P.s.: a Poipu non piove mai
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È semplicissimo, un gioco da ragazzi!
Basta conoscere l’inglese, non soffrire di herpes, fidarsi ciecamente di perfetti sconosciuti, pregare che l’uragano cambi rotta, fingersi calmi, inviare bonifici come se non ci fosse un domani e ricordarsi di tenere in tasca 5$ in contanti.
Non vedrete l’ora di arrivare.
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Book preview
P.s. - Silvia Guadagni
Tejpal)
IL GOLF CART
«C’è un cancello chiuso...»
«Ah sì…? Bene!!!», rispose Mauro ridacchiando mentre affondava il piede sull’acceleratore per farci credere di volersi spalmare sull’inferriata.
Il golf cart prese rapidamente velocità e sfrecciò smarmittando come fosse sul rettilineo del Mugello davanti al piccolo posto di blocco che a prima vista ci era sembrato chiuso.
Su entrambi i lati della strada, le piantine fiorite più fortunate - le poche stoiche ben ancorate al terreno - si piegarono al nostro roboante passaggio.
Tutte le altre, ahinoi, risultano ad oggi disperse.
Dalle palme scrosciarono noci di cocco, così come le polpette in Piovono polpette
[1].
I gechi, fino a quel momento tranquilli e sonnacchiosi, furono svegliati di soprassalto dalle nostre urla di terrore e si aggrapparono disperatamente con le zampine adesive ad ogni ramoscello ancora integro che comparve loro davanti, prendendo le sembianze di tante piccole manichette a vento verdognole sferzate da un uragano ancora senza nome.
Fulmini, saette. Possibili rovesci, specialmente sui rilievi.
Si sollevò per giunta un mulinello di foglie e polvere molto simile a un tornado distruttivo di discrete dimensioni.
Daniela intervenne prontamente:
«MAUROOO??! Oddio Mauro, c’era un omarello in piedi dentro al gabbiotto che non ha fatto in tempo a seguirci neanche con lo sguardo!»
Mi girai velocemente e intravidi anch’io un paio di piccoli occhi sgranati e un ciuffetto di capelli scosso dalla tempesta elettromagnetica che si era scatenata alle nostre spalle, forse anche una bocca spalancata su sfondo attonito, ma ne fui meno sicura.
Un fotogramma, proprio come quello che i registi piazzano sapientemente nel bel mezzo dei film dell’orrore al solo scopo di provocarti un ictus.
Il poveretto non mosse un muscolo, molto probabilmente pensò di aver assistito al passaggio della cometa che guidava i Re Magi.
Il bluff dello schianto era andato ben oltre le aspettative più comiche.
Scoppiammo tutti a ridere durante la brusca frenata.
PII – PII – PII – PII – PII
Nel momento in cui Mauro inserì la retromarcia, il silenzio surreale che stava regnando venne interrotto dallo stesso fischio stridulo e intermittente che emettono i muletti nei cantieri.
Tornammo lentamente, PII, con estrema nonchalance, PII, e con sorriso a denti stretti, PII, al cospetto del guardiano del cancello, PII, che ci chiese il pass per la spiaggia. PII.
Poco dopo raggiungemmo la 69 Beach, una piccola baia di sabbia nera all’interno del resort di Big Island dove avevamo affittato la villetta di Ernie, una meravigliosa dimora che quella settimana ospitava me, Pier, Mauro, Daniela, Luca e Ludovica.
[1] Film d’animazione del 2009 la cui trama è incentrata sull’invenzione di una macchina che trasforma l’acqua in cibo e dopo diverse peripezie fa piovere enormi polpette dal cielo generando il panico più totale tra la popolazione vegana e non, insieme ad una consistente dose di sconcerto negli spettatori.
INDOVINA DOVE TI PORTO
L’anno precedente, in occasione del mio compleanno, Pier mi regalò un viaggio a Napoli. Sapeva che non c’ero mai stata, così progettò l’itinerario in gran segreto.
Peccato che il tassista, l’amico del tassista, il cameriere del ristorante, l’albergatore, il collega dell’albergatore, lo zio del collega dell’albergatore, la barista, l’avventore del bar, il gelataio, il pizzaiolo, la pizza stessa, il gatto, il topo, l’elefante (non manca più nessuno), tutti i personaggi animati o inanimati che incrociarono il nostro cammino durante quel magnifico weekend, fecero tutto il possibile per rovinare la sorpresa che Pier aveva organizzato per me con tanta cura.
«Ah, è ‘a fest soja? ‘O sapimm cch ci regal… Capri! Capri è ‘a fin ro’ munno!» [1]
«A’ ro’ jat riman? Si si ‘nu romanticon, le purta’p forz a Capri!» [2]
«Capri!!! Le fa’ vrè Capri!!!» [3]
Eravamo circondati da orde di comari che non aspettavano altro che ficcanasare tra i piani di Pier.
Sebbene non capissi tre parole su due, non ce ne fu uno che mi lasciò la benché minima ombra di dubbio sulla destinazione finale. La parola Capri
risultava sempre chiara assaje.
Il primo fra tutti gli impiccioni, il tassista Agostino, fu anche quello che si prese la libertà di portarmi a bere il caffè, sebbene avesse capito che io il caffè, in tutte le sue forme, lo detesto.
«Jamme a piglià na tazzulella ‘e cafè! [4]»
«No, guardi, la ringrazio, ma il caffè proprio non mi piace».
«COOOSA??? MA TU SI PAZZA! A Napule ‘o cafè è sacro!!! È ‘a fin ro’ munno!»
Ma poco fa non era Capri ’a fin ro’ munno
…? E la pizza? Aaah, la pizza… Anche quella era, inutile dirlo, ’a fin ro’ munno
.
Della ssshfogliatella poi non se ne parla: l’Apocalisse. Agnelli, sigilli, cavalli e cavalieri incazzosi inclusi.
Non ci fu nulla da fare, nonostante continuassi a ripetergli compulsivamente NO, grazie
, poco dopo Agostino si fermò allo Chalet di Ciro a Mergellina per farmi assaggiare l’autentico caffè napoletano.
Ovviamente mi fece schifo, come previsto, ma affermai che era di sicuro il migliore che avessi mai assaggiato, altrimenti San Gennà pienzace tu
[5].
La mattina del 13 ottobre salpammo presto per raggiungere l’isola più famosa d’Italia. Che meraviglia di posto…!
Qualsiasi persona, animale o cosa impallidirebbe alla vista di così tanta bellezza, persino lo slippino del modello dello spot di Dolce & Gabbana brillava di luce propria, ve lo ricordate? Il modello moro con gli occhi azzurri che guizzava come fosse unto sul gommone, ma certo che ve lo ricordate, non scherziamo, tutte le donne del pianeta avevano dato un nome ad ognuna delle dieci piastrelle in gres effetto marmo che aveva sull’addome.
La sera stessa Pier mi portò a cena in un ristorante vista faraglioni.
«Amore ma non si vedono i faraglioni, è già buio…»
«Sì lo so, ma quando ho prenotato ho chiesto la vista faraglioni… Sono là».
Li immaginai così com’erano perché li avevo visti quella mattina durante il fantastico giro dell’isola in motoscafo.
Immaginai i faraglioni, l’Isola di Pasqua, il Monte Everest. Anche un satellite di Giove e un drago a tre teste. Tanto non si vedeva assolutamente nulla.
Quel che importava quella sera era essere lì insieme. Fu la sorpresa di compleanno più bella che avessi mai ricevuto. Ero in una delle isole più belle al mondo, con l’uomo che amavo alla follia, cosa potevo desiderare di più? Che allo scoccare della mezzanotte mi chiedesse di sposarlo?
Sì, bum.
Alle Hawaii magari?
Eh, alé.
Che film era??
…
……
………
Silvia, sveglia!!! Che film è stato???
Non avevo avuto il tempo di immaginare la sceneggiatura perfetta quando mi accorsi di aver risposto che sì, assolutamente sì, lo avrei sposato.
E che le Hawaii andavano benissimo.
[1] Ah, è la sua festa? Lo sappiamo cosa le regali… Capri! Capri è la fine del mondo!
[2] Dove andate domani? Se sei un romanticone, la devi portare per forza a Capri!
[3] apri!!! Devi farle vedere Capri!!!
[4] Andiamo a prendere una tazzina di caffè!
[5] San Gennaro pensaci tu.
E IL NAUFRAGAR M’È DOLCE IN QUESTO MARE
Se potessi tornare indietro, chiederei aiuto ad un wedding planner italiano. Parlerei con lui in italiano. Scriverei tantissime meravigliose e-mail in italiano. Lo manderei al diavolo in italiano e lo ringrazierei tanto per il lavoro svolto. Sempre in italiano.
Cosa pensai bene di fare invece?
Forte della mia proverbiale conoscenza della lingua inglese, cercai on-line un organizzatore di matrimoni hawaiano, e to’ guarda...! Come per magia comparirono centinaia di wedding planner che parlavano in inglese, scrivevano in inglese, telefonavano in inglese, citofonavano in inglese. Centinaia di perfetti sconosciuti che pretendevano anche che io rispondessi loro in inglese!
E non è che mi venne in mente di dire: Silvia, ma cosa diamine ti salta in testa? Ti rendi conto che per mesi e mesi dovrai interloquire con persone che non parlano la tua lingua?? Sei conscia del fatto che non capirai una parola di quello che ti diranno e vivrai nell’angoscia di non aver compreso le ultime trenta righe dell’ultima e-mail ricevuta?? E che per poco meno di un anno non avrai altro Dio all’infuori di Google Translator??? Te ne rendi contoooo?????
No, non mi venne in mente. Anzi, pensai che fosse una figata avere un wedding planner hawaiano. La genialata del secolo.
Quasi come se non mi ricordassi di saper dire soltanto: What is your telephone number?
e The pen is ON the table
.
Anche perché The lamp, invec, is OVER the table
è una reminiscenza che va già via via affievolendosi.
Weddings of Hawaii, Islander weddings, A perfect day Hawaii, Dream weddings Hawaii, Rainbow weddings & celebrations, I do hawaiian weddings… trovai centinaia di siti di organizzatori di matrimoni. Come scegliere quello più adatto a noi?
Decisi di stringere la cerchia selezionando solo quelli di Kauai, l’isola prescelta, nonché l’isola dove sono state girate la maggior parte delle scene di Jurassic Park, il mio film preferito.
Non che sperassi che un tirannosauro ci portasse le fedi - e poi non riuscisse a consegnarcele per via delle sue braccine corte - o di avere una schiera di velociraptor vestiti con i tutù come damigelle, ma quell’isola, sia per me che per Pier, era naturalisticamente la più incredibile dell’intero arcipelago.
Mandai diverse e-mail con le nostre pretenziose richieste ad alcuni wedding planner. Avevamo ben chiara la spiaggia dove avremmo voluto che si celebrasse il matrimonio. Una spiaggia che, durante il nostro primo viaggio alle Hawaii nel 2014, avevamo soltanto sognato di conquistare: Kalalau Beach.
Kalalau Beach si trova lungo la Na Pali Coast, e si raggiunge solo in due modi: o arrancando sui gomiti e invocando tutte le divinità etrusche, egizie, finniche, navajo e zulù che ti vengono in mente lungo diciassette chilometri di giungla selvaggia pullulante di pericoli, oppure via mare. Stabilendo che sarebbe