Braccato Da Belve: Letture per empatici e attori
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About this ebook
Perché concepire personaggi spregevoli e così distanti dal mio essere, mi riesce così naturale che a volte mi sembra di vederli e conoscerli e quindi tenerli a debita distanza. Stanno bene li, sulla carta.
Questo libro è una lettura consigliata a quelle persone che hanno uno spiccato senso empatico; leggere, vedere e sentire, insomma, immedesimarsi totalmente con i personaggi creati dall’autore. Gli attori, in modo particolare, o coloro che vorrebbero cimentarsi con l’arte del teatro o del cinema, possono intraprendere il percorso “visionario” che caratterizza questa attività. Infatti il libro è composto da nove monologhi, alcuni premiati a livello nazionale, un corto teatrale, un corto cinematografico e una sceneggiatura completa mai realizzata.
L’autore
Vincenzo Bordonaro
Ancona 12 Gennaio 1965. Formazione: corsi frequentati, letture, buona capacità d’ascolto, palco e inenarrabili incazzature.
Per pura passione, autore teatrale, sceneggiatore, regista di una compagnia e docente in alcuni corsi/laboratori di teatro tra cui il carcere di Monte Acuto di Ancona che, in qualche modo, ha fortemente influenzato la realizzazione di questo libro.
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Braccato Da Belve - Vincenzo Bordonaro
Vincenzo Bordonaro
BRACCATO DA BELVE
Letture per empatici e attori
UUID: f398ac64-15ca-4eda-af8d-a9328475e990
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
IL TEATRO
LIDIA
LE 3 E 30
IO MORDO!
TUTTO E SUBITO
VARCHI
GRAFFI
BELLA COME ME
LINDA NON ESCE QUANDO PIOVE
10 MAGGIO 2014
NICODEMO TI AMO
IL CINEMA
LA LEGGENDA DI IVAN BRANDO
IO NON SONO SOLARE
Pubblicato con
Il Servizio Numero 1 in Italia
di Assistenza alla Pubblicazione
per gli Autori Indipendenti
Self Publishing Vincente
www.SelfPublishingVincente.it
Vincenzo Bordonaro
BRACCATO DA BELVE
Letture per empatici e attori
È bello immaginare di essere per non diventarlo mai.
VB
BRACCATO DA BELVE
Letture per empatici e attori
Copyright © 2020 Vincenzo Bordonaro
Tutti i diritti riservati.
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta
senza il preventivo assenso dell’Autore.
Prima edizione settembre 2020
A mio padre
grazie
ora so che avevi ragione
IL TEATRO
Sei giovane, sei già stato per alcuni anni in teatro, oppure sei figlio
di gente di teatro; o hai fatto il pittore per qualche tempo, ma poi
hai sentito il desiderio del movimento; oppure sei un operaio. Forse hai bisticciato coi genitori a diciott’anni perché volevi darti al teatro ed essi erano contrari. Forse ti hanno chiesto perché volevi darti al teatro, e tu non hai potuto fornire una risposta ragionevole, poiché ciò che volevi fare nessuna risposta ragionevole può spiegarlo: volevi volare. Forse avresti fatto meglio a dire Voglio volare
, anziché pronunciare quelle parole spaventose: Voglio darmi al teatro
.
Edward Gordon Craig
LIDIA
Una donna in vestaglia si sta mettendo la cipria
…eh sì, adesso mi sistemo e vado al mercato. Mi piace andare al mercato. Me rilassa, che ci posso fare. Compro le ova fresche, il pane, e mi compro le rape… che anche se piacciono solo a me, me le compro lo stesso. Condite so bone. A Franceschino mio gli fanno schifo. Dice che l’odore gli ricorda il muro de casa di nonna, quello pieno di muffa, quello che è proprio vicino a dove dorme lui quando andiamo ogni tanto da lei… che fortuna che mi ospita… quando ci devo andare.
Lo fa perché è mamma, mia mamma, e le mamme lo fanno.
A parte le rape che è uno sfizio mio, che poi non costringo nessuno a mangiarle. Dico… scusate… me sto a perde.
Volevo di’ che le mamme per i figli fanno di tutto. Io faccio di tutto per Franceschino mio. Vorrà di’ che le rape che gli puzzano le mangio da sola, di là, perché mamma mica ti vuole fare un dispetto. Mai lo farei. Ci sei solo tu…
Lui ieri c’era, ieri, il padre di Franceschino mio dico, mio…marito. Non puoi non accorgerti che c’è. Si fa sentire lo stronzo.
Che poi al mercato mi chiederanno che c’hai, che hai fatto, e l’occhio, e tutti i commenti che ne seguono. Che vuoi che risponda… la porta, le scale, non ho visto il muretto, so inciampata… e vaffanculo a sta casa di merda piena di spigoli. Che se fa così ‘na casa? Lo vorrei proprio conoscere ‘sto ingegnere che ha fatto sta casa piena de spigoli!
Senza esagerare però. Le facce saranno di chi non mi crede… le conosco, mica sono una stupida. Soprattutto Gino, quello dell’ovi. Fa sempre no con la testa. Quasi quasi domani all’ovi freschi ce rinuncio. Mi da fastidio che fa sempre no co’ la testa. Sarò libera di sbattere in tutti gli spigoli di casa mia no?
Ma quello farà no co’ la testa anche se solo ci passo davanti alla bottega sua.
Che devo dire? M’ha menato.
No a Franceschino mio non si deve permettere. Gli stacco le palle a morsi.
E vado in galera vado. Ma lui morirà dissanguato, e senza palle.
Perché, perché per chi ha visto l’inferno come l’ho visto io la galera sembra cosa buona e giusta.
Quella del pane, Gustina, co’ sta collana de perle col cuore in fondo che pesa e la piega in avanti che manco la scogliosi, dice sempre le stesse cose… vattene, sei giovane, vattene. Ma che ne sa lei.
La collana gliel’ha regalata il marito per venticinque anni di matrimonio. Che ne sa una così di me.
C’ho provato.
La odio, e odio lui, e tutti… anche i carabinieri che ti ascoltano perché sono costretti a farlo. E sono come quello dell’ovi, fanno no con la testa. E dicono… vattene… anzi… se ne vada. Mi danno del lei, non come Gustina.
Sto male. Come mi viene in mente di pensare al cibo se stanotte ho vomitato pure la vescica perché più giù nun c’era più niente da buttare fuori. La caprese ho vomitato, poi bile, poi muco, poi ancora bile. E sto qui a pensare alla spesa all’ovi e le rape.
Adesso rivomito.
No, cioè, adesso sto meglio.
Mica come stanotte che mi sembrava di avere una biscia strisciante dalle narici all’esofago, e che ‘na mandria di bufali mi cavalcasse la schiena, e che un flagello mi stesse strappando centimetro per centimetro la pelle delle spalle.
No no, sto meglio.
La mattina sto meglio.
Tanto se ho pensato di andare al mercato vuol dire che sto meglio, se no non mi sarebbe passato dalle testa nemmeno.
Il fatto è che l’ho amato davvero lo stronzo, e l’ho sposato perché l’amavo lo stronzo.
Era dolce, la sua pelle morbida e ruvida dove doveva esserlo. Infatti lo accarezzavo sempre. Poi… baciarlo era come sapere in che punto esatto si deve incontrare la felicità. La felicità era nelle sue labbra e nelle sue promesse.
Fregata, così comodamente fregata dal primo amore.
Si perché l’ho amato subito.
Avevo sogni. Sapevo disegnare, ero brava.
Avevo progetti
Ma non volevo più staccare le labbra dalle sue… quello era il mio progetto.
Lui era il mio progetto.
Lui era la perfetta perfezione. Difficile da capire. Non mi vengono altre parole. Che le posso dire a Gino dell’ovi? O Gustina? O i Carabineri?
Fatemene una colpa. Non mi capisco neanche io, figuriamoci gli altri.
Che poi a me gli schiaffi mica mi fanno male. Mi fanno più male le parole, mi fa male dare spiegazioni di una cosa inspiegabile.
Mi fa male tenermelo dentro. Infatti mica la caprese mi ha fatto male, no, sai quante volte l’ho mangiata. Vomito perché non ne posso più. Mi contorco dai dolori perché lo voglio morto e non sono una assassina. Perché voglio andarmene e non sono coraggiosa.
Andarmene da sto schifo con Franceschino mio e magari rifarmi una vita che come dice Gustina sono ancora giovane. Ancora sono bella. Infatti al mercato mi guardano ancora, gli uomini dico.
C’ho un bel viso, un bel sorriso e due begli occhioni. Quando non c’ho i lividi sono belli. Marco diceva che lo scioglievano e che era la prima volta che una ragazza lo catturava per gli occhi e non per le tette.
Che cazzo di complimento. Mi faceva ridere. Che stronzo.
E non pensate che sono… come si dice? Ah sì, codarda. Io a Marco gli urlo davanti alla faccia e lui si incazza pure di più.
Lui mena, mica da sempre, no no, da quando ha scoperto che la vodka lo aiuta a non rimuginare.
Oh stronzo c’hai un cervello, per forza pensi, rimugini. E mica li puoi comandare i pensieri. So brutti? Te li tieni! La vodka ti cambia e diventi il mostro che odio e che voglio vedere morto. E lo faccio sa. La prima volta che tocca Franceschino mio lo faccio.
Quando attacca, il mostro, chiudo Franceschino mio nella sua camera e inghiotto le urla per non spaventarlo. Poi il mostro mi molla ed io vado in bagno, mi sciacquo bene il viso, sputo in silenzio, mi guardo facendo una ispezione rapida dei danni e mi sdraio sul letto.
Piango
Piango con gli occhi, mica con la bocca.
Sento
Sento il rumore, il solito rumore. Il respiro del mostro si intervalla ad un russare sottile rauco che fa paura. Potrei alzarmi e staccargli le palle a morsi, ma non sono una assassina.
Provo
Provo sempre un senso di soffocamento in quel momento della sera. Ma io lo so perché. Ormai so tutto. È perché piango con gli occhi, mica con la bocca.
Mi viene in mente di chiamare mia madre ma ho il terrore che un impercettibile rumore possa risvegliare il mostro, l’obbrobrio di persona che rantola gonfio di alcol e crudeltà, potrebbe svegliarsi e per gioco riprendere il suo gioco.
A volte le fisso, quelle labbra, e mi viene da dire BLEAAAH, che schifo.
Quelle labbra erano il mio progetto.
Lidia,