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I Dodici Profumi: Profumi di sogni infranti e storie di vite spezzate
I Dodici Profumi: Profumi di sogni infranti e storie di vite spezzate
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I Dodici Profumi: Profumi di sogni infranti e storie di vite spezzate

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About this ebook

Storie di sogni infranti, di vite spezzate, d’innocenza perduta, di peccati, di purezza, di solitudine, di speranza, di vita e di morte. Storie che portano con sé gli odori della delusione e le fragranze delle illusioni.

Racconti che fanno comprendere di essere dei fantasmi del passato, il cui unico scopo è quello di essere ricordati per i propri sogni, per le proprie debolezze, per le proprie aspirazioni.

Vite di sognatori e sognatrici che hanno lasciato, nella loro semplice esistenza, solamente delle deboli ombre perpetue. Storie al passato, dove tante cose vengono tolte e un po' meno vengono date.

Dodici vite a caso, di dodici antieroi.
Dodici anime turbate, dodici false speranze e dodici vane illusioni, perché tutto ciò che è bene sopravvive… Sempre!


L’autore

Mauro Reschini è un affermato manager nel mondo della moda italiana, che ha lasciato la sua carriera manageriale per dedicarsi a quella di scrittore. Ha voluto così esaudire un suo sogno da sempre nei suoi pensieri e nei suoi desideri. Con il suo primo libro “La Scultrice” ha iniziato quella che egli vorrebbe diventasse la sua nuova vocazione: essere uno scrittore di storie, di passioni e di coscienze, nelle interpretazioni dell’amore verso qualcuno e verso qualcosa.
LanguageItaliano
Release dateSep 30, 2020
ISBN9791220202329
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    I Dodici Profumi - Mauro Reschini

    Mauro

    PROLOGO

    Cos’è in fin dei conti la vita se non lo sfavillare di piccole e molteplici luci nella buia oscurità della morte?

    Anche stasera come altre molte sere in passato, avrei avuto del lavoro da svolgere. Anche stasera come tantissime altre volte, avrei raccontato e ascoltato una storia struggente.

    Erano oramai le ore 20,00 e non avevo ancora cenato, ma decisi che mi sarei fermato strada facendo, per un pezzo di pizza ai funghi e una Peroni. Guardai verso il grande camino di marmo nero della sala, dove avevo trascorso il pomeriggio a leggere alcuni nuovi libri che avevo da poco acquistato in una libreria in Piazza del Popolo. Il fuoco ardeva ancora, ma entro breve si sarebbe spento nella sua cenere, come accadeva ogni qualvolta lavoravo di sera. Di solito lo lasciavo consumarsi di proposito, per ritrovarmi un po’ del suo calore al rientro dal lavoro.

    Mi alzai dalla mia poltrona, che nonostante l’età riusciva ancora a far percepire il suo profumo di cuoio stagionato. Ricordo che quella poltrona era sempre stata in quella stanza, testimone insieme al cuoio ormai consumato, di anni di servizio per il riposo di mio padre e poi del mio; una stanza con un bel lampadario di bronzo che pendeva dal soffitto sopra un tavolo rettangolare, zeppo, di solito, di libri e di giornali. La televisione era ancora accesa, mentre al telegiornale della sera avevano appena comunicato che da lì a poche ore il presidente degli Stati Uniti D’America avrebbe annunciato la proposta di utilizzare un sistema di difesa balistica chiamato scudo spaziale.

    Rimasi solo un minuto ad ascoltare di cosa si trattasse, visto la mia irrefrenabile curiosità per tutto quello che non conoscevo, ma poi essa non mi sembrò qualcosa degna di nota, se non per una semplice e fugace occhiata. Non perché l’avvenimento fosse irrilevante, ma perché tutto ciò che riguardava ancora, una guerra fredda mai finita tra la Russia e l’America, aveva perso quella spaventosa concretezza, grazie all’arrivo di un nuovo leader sovietico che avrebbe contribuito per sempre all’abbattimento del famoso muro che divideva le terre dell’ovest a quelle dell’est del mondo.

    E poi, francamente ero troppo vecchio per dare importanza a un futuro tecnologico che stava trasformando un mondo che non avrei mai potuto comprendere. Una tecnologia basata sui moderni computer che a breve avrebbero rivoluzionato la vita di tutti gli esseri umani, ma non la mia. Io nacqui in un periodo dove il carbone faceva sentire avanzata una qualsiasi società e una qualsiasi nazione.

    Come avrei potuto quindi intendermi di razzi spaziali, di laser atomici o di computer tecnologici? Avevo comperato il televisore a colori per rendermi partecipe di quegli unici cambiamenti tecnologici che avrei potuto gestire. Altro di più, ormai, non potevo comprendere, in una casa in cui tutto era obsoleto al cospetto di quegli anni.

    Così, senza che quella notizia avesse acceso la mia curiosità o la mia attenzione, spensi il televisore e diedi un’ultima occhiata rassicurante dentro la mia casa, dove il buio a quell’ora si era addensato ormai come un muro invalicabile d’ombra.

    Chiusi la porta del grande appartamento e mi sentì subito rabbrividire nella mia solitudine. Scesi le scale, lasciando dietro di me un flebile eco di passi. Le scesi guardando, attraverso le sue finestre, il profondo giardino che era incastonato nelle mura interne di quell’antico edificio. Arrivai quindi al grande portone del palazzo di mia proprietà. Avevo iniziato a percepire un po’ di fame, così mi feci trasportare dall’idea che una volta uscito avrei mangiato della ottima pizza calda e filante.

    A me piaceva la pizza per il suo gusto delizioso a ogni boccone e anche per il profumo che lascia intorno a sé una volta tenuta, gocciolante, nella mano. Proprio il tepore di quel mio pensiero e il calore rimasto ancora in corpo da un pomeriggio trascorso vicino al fuoco, fece sì che non appena varcato il grande portone di legno, una sferzata di gelida aria sembrò paralizzarmi all’istante.

    Era una bella serata di marzo ma faceva ancora molto freddo, quel tipico freddo invernale delle nostre colline che si alterna a giornate più temperate.

    Tirai su il bavero del mio loden verde; aggiustai il mio lobbia in feltro nero che avevo in testa e mi incamminai verso il luogo di lavoro, con l’intenzione però di fermarmi in una calda e confortevole pizzeria. Attraversai l’arco che permetteva di uscire dalla Piazza del Popolo, dove se pur debole, il vento sembrava raffreddare ancor di più quella pungente serata. Camminai per un po’ verso la pizzeria, condotto dal profumo di centinaia di pizze sfornate in continuazione per tutto il giorno. Aprii la porta di vetro tutta appannata e gocciolante di condensa, quasi nel mentre il giovane proprietario stava per chiuderla dopo una giornata intera di lavoro.

    «Buonasera signor Bartolomeo,… stiamo chiudendo ma lei è sempre il benvenuto. È rimasta qualche pizza che volevamo portarci a casa, se vuole la condividiamo volentieri con lei!»

    Queste furono le parole di quel simpatico ragazzo che indossava una maglietta bianca prendendosi in pieno il freddo che entrava nel locale, mentre io sembravo esitare.

    Entrai al caldo del forno appena spento e gli dissi cortesemente, con un po’ di timidezza, di darmi solo un pezzo e di farcirla con un po’ di funghi, che erano rimasti in una ciotola non ancora riposta in frigo. Visto che ero un cliente abituale, fin da quando suo padre aveva questo piccolo locale, me la diede volentieri insieme a una bottiglietta di birra.

    Restai al caldo giusto in tempo per mangiare e bere quella frugale cena, mentre guardavo, fuori dai vetri appannati dalla condensa, le luci della sera e qualche gruppetto di ragazzi appoggiati al muretto a conversare e a fumare sigarette. Pagai e salutai quel giovane ragazzo, chiedendo di mandare i miei più cari saluti alla sua famiglia che ormai conoscevo da moltissimi anni.

    Uscì dalla pizzeria e ancora una volta quella sensazione gelida su un corpo riscaldato, mi colpì con forza, fino a che non iniziai ad abituarmi a essa, camminando nel viale che mi avrebbe portato fino al luogo del lavoro.

    Come ogni giorno e come ogni sera, arrivai al belvedere di quel lungo viale.

    Di fronte a me si aprii uno spettacolo meraviglioso di paesini collinari e di cittadine della costa marchigiana. Le luci di quei piccoli agglomerati urbani sfocavano con leggerezza nel buio delle campagne sovrastanti, in quel panorama notturno tipico di quella zona.

    Quella serata sembrava essere più limpida del solito in quell’inverno che ormai stava aprendosi alla primavera. Quelle luci dal color ambrato, sembravano come stelle di un cielo al contrario, mentre gli astri di quella notte serena, assomigliavano a lucciole che sfavillavano in un mondo alla rovescia.

    Proprio quel mondo sottosopra era la mia vita.

    Così pensai profondamente, che il vero mistero del mondo è il visibile,…non l’invisibile!

    Io avevo vissuto la morte come compagna della vita, mentre gli altri vivevano la morte come fine della stessa. Feci un sospiro profondo di malinconia, quella malinconia che ti avvolge quando guardi il grande buio illuminato da piccole stelle e quando osservi la morte illuminata, da luci di vite passate.

    La morte può essere indistinguibile nel buio come la luce è indistinguibile nella morte!… Tutti gli uomini vengono dalle tenebre e ritornano nelle tenebre.

    Mi incamminai nel silenzio rotto da qualche sporadica parola di persone che tornavano a casa per la loro cena, mentre io stavo per iniziare il mio nuovo giorno,… anzi, la mia notte di lavoro.

    In quella mia passeggiata per arrivare, pensai ancora una volta come l’esistenza fosse solo un interruttore creato per spegnere e accendere la vita. E da quel pensiero uscì, come sempre la fragorosa riflessione, che io avevo scelto per mia volontà, di seguire lo spegnersi di quell’interruttore.

    Mi lasciai alle spalle quel bellissimo panorama, per addentrami nelle luci di una via cittadina illuminata da molteplici lampioni in ferro battuto. Di fianco a loro, come una carta da parati in trompe-l’œil, c’erano i grandi portoni di palazzi seicenteschi, c’erano le botteghe dalle vetrine ancora illuminate e le serrande di bar appena chiusi.

    Erano solamente le 20,30 ma in quella strada, al cospetto di grandi palazzi antichi, sembrava essere già notte fonda. E se anche in quella serata il freddo faceva da padrone, lasciando quella via nella solitudine che a me era più familiare, si poteva ben intuire agli occhi di persone attente, che essa di giorno era invece piena di vita. Una vita di una piccola città che aveva inciso, in quella pavimentazione in basolato di piperno, la sua secolare storia!

    Continuai il mio solitario cammino.

    Il silenzio era mutato!

    Nella strada sottostante, qualche auto circolava fermandosi brevemente per dare una precedenza che a quell’ora non sembrava interessare a nessuno. Oltrepassai la strada sopra delle strisce pedonali rimaste appena accennate. Mi ritrovai di fianco al grande complesso carcerario, illuminato in tutte le sue mura. Quelle luci sembravano dare vita a un luogo dove invece la vita veniva rinchiusa. Lo superai e mi trovai di fianco al Santuario della Misericordia, dove il suo cancello in ferro era stranamente ancora aperto. Decisi di entrare pensando che esso fosse rimasto spalancato per aspettare l’ultima preghiera di qualche fedele. Mi fermai di fronte al portone che sembrava essere socchiuso. Lo aprì con delicatezza e con sorpresa mi ritrovai nell’eco maestoso del silenzio di un luogo di fede. Il portone scricchiolò, disturbando per alcuni attimi quella pace che in una chiesa vuota regna sovrana.

    Mi avvicinai all’acquasantiera.

    Immersi alcune delle dita nell’acqua benedetta e mi feci il segno della croce piegandomi in un rispettoso inchino di fronte all’altare. Sussurrai in quella quiete profonda una breve preghiera.

    Rimasi a riflettere qualche minuto perché il destino avesse fatto sì che quella chiesa fosse aperta e allo stesso tempo vuota,… ma forse era meglio non sapere che saperlo a metà! Mentre mi guardavo intorno, girando su me stesso, facendomi avvolgere dallo spettacolo della sacra bellezza, pensai che quella inconsueta occasione mi fosse stata regalata per un motivo a me ancora sconosciuto.

    Quel luogo riuscì a darmi la forza di affrontare un’altra notte di lavoro (e molte altre ancora) che avrei trascorso in quegli edifici dove la vita diventa speranza e sacralità.

    Mi sentì rifocillato nell’anima.

    Feci di nuovo il gesto dell’acquasantiera e uscì in quella strada che di lì a pochi metri mi avrebbe portato al luogo di lavoro. Entrai finalmente nell’edificio, sentendone subito il calore di calorifici ancora accesi.

    Mi tolsi il cappello, sbottonai il mio loden e mi incamminai verso il piano inferiore dove si trovava la stanza in cui avrei lavorato per tutta la notte. Arrivai finalmente di fronte al locale che sembrava essere ancora un ambulatorio senza nessuna attività.

    Aprì la porta che subito risuonò di un suono acuto e stridente girando sui suoi cardini. L’isolamento e il silenzio di quel luogo erano profondi e misteriosi. Accesi l’interruttore e il ronzio inconfondibile delle lampade al neon che si stavano attivando, mi fecero immergere subito in quell’ambiente in cui avrei trascorso probabilmente tutta la notte. Entrando cercai da subito di proteggermi dall’odore pungente di quella stanza, perché l’odore della morte è invisibile ma riesce immediatamente ad avvolgersi nel corpo dei vivi per scuoterne le anime. In quell’esalazione, il dolore si preserva nell’animo del vivo, trasformandosi nella più sensibile di tutte le cose create.

    Mi recai verso il banco degli strumenti. Indossai il mio camice verde e presi in mano la mia solita cartellina, in cui un nome, una data e un fatto erano trascritti con l’assoluto rigore di una informazione. Presi alcuni strumenti di lavoro dallo scaffale all’angolo della stanza e li appoggiai alla rinfusa sul tavolino di servizio al centro del locale. Mi girai verso il mio tavolo da lavoro, spostai in direzione di esso il mio solito sgabello, mi sedetti e nel vuoto del silenzio,… cadde il mio pensiero.

    BARTOLOMEO E LA FANTASIA

    «Buonasera!…

    Vediamo… ah… ecco!

    Tu devi essere Mario!…

    Io sono Bartolomeo!…

    Ora caro ragazzo, sei qui con me in questa stanza, affinché io possa prendermi completamente cura di te! Farò in modo che tutti riescano a percepire attraverso il tuo aspetto, la ferrea volontà d’inseguire e sfiorare quel tuo grande sogno!

    Sono enormemente amareggiato che tu non lo abbia potuto gustare appieno; ma non avere paura!… Io riuscirò a far conoscere a tutti, com’è un vero uomo buono!

    Farò comprendere a tutti, quanto tu abbia affrontato quel sogno perduto con tutta la tua composta dignità!… Dignità che ora io metterò in risalto, per il tuo ultimo viaggio nell’ignoto!

    Ti donerò la bellezza di un sognatore, …migliorerò il tuo aspetto e ti cospargerò di uno dei miei migliori profumi!…

    Lo meriti davvero Mario!…

    Io sono onorato di essere accanto a te in questo terribile momento, per poter dare lustro a un uomo ammodo, che ha rincorso un suo grande desiderio, per poi perderlo senza rimpianti.

    Non c’è nulla da temere!…

    Io mi occuperò di te nel miglior modo possibile; perché tu eri un sognatore; uno di quelli che vedono l’alba prima del resto del mondo.

    Ah,… anche io lo sono stato, sai Mario?

    Io ho iniziato fin da bambino a sognare di poter viaggiare nelle più remote e sperdute regioni del mondo, per poter conoscere nuovi luoghi e spazi infiniti! Sognavo la grande natura selvaggia e incontaminata; l’abilità di uomini intraprendenti e d’indomiti esploratori; gli animali più feroci e spietati; le ragazze più affascinanti e conturbanti e i personaggi più strani e curiosi!

    Fino a notte tarda, nella mia grande e spaziosa stanza da letto che pareva essere sempre cupa e triste, leggevo e divoravo con entusiasmo tutti i libri di Emilio Salgari.

    Attraverso i suoi incredibili romanzi mi lasciavo trasportare con la mente in quei luoghi, che io sognavo di visitare non appena sarei stato in grado di farlo.

    Mio padre non voleva che mi addormentassi tardi! A lui non piaceva affatto che io mi alzassi controvoglia al mattino!

    Così non appena usciva dalla mia camera; dopo avermi accarezzato la fronte e dato la buonanotte; mi armavo di una piccola e rudimentale pila; tirata fuori dal mio cassetto; per poter leggere i miei libri sotto la coperta del letto, come se essa fosse una profonda e silenziosa capanna!…

    Con quella luce fioca ma diretta, le copertine dei libri, grazie ai loro colori sgargianti, sembravano far accendere la mia illusione di essere un eroe,… mentre le illustrazioni interne, parevano dar vita a quelle avventure! Nella mia fantasia non erano solo libri, ma sale cinematografiche in cui io ero il protagonista, la comparsa e il regista!…

    Con il mio fantasticare al buio soffuso di una coperta, sembravo vivere i momenti, gli odori, i suoni, e le battaglie di quelle storie e di quei luoghi a me sconosciuti.

    Nel mentre sognavo l’attraversata, sul dorso di un cammello nel Sahara; o quando immaginavo di diventare forte e intrepido come S andokan; oppure astuto e combattivo come il Corsaro Nero; il tempo passava senza che quelle fantasticherie diventassero realtà!

    In quella stanza da letto dal mobilio color noce e dalle pareti dipinte di azzurro, quei libri, come i miei sogni, rimanevano rinchiusi come accumuli di desideri.

    Anche quando alcuni anni dopo, appena adolescente, mi immergevo nelle storie immaginarie dei libri di Jules Verne, come i viaggi nelle profondità della terra, attraverso grotte, vulcani e laghi sotterranei de il Viaggio al centro della Terra. Oppure come l’avventura del Nautilus, costruito in segreto dal suo enigmatico Capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari. Finanche, nell’ipotetico ed epico viaggio fino alla luna, del romanzo Dalla Terra alla Luna.

    Intanto le quantità di libri crescevano alla stessa velocità in cui i miei sogni si estinguevano, in quelle pagine che divennero infine solo ricordi!…

    Quella piccola lampadina continuò a essere la mia gioia, non più nascosta in una coperta, ma appoggiata sul grande letto della mia camera; una pila che continuai ad accendere nella mia misteriosa solitudine!

    Leggendo e sognando, gli anni passavano e le mie aspirazioni si spegnevano, per poi rimanere per sempre desideri di qualcosa che non potevo ormai più onorare!

    I miei sogni però, pur se non esauditi, erano il mio unico modo di poter vivere fuori da quella forzata normalità, che soprattutto nella nostra quieta provincia marchigiana, ci accompagna quasi per tutta la vita! Essi hanno soddisfatto, anche se per solo brevi periodi, la mia voglia di godere di qualcosa al di fuori della mia quotidianità!

    Nel mio diventare uomo, quei sogni cambiarono, mentre le mie letture si facevano più importanti e meno avventurose, pur rimanendo nei meandri di una mente che attraverso di loro era cresciuta.

    Sai Mario, … ci sono ancora nella mia biblioteca delle bellissime edizioni di classici greci e latini; non una grande collezione, ma un’importante raccolta a cui nel tempo ho aggiunto anche tantissimi novellieri italiani.

    Però,… ahimè,… ero un ragazzo a cui piaceva di più stare con le cose e con i sogni che con le persone!… Un po’ come te!

    I miei sogni diventarono poi, desideri di una famiglia, di una bella moglie, di dolci avventure coniugali, di bambini petulanti, di cibi in compagnia e di baci della buonanotte!

    Desideri che come i miei sogni, con il passare del tempo rimasero inappagati e accatastati nella sorte di una vita fatta di solitudine; perché diventarono dei desideri a cui cessai di pensare e che per lungo tempo persero d’importanza!

    Ancora oggi sognare, è un qualcosa che mi crea estremo piacere, ma nei miei sogni, tutto è semplicemente inteso al passato, perché nel mio pur breve futuro, saranno solamente orientati verso il rimpianto e la bellezza di un desiderio. Invano, un sognatore come me rovista nella cenere dei suoi vecchi ricordi, cercandovi ancora qualche mera scintilla che possa resuscitare un nuovo fuoco, con cui scaldare il proprio cuore!

    Ecco perché,…. Mario,… una parte della mia vita, sembra essere la tua,… mentre per la stessa ragione io mi sento così vicino a te!…

    Per questo motivo, ho deciso di ridare vigore al tuo orgoglioso aspetto, al tuo viso buono e abbronzato, e ai tuoi capelli color profondo nero!

    Ti vestirò con l’abito buono; quell’abito che usanza vuole solo per le festività o per le cerimonie!… Prima però, ti avvolgerò in una fragranza di sale marino, di spezie e di vetiver; completerò poi l’essenza scelta per te, con note di sandalo e di tabacco, e poi, toglierò dal tuo volto quella patina di fatica e di stanchezza che ti ha sempre accompagnato!

    Caro Mario, …ti renderò fiero di averci provato e in parte riuscito!…

    Perché io sono con te, …pur non essendo insieme a te!

    E ora caro mio gentile amico, …visto che ti ho parlato dei miei sogni e dei miei desideri, ti andrebbe di raccontarmi la tua storia?…»

    IL PROFUMO DI UN SOGNO

    1

    «Sai Bartolomeo,… anche quella mattina presi la mia Benelli Tornado 650, spostai leggermente la leva dell’accensione verso l’esterno e lo accesi come facevo tutti i giorni!

    Dalle marmitte argentate come ali di un angelo, uscì del fumo che si confuse subito con il profumo di quell’alba grigia e umida.

    Il paesaggio circostante sembrava non volersi assolutamente risvegliare, per non affrontare un’altra giornata fredda di quel febbraio!

    Il rombo del motore bicilindrico a quattro tempi fece sentire la sua forte voce nei campi adiacenti alla mia casa!… A quell’imprevedibile rumore, alcuni uccelli volarono via, forse impauriti o forse solamente stizziti di essere stati interrotti nel loro riposo.

    Intanto che il fragore del motore acceso prevaricava i deboli fruscii mattutini, iniziai a prepararmi per un nuovo breve viaggio. Indossai il mio impermeabile verde; un pastrano di nylon e gomma, che proveniva da una guerra da me mai combattuta e che usavo per proteggermi dal freddo, insieme a un berretto di lana pesante di uguale colore.

    Mi misi a cavallo di quella Tornado 650 rossa, e cominciai a dare del gas più volte con la manopola!…

    Era un rituale rumoroso che mi aiutava a concentrarmi sui giri del motore, per verificare e comprendere al meglio lo stato della mia moto. Una moto che mi avrebbe accompagnato anche quel giorno in un percorso che ogni mattina era sempre uguale e che facevo, ormai da diverso tempo!

    A quei ripetuti giri di gas, anche gli altri animali della casa colonica dove vivevo, si svegliarono dalla loro quiete e cominciarono a mostrare la loro agitazione, disturbati dal fragore che emetteva la mia moto. Tolsi il cavalletto e feci giusto in tempo a fare qualche metro nel brecciolino dell’aia, che le persiane della mia casa si aprirono come a dare vita a una giornata di lavoro e di consuetudini.

    Vidi appena il viso di mia madre affacciarsi dalla finestra della camera; la salutai con un gesto della mano e iniziai la mia giornata.

    Il mio nome era Mario;… avevo 28 anni e da sempre facevo il calzolaio!…

    Non ricordo in che anno iniziai il mio mestiere; perché mi sembrava di averlo fatto da sempre!

    Ero nato poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in un paesino che la guerra fece soffrire solo per la fame, mentre la distruzione le

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