel cuore del Mediterraneo. O meglio, là si concentra l’élite, perché in generale Nuova Polis è addirittura invasa da orientali. – Ha detto di richiamare? Vuole un appuntamento?
– No. Anzi, ha detto che non sarà più reperibile a questo contatto – replica Karina, con aria misteriosa. -E naturalmente vuole che vada tu da lui. O da lei. Non lo so, perché non ha comunicato vocalmente. Capirai, uno di Shù bùjiànle mica si scomoda a venire in questo buco… Ti ha inviato anche l’indirizzo e l’orario.
– Molto bene – sospiro, guardando di nuovo il display. Mi alzo a malincuore dalla mia poltroncina, l’unica cosa comoda e accogliente dell’ufficio – Per l’orario ci siamo quasi. Rischio di presentarmi in ritardo. Non sarebbe un bel biglietto di presentazione.
Prima di uscire guardo attraverso la piccola finestra alle spalle della scrivania. Sono al sessantacinquesimo piano di un grattacielo di uffici, a volte mi sembra di poter toccare le nuvole. Noto subito che il cielo del crepuscolo si sta rabbuiando. Grosse gocce cominciano a martellare sui vetri.
– Si prepara un bell’acquazzone – sospiro a denti stretti. – Proprio adesso, maledizione. Che tempismo.
– Ma che acquazzone – mi contesta Karima, fissando scettica la finestra. – Al massimo un po’ di pioggerella estiva. Vedrai che smette subito.
– Servisse almeno a rinfrescare un po’ l’aria – sbuffo, prendendo dal cassetto della scrivania la mia pistola PEP. Non sono un tipo violento, ma senza mi sento nudo. Che bella