I miei ricordi
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About this ebook
L’autrice narra, con toni lievi e appassionati allo stesso tempo, la sua vita; dai primi anni dell’infanzia, circondata da una famiglia allargata numerosa e affiatata, si passa agli anni della scuola, poi ai successi lavorativi, il matrimonio, i figli... fino a giungere al presente con il ricordo di una persona speciale che la famiglia dell’autrice ha avuto l’onore di conoscere: Papa Giovanni Paolo II.
Viene celebrata, pagina dopo pagina, l’importanza della memoria, vista come un piccolo grande tesoro che si può condividere affinché rimanga indelebile la traccia di sé anche nelle generazioni future.
Laura De Stefanis è nata a Gualdo di Narni nel 1940.
Insegnante di scuola elementare, nei primi anni ha svolto la sua attività professionale in Umbria.
Dopo il matrimonio si è trasferita a Roma e ha insegnato presso la Scuola elementare “Buon Pastore” fino all’anno della pensione (2001).
Ha avuto due figli ed è nonna di due nipoti per i quali ama scrivere ad ogni ricorrenza semplici poesie in rima.
Esordisce con questo libro autobiografico con cui ricorda fatti storici e vicende di vita familiare.
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I miei ricordi - Laura De Stefanis
Laura De Stefanis
I miei ricordi
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-2345-3
I edizione elettronica giugno 2020
Alla memoria dei miei genitori che hanno saputo trasmetterci i valori importanti della vita.
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
1.
LA MIA INFANZIA E LA MIA FAMIGLIA
Sono nata il 3 agosto 1940 nel grande casolare costruito intorno al 1880 dal mio bisnonno Ludovico (detto Chicone), sul lato sinistro della via Flaminia, a poca distanza dalla pietra miliare 74° Km nella frazione di Gualdo di Narni.
Era il caldo pomeriggio di quel giorno quando, nella grande aia prospiciente la casa, si svolgeva il lavoro della trebbiatura del grano: c’erano tante persone, tanta confusione, tanto rumore... quasi una festa!
Immaginiamo mia madre, appena ventenne, che stava partorendo al primo piano di quella camera con la finestra affacciata sull’aia!
Fu la zia Francesca, donna matura e d’esperienza, ad aiutare mia madre a farmi nascere.
Come si usava a quei tempi erano presenti tutte le donne di famiglia, e le famiglie allora erano numerose, dalla nonna Apollonia alle zie Albertina, Peppina, Colomba... e non so quali altri donne.
Ero una bambina di peso normale dal colorito chiaro con pochi capelli biondi, la mamma aveva poco latte, perciò aveva dovuto integrare l’allattamento al seno, non so con quale altro tipo di latte.
So che il papà mi raccontava di alzarsi di notte a scaldare nel focolare il mio cibo contenuto in un piluccio
, una piccola pila di coccio.
Sono cresciuta normalmente, ero una bella bambina bionda e grassottella in una famiglia composta da dieci persone: i nonni Achille e Apollonia, gli zii Egisto e Albertina, Remo e Giuseppina con mio cugino Elbano, i miei genitori Virgilio e Pierina con me.
Gli zii Washington (chiamato da noi Vasindolo) e Colomba con i figli Franco e Silvana (nati anch’essi a Gualdo) si erano trasferiti ad Orte prima che io nascessi.
Noi occupavamo tutto il primo piano della casa ed avevamo due camere da letto al secondo piano, alle quali si accedeva attraverso una scala interna posta vicino alla dispensa, attigua alla sala delle olive. In fondo al corridoio una scala che scendeva conduceva alla cantina, alla grotta e al mulino dell’olio. Di lato c’era la stalla dei buoi.
Al secondo piano vivevano zio Natale, fratello di mio nonno, e la moglie Francesca con sua mamma Palmina Bravetti e i figli Eleonora e Giovanni.
La prima figlia, Iole, era sposata con Giovanni Baldizzone, di origine piemontese, ed abitava a Nera Montoro.
Al piano terra davanti all’aia c’era lo stanzone con il mulino dell’olio. Questo era stato installato da nonno Chicone inizialmente a Collispone, una località vicina, dove viveva la famiglia, poi fu trasferito nella nostra casa: era con le viti a legno da girare a mano.
Il cavallo faceva girare la macina. Avevano tre cavalli che si alternavano nel far girare la ruota.
Nel 1925, portata la corrente elettrica qui a casa, il mulino aveva le presse che si muovevano con l’elettricità.
Ciò mi è stato raccontato da mio padre quando alternava i suoi racconti di guerra con quelli della sua infanzia: egli aveva frequentato la scuola elementare ma soltanto fino alla terza classe.
A tale proposito ha sempre ricordato con dispiacere e quasi con rabbia un episodio: quando era a scuola e non ne aveva più diritto, arrivò