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Sposata col chirurgo: Harmony Bianca
Sposata col chirurgo: Harmony Bianca
Sposata col chirurgo: Harmony Bianca
Ebook162 pages3 hours

Sposata col chirurgo: Harmony Bianca

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About this ebook

Quando l'ergoterapista Jillian Keyser si rompe un polso, l'ultima persona da cui vuole essere curata è il suo ex marito, il dottor Conor McCarthy, l'uomo che le ha spezzato il cuore. Solo che Conor è un dei migliori chirurghi ortopedici in circolazione e lei sa di avere bisogno del suo aiuto.

Costretta a vivere di nuovo con lui, Jill rivive sulla propria pelle l'attrazione che li legava un tempo, come anche i motivi che hanno portato alla rottura. Conor è ossessionato dal lavoro e dal successo, mentre le insicurezze di Jill la travolgono inducendola a credere di venire sempre al secondo posto.
Tuttavia, nonostante le iniziali difficoltà, la loro connessione cresce giorno dopo giorno...
LanguageItaliano
Release dateOct 20, 2020
ISBN9788830520059
Sposata col chirurgo: Harmony Bianca

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    Sposata col chirurgo - Robin Gianna

    successivo.

    1

    «Giù! Giù, Hudson. Giù

    Vedendola sorridere, il cane decise di non prenderla sul serio e continuò a leccarle il viso con entusiasmo. Lei si arrese e lo abbracciò. Ma al canile non le avevano assicurato che sarebbe stato di taglia media? Di sicuro un cane di taglia media non avrebbe potuto metterle le zampe sulle spalle per salutarla... In ogni caso tra loro era stato amore a prima vista.

    «Sei bravissimo, e anche io sono tanto felice di vederti.» Gli sorrise e provò ad allontanargli le zampe, mentre l'altro cane, uno Yorkshire Terrier non più grande di un topo, le morsicò l'orlo dei pantaloni.

    «Smettila di mordermi con quei tuoi dentini affilati, Yorkie. Smettila, dai!»

    Si liberò la gamba con uno strattone. La leggera instabilità che le procurò quel movimento non la metteva più a disagio, come invece accadeva da bambina e poi da adolescente, anche molto tempo dopo l'intervento. Crescere con due gambe di diversa lunghezza non l'aveva certo aiutata molto a sentirsi a suo agio in mezzo alle persone e spesso l'aveva fatta diventare vittima di qualche bulletto. Ma per fortuna oramai era acqua passata. Nessuno avrebbe mai sospettato quanto avesse sofferto.

    Si accosciò per abbracciare anche Yorkie. Il benvenuto affettuoso dei suoi cani le strappò un sorriso. Non c'era niente di meglio dell'amore incondizionato degli animali, no? Non bisognava preoccuparsi se ti volessero davvero o meno, se fossero arrabbiati con te o mortificati. Ti amavano e basta.

    «Okay, lo so che dopo una giornata chiusi qui dentro siete annoiati a morte. Ma ora sono qui. E abbiamo un sacco di tempo per passeggiare prima che diventi buio.»

    La parola passeggiare provocò da parte dei due cani ulteriori segnali di festa. Jillian percorse il breve tragitto che la portava nella camera da letto del suo minuscolo appartamento di New York. Un letto matrimoniale e un armadio, non ci stava altro. L'appartamento non era certo stato progettato per contenere anche degli animali, meno che mai grandi come il suo Hudson.

    Un nodo le strinse la gola ripensando al motivo per cui era finita ad abitare lì, invece che nella casa spaziosa di prima. La casa che aveva condiviso con il suo ex-marito fino a quando, dopo appena un anno, il loro matrimonio si era disintegrato. La casa che, come aveva sentito da qualche pettegolezzo, lui aveva venduto per trasferirsi in un grande attico in una zona ancora più esclusiva della città. E dove lei si sarebbe trovata anche peggio.

    Ma continuare a pensarci era inutile, no? Il suo matrimonio era finito, concluso, kaput.

    Dal primo secondo che i suoi occhi si erano posati sul suo ex-marito, le era sembrato che le crollasse la terra sotto ai piedi. Un vero e proprio terremoto, mai sperimentato prima, e dal quale non era riuscita a salvarsi. Due cene fuori e si era innamorata perdutamente di lui. Poi il matrimonio, veloce e fastoso, anche se la sua vocina interiore non aveva cessato per un istante di ripeterle che era tutto troppo bello per essere vero. Dentro di sé, nel profondo, aveva sempre saputo di non essere la donna giusta per diventare la moglie di un uomo come lo stacanovista super-chirurgo del jet-set Conor McCarthy.

    Non voluta, le si formò nella mente l'immagine del suo sorriso accattivante, dei capelli biondi, del viso bello da togliere il fiato. Chiuse di scatto gli occhi per allontanarla. Le bastava già la prospettiva di doverlo vedere dal vero ogni giorno. Come sarebbe riuscita a lavorare di nuovo con lui?

    La settimana prima, il suo capo alla Consulenti di terapia occupazionale le aveva detto che doveva tornare nella compagnia dove aveva conosciuto e lavorato con Conor, e ne era rimasta così frastornata che si era accasciata sulla sedia. A quanto sembrava, la CTO intendeva spostare il proprio focus esclusivamente sulla terapia della parte inferiore del corpo, tralasciando mani e polsi, il che significava che si sarebbe dovuta trasferire di nuovo all'HOAC, il centro ortopedico per mani e braccia di proprietà di Conor. Rivederlo sarebbe stato come grattare via la crosta sulla ferita del suo cuore, e farlo riprendere a sanguinare.

    L'unica via di uscita era la fuga, sperare che il colloquio fissato per la settimana successiva nel Connecticut la portasse lontano da New York e da Conor. Una casa là le sarebbe costata anche molto meno, così avrebbe potuto permettersene una più spaziosa. Sì, avrebbe sentito la mancanza della metropoli e degli amici, ma trasferirsi sarebbe stato un bene. O almeno così sperava.

    Trasse un profondo sospiro. In quel momento ogni preoccupazione era inutile. Scosse la testa per dissolvere quei pensieri fastidiosi, e si cambiò, infilandosi un paio di leggings e delle sneakers. Per essere dicembre a New York era una giornata incredibilmente mite. Meglio approfittarne, prima che il cielo diventasse plumbeo e la neve ricoprisse la città.

    Non appena i cani videro i guinzagli iniziarono a scodinzolare entusiasti, e Yorkie si concesse anche qualche giravolta, strappandole un sorriso. Per fortuna che le erano rimasti almeno quei due! Lei e Conor li avevano scelti insieme al canile la prima settimana dopo la luna di miele. Al ricordo di quel giorno e di tutti quelli apparentemente idilliaci e perfetti che avevano trascorso insieme prima della parola fine, il cuore le mancò un battito.

    «Coraggio, voi due!» esclamò, affrettandosi verso l'ascensore. Aveva proprio bisogno di una boccata di aria fresca. Chissà che non l'aiutasse a mettere da parte quei pensieri deprimenti... «Oggi fa meno freddo di ieri, quindi faremo una passeggiata ancora più lunga. Contenti?»

    Le lingue a penzoloni in una specie di sorriso canino, i due animali si misero a camminare verso il parco, a qualche isolato di distanza. Quando svoltarono l'angolo, si trovarono davanti due enormi cani neri, della stessa stazza di Hudson, al guinzaglio di un signore piuttosto basso e anziano. Di solito Hudson e Yorkie non avevano problemi con i loro simili, ma nell'istante in cui videro quei due, digrignarono i denti e cominciarono ad abbaiare furiosamente.

    «Ragazzi, dai, va tutto bene» disse Jill, girandosi per vedere se ci fosse un modo di attraversare velocemente la strada. Ma il semaforo era appena diventato verde e le auto sfrecciavano a tutta velocità.

    Proprio mentre stava per girare attorno al semaforo per cambiare direzione di marcia, i due cani neri attaccarono i suoi. Hudson balzò via, facendola inciampare, e Yorkie corse sotto le gambe dei due.

    In panico, Jill provò a piantarsi a terra, cercando di recuperare il controllo dei propri animali. Nel tentativo di fare altrettanto, il padrone degli altri due si mise a gridare. Intanto, i guinzagli di Hudson e Yorkie si ingarbugliarono attorno al palo del semaforo, e senza quasi accorgersene, Jill si ritrovò sbattuta a terra. D'istinto, provò a reggersi con la mano destra, ma nel momento in cui atterrò sul manto stradale un dolore intenso le si irradiò lungo tutto il braccio.

    Maledizione! Chiuse gli occhi, strinse con l'altra mano i guinzagli e si rese conto in un secondo, senza il minimo dubbio, di essersi rotta il polso. Come avrebbe gestito i due cani ora?

    «Mi scusi!» disse l'uomo, senza fiato.

    Jill lo guardò. Il semaforo era cambiato, e grazie al cielo l'uomo stava correndo dall'altra parte della strada, per allontanare i propri cani dai suoi. Con cautela, si mise a sedere. Il polso era già gonfio.

    Una passante le si avvicinò e afferrò i guinzagli dei cani per districarli dal palo del semaforo e tra di loro. «Va tutto bene?» le chiese con gentilezza.

    «Credo di no.»

    Tremando, Jill aprì la borsa e cercò il cellulare. Poi realizzò che non aveva nessuno a cui lasciare Hudson e Yorkie mentre andava in ospedale. Né le sue amiche della Terapia occupazionale, che non rispondevano mai ai loro cellulari personali quando erano al lavoro. Né i suoi genitori, che abitavano in Pennsylvania. Né sua sorella, che stava in New Jersey ed era fuori città per lavoro. E nemmeno Conor. Lui meno che mai.

    «Devo andare a casa.»

    «L'aiuto con i cani. Abita distante?»

    «No, a un paio di isolati da qui. Grazie... io... grazie davvero. Mi sono rotta il polso e con i cani potrei avere qualche problema.»

    «Non si preoccupi, andrà tutto bene. Su, belli!» La donna diede un colpetto ai guinzagli e i due animali la seguirono docilmente.

    «Si vede che è una dog-sitter rodata» commentò Jill, con un sorriso tirato. «E in questo frangente è anche il mio angelo custode.»

    «Be', non capita spesso di poter essere l'angelo custode di qualcuno, quindi grazie. Mi dispiace solo che si sia fatta male» rispose la donna. Poi le sorrise. «Mi chiamo Barbara Smith. Ha bisogno di aiuto per alzarsi in piedi?»

    «No, io... ce la faccio, grazie.» Usando la mano sana come perno, Jill si rese conto che non andava bene per niente. Si augurava solo che fosse una semplice distorsione, senza bisogno di intervento chirurgico o di terapie tipo quelle a cui lei stessa sottoponeva i propri pazienti. Ma le bastò un'occhiata al polso per rendersi conto che non era stata così fortunata. Aveva una strana angolatura e la pelle stava diventando pallida.

    «Allora, cara, mi mostri dove abita, così può andare subito al pronto soccorso.»

    «A due isolati da qui. Io sono Jillian Keyser, comunque.»

    «Le direi che sono felice di conoscerla, se non fosse per le circostanze.»

    «Già...»

    Il dolore che ancora le si irradiava lungo il braccio, Jill se lo strinse protettivamente contro lo stomaco. Il tragitto verso casa non era lungo, ma non aveva voglia di parlare. Barbara, al contrario, iniziò un lungo monologo sui cani, la città e i parchi in cui spesso portava i propri animali.

    Quando finalmente giunsero alla meta, Jill si voltò verso il suo angelo custode. «Davvero non so dirle quanto le sia grata per il suo aiuto. Senza di lei non so proprio come me la sarei cavata.»

    «Non occorre che mi ringrazi. È stata una fortuna che fossi al posto giusto nel momento giusto, tutto qui.»

    «Grazie di nuovo.»

    La porta si chiuse. Jill trasse un paio di sospiri e si accinse a versare con una mano sola dell'acqua nelle ciotole dei cani. Poi si mise a valutare il passo successivo.

    Il centro chirurgico dove lavorava prima del divorzio annoverava alcuni dei migliori chirurghi della mano e del polso di New York City, uno dei quali era il suo ex-marito. Nei dieci mesi trascorsi alla Consulenti di terapia occupazionale, Jill aveva avuto modo di farsi un'idea dei professionisti che vi esercitavano, ma la verità era che si sentiva più a suo agio a rivolgersi a qualcuno che conosceva bene. Qualcuno che l'avrebbe spedita subito a fare una lastra e che non sarebbe corso a spifferare tutto al dottor Conor McCarthy, se lo avesse pregato di evitarlo.

    Afferrò il telefono, inspirò profondamente e compose il numero dell'HOAC.

    «Buongiorno, sono Jillian Keyser. Tempo fa ho lavorato per voi come terapista occupazionale... Ah, ciao, Katy! Sì, è da tanto che non ci si vede... Senti... posso parlare con la dottoressa Beth Crenshaw? Non ci crederai, ma temo di essermi rotta il polso.»

    «Giornata abbastanza leggera oggi» disse Conor McCarthy nello spogliatoio agli altri due chirurghi ortopedici.

    «Sì. Per fortuna arriva la stagione della neve e del ghiaccio. Per gli affari è una vera fortuna» scherzò Bill Radcliff.

    Conor rise sommessamente. Bill era un giocherellone. «Non farti sentire dai pazienti, o finirai su tutti i social network.»

    «È una sfortunata realtà che il nostro lavoro consista nell'esserci quando una persona si è fatta male... ma ai miei pazienti va bene così.» Bill sorrise. «Anche se quelli che si ostinano a correre anche d'inverno, invece di starsene rintanati al calduccio fino a primavera, mi stupiscono sempre. Non sai quanti finiscono con il cadere e rompersi qualcosa...»

    «Immagino.»

    Al parlare di runner Conor sentì un tuffo al cuore.

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