SeMente. Storia di un piccolo seme
By Diego Nicita
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SeMente. Storia di un piccolo seme - Diego Nicita
perché
SeMente
Miriadi di granelli di sabbia bianca, dove lascio sprofondare le mie mani. Mi ancoro alla terraferma, seduto proprio al confine tra il certo e l’incerto. Sul bagnasciuga, lascio che il mare provi a trascinarmi in quell’acqua limpida e cristallina, l’oceano.
Sabato pomeriggio di febbraio, fa caldo a Ipanema e stranamente, c’è poca gente in spiaggia. A vista d’occhio, lungo la baia, vedo un palco dove una band si sta esibendo. Una gran caciara, in quella spiaggia!
Si sente, da lontano, un ritmo coinvolgente: tamburi, fischietti e urla di gente che danza e canta a squarciagola, come accade già da un mese qui, in Brasile, per il carnevale.
Proprio non mi va. Voglio godermi questa spiaggia bianca; seguo, con lo sguardo, il verde delle altissime palme che, dall’acqua, si estendono fino a quel che sembra, a prima vista, un enorme mattone rosso. Tante case, forse troppe! Abitazioni e vicoli che si possono intravedere solo da lontano. Mai mi azzarderei ad andare vicino alla famigerata favela di Rocinha.
Che paradiso e che meraviglia questa brezza tra i capelli! Un senso di tranquillità mi pervade, finché il vento, soffiando, sventola della carta vicino a me.
Il tempo sembra volare quando si sta bene, oramai sono in spiaggia da molte ore ormai e la sabbia, trasportata dal vento, ha quasi nascosto, il blocco di pagine bianche tradite dal telo blu, che le fa risaltare, come se dicesse: Guarda, sono qui!
Sfoglio quelle pagine e avverto un senso di orgoglio misto a tristezza per quei documenti che ho tra le mani. Aveva ragione il biologo francese il Dr. Bernard Gibaut a sospettare qualcosa e confidarsi con noi. Qualcosa sta accadendo nei laboratori della OGMaster. Bisogna fermare l’operato di questa multinazionale di biotecnologie agrarie quanto prima possibile!
disse, con tono saccente.
Stringo al petto quel dossier e mi sdraio a pancia in giù, guardando verso l’orizzonte.
Il sole, simile ad una palla di fuoco, va dileguandosi poco a poco nel mare increspato, mentre, strisce di nuvole, dal blu al rosso, fanno da contrasto alla spiaggia dorata. Poco distante da me, Joau si è addormentato a torso nudo e adesso è coperto di sabbia tanto da sembrare una cotoletta: che tipo!
.
Rivedo il dossier e leggo il titolo: Evoluzione della qualità alimentare e ripenso a quello che è successo l’altra notte. Scene confuse e veloci, nella mia mente, si susseguono.
Ripenso a Joau che, entrando in macchina, chiude lo sportello e mi grida: Puoi partire!
Ingrano la marcia e, insieme, lasciamo i magazzini di quel complesso industriale il più velocemente possibile. Le luci giallastre dei lampioni scorrono veloci, il vento fresco della sera entra dai finestrini ed asciuga le gocce di sudore che mi scendono dalla fronte. Qualcosa non è andato come previsto! La persona che doveva coprirci ha fallito! Usciti dal quel capannone, si accendono, d’improvviso, mille fari bianchi, ci avevano scoperto!
Sirene iniziano a suonare. L’aria è carica di tensione. Dobbiamo dileguarci in fretta e non è facile!
Mentre Joau era negli uffici dell’amministrazione, per trovare prove concrete sull’ipotesi formulate dal Dr. Gibaut, io ho forzato la porta e sono entrato nel magazzino merci, ho caricato il furgone con tutti i sacchi di juta che avevo trovato, riempiendolo fino all’orlo e adesso è a pieno carico.
Con uno sguardo d’intesa iniziamo questa folle corsa. Andiamo velocissimi; dallo specchietto retrovisore, vedo i fari delle auto che ci inseguono sempre più lontani. Joau, mi intima di andare più veloce poiché anche la sicurezza privata ci sta inseguendo.
Schiaccio l’acceleratore a fondo, gli scricchiolii del vecchio furgone diventano sempre più acuti. Ci allontaniamo dalla zona industriale, dileguandoci tra le vie strette dei palazzi. Dietro di noi, diverse auto ci inseguono; alla sicurezza privata si è aggiunta la Polizia federale. L’unica salvezza è nascondersi, andare verso la montagna dove la vegetazione è più folta!
«Joau guarda giù, com’è il fiume, che dici, possiamo farcela?»
«Assolutamente no! Sta piovendo ed il fiume è in piena. L’acqua è alta e scorre troppo velocemente. Saremo trascinati, non possiamo attraversarlo, dobbiamo proseguire e passare dal ponte a lato nord!»
La strada rossa, di terra battuta, non facilita le cose. Dopo una curva, imboccata troppo velocemente, finiamo fuori strada. Il furgone comincia a girare su se stesso ed andiamo a sbattere contro un albero. Il faro destro, a causa dell’urto, si spegne distruggendosi in mille pezzi. Joau mi grida: Cosa combini, vuoi ammazzarci?!
Tutto appare sfocato. Mi sanguina il labbro, ho sbattuto la faccia sullo sterzo, sudo freddo e mi sento svenire. Un senso di calma apparente mi pervade ma non mi lascio andare. Mi asciugo la fronte con la manica della camicia, riaccendo il furgone che si è spento e riprendo la folle corsa.
Il rombo del motore mi rianima e dà conforto, come se tifasse per noi! Non possiamo rischiare di finire in prigione, ci siamo spinti troppo oltre ed essere rinchiusi in una prigione brasiliana, di certo, non è la nostra massima aspirazione.
Il paesaggio cambia, sempre meno abitazioni e la vegetazione si infittisce. Entriamo nel bosco, salendo su per la montagna. Dall’alto riusciamo a vedere la città. Il buio pesto, dietro di noi, ci dà sollievo. Siamo riusciti a far disperdere le nostre tracce, svanendo nel nulla. Le luci della città sono adornate da fuochi d’artificio e come fontane nella notte, ricordano il clima di festa carnevalesca poco lontano da noi. Di sicuro, fiumi di gente tra le strade ballano intorno alle vie del centro; un via vai di persone in maschera. Colori e piume scintillanti passeranno dal sambodromo, un’enorme festa che durerà tutta la notte e quelle a seguire. Noi, ovviamente, non possiamo essere tra la folla, anzi, è tempo di andare.
Fa molto caldo, anche se è notte e il cielo limpido mostra tutti i suoi gioielli: puntini d’oro, stelle che ci accompagnano e illuminano la