Niccolò Machiavelli: Tutte le opere: storiche, politiche e letterarie
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INDICE:
SCRITTI POLITICI
~Il Principe~
~Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio~
~Dell’arte della guerra~
~Scritti politici minori~
SCRITTI STORICI
~La vita di Castruccio Castracani da Lucca~
~Istorie fiorentine~
TEATRO
~Andria~
~Mandragola~
~Clizia~
SCRITTI LETTERARI IN PROSA
SCRITTI LETTERARI IN VERSI
LETTERE 1449
Niccolo Machiavelli
Niccolo Machiavelli was an Italian politician, diplomat, founding father of political science, and author of the preeminent political treatise, The Prince. Born in Florence, Italy, Machiavelli held many government posts over his lifetime and often took leading roles in important diplomatic missions. During his time visiting other countries and nation states, Machiavelli was exposed to the politics of figures like Ceasare Borgia and King Louis XII, experiences which would inform his writings on state-building and politics. Machiavelli’s political career came to an abrupt end when the Medici overthrew Florence, and he was held as a prisoner under the new regime. Tortured for a short time, he was released without admitting to any crime or treason. At this point, Machiavelli retired and turned to intellectual and philosophical pursuits, producing his two major works, The Prince and Discourses on the First Ten Books of Titus Livy. He died in 1527 at the age of 58.
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Anteprima del libro
Niccolò Machiavelli - Niccolo Machiavelli
Niccolò Machiavelli
Tutte le opere
Niccolò Machiavelli
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storiche, politiche e letterarie
l’Aleph
Niccolò Machiavelli
Tutte le opere
Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Prima edizione digitale 2020
© 2020 Wisehouse Publishing | Sweden— Edizione l-Aleph
www.l-aleph.com
ISBN 978-91-7637-758-1
Questa edizione comprende tutte le opere di Niccolò Machiavelli, ad eccezione delle Legazioni, delle Commissarìe e degli Scritti di governo strettamente connessi agli incarichi politici dell’autore.
Indice
SCRITTI POLITICI
~Il Principe~
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
Capitolo X
Capitolo XI
Capitolo XII
Capitolo XIII
Capitolo XIV
Capitolo XV
Capitolo XVI
Capitolo XVII
Capitolo XVIII
Capitolo XIX
Capitolo XX
Capitolo XXI
Capitolo XXII
Capitolo XXIII
Capitolo XXIV
Capitolo XXIV
Capitolo XXIV
~Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio~
~libro primo~
1. Quali siano stati universalmente i principii di qualunque città, e quale fusse quello di Roma
2. Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republica romana
3. Quali accidenti facessono creare in Roma i Tribuni della Plebe, il che fece la republica più perfetta
4. Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente quella republica
5. Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nel Popolo o ne ‘ Grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere
6. Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il Popolo ed il Senato
7. Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade
8. Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie
9. Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una republica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla
10. Quanto sono laudabili i fondatori d’una republica o d’uno regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili
11. Della religione de’ Romani
12. Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata
13. Come i Romani si servivono della religione per riordinare la città e seguire le loro imprese e fermare i tumulti
14. I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, punivano
15. I Sanniti, per estremo rimedio alle cose loro afflitte, ricorsero alla religione
16. Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà
17. Uno popolo corrotto, venuto in libertà, si può con difficultà grandissima mantenere libero
18. In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere uno stato libero, essendovi, o, non vi essendo, ordinarcelo
19. Dopo uno eccellente principe si può mantenere uno principe debole; ma, dopo uno debole, non si può con un altro debole mantenere alcuno regno
20. Dua continove successioni di principi virtuosi fanno grandi effetti; e come le republiche bene ordinate hanno di necessità virtuose successioni, e però gli acquisti ed augumenti loro sono grandi
21. Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica che manca d’armi proprie
22. Quello che sia da notare nel caso de’ tre Orazii romani e tre Curiazii albani
23. Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e, per questo, spesso il guardare i passi è dannoso
24. Le republiche bene ordinate costituiscono premii e pene a’ loro cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro
25. Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ritenga almeno l’ombra de ‘ modi antichi
26. Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova
27. Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o al tutto buoni
28. Per quale cagione i Romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli Ateniesi
29. Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe
30. Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella
31. Che i capitani romani per errore commesso non furano mai istraordinariamente puniti; né furano mai ancora puniti quando per la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro ne fusse seguiti danni alla republica
32. Una republica o uno principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi
33. Quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o contro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che urtarlo
34. L’autorità dittatoria fece bene, e non danno, alla Republica romana: e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelle che sono loro dai suffragi liberi date, sono alla vita civile perniziose
35. La cagione perché la creazione in Roma del Decemvirato fu nociva alla libertà di quella republica, non ostante chefusse creato per suffragi publici e liberi
36. Non debbano i cittadini, che hanno avuti i maggiori onori, sdegnarsi de’ minori
37. Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria: e come fare una legge in una republica, che riguardi assai indietro, e sia contro a una consuetudine antica della città, è scandolosissimo
38. Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno diliberare; e se le pigliano mai alcun partito, nasce più da necessità che da elezione
39. In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti
40. La creazione del Decemvirato in Roma, e quello che in essa è da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come si può o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica
41. Saltare dalla umiltà alla superbia, dalla piatà alla crudeltà, sanza i debiti mezzi, è cosa imprudente e inutile
42. Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere
43. Quegli che combattono per la gloria propria, sono buoni e fedeli soldati
44. Una moltitudine sanza capo è inutile: e come e’ non si debbe minacciare prima, e poi chiedere l’autorità
45. È cosa di malo esemplo non osservare una legge fatta, e massime dallo autore d’essa; e rinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una città, è, a chi la governa, dannosissimo
46. Li uomini salgono da una ambizione a un’altra; e prima si cerca non essere offeso, dipoi si offende altrui
47. Gli uomini, come che s’ingannino ne’ generali, ne’ particulari non s’ingannono
48. Chi vuole che uno magistrato non sia dato a uno vile o a uno cattivo, lo facci domandare o a uno troppo vile e troppo cattivo o a uno troppo nobile e troppo buono
49. Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, come Roma, hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino: quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una impossibilità
50. Non debba uno consiglio o uno magistrato potere fermare le azioni delle città
51.Una republica o uno principe debbe mostrare di fare per liberalità quello a che la necessità lo constringe
52. Il popolo molte volte disidera la rovina sua, ingannato da una falsa spezie di beni: e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono
53. Il popolo molte volte disidera la rovina sua, ingannato da una falsa spezie di beni: e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono
54. Quanta autorità abbi uno uomo grave a frenare una moltitudine concitata
55. Quanto facilmente si conduchino le cose in quella città dove la moltitudine non è corrotta: e che, dove è equalità, non si può fare principato; e dove la non è, non si può fare republìca
56. Innanzi che segnino i grandi accidenti in una città o in una provincia, vengono segni che gli pronosticono, o uomini che gli predicano
57. La Plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole
58. La moltitudine è più savia e più costante che uno principe
59. Di quale confederazione o lega altri si può più fidare; o di quella fatta con una republica, o di quella fatta con uno principe
60. Come il Consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di età
~libro secondo~
1. Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i Romani, o la virtù, o la fortuna
2. Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quegli difendevono la loro libertà
3. Roma divenne gran città rovinando le città circunvicine, e ricevendo i forestieri facilmente a’ suoi onori
4. Le republiche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare
5. Che la variazione delle sètte e delle lingue, insieme con l’accidente de’ diluvii o della peste, spegne le memorie delle cose
6. Come i Romani procedevano nel fare la guerra
7. Quanto terreno i Romani davano per colono
8. La cagione perché i popoli si partono da’ luoghi patrii, ed inondano il paese altrui
9. Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra i potenti
10. I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la comune opinione
11. Non è partito prudente fare amicizia con uno principe che abbia più opinione che forze
12. S’egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra
13. Che si viene di bassa a gran fortuna più con lafraude che con la forza
14. Ingannatisi molte volte gli uomini, credendo con la umiltà vincere la superbia
14. Ingannatisi molte volte gli uomini, credendo con la umiltà vincere la superbia
15. Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sempre le diliberazioni lente sono nocive
16. Quanto i soldati de’ nostri tempi si disformino dagli antichi ordini
17. Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne’ presenti tempi le artiglierie; e se quella opinione, che se ne ha in universale, è vera
18. Come per l’autorità de’ Romani, e per lo esemplo della antica milizia, si debba stimare più le fanterie che i cavagli
19. Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e che secondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non ad esaltazione di esse
20. Quale pericolo porti quel principe o quella republica che si vale della milizia ausiliare o mercenaria
21. Il primo Pretore ch’e’ Romani mandarono in alcuno luogo, fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a fare guerra
22. Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini nel giudicare le cose grandi
23. Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno accidente che necessitasse tale giudizio fuggivano la via del mezzo
24. Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili
25. Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediante la sua disunione, è partito contrario
26. Il vilipendio e l’improperio genera odio contro a coloro che l’usano, sanza alcuna loro utilità
27. Ai prìncipi e republiche prudenti debbe bastare vincere; perché, il più delle volte, quando e’ non basta, si perde
28. Quanto sia pericoloso a una republica o a uno principe non vendicare una ingiuria fatta contro al publico o contro al privato
29. La fortuna acceca gli animi degli uomini, quando la non vuole che quegli si opponghino a’ disegni suoi
30. Le republiche e gli principi veramente potenti non comperono l’amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazione delle forze
31. Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi
32. In quanti modi i Romani occupavano le terre
33. Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti le commissioni libere
~libro terzo~
1. A volere che una setta o una republica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio
2. Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia
3. Come egli è necessario, a volere mantenere una libertà acquistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto
4. Non vive sicuro uno principe in uno principato, mentre vivono coloro che ne sono stati spogliati
5. Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia, di quello, ereditario
6. Delle congiure
7. Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù, e dalla servitù alla libertà, alcuna ne è sanza sangue, alcuna ne è piena
8. Chi vuole alterare una republica, debbe considerare il suggetto di quella
9. Come conviene variare co’ tempi volendo sempre avere buona fortuna
10. Che uno capitano non può fuggire la giornata, quando l’avversario la vuol fare in ogni modo
11. Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, pure che possa sostenere gli primi impeti, vince
12. Come uno capitano prudente debbe imporre ogni necessità dì combattere a’ suoi soldati, e, a quegli degli inimici, torla
13. Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che abbia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il capitano debole
14. Le invenzioni nuove, che appariscono nel mezzo della zuffa, e le voci nuove che si odino, quali effetti facciano.
15. Che uno e non molti sieno preposti ad uno esercito, e come i più comandatori offendono.
16. Che la vera virtù si va, ne’ tempi difficili, a trovare; e ne’ tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quegli che per ricchezze o per parentado hanno più grazia.
17. Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi in amministrazione e governo d’importanza
18. Nessuna cosa è più degna d’uno capitano, che presentire i partiti del nimico
19. Se a reggere una moltitudine è più necessario l’ossequio che la pena
20. Uno esemplo di umanità appresso i Falisci potette più che ogni forza romana
21. Donde nacque che Annibale, con diverso modo di procedere da Scipione, fece quelli medesimi effetti in Italia che quello in Ispagna
22. Come la durezza di Manlio Torquato e la comità di Valerio Corvino acquistò a ciascuno la medesima gloria
23. Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma
24. La prolungazione degl’imperii fece serva Roma
25. Della povertà di Cincinnato e di molti cittadini romani
26. Come per cagione di femine si rovina uno stato
27. Come e’ si ha ad unire una città divisa; e come e’ non è vera quella opinione, che, a tenere le città, bisogni tenerle divise
28. Che si debbe por mente alle opere de’ cittadini, perché molte volte sotto una opera pia si nasconde uno principio di tirannide
29. Che gli peccati de’ popoli nascono dai principi
30. A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di sua autorità alcuna opera buona, è necessario, prima, spegnere l’invidia: e come, vedendo il nimico, si ha a ordinare la difesa d’una città
31. Le republiche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ogni fortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità
32. Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una pace
33. Egli è necessario, a volere vincere una giornata, fare lo esercito confidente ed infra loro e con il capitano
35. Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una cosa; e, quanto ella ha più dello istr’aordinario, maggiori pericoli vi si corrono
35. Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare una cosa; e, quanto ella ha più dello istr’aordinario, maggiori pericoli vi si corrono
36. Le cagioni perché i Franciosi siano stati e siano ancora giudicati nelle zuffe, da principio più che uomini, e dipoi meno che femine
37. Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie; e come si debbe fare a conoscere uno inimico nuovo, volendo fuggire quelle
38. Come debbe essere fatto uno capitano nel quale lo esercito suo possa confidare
39. Che uno capitano debbe essere conoscitore de’ siti
40. Come usare la fraude
41. Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con gloria; ed in qualunque modo è bene difesa
42. Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con gloria; ed in qualunque modo è bene difesa
43. Che gli uomini, che nascono in una provincia, osservino per tutti i tempi quasi quella medesima natura
44. E’ si ottiene con l’impeto e con l’audacia molte volte quello che con modi ordinarii non si otterrebbe mai
45. Quale sia migliore partito nelle giornate, o sostenere Vimpeto de’ nimici, e, sostenuto, urtargli; ovvero da prima con furia assaltargli
46. Donde nasce che una famiglia in una città tiene un tempo i medesimi costumi
47. Che uno buono cittadino per amore della patria debbe dimenticare le ingiurie private
48. Quando si vede fare uno errore grande a uno nimico, sì debbe credere che vi sia sotto inganno
49. Una republica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno dì bisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fabio fu chiamato Massimo
~Dell’arte della guerra~
libro primo
libro secondo
libro terzo
libro quarto
libro quinto
libro sesto
libro settimo
~Scritti politici minori~
De rebus pistoriensibus
Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini
Parole da dirle sopra la provisione del danaio, facto un poco di proemio et di scusa
Del modo dì trattare i popoli della Valdichiana ribellati
Ai Palleschi
Sommario delle cose della città di Lucca
Minuta di provvisione per la Riforma dello Stato di Firenze Vanno 1522
[Frammento sulla riforma dello stato in Firenze]
Discursus florentinarum rerum post mortem iunioris Laurentii Medices
Relazione di una visita fatta per fortificare Firenze
Provvisione per la istituzione dell’ufficio de’ Cinque Provveditori delle mura della città di Firenze
Allocuzione fatta ad un magistrato
SCRITTI SULL’ORDINANZA
~Ghiribizi d’ordinanza~
~1512. La cagione dell’ordinanza, dove la si truovi, et quel che bisogni fare. Post Res Perditas~
~Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò Machiavelli~
~Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove ufficiali dell’Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò Machiavelli~
~[Sul modo di ricostituire l’ordinanza]~
~L’ESPERIENZA DI FRANCIA~
~~De natura Gallorum~~
~~Notula per uno che va ambasciadore in Francia~~
~~Ritratto di cose di Francia~~
L’ESPERIENZA DI ALEMAGNA
~Rapporto delle cose della Magna. Fatto questo dì 17 giugno 1508~
Discorso sopra le cose della Magna e sopra l’Imperatore
Ritratto delle cose della Magna
SCRITTI STORICI
~La vita di Castruccio Castracani da Lucca~
~Istorie fiorentine~
proemio dell’ autore
libro primo
libro secondo
libro terzo
libro quarto
libro quinto
libro sesto
libro settimo
libro ottavo
TEATRO
~Andria~
~ATTO PRIMO~
[Scena prima]
[Scena seconda]
[Scena terza]
[Scena quarta]
[Scena quinta]
~ATTO SECONDO~
[Scena prima]
[Scena seconda]
[Scena terza]
[Scena quarta]
[Scena quinta]
[Scena quinta]
~ATTO TERZO~
[Scena prima]
[Scena seconda]
[Scena terza]
[Scena quarta]
[Scena quinta]
~ATTO QUARTO~
[Scena prima]
[Scena seconda]
[Scena terza]
[Scena quarta]
[Scena quinta]
~ATTO QUINTO~
[Scena prima]
[Scena seconda]
[Scena terza]
[Scena quarta]
[Scena quinta]
[Scena sesta]
~Mandragola~
Canzone
PROLOGO
~ATTO PRIMO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Canzone
~ATTO SECONDO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
Canzone
~ATTO TERZO~
Scena prima
Scena prima
Scena terza
Scena prima
Scena quinta
Scena sesta
Scena settima
Scena ottava
Fra’ Timoteo, Ligurio, Messer Nicia.
Scena nona
Scena decima
Scena undicesima
Scena dodicesima
Canzone
~ATTO QUARTO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
Scena settima
Scena ottava
Scena nona
Scena decima
Canzone
~ATTO QUINTO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
~Clizia~
Canzona
PROLOGO
~ATTO PRIMO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Canzona
~ATTO SECONDO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Canzona
~ATTO TERZO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
Scena settima
Canzona
~ATTO QUARTO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
Scena settima
Scena ottava
Scena nona
Scena decima
Scena undicesima
Scena dodicesima
Canzona
~ATTO QUINTO~
Scena prima
Scena seconda
Scena terza
Scena quarta
Scena quinta
Scena sesta
Canzona
SCRITTI LETTERARI IN PROSA
Nature di huomini fiorentini et in che luoghi si possino inserire le laude loro
Sentenze diverse
Favola
Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua
Capitoli per una compagnia di piacere
[EXORTATIONE ALLA PENITENZA]
Libro delle persecutione d’africa per henrico re de’ vandali, l’anno di christo 500, et composto per san victore vescovo d’utica
SCRITTI LETTERARI IN VERSI
I decennali
L’asino
I capitoli
Canti carnascialeschi
Di amanti e donne disperati
Rime varie
LETTERE
I. Frammento di minuta
II. I Machiavelli al card. Giovanni Lopez
III. Niccolò Machiavelli a Ricciardo Becchi
IV. Niccolò Machiavelli a Pier Francesco Tosinghi
V. Niccolò Machiavelli a Pier Francesco Tosinghi
VI. Niccolò Machiavelli a Pier Francesco Tosinghi
VII.[11]. Niccolò Machiavelli a un cancelliere di Lucca
VIII [82]. Niccolò Machiavelli ad Agnolo Tucci
IX [87]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Ridolfi
X [99]. Niccolò Machiavelli ad Antonio Tebalducci
XI [100]. Niccolò Machiavelli ad Antonio Tebalducci
XII [107]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Ridolfi
XIII [116]. Niccolò Machiavelli a Giovan Battista Soderini
XIV [168]. Niccolò Machiavelli a Luigi Guicciardini
XV [170]. Niccolò Machiavelli a Luigi Guicciardini
XVI [195]. Niccolò Machiavelli a una gentildonna
XVII [196]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XVIII [198]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XIX [200]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XX [202]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXI [204]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXII [205]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXIII [206]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XXIV [209]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XXV [211]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXVI [213]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXVII [214]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXVIII [216]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXIX [217]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXX [219]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXI [221]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXI [221]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXII [223]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXIII [224]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXIV [225]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXV [226]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XXXVI [228]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXVII [230]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXVIII [232]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XXXIX [233]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XL [235]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XLI [236]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XLII [239]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
XLIII [240]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XLV [242]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XLV [242]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XLVI [243]. Niccolò Machiavelli a Paolo Vettori
XLVII [244]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
XLVIII [246]. Niccolò Machiavelli a Lodovico Alamanni
XLIX [247]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
L [248]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
LI [250]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Vernacci
LII [255]. Niccolò Machiavelli a Francesco del Nero
LIII [257]. Niccolò Machiavelli a Giovanni Ventacci
LIV [261]. Niccolò Machiavelli a Francesco de Guicciardinii
LV [264]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LVI [265]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LVII [267]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
LVIII [270]. Niccolò Machiavelli a Francesco del Nero
LIX [273]. Niccolò Machiavelli a Francesco del Nero
LX [274]. Niccolò Machiavelli a Francesco del Nero
LXI [276]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXII [283]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXIII [287]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXIV [290]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXV [291]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXVI [292]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXVII [294]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXVIII [296]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXIX [298]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXX [299]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXXI [301]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXXII [302]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXXIII [303]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXXIV [304]. Niccolò Machiavelli a Bartolomeo Cavalcanti
LXXV [313]. Niccolò Machiavelli a Bartolomeo Cavalcanti
LXXVI [315]. Niccolò Machiavelli a Francesco Guicciardini
LXXVII [318]. Niccolò Machiavelli a Guido Machiavelli
LXXVIII [319]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
LXXIX [320]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
LXXX [321]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
LXXXI [323]. Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
Minuta della lettera XXI [204]
Appendice: Lettere di Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli
~I [176]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~II [197]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~III [199]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~IV [201]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~V [203]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~VI [207]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~VII [208]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~VIII [210]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~IX [212]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~X [215]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XI. [218]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XII [220]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XIII [222]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XIV [227]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XV [229]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XVI [231]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XVII [234]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XVIII [237]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XIX [238]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XX [272]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XXI [278]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XXII [307]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XXIII [308]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
~XXIV [310]. Francesco Vettori a Niccolò Machiavelli~
SCRITTI POLITICI
~Il Principe~
Nicolaus Maclavellus Magnifico Lamentio Medici iuniori salutem
Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno principe farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle quali vegghino lui più dilettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati cavagli, arme, drappi d’oro, prete preziose e simili ornamenti degni della grandezza di quelli. Desiderando io adunque offerirmi alla vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, in tra la mia supellettile, cosa quale io abbia più cara o tanto esistimi quanto la cognizione delle azioni delli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antiche; le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate ed esaminate, e ora in uno piccolo volume ridotte, mando alla Magnificenzia vostra. E benché io iudichi questa opera indegna della presenza di quella, tamen confido assai che per sua umanità gli debba essere accetta, considerato come da me non gli possa essere fatto maggiore dono che darle facultà a potere in brevissimo tempo intendere tutto quello che io, in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi, ho conosciuto e inteso. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ampie o di parole ampul-lose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio e ornamento estrinseco, con e’ quali molti sogliono le loro cose descrivere e ordinare, perché io ho voluto o che veruna cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata. Né voglio sia imputata prosunzione se uno uomo di basso e infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti e, per considerare quella de’ luoghi bassi, si pongono alto sopra ‘ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e, a conoscere bene quella de’ principi, conviene essere populare.
Pigli adunque vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io ‘1 mando; il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà dentro uno estremo mio desiderio che lei pervenga a quella grandezza che la fortuna e l’altre sua qualità le promettono.
E se vostra Magnificenzia da lo apice della sua altezza qualche volta vol gerà li occhi in questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna.
NICOLAI MACLAVELLI
DE PRINCIPATIBUS
AD MAGNIFICUM LAURENTIUM MEDICEM
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Capitolo I
Quot sint genera principatuum et quibus modis acquirantur¹
Tutti gli stati, tutti e’ domimi che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o republiche o principati. E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe, o sono nuovi. E’ nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di Napoli al re di Spagna. Sono questi domimi così acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi a essere liberi; e acquistonsi o con l’arme d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
Capitolo II
De principatibus hereditariis²
Io lascerò indreto il ragionare delle republiche, perché altra volta ne ragionai a lungo. Volterommi solo al principato e andrò ritessendo gli orditi soprascritti, e disputerò come questi principati si possino governare e mantenere.
Dico adunque che, nelli stati ereditari e assuefatti al sangue del loro principe, sono assai minore difficultà a mantenergli che ne’ nuovi, perché basta solo non preterire gli ordini de’ sua antinati e di poi temporeggiare con gli accidenti; in modo che, se tale principe è di ordinaria industria, sempre si manterrà nel suo stato, se non è una estraordinaria ed eccessiva forza che ne lo privi: e privato che ne fia, quantunque di sinistro abbi l’occupatore, lo riacquista.
Noi abbiamo in Italia, in exemplis, el duca di Ferrara, il quale non ha retto alli assalti de’ Viniziani neh’ottantaquattro, né a quelli di papa Mio nel dieci, per altre cagioni che per essere antiquato in quello dominio. Perché el principe naturale ha minori cagioni e minori necessità di offendere, donde conviene che sia più amato; e se estraordinari vizi non lo fanno odiare, è ragionevole che naturalmente sia benevoluto da’ sua. E nella antiquità e continuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni delle innovazioni: perché sempre una mutazione lascia lo addentellato per la edificazione dell’altra.
Capitolo III
De principatibus mixtis³
Ma nel principato nuovo consistono le difficultà. E prima, - se non è tutto nuovo, ma come membro: che si può chiamare tutto insieme quasi misto, - le variazioni sue nascono in prima da una naturale difficultà, quale è in tutti e’ principati nuovi: le quali sono che li uomini mutano volentieri signore, credendo migliorare, e questa credenza li fa pigliare l’arme contro a quello: di che e’ s’ingannano, perché veggono poi per esperienza avere piggiorato. Il che depende da un’altra necessità naturale e ordinaria, quale fa che sempre bisogni offendere quegli di chi si diventa nuovo principe, e con gente d’arme e con infinite altre ingiurie che si tira dreto il nuovo acquisto: di modo che tu hai nimici tutti quegli che hai offesi in occupare quello principato, e non ti puoi mantenere amici quelli che vi ti hanno messo, per non gli potere satisfare in quel modo che si erano presupposti e per non potere tu usare contro di loro medicine forti, sendo loro obligato; perché sempre, ancora che uno sia fortissimo in su li eserciti, ha bisogno del favore de’ provinciali a entrare in una provincia. Per queste ragioni Luigi xn re di Francia occupò subito Milano e subito lo perde; e bastò a torgliene, la prima volta, le forze proprie di Lodovico: perché quegli populi che gli avevano aperte le porte, trovandosi ingannati della opinione loro e di quello futuro bene che si avevano presupposto, non potevano sopportare e’ fastidi del nuovo principe.
Bene è vero che, acquistandosi poi la seconda volta, e’ paesi ribellati si perdono con più difficultà: perché el signore, presa occasione da la ribellione, è meno respettivo ad assicurarsi con punire e’ delinquenti, chiarire e’ sospetti, prò vedersi nelle parti più debole. In modo che, se a fare perdere Milano a Francia bastò la prima volta uno duca Lodovico che romoreggiassi in su’ confini, a farlo di poi perdere la seconda gli bisognò avere contro tutto il mondo e che gli eserciti sua fussino spenti o fugati di Italia: il che nacque da le cagioni sopraddette. Nondimanco, e la prima e la seconda volta gli fu tolto. Le cagioni universali della prima si sono discorse; resta ora a dire quelle della seconda, e vedere che rimedi lui ci aveva e quali ci può avere uno che fussi ne’ termini sua, per potere meglio mantenersi nello acquisto che non fece Francia.
Dico pertanto che questi stati, quali acquistandosi si aggiungono a uno stato antico di quello che acquista, o e’ sono della medesima provincia e della medesima lingua, o non sono. Quando sieno, è facilità grande a tenerli, massime quando non sieno usi a vivere liberi: e a possederli sicuramente basta avere spenta la linea del principe che gli dominava, perché, nelle altre cose mantenendosi loro le condizioni vecchie e non vi essendo disformità di costumi, gli uomini si vivono quietamente; come si è visto che ha fatto la Borgogna, la Brettagna, la Guascogna e la Normandia, che tanto tempo sono state con Francia: e benché vi sia qualche disformità di lingua, nondimeno e’ costumi sono simili e possonsi in fra loro facilmente comportare. E chi le acquista, volendole tenere, debbe avere dua respetti: l’uno, che el sangue del loro principe antico si spenga; l’altro, di non alterare né loro legge né loro dazi: talmente che in brevissimo tempo diventa con esso loro il principato antiquo tutto uno corpo.
Ma quando si acquista stati in una provincia disforme di lingua, di costumi e di ordini, qui sono le difficultà e qui bisogna avere gran fortuna e grande industria a tenerli. E uno de’ maggiori remedi e più vivi sarebbe che la persona di chi acquista vi andassi ad abitare; questo farebbe più sicura e più durabile quella possessione, come ha fatto il Turco di Grecia: il quale, con tutti li altri ordini osservati da lui per tenere quello stato, se non vi fussi ito ad abitare non era possibile che lo tenessi. Perché standovi si veggono nascere e’ disordini e presto vi puoi rimediare: non vi stando, s’intendono quando sono grandi e che non vi è più rimedio; non è oltre a questo la provincia spogliata da’ tua offiziali; satisfannosi e’ sudditi del ricorso propinquo al principe, donde hanno più cagione di amarlo, volendo essere buoni, e, volendo essere altrimenti, di temerlo; chi delli esterni volessi assaltare quello stato, vi ha più respetto; tanto che, abitandovi, lo può con grandissima difficultà perdere.
L’altro migliore remedio è mandare colonie in uno o in dua luoghi, che sieno quasi compedes di quello stato: perché è necessario o fare questo o tenervi assai gente d’arme e fanti. Nelle colonie non si spende molto; e sanza sua spesa, o poca, ve le manda e tiene, e solamente offende coloro a chi toglie e’ campi e le case per darle a’ nuovi abitatori, che sono una minima parte di quello stato; e quegli che gli offende, rimanendo dispersi e poveri, non gli possono mai nuocere; e tutti li altri rimangono da uno canto inoffesi, - e per questo doverrebbono quietarsi, - da l’altro paurosi di non errare, per timore che non intervenissi a loro come a quelli che sono stati spogliati. Concludo che queste colonie non costono, sono più fedeli, offendono meno, e li offesi non possono nuocere, sendo poveri e dispersi, come è detto. Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere: perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono; sì che la offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che la non tema la vendetta. Ma tenendovi, in cambio di colonie, gente d’arme, spende più assai, avendo a consumare nella guardia tutte le intrate di quello stato, in modo che l’acquisto gli torna perdita; e offende molto più, perché nuoce a tutto quello stato, tramutando con li alloggiamenti il suo esercito; del quale disagio ognuno ne sente e ciascuno gli diventa nimico: e sono nimici che gli possono nuocere, rimanendo battuti in casa loro. Da ogni parte dunque questa guardia è inutile, come quella delle colonie è utile.
Debbe ancora chi è in una provincia disforme, come è detto, farsi capo e defensore de’ vicini minori potenti, e ingegnarsi di indebolire e’ potenti di quella, e guardarsi che per accidente alcuno non vi entri uno forestiere potente quanto lui: e sempre interverrà eh’e’ vi sarà messo da coloro che saranno in quella malcontenti o per troppa ambizione o per paura, come si vidde già che gli Etoli missono e’ Romani in Grecia, e, in ogni altra provincia che gli entrorno, vi fumo messi da’ provinciali. E l’ordine delle cose è che, subito che uno forestieri potente entra in una provincia, tutti quelli che sono in essa meno potenti gli aderiscano, mossi da una invidia hanno contro a chi è suto potente sopra di loro: tanto che, respetto a questi minori potenti, lui non ha a durare fatica alcuna a guadagnargli, perché subito tutti insieme volentieri fanno uno globo col suo stato che lui vi ha acquistato. Ha solamente a pensare che non piglino troppe forze e troppa autorità, e facilmente può con le forze sua e col favore loro sbassare quelli che sono potenti, per rimanere in tutto arbitro di quella provincia; e chi non governerà bene questa parte, perderà presto quello che ara acquistato e, mentre lo terrà, vi ara dentro infinite difficultà e fastidi.
E’ Romani, nelle provincie che pigliorno, osservorno bene queste parte: e’ mandorno le colonie, intrattennono e’ meno potenti sanza crescere loro potenza, abbassorno e’ potenti, e non vi lasciorno prendere riputazione a’ potenti forestieri. E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per esemplo: fumo intrattenuti da loro gli Achei e gli Etoli, fu abbassato il regno de’ Macedoni, funne cacciato Antioco; né mai e’ meriti degli Achei o delli Etoli feciono eh’e’ permettessino loro accrescere alcuno stato, né le persuasioni di Filippo gl’indussono mai a essergli amici sanza sbassarlo, né la potenza di Antioco posse fare gli consentissino che tenessi in quella provincia alcuno stato. Perché e’ Romani feciono in questi casi quello che tutti e’ principi savi debbono fare: e’ quali non solamente hanno ad avere riguardo alli scandoli presenti, ma a’ futuri, e a quelli con ogni industria ovviare; perché, prevedendosi discosto, vi si rimedia facilmente, ma, aspettando che ti si appressino, la medicina non è a tempo, perché la malattia è diventata incurabile; e interviene di questa, come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del suo male è facile a curare e difficile a conoscere: ma nel progresso del tempo, non la avendo nel principio conosciuta né medicata, diventa facile a conoscere e difficile a curare. Così interviene nelle cose di stato: perché conoscendo discosto, il che non è dato se non a uno prudente, e’ mali che nascono in quello si guariscono presto; ma quando, per non gli avere conosciuti, si lasciano crescere in modo che ognuno gli conosce, non vi è più rimedio.
Però e’ Romani, veggendo discosto gl’inconvenienti, vi rimediorno sempre, e non gli lasciorno mai seguire per fuggire una guerra, perché sapevano che la guerra non si lieva, ma si differisce a vantaggio di altri: però vollono fare con Filippo e Antioco guerra in Grecia, per non la avere a fare con loro in Italia; e potevono per allora fuggire l’una e l’altra: il che non vollono. Né piacque mai loro quello che è tutto dì in bocca de’ savi de’ nostri tempi, di godere il benefizio del tempo, ma sì bene quello della virtù e prudenza loro: perché il tempo si caccia innanzi ogni cosa, e può condurre seco bene come male e male come bene.
Ma torniamo a Francia ed esaminiamo se delle cose dette e’ ne ha fatte alcuna: e parlerò di Luigi, e non di Carlo, come di colui che, per aver tenuta più lunga possessione in Italia, si sono meglio visti e’ sua progressi: e vedrete come egli ha fatto il contrario di quelle cose che si debbono fare per tenere uno stato in una provincia disforme. El re Luigi fu messo in Italia da la ambizione de’ Viniziani, che vollono guadagnarsi mezzo lo stato di Lombardia per quella venuta. Io non voglio biasimare questo partito preso dal re: perché, volendo cominciare a mettere uno pie in Italia e non avendo in que sta provincia amici, anzi sendogli per li portamenti del re Carlo serrate tutte le porte, fu necessitato prendere quelle amicizie che poteva; e sarebbegli riuscito el partito bene preso, quando nelli altri maneggi non avessi fatto alcuno errore. Acquistata adunque el re la Lombardia, subito si riguadagnò quella reputazione che gli aveva tolta Carlo: Genova cede; Fiorentini gli diventorno amici; marchese di Mantova, duca di Ferrara, Bentivogli, Madonna di Furlì, signore di Faenza, di Rimini, di Peserò, di Camerino, di Piombino, Lucchesi, Pisani, Sanesi, ognuno se gli fece incontro per essere suo amico. E allora poterno considerare e’ Viniziani la temerità del partito preso da loro, e’ quali, per acquistare dua terre in Lombardia, feciono signore el re de’ dua terzi di Italia.
Consideri ora uno con quanta poca difficultà poteva el re tenere in Italia la sua reputazione, se lui avessi osservate le regule soprascritte e tenuti sicuri e difesi tutti quelli sua amici, e’ quali, per essere gran numero e deboli e paurosi chi della Chiesa chi de’ Viniziani, erano sempre necessitati a stare seco; e per il mezzo loro poteva facilmente assicurarsi di chi ci restava grande. Ma lui non prima fu in Milano che fece il contrario, dando aiuto a papa Alessandro perché egli occupassi la Romagna; né si accorse, con questa deliberazione, che faceva sé debole, togliendosi gli amici e quegli che se gli erano gittati in grembo, e la Chiesa grande, aggiugnendo allo spirituale, che le dà tanta autorità, tanto temporale. E fatto un primo errore fu constretto a seguitare: in tanto che, per porre termine alla ambizione di Alessandro e perché e’ non divenissi signore di Toscana, e’ fu constretto venire in Italia.
Non gli bastò avere fatto grande la Chiesa e toltosi gli amici: che, per volere il regno di Napoli, lo divise con il re di Spagna; e dove egli era prima arbitro di Italia, vi misse uno compagno, acciò che gli ambiziosi di quella provincia e malcontenti di lui avessino dove ricorrere; e dove poteva lasciare in quel regno uno re suov pensionario, e’ ne lo trasse per mettervi uno che potessi cacciarne lui. È cosa veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare: e sempre, quando li uomini lo fanno, che possono, saranno laudati o non biasimati; ma quando e’ non possono, e vogliono farlo in ogni modo, qui è lo errore e il biasimo. Se Francia adunque poteva con le sue forze assaltare Napoli, doveva farlo: s’è’ non poteva, non doveva dividerlo; e se la divisione fece co’ Viniziani di Lombardia meritò scusa, per avere con quella messo el pie in Italia, questa merita biasimo per non essere scusata da quella necessità.
Aveva dunque fatto Luigi questi cinque errori: spenti e’ minori potenti; accresciuto in Italia potenza a uno potente; messo in quella uno forestiere potentissimo; non venuto ad abitarvi; non vi messo colonie. E’ quali errori ancora, vivendo lui, potevono non lo offendere, se non avessi fatto il sesto, di tórre lo stato a’ Viniziani. Perché, quando e’ non avessi fatto grande la Chiesa né messo in Italia Spagna, era bene ragionevole e necessario abbassargli; ma avendo preso quegli primi partiti, non doveva mai consentire alla mina loro: perché, sendo quegli potenti, sempre arebbono tenuti gli altri discosto da la impresa di Lombardia, sì perché e’ Viniziani non vi arebbono consentito sanza diventarne signori loro, sì perché li altri non arebbono voluto torla a Francia per darla a loro; e andare a urtarli tutti a dua non arebbono avuto animo.
E se alcuno dicessi: el re Luigi cede ad Alessandro la Romagna e a Spagna il Regno per fuggire una guerra; rispondo con le ragioni dette di sopra, che non si debbe mai lasciare seguire uno disordine per fuggire una guerra: perché la non si fugge, ma si differisce a tuo disavvantaggio. E se alcuni altri allegassino la fede che il re aveva data al papa, di fare per lui quella impresa per la resoluzione del suo matrimonio e il cappello di Roano, rispondo con quello che per me di sotto si dirà circa alla fede de’ principi e come la si debbe osservare.
Ha perduto adunque el re Luigi la Lombardia per non avere osservato alcuno di quelli termini osservati da altri che hanno preso provincie e volutole tenere; né è miraculo alcuno questo, ma molto ordinario e ragionevole. E di questa materia parlai a Nantes con Roano , quando el Valentino, -che così era chiamato popularmente Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro, - occupava la Romagna; perché, dicendomi el cardinale di Roano che gli Italiani non si intendevano della guerra, io gli risposi che ‘ Franzesi non si intendevano dello stato: perché, s’è’ se ne ‘ntendessino, non lascerebbono venire in tanta grandezza la Chiesa. E per esperienza si è visto che la grandezza in Italia di quella e di Spagna è stata causata da Francia, e la mina sua è suta causata da loro. Di che si trae una regula generale, la quale mai o raro falla, che chi è cagione che uno diventi potente, mina: perché quella potenza è causata da colui o con industria o con forza, e l’una e l’altra di queste dua è sospetta a chi è divenuto potente.
Capitolo IV
Cur Darli regnum, quod Alexander occupaverat, a successoribus suis post Alexandri mortem non defecit⁴
Considerate le difficultà le quali s’hanno a tenere uno stato occupato di nuovo, potrebbe alcuno maravigliarsi donde nacque che Alessandro Magno diventò signore della Asia in pochi anni e, non la avendo appena occupata, morì: donde pareva ragionevole che tutto quello stato si ribellassi; nondimeno e’ successori di Alessandro se lo mantennono e non ebbono, a tenerlo, altra difficultà che quella che in fra loro medesimi per propria ambizione nacque. Rispondo come e’ principati de’ quali si ha memoria si tmovono governati in dua modi diversi: o per uno principe e tutti li altri servi, e’ quali come ministri, per grazia e concessione sua, aiutano governare quello regno; o per uno principe e per baroni e’ quali non per grazia del signore, ma per antichità di sangue, tengono quel grado. Questi tali baroni hanno stati e sudditi propri, e’ quali gli riconoscono per signori e hanno in loro naturale affezione. Quelli stati che si governano per uno principe e per servi hanno el loro principe con più autorità, perché in tutta la sua provincia non è uomo che riconosca alcuno per superiore se non lui; e se ubbidiscono alcuno altro, lo fanno come ministro e offiziale; e a lui portano particulare amore.
Li esempli di queste dua diversità di governi sono, ne’ nostri tempi, el Turco e il re di Francia. Tutta la monarchia del Turco è governata da uno signore: li altri sono sua servi; e distinguendo il suo regno in sangiacchie, vi manda diversi amministratori e gli muta e varia come pare a lui. Ma il re di Francia è posto in mezzo di una moltitudine antiquata di signori, in quello stato, riconosciuti da’ loro sudditi e amati da quegli: hanno le loro preminenze, non le può il re tórre loro sanza suo periculo. Chi considera adunque l’uno e l’altro di questi stati, troverrà difficultà nell’acquistare lo stato del Turco, ma, vinto che fia, facilità grande a tenerlo. Così per avverso troverrà per qualche respetto più facilità a potere occupare il regno di Francia, ma difficultà grande a tenerlo, vinto che lo ará.
Le cagioni delle difficultà, in potere occupare il regno del Turco, sono per non potere essere chiamato da’ principi di quel regno, né sperare, con la rebellione di quegli che gli ha d’intorno, potere facilitare la sua impresa; il che nasce da le ragioni sopraddette: perché, sendogli tutti stiavi e obligati, si possono con più difficultà corrompere e, quando bene si corrompessino, se ne può sperare poco utile, non potendo quelli tirarsi dreto e’ populi per le ragioni assegnate. Onde a chi assalta el Turco è necessario pensare di averlo a trovare tutto unito, e gli conviene sperare più nelle forze proprie che ne’ disordini di altri. Ma vinto ch’e’ fussi, e rotto alla campagna in modo che non possa rifare eserciti, non si ha a dubitare di altro che del sangue del principe: el quale spento, non resta alcuno di chi si abbia a temere, non avendo gli altri credito con e’ populi; e come el vincitore avanti la vittoria non poteva sperare in loro, così non debbe dopo quella temere di loro.
Al contrario interviene ne’ regni governati come quello di Francia: perché con facilità tu puoi entrarvi guadagnandoti alcuno barone del regno, perché sempre si truova de’ mali contenti e di quegli che desiderano innovare. Costoro per le ragioni dette ti possono aprire la via a quello stato e facilitarti la vittoria: la quale di poi, a volerti mantenere, si tira dreto infinite difficultà e con quelli che ti hanno aiutato e con quelli che tu hai oppressi. Né ti basta spegnere el sangue del principe, perché vi rimangono quelli signori, che si fanno capi delle nuove alterazioni: e non gli potendo né contentare né spegnere, perdi quello stato qualunque volta la occasione venga.
Ora, se voi considerrete di qual natura di governi era quello di Dario, lo troverrete simile al regno del Turco: e però ad Alessandro fu necessario prima urtarlo tutto e tòrgli la campagna. Dopo la qua! vittoria, sendo Dario morto, rimase ad Alessandro quello stato sicuro per le ragioni di sopra discorse; ed e’ sua successori, se fussino stati uniti, se lo potevano godere oziosi: né in quello regno nacquono altri tumulti che quegli che loro propri sucitorno.
Ma gli stati ordinati come quello di Francia è impossibile possederli con tanta quiete. Di qui nacquono le spesse ribellioni di Spagna, di Francia e di Grecia da’ Romani, per gli spessi principati che erano in quelli stati: de’ quali mentre durò la memoria, sempre fu Roma incerta di quella possessione. Ma spenta la memoria di quelli, con la potenza e diuturnità dello imperio, ne diventorno sicuri possessori: e poterno anche quelli di poi, combattendo in fra loro, ciascuno tirarsi dreto parte di quelle provincie secondo l’autorità vi aveva presa dentro; e quelle, per essere e’ sangui de’ loro antiqui signori spenti, non riconoscevano se non e’ Romani. Considerato adunque tutte queste cose, non si maraviglierà alcuno della facilità ebbe Alessandro a tenere lo stato di Asia, e delle difficultà che hanno avuto gli altri a conservare lo acquistato, come Pirro e molti: il che non è nato da la poca o da la molta virtù del vincitore, ma da la disformità del subietto.
Capitolo V
Quomodo administrandae sunt civitates vel principatus qui ante quam occuparentur suis legibus vivebant⁵
Quando quelli stati, che si acquistano come è detto, sono consueti a vivere con le loro leggi e in libertà, a volergli tenere ci sono tre modi: il primo, minarle; l’altro, andarvi ad abitare personalmente; il terzo, lasciagli vivere con le sua legge, traendone una pensione e creandovi dentro uno stato di pochi, che te lo conservino amico: perché, sendo quello stato creato da quello principe, sa che non può stare sanza l’amicizia e potenza sua e ha a fare tutto per mantenerlo; e più facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de’ sua cittadini che in alcuno altro modo, volendola per servare.
In exemplis ci sono gli Spartani ed e’ Romani. Gli Spartani tennono Atene e Tebe creandovi uno stato di pochi, tamen le riperdemo. E’ Romani, per tenere Capua Cartagine e Numanzia, le disfeciono, e non le perderno; vollono tenere la Grecia quasi come tennono gli Spartani, fac-cendola libera e lasciandole le sua legge, e non successe loro: tale che fumo constretti disfare di molte città di quella provincia per tenerla. Perché in verità non ci è modo sicuro a possederle altro che la mina; e chi diviene patrone di una città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella: perché sempre ha per refugio nella rebellione el nome della libertà e gli ordini antiqui sua, e’ quali né per lunghezza di tempo né per benifìzi mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provegga, se non si disuniscono o dissipano gli abitatori non dimenticano quello nome né quegli ordini, e subito in ogni accidente vi ricorrono: come fé’ Pisa dopo cento anni che la era suta posta in servitù da’ Fiorentini.
Ma quando le città o le provincie sono use a vivere sotto uno principe e quello sangue sia spento, sendo da uno canto usi a ubbidire, da l’altro non avendo il principe vecchio, fame uno in fra loro non si accordano, vivere liberi non sanno: di modo che sono più tardi a pigliare l’arme e con più facilità se gli può uno principe guadagnare e assicurarsi di loro. Ma nelle republiche è maggiore vita, maggiore odio, più desiderio di vendetta: né gli lascia, né può lasciare, riposare la memoria della antiqua libertà; tale che la più sicura via è spegnerle, o abitarvi.
Capitolo VI
De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur⁶
Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli. Perché, camminando gli uomini sempre per le vie battute da altri e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie d’altri al tutto tenere né alla virtù di quegli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare: acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el luogo dove desegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il luogo destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro.
Dico adunque che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si truova a mantenergli più o meno difficultà secondo che più o meno è virtuoso colui che gli acquista. E perché questo evento, di diventare di privato principe, presuppone o virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighino in parte molte difficultà; nondimanco, colui che è stato meno in su la fortuna si è mantenuto più. Genera ancora facilità essere el principe constretto, per non avere altri stati, venire personalmente ad abitarvi.
Ma per venire a quegli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che e’ più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato, solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma considerato Ciro e li altri che hanno acquistato o fondati regni, gli tro-verrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quegli di Moisè, che ebbe sì grande precettore. Ed esaminando le azioni e vita loro non si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi dentro quella forma che parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.
Era adunque necessario a Moisè trovare el populo d’Israel in Egitto stiavo e oppresso da li Egizi, acciò che quegli, per uscire di servitù, si disponessino a seguirlo. Conveniva che Romulo non capessi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e’ Persi malcontenti dello imperio de’ Medi, ed e’ Medi molli ed effeminati per la lunga pace. Non poteva Teseo dimostrare la sua virtù, se non trovava gli Ateniesi dispersi. Queste occasioni per tanto feciono questi uomini felici e la eccellente virtù loro fé’ quella occasione essere conosciuta: donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima.
Quelli e’ quali per vie virtuose, simili a costoro, diventono principi, acquistano el principato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difficultà che gli hanno nello acquistare el principato nascono in parte da’ nuovi ordini e modi che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro sicurtà. E debbesi considerare come e’ non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo di introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimico tutti quegli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tiepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene: la quale tepidezza nasce parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte da la incredulità degli uomini, e’ quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri difendono tiepidamente: in modo che insieme con loro si periclita.
È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependono da altri: cioè se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, o vero possono forzare. Nel primo caso, sempre capitano male e non conducono cosa alcuna; ma quando dependono da loro propri e possono forzare, allora è che rare volte periclitano: di qui nacque che tutti e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno. Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è varia ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli in quella persuasione: e però conviene essere ordinato in modo che, quando non credono più, si possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono potuto fare osservare loro lungamente le loro constituzioni, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne a fra Ieronimo Savonerola, il quale minò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non credergli, e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto né a fare credere e’ discredenti. Però questi tali hanno nel condursi grande difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via e conviene che con la virtù gli superino. Ma superati che gli hanno, e che cominciano a essere in venerazione, avendo spenti quegli che di sua qualità gli avevano invidia, rimangono potenti, sicuri, onorati e felici.
A sì alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene ara qualche proporzione con quegli, e voglio mi basti per tutti gli altri simili: e questo è Ierone siracusano. Costui di privato diventò principe di Siracusa; né ancora lui conobbe altro da la fortuna che la occasione: perché, sendo e’ Siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano; donde meritò di essere fatto loro principe. E fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive dice quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum. Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, posse in su tale fondamento edificare ogni edifizio, tanto che lui durò assai fatica in acquistare e poca in mantenere.
Capitolo VII
De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur⁷
Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano: ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti. E questi tali sono quando è concesso ad alcuno uno stato o per danari o per grazia di chi lo concede: come intervenne a molti in Grecia nelle città di Ionia e di Ellesponto, dove fumo fatti principi da Dario, acciò le tenessino per sua sicurtà e gloria; come erano fatti ancora quelli imperadori che di privati, per corruzione de’ soldati, pervenivano allo imperio.
Questi stanno semplicemente in su la volontà e fortuna di chi lo ha concesso loro, che sono dua cose volubilissime e instabili, e non sanno e non possono tenere quello grado: non sanno, perché s’è’ non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo