Marcello Del Monaco, il Maestro dei Tenori
By Donella Del Monaco and Elena Filini
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Marcello Del Monaco, il Maestro dei Tenori - Donella Del Monaco
Indice
Parte prima
Marcello Del Monaco, una vita fra musica e poesia
di Elena Filini
Ricordi
di Alberto e Giancarlo Del Monaco
Mario e Marcello
di Donella Del Monaco
Parte Seconda
Excursus storico sulle tecniche vocali
Scritti teorici di Marcello Del Monaco
Intervista di Marcello Del Monaco al fratello Mario
La tecnica di canto
a cura di Antonio Marcenò
Genesi del metodo
I fondamenti della tecnica dai nastri delle lezioni di Marcello Del Monaco
I punti cardine della tecnica Del Monaco
Arturo Melocchi. Cenni biografici
Caratteristiche del tenore italiano
di Franco Fussi
Parte terza
Le voci della scuola di canto di Marcello Del Monaco
Interviste e ritratti
a cura di Elena Filini
Primo periodo
Interviste
Angelo Mori
Nicola Martinucci
Gianfranco Cecchele
Silvano Carroli
Vito Maria Brunetti
Ritratti
Amedeo Zambon
Timo Callio
Oslavio Di Credico
Maria Luisa Carnio
Secondo Periodo
Interviste
L’archivio Ribichesu
Josella Ligi
Rita Lantieri
Maria Luisa Nave
Ritratti
Giuseppe Giacomini
Maurizio Frusoni
Bruno Sebastian
Peter Lindroos
Marcello Ferraresi
Michele Nardelli
Robert Kerns
Terzo periodo
Interviste
Corneliu Murgu
Beatrice Bianco
Ritratti
Silvio Eupani
Lorenzo Gaetani
Carlo Striuli
MARCELLO DEL MONACO
IL MAESTRO DEI TENORI
a cura di
Donella Del Monaco
ed Elena Filini
con un saggio di Franco Fussi
PARTE PRIMA
MARCELLO DEL MONACO,
UNA VITA FRA MUSICA E POESIA
di Elena Filini
Esistono storie di cui ti accorgi quasi per caso. Per cui l’enfasi è una modalità ben poco congeniale. È il motivo che le rende difficili e spesso sconosciute. Mancano infatti di quella spettacolarità che all’apparenza avvince. E ci sono uomini come alberi, la cui qualità viene pienamente espressa nel raccolto. Perché il loro tempo non è il presente, ma il futuro.
La famiglia Del Monaco ha saputo incarnare una perfetta epopea italiana del Novecento, fatta di lavoro e avventura, fortune alterne, arte e coraggio. E insieme è riuscita a esprimere, grazie alla personalità di uomini e donne non rassegnati a un destino preordinato, una vena nobile e guascona, restituendo il profilo romanzesco di anni che includono l’avventura americana e le colonie, la guerra e la ricostruzione. Guardando i Del Monaco attraverso la lente del tempo emergono com’è naturale capitoli individuali ma appare, anche, uno spirito unitario che incide, lungo il fluire del secolo breve, la traccia di una contiguità con l’arte che si rivelerà ben presto in due esperienze importanti. Quella del divo, acclamato dalle folle e icona dell’Italia del boom economico, e quella del preparatore di voci, figura più appartata ma non meno interessante sotto il profilo dell’eredità. Ecco che, spostando l’occhio dal primo piano, affiora un altro volto. Così un signore elegante e schivo, misurato in ogni gesto, un signore che parla lentamente con voce profonda e ama le parole almeno quanto la musica, con la sua vicenda privata aggiunge un tassello di non trascurabile importanza alla storia della vocalità italiana. Alcuni lo chiamano teatralmente ‘il Santo’, altri, con gratitudine, maestro. Il suo nome è Marcello Del Monaco.
Marcello Del Monaco (Montebelluna, 1959)
Secondogenito di Flora Giachetti ed Ettore Del Monaco, Marcello nasce a Firenze il 18 agosto 1919, quattro anni dopo Mario e undici anni prima dell’ultimogenito Alberto, da una famiglia di forti tradizioni musicali. La madre Flora è cugina di Ada Giachetti, celebre cantante, il cui legame con Enrico Caruso fece scalpore nell’Italia di primo Novecento, ma anche parente dell’attore Fosco Giachetti, uno dei volti più celebri della cinematografia fascista, due volte Coppa Volpi e immarcescibile protagonista dei grandi sceneggiati televisivi degli anni Cinquanta.
Enrico Caruso con Ada Giachetti
Fosco Giachetti
Discendente di una celebre famiglia di farmacisti fiorentini e nipote dell’organista di Santa Maria in Fiore, Flora incontra a Firenze Ettore Del Monaco, bell’uomo, entusiasta, figlio della principessa Caterina Vanni di Sanvincenzo. Una vena scapestrata è però subito ravvisabile. Ettore Del Monaco infatti, ventenne, alla morte della madre decide di farsi liquidare dal padre, che nel frattempo si era risposato, e tentare l’avventura americana. È così che a cavallo dei due secoli lo ritroviamo a New York a impiantare una manifattura di guanti. L’indole artistica e l’estro non si combinano però bene con gli affari: Ettore perde ogni cosa e scrive in ambasce al padre per chiedere il denaro per il biglietto di ritorno. È allora che il viceré palermitano spedisce oltreoceano al rampollo una busta con cinquemila lire e una semplice indicazione, per fortuna disattesa: «comprati un revolver e sparati».
Da sinistra: Flora Giachetti, Alberto, Mario ed Ettore Del Monaco
Quel che non si deve tralasciare nel profilo di questo «bel giovine» è la fascinazione per la lirica. Durante gli anni americani infatti Ettore Del Monaco diviene vicecritico musicale del «Progresso italoamericano». Aperto e curioso, è l’unica penna a recensire positivamente il debutto americano di Pelléas et Mélisande di Debussy.
Quando Ettore incontra Flora, l’orgoglio della famiglia Giachetti insorge, insieme alla preoccupazione che la figlia possa convolare con un affascinante ufficiale di cavalleria purtroppo nullatenente. I due però decidono ugualmente di sposarsi: le nozze si svolgono in maniera un po’ defilata presso le suore dove Flora aveva compiuto gli studi. Ora per i neoconiugi Del Monaco si tratta di costruire un futuro: è così che la famiglia, dopo il congedo del padre, si trasferirà prima a Cremona e poi a Tripoli, dove Ettore viene inviato come commissario del governo coloniale e Marcello frequenterà i primi tre anni di scuola elementare. Mario Del Monaco racconterà à la Hemingway questi anni in Libia nel volume La mia vita e i miei successi (Rusconi, 1982): naïveté musicale e premonizioni si mescolano in quella parentesi della vita dei Del Monaco. E nell’inospitalità conturbante del continente si preciseranno anche i rapporti tra Mario e Marcello. Essere fratelli in Italia nel primo Novecento ha una declinazione diversa rispetto al presente: è un legame totalizzante, viscerale non solo perché biologico. I quattro anni di distanza autorizzeranno sempre così Mario, primogenito, a chiamare il fratello ‘Marcellino’ e a instaurare un codice di affetti fatto di locuzioni ironiche.
Marcello Del Monaco durante il periodo bellico (Treviso, 1941)
Il caporal maggiore Mario Del Monaco (Milano, 1939)
Dopo tre anni, il piroscafo Solunto riporta la famiglia nel Belpaese. È il 1928: Ettore Del Monaco reinventa il suo diploma diventando ragioniere capo in diverse prefetture. Iniziano i viaggi attraverso l’Italia: Pesaro, Cremona e infine Treviso.
Gli anni di Pesaro, che Mario ricorda come «una cittadina sonora, canora e un po’ pettegola» equivalgono per i fratelli Del Monaco all’adolescenza, momento in cui i loro talenti vanno componendosi. Mario ha una propensione per la pittura e le arti figurative, mentre Marcello comincia a manifestare un’attitudine per le lettere e la poesia. In comune c’è però la musica, tanto che entrambi vengono iscritti dal padre al Liceo musicale Gioachino Rossini. I fratelli Del Monaco fanno così la conoscenza di Arturo Melocchi, una figura destinata ad avere grandissima influenza sulle loro vite future.
Mentre Mario viene iscritto prima a violino e poi definitivamente a canto, Marcello studia canto e composizione.¹ Il padre aveva puntato la sua fiche su di lui per la gradevole e strutturata voce da baritono, come racconta lo stesso Mario.
L’ultima stazione di trasferimento per Ettore è Treviso: così i Del Monaco arrivano nella Marca.
La guerra irrompe in questa famiglia come in tutte le famiglie d’Europa. Nel 1941 Marcello parte per le armi. Un anno prima aveva fatto il suo debutto con la raccolta poetica Pensieri, pubblicata da Nobili a Pesaro. Gli viene affidato un incarico impiegatizio nel Genio civile, dove conosce Teresa Rossi, di professione maestra ma lì impiegata come centralinista.
Tra una telefonata e un’attesa, la liaison tra i due diventa un’unione stabile: il matrimonio avviene nel 1946. Al termine della guerra Marcello Del Monaco, su suggerimento della moglie, ottiene un incarico come maestro elementare alla scuola di Selva del Montello (Treviso).
La famiglia, accresciuta dalla nascita della figlia Donella, realizza nel 1954 la méta di una casa di proprietà in collina, trasferendosi a Montebelluna.
Primissimi allievi di Marcello Del Monaco.
Da sinistra: il mezzo soprano Valeria Feretton, il pianista Ferretto, il soprano Maria Luisa Carnio, il padre Ettore Del Monaco, il baritono Renzo Zambon (1955 circa)
Da sinistra: Marcello e Donella Del Monaco, Angelo Mori, Toti dal Monte, Giovanni Ribichesu senior, Lino Martinucci, Teresa Del Monaco (Solighetto, Treviso, ristorante ‘da Lino’, metà anni ‘60)
Maestro di professione, Marcello Del Monaco lo diventò quindi nell’immediato dopoguerra. Maestro in senso artistico, depositario sul modello rinascimentale di una sapienza, lo divenne non per caso ma per destino. La cosa si precisò qualche anno più tardi, quando Del Monaco era ormai più disposto a considerare i suoi studi musicali come un bel ricordo che nella prospettiva di un’occupazione. Il successo internazionale di Mario Del Monaco iniziava a richiamare a Treviso molti aspiranti cantanti. Per questi il tenore era l’icona di una tecnica di canto da apprendere ed emulare. Ma Mario non insegnò mai, in senso stretto, canto. Tranne una volta. Fu con Gastone Limarilli, giovane fotografo montebellunese. C’era però il problema che Del Monaco non poteva garantire alcuna continuità al suo pupillo a causa degli impegni artistici. Fu così che il tenore si rivolse ancora al suo vecchio insegnante, il maestro Melocchi, che al tempo viveva a Milano. Fu poi su insistenza di Gastone Limarilli che Marcello iniziò a fargli fare ripassi di posizioni ed esercizi. Dopo gli interessanti esiti ottenuti da questo esperimento, l’atelier Del Monaco, nato in maniera atipica e spontanea, cominciò – proprio grazie alle pressioni di Limarilli – in breve a popolarsi di giovani voci provenienti da tutta Italia, tenori in prevalenza. In quegli anni, come verrà precisato nei successivi capitoli, a Montebelluna studiano i tenori Amedeo Zambon, Angelo Mori, Gianfranco Cecchele, Nicola Martinucci e Oslavio Di Credico, i soprani Maria Luisa Carnio e Jolanda Michieli, il basso Vito Brunetti, i baritoni Silvano Carroli e Gianluigi Colmagro e il contralto americano Dorothy Fischer. La scuola di canto di Marcello Del Monaco è agli albori, ma – nelle intenzioni del suo involontario promotore – non occupa ancora un ruolo così importante.
La costante in quegli anni e nel futuro sarà piuttosto la poesia: nonostante la crescente attività come insegnante di canto, il decennio dal 1955 al 1964 si contraddistingue per la diffusione della sua opera poetica.
Marcello Del Monaco fu infatti prima di tutto un uomo di lettere. Riflessivo, composto, mai però esangue pensatore. La visceralità estrosa dei Del Monaco ne aveva fatto un intellettuale che, mentre scrutava ogni notte le stelle (obbedendo alla passione per l’astronomia), aveva tutte le felici debolezze della terra, dall’amore per la vita concreta al piacere del rapporto con gli altri. Personalmente non spasimava per il palcoscenico, ma – caso piuttosto insolito – lo poteva vivere quasi direttamente attraverso un alter ego straordinario. Però amava la vita nella sua concretezza e passionalità.
Il maestro Del Monaco insieme al tenore Bruno Sebastian (Treviso, 1975 circa)
Lo ‘zio genio’, come lo chiamavano il fratello Mario e i nipoti, era un uomo charmant. E la poesia il suo primo strumento: rivelatosi negli anni Quaranta, si fece spazio nel panorama nazionale un decennio più tardi, con recensioni di Francesco Flora, Salvatore Quasimodo e Mario Ramous.
Da sinistra: i tenori Maurizio Frusoni e Rolando Ribichesu, Marcello Del Monaco, il baritono Roberto Caverni, il tenore Gianfranco Cecchele (Treviso, metà anni ‘70)
«Non sono poeta nel senso che ho qualcosa da dire agli altri – spiegava in un’intervista degli anni Settanta – infatti non ho ancora deciso bene cosa dire a me stesso. Trovo che conoscere il problema della vita, della verità, sia fondamentale. Lo è comparare la vita umana alle leggi dello spazio, sapere cosa significa il destino dell’uomo, la sua storia confitta nell’inflessibilità delle leggi naturali».
Nel 1956 l’editore Cappelli di Bologna pubblica il volume Come oggi, ieri. Poesie 1949-1956, mentre due anni dopo le sue liriche vengono inserite in trasmissioni radiofoniche per la WOV di New York, recitate da Dino Di Luca con un commento musicale scelto dal fratello Mario e per la RAI, all’interno del programma didattico ‘L’Antenna’. Nel 1958 Marcello vince il primo premio al concorso di poesia ‘Premio Tipo’ di Padova, organizzato dal Gruppo Incoraggiamento Autori Contemporanei Italiani e l’anno successivo il primo premio al concorso letterario ‘Silvano Pandozy’. Nel 1960 pubblica il volume … E l’albero si spoglia (Padova, Amicucci) e riceve il diploma solenne d’onore al quarto Concorso nazionale di poesia ‘Alfea’ di Pisa, mentre due anni dopo ottiene il premio segnalazione della giuria al Concorso nazionale di poesia ‘U. Zannoni’ di Verona.
L’ispirazione personale, il tema degli affetti e dello scorrere del tempo, filtrati da una patina quasi crepuscolare, sono le caratteristiche della poesia di Marcello Del Monaco. Una lingua quasi montaliana, che fa ruotare il senso dei grandi eventi dentro il minuscolo e il quotidiano, fornisce linfa al suo poetare. E tuttavia, pur condividendo con il poeta ligure la passione per il teatro d’opera, Marcello amava fare un distinguo: «non sono d’accordo con Montale, perché i momenti io li vivo».
La penna è spesso velata da una forte consapevolezza della finitudine umana.
Marcello Del Monaco riceve dal sindaco di Treviso Alessandro Tronconi la medaglia d’oro, primo premio al concorso letterario ‘Silvano Pandozy’ (Treviso, 1959)
Ruotano le stelle/sui casolari spenti/dove l’uomo ha raccolto/tutta la stanchezza/della terra; e forse qui sta il destino/nel girovagare/di questo cerchio implacabile di luna/sui monti e per le strade/eterno./Contro i vetri/bui della finestra brillano/fuochi di città laggiù/come macerie;/e tu, unico fiore dei deserti,/ora mi dici addio,/un invincibile addio.