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La cruna dell'ago: Dialoghi su etica, economia e Cristianesimo
La cruna dell'ago: Dialoghi su etica, economia e Cristianesimo
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La cruna dell'ago: Dialoghi su etica, economia e Cristianesimo

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Mai come oggi si è sentita la necessità di uno sguardo cristiano sui temi etici ed economici, vista anche l'attenzione che la Chiesa sta ponendo in questi ultimi anni su questi argomenti. Ecco lo scopo di questo libro di Ettore Gotti Tedeschi e Aurelio Porfiri, un libro che cerca di avere uno sguardo onesto, anche critico, sul rapporto fra etica, economia e Cristianesimo.
Il Prof. Stefano Fontana dice nella sua prefazione: "L’ordine realistico del creato riguarda anche la società umana e non solo la natura materialmente intesa, nonostante un ecologismo ideologico ampiamente penetrato anche in casa cattolica ci dica diversamente". Padre Robert Sirico dell'Acton Institute commenta nella sua introduzione a questo libro: "La Cruna dell'Ago: Dialoghi su etica, economia e cristianesimo di Ettore Gotti Tedeschi e Aurelio Porfiri è, senza alcun dubbio, un vero e proprio catechismo. Lo è non solo nella metodologia in forma di dialogo con cui è stato scritto, ma anche perché cerca un approccio globale all’intersecarsi dei problemi economici con quelli etici".
Un libro in cui si affrontano tanti temi e soprattutto le ripercussioni di certe distorsioni nelle materie economiche ed etiche nella vita attuale della Chiesa.
______________
Ettore Gotti Tedeschi è banchiere ed economista. Rappresenta in Italia da 27 anni una delle maggiori banche al mondo ed ha avuto vari incarichi istituzionali. Ha contribuito alla realizzazione della parte economica dell’Enciclica Caritas in Veritate. E’ stato Presidente dello IOR . Ha scritto una dozzina di libri, alcuni tradotti in più lingue, soprattutto di morale in economia.
Aurelio Porfiri è compositore, direttore di coro, educatore ed autore. Sue composizioni sono pubblicate in vari paesi. E' autore di circa 50 libri.
LanguageItaliano
PublisherChorabooks
Release dateSep 14, 2020
ISBN9789887999591
La cruna dell'ago: Dialoghi su etica, economia e Cristianesimo

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    La cruna dell'ago - Ettore Gotti Tedeschi, Aurelio Porfiri

    Covid-19

    Prefazione

    Professor Stefano Fontana (Presidente Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân)

    La Chiesa ha sempre affrontato il problema dell’economia con realismo cristiano, ossia con il realismo filosofico (e metafisico) della recta ratio insieme al realismo della rivelazione che conferma e purificare il realismo della ragione. Questo doppio realismo (di ragione e di fede) ha guidato la Chiesa fin dalla Rerum novarum , enciclica di straordinario realismo, che proprio per questa sua caratteristica non può venire isolata dalle altre otto encicliche a sfondo sociale dei Leone XIII le quali formano un sistema compiutamente realista, a partire dalla Aeterni Patris . Come è noto, Leone XIII stesso indicò l’elenco delle nove encicliche, ordinandole tra loro dal punto di vista del sistema del realismo cristiano. La critica alle ideologie moderne contenute in quelle encicliche sono condotte a partire dall’ordine naturale delle cose, che è poi l’ordine del Creato, espressione, come ricordava Benedetto XVI con la limpidezza concettuale che lo caratterizzava, della Sapienza Creatrice. L’ordine del Creato è anche un ordine finalistico, perché come insegnava San Tommaso, dall’essere nasce il dover essere nel senso che ogni cosa reale possiede delle inclinazioni naturali che la orientano al suo proprio bene e al bene comune, inclinazioni che nell’uomo diventano doveri morali affinché la sua vita non si riduca a sola esistenza, non più fondata e orientata dall’essenza il che, come ricordava Padre Cornelio Fabro, vorrebbe dire far coincidere l’esistenza con il tempo, non essere e tempo come suonava il titolo dell’ opus magnum di Heidegger, ma essere è tempo . Il che ci farebbe ritornare al famoso frammento di Anassimandro: l’uomo non sarebbe che tempo, destinato a ritornare nel nulla da cui è venuto.

    La scissione tra la recta ratio e la religio vera, presente non solo della teologia protestante ma ormai anche di tanta parte di quella cattolica, impedisce di adoperare il realismo del buon senso, o del senso comune, inteso come la spontanea capacità dell’uomo di attingere la verità che coincide con la realtà . L’uomo è capax veritatis, in grado di conoscere l’ordine delle cose, e laddove non può con le sue forze, arriva con l’aiuto della Grazia. Se rifiuta l’aiuto della fede nella rivelazione di Dio, la ragione riduce la propria capacità di conoscere anche lo stesso ordine naturale e perde la fiducia in se stessa.

    La Dottrina sociale della Chiesa presuppone questo realismo metafisico, richiesto e postulato dalla stessa rivelazione, dato che, come diceva Augusto Del Noce, la fede cristiana contiene in sé una metafisica che la ragione approfondisce senza staccarsi dalla fede. Quando la Dottrina sociale della Chiesa allenta i propri legami con questa visione della centralità della verità nella centralità della realtà, o addirittura quando li dimentica, tende a perdersi nelle costruzioni artificiose a sfondo ideologico.

    Queste osservazioni riguardano anche l’economia - tema principale ma non certo unico di questo libro - la quale pure richiede, per essere adeguatamente compresa, di venire collocata dentro una visione realistica. L’ordine realistico del creato riguarda anche la società umana e non solo la natura materialmente intesa, nonostante un ecologismo ideologico ampiamente penetrato anche in casa cattolica ci dica diversamente. La società, infatti, non è fatta di individui accostati o sommati tra loro – lo dichiaravano la Evangelium vitae e la Centesimus annus di Giovanni Paolo II -, ma possiede un ordine finalistico che riguarda sia i soggetti operanti che i criteri per operare. L’economia è interessata da ambedue queste problematiche dato che è sia una forma di agire umano sia un tipo di sapere. Non va dimenticato che ogni violazione dell’ordine naturale delle cose è violenza. Quando l’economia non viene collocata al suo giusto posto, il posto che naturalmente le compete nel quadro del sapere e dell’agire umano realisticamente fondati, provoca disordine anziché ordine e il disordine è sempre violento.

    Iniziando quindi dai criteri economici per operare, per poi affrontare i soggetti operanti, notiamo che l’economia ha la pretesa di essere scienza. Le scienze non condividono tutte lo stesso rigore metodologico e la stessa capacità di autocorrezione. Le scienze sociali, tra cui l’economia, si collocano ad un livello piuttosto modesto di rigore epistemico e spesso confinano con la letteratura, talvolta addirittura con la letteratura da diporto, senza nessuna offesa per la letteratura. Se utilizziamo, a titolo di esempio, il criterio di scientificità elaborato da Karl Popper, pur non condividendone i presupposti, dobbiamo notare che l’economia non è una scienza, mancando infatti per essa l’indicazione di un evento che, verificandosi, la confuterebbe. Inoltre l’economia partecipa dei caratteri generali delle scienze sociali, ossia è descrittiva e non prescrittiva. Per questo motivo essa dipende da altri saperi superiori che la possano valutare ed orientare. Essendo quella economica una forma di agire umano, essa ricade prima di tutto sotto la tutela della filosofia morale e della teologia morale, le quali cadono a loro volta sotto la tutela dell’antropologia e della metafisica. In altre parole, l’economia non è in grado di conoscere e gestire fino in fondo se stessa. È un sapere limitato, bisognoso di un quadro più ampio da cui trarre luce. Questo ha sempre pensato la Dottrina sociale della Chiesa, e questo si può leggere anche in questo libro, sicché quando all’economia si dà troppa importanza e la si solleva al di sopra del suo proprio livello, attribuendole addirittura un ruolo di guida epistemica, la stessa attività economica ne risente e sopporta negative deviazioni. Bisogna però riconoscere che proprio questo è avvenuto ed avviene. La teologia contemporanea ha sovvertito il quadro del sapere e ha assegnato alle scienze sociali – e quindi anche all’economia – un significato superiore a quello della filosofia e della teologia. La motivazione che è stata addotta è che le scienze sociali ci metterebbero in contatto con il concreto. Presupposto, questo, assolutamente sbagliato perché le scienze sociali prima di tutto sono forme di generalizzazione nella quale il singolare sparisce, e secondariamente dipendono strutturalmente dalle visioni di filosofia morale che, vere o false che siano e anche se non esplicitate, stanno loro alle spalle e ne guidano le indagini, che quindi non sono mai neutre. L’economia non ha una sua totale autonomia epistemica, dipende da altro che la precede e che sempre quindi la orienta e ciò accade anche e soprattutto quando essa rifiuta tutto questo e si pensa autonoma.

    Più sopra sottolineavo che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre considerato le scienze sociali in questo modo, ma la teologia contemporanea nel frattempo sovvertiva il quadro del sapere rifiutando l’impianto metafisico e privilegiando un approccio storico e narrativo secondo il quale la conoscenza dell’oggetto da parte di una qualsiasi disciplina contiene sempre in sé anche qualcosa del soggetto e della sua situazione esistenziale che lo condiziona. Per questo si è ritenuto di affidarsi alle scienze sociali prima che alla metafisica in quanto proprio esse descriverebbero la situazione esistenziale nel cui contesto storico avviene la conoscenza. Ora, nel magistero sociale di papa Francesco questa evoluzione sembra essere stata completamente recepita, in contrasto con l’impostazione dei documenti del magistero sociale precedente. Nei documenti e negli interventi di questo pontificato l’economia emerge ai primi piani del sapere, ma proprio perché viene staccata dalla sapienza filosofica e teologica tradizionale, la si presenta anche in modo ideologico, tramite frasi ad effetto – questa economia uccide - dallo scarso valore non solo di filosofia e teologia morale ma anche proprio di economia. In questo modo il magistero ritiene di avvicinarsi alla concretezza della vita ed invece se ne allontana. Questo libro mette in evidenza molti di questi aspetti.

    Passando ora a considerare i soggetti della prassi economica, va notato che una visione realistica dell’ordine finalistico della società cerca di evitare di sostituire alla realtà le costruzioni artificiali che producono sempre disordine e quindi violenza e ingiustizia. Il fatto visto sopra che l’economia non è un sapere primario ma secondario e dipendente da altri non ha conseguenze solo sul piano teoretico ma anche nella vita. L’economia non sa guidarsi da sola, ha bisogno della morale e la morale ha bisogno di Dio, perché ha una pretesa di assolutezza che non può soddisfare da sola. In altre parole: non è mai per motivi economici che l’economia va male. Tutti ricordiamo il giudizio di Giovanni Paolo II sulle vere cause del crollo del sistema economico comunista contenuto nella Centesimus annus e che diceva proprio questo. Ciò significa che ci sono dei soggetti economici che vengono naturalmente prima di altri in quanto garantiscono meglio questa dipendenza dalla vita morale e religiosa. Per questo motivo la famiglia è il primo soggetto economico: è luogo di procreazione di nuove vite e di educazione, è scuola di lavoro e di virtù umane da spendersi anche nella professione, è soggetto di risparmio e di investimento oculato, è attore di solidarietà e il primo ammortizzatore sociale. La distrazione dei principi morali dalla vita della famiglia rappresenta un enorme danno economico. La denatalità non ha cause economiche ma morali e culturali, poi però produce anche danni economici. Pretendere che la famiglia continui a funzionare senza essere più famiglia, depauperata non solo materialmente ma anche moralmente, vuol dire pregiudicare anche la funzionalità degli altri soggetti economici successivi. Il riconoscimento per legge di nuovi tipi di famiglia e la fabbrica dei figli in laboratorio produrranno artificialmente qualche successo economico di settore nel breve periodo, ma anche stanchezza e debolezza strutturale nel lungo periodo. Non l’ecologia ma la famiglia e la vita sono i primi valori da tutelare economicamente. Quando Leone XIII parlava di salario familiare, quando Giovanni Paolo II parlava della famiglia come prima scuola di lavoro, quando Benedetto XVI parlava del rispetto del diritto alla vita come fondamentale principio economico, intendevano dire proprio questo. La difesa da parte della Dottrina sociale cattolica del diritto naturale alla proprietà privata contro le violente intromissioni di poteri estranei alla famiglia e lesivi della sua originarietà, prevedeva questa visione. Un società senza famiglia non può avere una economia organizzata perché non è nemmeno più una società ma, per usare le parole di De Corte, una dissocietà.

    Secondo l’ordine naturale poi l’attività economica spetta agli imprenditori e alle imprese e non allo Stato. L’assistenzialismo di un welfare elefantiaco è una forma di totalitarismo. Il sistema del credito deve essere in funzione dell’economia reale. La globalizzazione non può e non deve annullare il ruolo economico delle nazioni. Se l’attività economica richiede orientamenti morali, essa non può essere guidata da forze anonime, ma da forze incarnate in una famiglia, una impresa, una nazione perché ciò che veramente conta è il sistema morale complessivo di riferimento come dice la Caritas in veritate. La disponibilità al sacrificio diminuisce man mano che ci si allontana, in cerchi concentrici sempre più vasti, dalla vita intesa come vicinanza. La Chiesa ha sempre parlato dell’unità del genere umano e di una fratellanza fondata su un unico Padre, ma l’ha anche sempre intesa come naturalmente strutturata in senso sussidiario. Non ci

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