Sonata 1924 e pianismo modernistico di Igor Stravinsky: tra citazione neoclassica e personalizzazione espressiva
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Sonata 1924 e pianismo modernistico di Igor Stravinsky - Giuseppe Costa
Giuseppe Costa
Sonata 1924 e pianismo modernistico di Igor Stravinsky
tra citazione neoclassica e personalizzazione espressiva
Copyright © 2020 Giuseppe Costa
info.giuseppecosta@gmail.com
www.giuseppecostapiano.com
Copertina di: Giuseppe Costa
UUID: e28f537e-c450-44e6-a21d-033f60211d37
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Indice dei contenuti
Introduzione
Stile, tradizione e modernità nella poetica compositiva di Igor Stravinsky
Il pensiero musicale di Stravinsky: organizzazione metrica e seriale
Stravinsky e il pianoforte
La Sonata 1924: quadro storico
Sviluppo formale e stile
Una visione di sintesi
Note
Bibliografia
Discografia
Il saggio è un estratto dalla mia tesi di laurea in Pianoforte, diploma accademico di primo livello a.a. 2006\07 relatore prof. Mario Musumeci. L'estratto è stato pubblicato in forma di saggio.
Giuseppe Costa, Il pianismo modernistico di Stravinskij: tra citazione neoclassica e personalizzazione espressiva, in AA. VV. (a cura di Alba Crea), Trame musicali tra ‘800 e ‘900, Quaderni del Conservatorio, n. 5, Samperi, Messina 2009, pp. 165-216.
Dedicato al prof. Mario Musumeci
con gratitudine e cuore.
Introduzione
La Sonata 1924 nasce dopo il Concerto per pianoforte e orchestra di fiati, lavoro col quale Stravinsky debuttò come solista e interprete della propria musica. Il Concerto fu considerato da molti critici sconcertante, alcuni ne rimproverarono anche una certa eterogeneità, ma in realtà Stravinsky ridusse al comune denominatore della sua personalità elementi stilistici che lo riportavano a Händel, Bach, Scarlatti e ad atteggiamenti jazzistici.
La produzione di Stravinsky a partire dagli anni venti fino alla metà del secolo si avvicina particolarmente alle forme e ai modelli della tradizione; modelli
considerati in quanto tali secondo una peculiare prospettiva del Compositore, di cui dovremo occuparci. Tale atteggiamento è vissuto dal Nostro come l’operare in un territorio comune, in un patrimonio considerato tanto universale da non poter essere lasciato alle spalle – come avverrà invece negli intendimenti estetici della Nuova Musica post-weberniana – e che attraverso una consapevolezza storicizzata può riprendere vita in quanto materiale di spunto creativo.
E in effetti la tradizione musicologica fa notoriamente rientrare le opere di questo periodo in una definizione neoclassica
; definizione che in questa trattazione manterremo solo per comodità di riferimenti. Senza sottacere però, come meglio approfondiremo in seguito, che l’atteggiamento di Stravinsky nei confronti di questo termine, e della conseguente schematizzazione della sua complessiva attività creativa, ha assunto connotazioni alquanto polemiche se non decisamente avversative.
Questa fase si apre con Pulcinella (1920, balletto con voci e piccola orchestra, su temi, frammenti e pezzi di Pergolesi) e l’ Ottetto per strumenti a fiato (1923). In Pulcinella il materiale melodico di Pergolesi rimane quasi del tutto intatto mentre l’architettura funzionale settecentesca si arricchisce e viene plasmata dall’uso frequente di note estranee, di appoggiature non risolte, di dissonanze che arricchiscono il tessuto sonoro, di una quadratura spezzata e di una simmetria interrotta, con l’uso di accenti spostati e frequenti sincopi e contrattempi, e insomma di tutto ciò che già aveva caratterizzato la personale scrittura stravinskiana.
Tale specifica maniera compositiva neoclassica
di Stravinsky si rende innanzitutto come un forte adattamento ai compositori a lui più congeniali, come nel caso di Pergolesi nel balletto Pulcinella. Sembra quasi che il nostro compositore sia coinvolto da una singolare e rivissuta freschezza creativa di questo materiale, che sebbene ormai datato riprende vita e forma nella sua fantasia per essere riesposto e ri-plasmato attraverso una lente assieme deformante e ri-conformante; fino a produrre un materiale nuovo sonorialmente ricco e ritmicamente vivo, e soprattutto caratterizzato da un singolare dinamismo. A questo proposito possiamo citare una celebre frase di Stravinsky:
Il mio istinto è di ricomporre … tutto ciò che mi interessa, tutto ciò che amo, voglio farlo mio (probabilmente sto descrivendo una rara forma di cleptomania) ¹
La Sonata, eseguita dallo stesso Stravinsky a Venezia nel 1925 per il Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea, viene meno ad una certa tendenza ormai pregressa, ad una certa violenza timbrico-sonoriale che si sprigionava nelle precedenti composizioni (comprese alcune parti del Concerto), a favore di un’intensità melodica espressiva che arriva anche a far dimenticare la natura percussiva della meccanica pianistica. Stravinsky solo in apparenza contrasta quest’indole – al contrario ben rilevata proprio da compositori suoi contemporanei come Bartòk – tramite l’uso del legato e del cantabile, ma ben diversamente dagli autori classico-romantici penetra nell’idioma dello strumento fino a metterne a nudo la sua più intima natura materica.
Questa Sonata, il cui termine è innanzitutto da intendersi in senso preclassico, ovvero come musica da suonare piuttosto che da cantare, rimanda già dall’inizio nel primo movimento, ma anche nel fugato del terzo movimento, a due dei soliti modelli che si vogliono scorgere più frequentemente dietro le opere neoclassiche
di Stravinsky: il sommo Johann Sebastian Bach e il di lui figlio Carl Philipp. Mentre per il movimento centrale, l’Adagietto, che costituisce una delle più liriche ed intense pagine della sua produzione, lo stesso Stravinsky coniò la definizione di un Beethoven frisé
² , dando del riccioluto
o del cotonato
alla sua rilettura di una maniera stilistica del grande tedesco; spesso iconograficamente rappresentato (Beethoven) con la folta chioma svolazzante nell’impeto creativo, ma in realtà universalmente noto per l’asciuttezza del suo linguaggio musicale, privo di inutili orpelli e piuttosto tendente all’essenzialità: una definizione in effetti alquanto sommaria, quella di S., ma certo pertinente ad un voluto effetto caricaturale del brano. E difatti in quest’opera slanci e ristagni nell’espressione lirica si alternano costantemente, con una vaga tendenza meccanica: quasi che costantemente subentrasse una seria difficoltà a lasciarsi andare, come forse si preferirebbe, ad un canto espressivo di primo piano; dato che subitaneamente tale tendenza è invertita o riaffermata dal prevalere di elementi materici e di semplici oggetti sonori quali un trillo, una scaletta o una serie di acciaccature.
E peraltro il primo e terzo movimento – che dell’andamento riportano solo le indicazioni metronomiche – si muovono su di un uniforme e ostinato martellamento ritmico; che, nel movimento iniziale, è adattato a sostenere un’elegante e cantabile motivo che potrebbe vagamente ricordare il Gloria di un cantico religioso.
Igor Fedorovic Stravinsky (Oranienbau, Pietroburgo, 1882-New York 1971) nacque nei pressi di Pietroburgo, figlio di un bravo cantante, primo basso al teatro Marijnskij. Pur avendo iniziato lo studio del pianoforte a undici anni egli non fu affatto un enfant prodige. I suoi studi musicali iniziarono infatti abbastanza tardi quando, già avviato agli studi giuridici, incontrò N. Rimskij-Korsakov; il quale accettò di prenderlo, nonostante i suoi ventitré anni, tra i propri allievi di composizione. Il tirocinio con Rimskij-Korsakov durò fino alla morte del maestro (1908). Proprio in questo anno venne presentato a Sergej Diaghilev, un intraprendente impresario russo, particolarmente interessato all’allestimento di balletti. Questi dopo aver ascoltato ad un concerto Fuochi d’artificio e lo Scherzo Fantastico, intuì immediatamente il talento del giovane musicista e gli commissionò la strumentazione di due pezzi di Chopin per il balletto Le Silfidi, che venne allestito nelle prima stagione dei Balletti russi a Parigi. L’anno successivo gli fu affidata la composizione di un intero balletto: L’uccello di fuoco presentato a Parigi il 25 giugno 1910, con notevole successo. In questa partitura, nata sotto l’influenza del colorismo di Rimskij-Korsakov, Stravinsky dimostrava già una personalità e un’audacia