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Fantascientifico Vol.3
Fantascientifico Vol.3
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Fantascientifico Vol.3

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About this ebook

Una raccolta di racconti che è una sorta di fuga dalla realtà. Tra percorsi onirici, storie di fantasia, sovrannaturale e paesaggi distopici, gli autori vengono a contatto con un genere che resta tra i più affascinanti nel mondo della letteratura.
LanguageItaliano
Release dateOct 20, 2020
ISBN9791220209939
Fantascientifico Vol.3

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    Fantascientifico Vol.3 - Aa. Vv.

    AA.VV.

    Fantascientifico

    Vol.3

    Fantascientifico Vol.3

    AA.VV.

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Director: Roberto Alfatti Appetiti

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – ottobre 2020

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    pindar sim: venditore di segreti

    di Giuseppe Pastore

    Due delle tre porte sull’ammezzato erano inibite: sui pannelli spiccava la scritta DOMINUS DECESSUS. Se non altro, è impossibile sbagliare - pensai, poi mi rivolsi a Cleonar – Andiamo, gli feci, e mi diressi verso l’unico alloggiamento ancora esistente.

    Lui mi fermò. Ehi, capo! Sai perché certi bari non si sposano?... Perché non amano le bare!, ridacchiò da solo, io sospirai rassegnato: Cleonar l’idiozia ce l’ha nel sangue.

    Evita sparate simili quando saremo dentro, lo esortai. Per tutta risposta cominciò a cantare A stranger in my stomach, di Rik Alyen.

    Mentre lui stonava sul finale dell’assolo, andai a inoltrare la richiesta d’ingresso all’identificatore ASET. Dall’interno del locale sentii lo stesso chiedermi: Chi è?

    Pindar Sim, risposi.

    La porta si aprì scivolando verso l’alto. Un secondo dopo, vedemmo comparirci dinanzi una figura troppo smunta per appartenere a un essere umano. Forse il signor Krupp discendeva da uno di quegli ibridi creati dal dottor Murénas, pensai. La cosa non mi piacque affatto.

    Lui ci squadrò, stringendo il suo unico occhio funzionante; quando si fu convinto che eravamo le persone che aspettava, si fece da parte. Entrate, ma badate che se proverete a imbrogliarmi non uscirete vivi da qui, disse.

    Non replicai alla ridicola minaccia e lo seguii nel corridoio. Quando lo vidi da dietro, stabilii per certo che non avevamo a che fare con un uomo: le dita che gli si agitavano sulla nuca puzzavano tanto di Divisione Omega. Cleonar, che camminava alle mie spalle, sembrava però non essersene accorto; guardava i recipienti pieni di sassolini bianchi poggiati sugli scaffali. Sono denti, disse il padrone di casa, notando il suo interesse. Ne ho a migliaia, anche di creature delle Nebulose Blu. Belli, vero?

    Cleonar fischiò. Una figata!, gli diedi un colpo nelle costole prima che potesse lanciarsi in qualcuno dei suoi impossibili commenti e gli indicai di nascosto le dita. Storse la bocca disgustato.

    Il signor Krupp ci guidò lungo un dedalo di passaggi poco illuminati, arredati con oggetti che stentavo a riconoscere e che sperai Cleonar non avrebbe voluto esaminare a fondo. Giungemmo infine in una stanza ellittica, piena di mobili arrotondati. Non le piacciono gli spigoli?, chiesi, guardandomi attorno.

    Non mi piacciono le rette, rispose Krupp. La retta è un’assurda astrazione umana. La curva è la vera essenza dell’universo.

    Vidi Cleonar approvare col capo, come se avesse appena sentito una grande verità. Avrei voluto prenderlo a calci. Krupp ci indicò due sedie e si accomodò dall’altro lato di una scrivania oblunga. So che vendete Segreti, esordì. Vorrei comprarne uno.

    Annuii, ma misi in chiaro le cose. Certi Segreti costano.

    Lui sorrise. I soldi non sono un problema. Da un cassetto della scrivania tirò fuori parecchie mazzette di banconote.

    Era un bel modo di iniziare una trattativa, dovetti ammettere. Cleonar, invece, disse: Non sono titoli della Terza Cintura.

    Krupp s’accigliò. Credevo le valute terrestri andassero bene.

    I soldi terrestri sono banali. A me piacciono quelli della Terza Cintura.

    Lanciai un’occhiataccia al mio assistente. "Vanno benissimo intervenni. Non si preoccupi, signor Krupp. Cleonar ama mostrarsi, come dire... esotico. Comunque, parliamo d’affari: i Segreti di quale persona vuole comprare?"

    La sua risposta mi spiazzò. I miei, fece. Forse si accorse della mia aria perplessa, perché continuò: Se acquisto i miei segreti, gli altri non potranno mai conoscerli, no?

    Capii che non ne sapeva nulla di mercato informazionale. Gli spiegai come stavano le cose. Signor Krupp, credo che lei non abbia ben compreso i meccanismi che regolano la nostra attività. Noi vendiamo informazioni riservate, tuttavia ciò non vuol dire che i clienti ne acquistino la proprietà.

    Mi sta dicendo che se compro i miei Segreti, lei li venderà lo stesso ad altre persone?

    Esattamente.

    È un’assurdità!

    Così funziona.

    Krupp restò in silenzio per qualche attimo. Non posso tollerarlo, disse poi. Pigiò un tasto che non avevo notato e nella stanza risuonò un cicalino snervante.

    Nel giro di pochi istanti dalla porta irruppe un mutante Assùr. Ora, vogliamo parlare seriamente d’affari?, chiese Krupp, ghignando. Credeva che la presenza del suo ripugnante amico potesse spaventarci.

    Volentieri, ma mi pare siamo in troppi in questa stanza, risposi, e feci un cenno col capo a Cleonar. Il mio assistente sbuffò, ma si alzò ugualmente e si mosse verso il mutante. Gli si piantò a meno d’un metro, sollevandosi sulle punte per pareggiarlo in altezza. Con un sorriso beffardo, gli mostrò il piccolo pendente in vetro di Sàttral che portava appeso al collo, poi pronunciò una delle sue paroline magiche: ci fu un po’ di rumore criocosmico in sottofondo, fumo colorato e odore di mirto, tutti effetti scenografici che a Cleonar piacevano particolarmente, quindi l’essere scomparve dalla stanza per finire nel ciondolo. Dovevano esserci svariate decine di creature, là dentro. Chissà se stavano strette, pensai.

    Krupp restò impietrito e non disse nulla, mentre il mio assistente tornava a sedersi. Probabilmente aveva creduto che Cleonar fosse solo un idiota, ma avrebbe dovuto immaginarlo: se me lo portavo appresso un motivo doveva esserci. Allora dissi, vogliamo riprendere da dove avevamo lasciato?

    Se fate uno strappo alla regola, vi pago il doppio, implorò.

    Il doppio erano certo un bel mucchio di soldi, ma non sono uno che si fa corrompere facilmente. Il triplo, decretai.

    Lo vidi allora riprendere colore, per quanto la sua pelle grigiastra lo permettesse. Il triplo? Nessun problema. Cominciò a tirar fuori denaro dai posti più strani, folleggiando nella stanza con un sorriso vittorioso sulle labbra. Vanno bene anche cedole trans-terrestri?

    Feci spallucce: andava bene qualunque cosa fosse accettata dalle Banche Riunite. In meno d’un minuto, davanti ai miei occhi si formò una catasta di mazzette alta mezzo metro. Li devo contare, dissi, e presi a farmi frusciare banconote di ogni tipo tra le dita, riflettendo sul fatto che avevamo pattuito il triplo del prezzo normale, senza che però avessi detto quale fosse quest’ultimo. Arraffiamo senza pietà, pensai, e misi via molti più soldi del dovuto. Gli resi giusto qualche migliaio di Duhk del Secondo Parallasse, per mostrarmi corretto.

    Bene, feci. Lei ha acquistato il suo Segreto e io mi impegno a non rivelarlo a nessun altro.

    Glielo certificai anche in un chip a validità millenaria. Krupp si fregò le mani, tutto contento, poi si sporse in avanti. Dottor Sim, non è che per caso il suo amico potrebbe restituirmi il mio mutante? Era un esemplare piuttosto raro....

    Mi volsi verso Cleonar. Che si può fare?, lui scosse la testa. Niente. Per farlo uscire si dovrebbe rompere il ciondolo.

    Krupp si rassegnò. Va bene, vedrò di procurarmene un altro.

    A quel punto mi alzai e mi congedai, stringendogli con riluttanza la mano untuosa. Ricordiamo la strada, dissi, e mi allontanai, seguito da Cleonar.

    Quando fummo fuori dall’alloggiamento, il mio assistente mi chiese perché avessi accettato di vendere l’esclusiva su un Segreto. Non gliel’ho affatto venduta, risposi. "Ho detto che io mi impegnavo a non rivelarlo, ma se qualcun altro volesse comprarlo, il contratto puoi sempre chiuderlo tu!"

    Cleonar ci pensò. Lo hai fregato, disse poi. Finalmente c’era arrivato. "Chiaro che l’ho fregato. Ma ancora non l’hai capito che noi non siamo dei tipi onesti?"

    A volte lo dimentico. A proposito, l’altro giorno ho visto un inventore in una serra che s’innaffiava i capelli... diceva che gli fiorivano le idee. Non compresi cosa c’entrasse quella scemenza col discorso e rinunciai a cercare una spiegazione. Cleonar è fatto così.

    Sloggiamo, sospirai, quindi m’infilai nel gravitatore con in mano la valigetta piena di soldi e scendendo interrogai il nostro database. Krupp mi aveva coperto d’oro solo per non far sapere in giro che era ermafrodito. Questi mondi sono veramente pieni di tipi strani, mi dissi. Quando incrociai lo sguardo vacuo di Cleonar, mi ritrovai a sorridere. In fondo, era una cosa che sapevo già.

    il sincrotrone

    di Giovanni Maria Pedrani

    I manifestanti erano davanti al Centro.

    Alcuni slogan erano provocatori, altri catastrofici. Qualcuno creava anche un po’ di ansia nella sua farneticante religiosità. La fisica nucleare è contro natura!; L’uomo non può sostituirsi a Dio!; L’energia atomica è la mano del diavolo!

    Gli scienziati li guardavano dai finestroni dell’istituto. Nella presunzione di chi è convinto di dominare le forze della natura, si abbandonavano a qualche sorriso. Ma questa volta era diverso. L’esperimento che avrebbero fatto di lì a poche ore era davvero la svolta nella conoscenza delle componenti ultime della materia.

    Come facevano a sapere quegli invasati là fuori che il centro era al culmine di quell’ambizioso progetto?

    Potevano aver intuito che per l’evento erano stati anche interpellati filosofi e religiosi?

    Forse in quel giorno avrebbero veramente trovato la mano di Dio! Era il 1954 quando era partita la grande sfida: studiare e scoprire l’infinitamente piccolo. In quella istituzione che annoverava ormai ben più di trenta paesi membri, si erano avvicendati i più importanti luminari di tutta l’umanità: Edoardo Amaldi, Pierre Auger, Kjell Johnsen e poi Tim Berners-Lee, Carlo Rubbia, Simon van Der Meer.

    E ora i loro successori avrebbero studiato la divisione del pleutino.

    Dopo i quark, i leptoni, le particelle W e Z, la nuova frontiera della fisica nucleare era un corpuscolo talmente infinitesimale da non avere massa, forse la più piccola esistente nell’universo. Apparentemente indivisibile. Un’idea. Una inspiegabile traccia sugli schermi rivelatori, ottenuta quasi per sbaglio durante una collisione tra fasci.

    Alcuni studiosi, quando la scoprirono, furono subito convinti che riuscire a dividerla avrebbe consentito di capire i segreti del cosmo. Ma l’evanescenza di quella impronta in tutti gli esperimenti fatti, così incostante anche al persistere delle condizioni, così instabile e misteriosa al punto da far pensare che il pleutino potesse avere un’anima, cominciava a fare paura a molti.

    Nel centro di ricerche, fu istituita una commissione apposita. I membri di tutte le culture, religioni e formazioni intellettuali si incontrarono per discutere sulla opportunità di fare quell’ultimo grande passo e proseguire negli esperimenti che avrebbero potuto rivelare i segreti del Creato. Per la prima volta ci furono alcuni uomini di scienza dubbiosi, che temevano di violare le leggi di natura o che quella particella, di cui si sapeva così poco, fosse persino pericolosa.

    I comizi di pacifisti erano il coro popolare di paure più razionali e profonde.

    Ma il desiderio di conoscenza dell’uomo aveva un confine oltre i limiti dello spazio e del tempo.

    Il teatro di quel grandioso esperimento fu HLL, il nipote di SC, il primo acceleratore di particelle nato nel 1957 e che per 34 anni aveva permesso tante scoperte nella fisica subatomica.

    Per il test venne convocata la stampa internazionale.

    Centinaia di fisici e ingegneri seguivano l’ultima fase del progetto, nella sala controllo dell’anello più grande del mondo.

    Venne attivato il campo elettromagnetico.

    Il sibilo cominciò a propagarsi per l’impianto.

    Una leggera vibrazione armonica indicava che lo strumento era alla massima potenza.

    Karl Sturm e Simon Moore accesero il fascio che portava il loro nome, un bombardamento di particelle che nelle ultime volte aveva prodotto la comparsa della traccia sugli schermi.

    Un ronzio risuonò nella sala.

    Era il momento di provocare la collisione!

    In una frazione di nanosecondo sarebbe stata letteralmente spaccata in due e abbattuta una nuova frontiera.

    Il pleutino comparve dal nulla!

    Una volta irraggiato si deformò aprendosi! Non trovando materia in se stesso decise di assorbirne da fuori.

    Affamato di una sostanza che non aveva mai conosciuto ma di cui ne faceva parte, catturò gli atomi che erano intorno.

    Nel sincrotrone cominciò a generarsi una depressione. Gli scienziati notarono la distorsione del campo magnetico e spensero immediatamente la macchina.

    Ma ormai la reazione era iniziata. Il punto dell’anello in cui era avvenuta la collisione era imploso in un risucchio deformante. La fame di materia del pleutino non sazio stava ingoiando parte del sincrotrone!

    Si formò un vortice di materia compressa che aveva come fulcro quella particella inesistente. Il terreno mutò intorno a lei per prosciugare tutto quello che c’era intorno.

    I fisici capirono subito quello che stava capitando e che cosa avevano provocato. Provarono a urlare nel terrore del disastro imminente, ma anche le loro voci vennero assorbite dalla gola vorace del pleutino.

    Un gigantesco cono attirò tutta la materia con una progressione esponenziale. Venne strappato dalla sua sede il sincrotrone. Il centro fu risucchiato in un attimo. E poi la regione, lo stato in un vortice infernale!

    Solo gli astronauti che orbitavano intorno alla Terra, nella stazione spaziale internazionale, poterono vedere la portata di quell’evento e avere la percezione della fine del mondo. La sfera celeste aveva un punto nero nell’emisfero nord dove confluivano turbini a raggiera. Ma fu un attimo.

    Anche loro vennero risucchiati.

    La potenza di quell’istante deformò lo spazio e il tempo catturando tutto quello che trovava a riempire il vuoto.

    Tutta la Terra venne assorbita, poi la Luna, poi il sistema solare e l’intero universo in un big bang alla rovescia provocato dalla stessa materia instabile primordiale che 15 miliardi di anni prima aveva fatto nascere il tutto.

    E il tutto venne ricondotto all’uno.

    io sono la morte

    di Sara Perotti

    Stringo la lametta e la avvicino al polso sinistro. Mi fermo un attimo ad osservare le vene che in quel punto si ramificano, come le fronde di un albero, verso la mia mano. Con precisione chirurgica affondo la lama e scavo in profondità. Non provo dolore, sento sollievo nel pensare di poter liberarmi di questo corpo. Il sangue caldo inizia a sgorgare, è un fiume in piena, rompe gli argini e cola a terra formando una macchia rossa che sembra vernice appena rovesciata da un barattolo. Aspetto, non ho fretta, sono paziente da una vita intera.

    I minuti passano, il flusso si interrompe e io sono ancora vivo: il taglio si sta richiudendo grazie al lavoro delle piastrine. Maledette.

    Getto la lametta a terra, schiena al muro mi lascio cadere sulle ginocchia piangendo. È stato un altro tentativo fallito, ma non mi arrendo. È strano come un tempo si lottasse per il diritto alla vita mentre ora sono qui a rivendicare la mia volontà di morire.

    Tutto finì cento anni fa quando scoppiò un focolaio di febbre molto forte che colpì l’intera cittadina, me incluso. Il mondo non fu informato di questa piaga, la storia venne subito insabbiata per non seminare il panico o, forse, per non dover dare spiegazioni sull’origine dell’epidemia. La situazione era tragica, i morti troppi, ed il governo nel giro di qualche settimana riuscì ad approntare una cura. Ci misero di fronte ad una scelta: soccombere alla malattia o inghiottire una pillola marrone di forma rettangolare dagli ignoti effetti collaterali. Non c’erano altre possibilità, prendere o lasciare. Nessuno avrebbe rifiutato la salvezza.

    Tutti navigavamo nel mare in tempesta su di una barchetta di carta quando, mentre stavamo per colare a picco, un transatlantico di passaggio ci aveva invitato, con voce suadente, a salire a bordo.

    Allora ero un ventitreenne, avevo sogni da realizzare, rivincite da prendermi ed il mio cuore era a pezzi per una ragazza morta qualche giorno prima a causa di quella letale influenza. Senza alcuna esitazione fui tra i primi a prendere il farmaco. Ricordo di aver rigirato tra le mani quella piccola pastiglia. Assomigliava ad una minuscola bara di legno, una cosa ironica visto che, ingoiandola, avrei posticipato il giorno del mio imminente funerale.

    Sono passati più di nove decenni da allora e oggi io, Adam Blake, ho sempre ventitré anni. Il mio corpo si è fermato all’istante in cui ho preso quella dannata medicina, non sono invecchiato e se mi ferisco non muoio. Ho provato a saltare giù da un viadotto, a spararmi, impiccarmi, prendere un’ingente dose di farmaci. Nulla. È come se il mio corpo si rigenerasse per riparare i danni subíti. Capisco che possa sembrare fantastico poter essere una sorta di supereroe, ma se a qualcuno fosse data la facoltà di entrare dentro di me avvertirebbe il senso di prigionia che provo. Sono un uomo bloccato in un involucro non più mio. L’idea di dover vivere in eterno mi uccide.

    All’inizio rammento quanto fosse tutto straordinario. Cominciammo ad avere dubbi sulla nostra mortalità a pochi mesi dall’accaduto, quando alcuni giovani ebbero degli incidenti stradali. Il primo fu Scott: la sua macchina uscì fuori strada e prese fuoco, ricordo il suo corpo avvolto dalle fiamme, il pronto intervento dei soccorsi, la disperazione dei suoi genitori e lui, il giorno seguente, senza nemmeno una cicatrice addosso. Potrei elencare decine di analoghe situazioni paradossali che sembrano uscite dalla mente malata di qualche regista di fantascienza.

    Dopo questi accadimenti arrivarono dei medici per farci dei test, qualcuno ci stava controllando in segreto. Alcuni esami approfonditi condotti dal governo diedero conferma ai nostri sospetti iniziali: la pillola che avevamo ingoiato aveva modificato il nostro DNA rendendoci immortali. Il giorno in cui ci è stato rivelato questo inaspettato effetto collaterale abbiamo organizzato una grande festa. Tutto aveva dell’incredibile, ci sentivamo invincibili, io mi sentivo Dio.

    C’erano ragazzi che sfidavano la morte in ogni modo certi di vincerla, persone che bruciavano crocifissi perché non aveva più senso pregare una divinità per avere garantita la vita eterna che già avevamo. È quella sera che alcuni di noi sparirono per sempre. Sono convinto che essi siano in qualche laboratorio sperduto chissà dove nel mondo, trasformati in cavie e costretti a subire esperimenti di ogni sorta. Ormai la fonte era stata scoperta, in tanti erano assetati di immortalità e ne volevano bere un sorso.

    D’un tratto l’euforia scemò e dovemmo scontrarci con il rovescio della medaglia. Alcune coppie ebbero dei figli che, però, erano mortali. Il nostro dono non veniva trasmesso geneticamente. Lo strazio delle famiglie fu enorme e così smettemmo di riprodurci per evitare questo dolore. Ci rendemmo inoltre conto di altri aspetti non secondari.

    Fisicamente eravamo rimasti fermi al giorno in cui avevamo preso il farmaco, mentre il nostro spirito era maturato con lo scorrere del tempo. Ormai sono un uomo fatto e finito e quando mi guardo allo specchio non riconosco la persona che ho di fronte. Tutti viviamo costantemente nell’attesa di qualcosa. Non fissiamo obiettivi, sappiamo di non avere scadenze e la certezza che per noi non ci sarà una fine ci ha portati allo sbando. Quello che più mi manca del prima è il senso di costante cambiamento che aveva la vita. Che valore ha adesso la mia esistenza, ora che ho la sicurezza che domani ci sarò e dopodomani ancora, in eterno? Mi sento una clessidra che non esaurirà mai la sua sabbia.

    Negli ultimi giorni ho riflettuto parecchio e ho deciso che devo mettere la parola fine al mio arco vitale. Per tale ragione sono partito presto per raggiungere un laboratorio abbandonato e incontrare un tale che forse può aiutarmi: è conosciuto con il soprannome di Oppenheimer.

    Voci insistenti che circolano da un po’ dicono che lui sia l’unico, il solo spacciatore di morte capace di neutralizzare un essere immortale.

    Dopo chilometri spesi a camminare nel nulla, chiedendomi se questo sarà davvero il mio ultimo giorno sul pianeta, ecco di fronte a me il laboratorio. Da fuori l’edificio appare dismesso, il vento sibila tra i vetri rotti delle finestre, le porte sono murate e le sterpaglie hanno ormai inghiottito nel loro verde abbraccio ogni centimetro di cemento. Dovrebbe esserci un’entrata laterale per accedere ai sotterranei, lì dovrei trovare Oppenheimer intento a preparare mix di droga per i suoi numerosi clienti. Scendo gli scalini, non ci sono rumori, solo silenzio, desolazione e degrado. Sbircio nell’enorme stanza spoglia nella quale sono appena entrato e vedo il mio salvatore in lontananza in un angolo. È minuto e si muove velocemente come un topolino. Non si è accorto del mio arrivo.

    Oppenheimer?, chiedo. Lui si gira lentamente puntandomi una pistola contro. Alzo le mani spiegandogli che voglio solo comprare qualcosa da lui. È paradossale, so che quella pallottola non mi ucciderà, ma la mia gestualità fa di tutto per cercare di preservare il mio corpo da quel colpo. Sono uno degli immortali, voglio soltanto comprare la dose letale.

    In tal caso… sei nel posto giusto, mi risponde l’uomo stirando i lunghi e sottili baffetti che lo fanno assomigliare ancora di più ad un ratto. Ci ho impiegato anni a creare la giusta combinazione tra i vari elementi, sai? Non puoi immaginare la mia soddisfazione. È da allora che io sono la Morte e sono diventato per tutti Oppenheimer. Ma dimmi, cosa ti porta a voler porre fine alla tua esistenza?, mi domanda.

    Non sono qui per fare conversazione. Se hai la dose, io ho i soldi, altrimenti tolgo il disturbo.

    Capisco, sei un uomo di poche parole che va dritto al punto.

    Mi avvicino a lui e gli consegno uno zaino pieno dei risparmi di una lunghissima vita. Oppenheimer apre il frigorifero e prende una siringa con del liquido già pronto per l’uso. Avverto che vorrebbe aggiungere altro ma lo anticipo con un ringraziamento veloce. Afferro il mio passaporto per il paradiso (o per l’inferno, poco importa), e risalgo di corsa le scale.

    Raggiungo il bosco antistante l’edificio. Voglio morire all’aperto, desidero che l’ultima immagine impressa nella mia retina sia una foresta piena di abeti. Ne trovo uno grande, potrei scommettere di avere la sua stessa età. Mi siedo e mi godo per qualche istante lo spettacolo della natura che ho di fronte: il canto allegro degli uccellini che volano al nido, il verde brillante del muschio che come un tappeto morbido ricopre le rocce, inspiro l’odore di foglie umide bagnate dalla rugiada mattutina e alzo lo sguardo sui lunghi tronchi degli alberi che si stirano verso il cielo terso. Mi tiro su la manica sinistra e osservo il tatuaggio che ho sul braccio: è il simbolo dell’infinito. Lo feci prima che tutto questo accadesse, mi sembrava di buon auspicio. Ora tutto appare beffardo alla luce degli accadimenti che sono capitati dopo. Ero un predestinato? No. Credo di essere nato nel posto sbagliato in un’epoca in cui è successo qualcosa di altrettanto sbagliato. Sono una vittima dei potenti che hanno giocato a dadi con delle persone incolpevoli.

    Poco importa ormai. Tiro fuori dalla tasca la siringa che mi ha preparato Oppenheimer. Stringo il pugno e individuo la vena, mi sembra quasi di vederla pulsare, desiderosa che l’ago la raggiunga. Pure stavolta

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