La caduta dell'impero fascista.: La guerra in Africa orientale italiana 1940-1941
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Anteprima del libro
La caduta dell'impero fascista. - Andrea Santangelo
CONTROSTORIA
Andrea Santangelo
La caduta dell’impero fascista
La guerra in Africa orientale italiana 1940-1941
Andrea Santangelo
La caduta dell’impero fascista. La guerra in Africa orientale italiana 1940-1941
Prima edizione italiana – Palermo
© 2020 Maut Srl – 21 Editore
www.21editore.it
ISBN 978-88-99470-50-0
Tutti i diritti riservati
Immagine di copertina:
Illustrazione di A. Beltrame della Domenica del Corriere del 21 settembre 1941. (SeM/Universal Images Group via Getty Images)
Non essendo stato possibile risalire ai detentori dei diritti sulle immagini qui
presenti, Maut srl-21editore resta a disposizione degli aventi diritto.
Prefazione
L’esperienza coloniale in Etiopia è stata a lungo rimossa dalla coscienza nazionale italiana, per diversi motivi. La «conquista dell’impero» aveva segnato il momento di massima popolarità per il regime di Benito Mussolini e una repubblica «nata dalla Resistenza» preferiva calare un pietoso velo sugli entusiasmi di allora. Permanevano inoltre i residui di una certa mentalità coloniale a sfondo razzista: molti continuavano a pensare che in Africa gli europei avessero «portato la civiltà», constatando peraltro che nei primi anni del dopoguerra Belgio, Gran Bretagna e Francia (per non parlare del Portogallo) mantenevano i loro possedimenti in quel continente. Era vivo d’altronde il mito degli «italiani brava gente», sfruttato anche dagli antifascisti per sminuire il consenso della popolazione al regime e accentuare la distanza del comportamento dei nostri militari da quello dei tedeschi: un mito difficilmente compatibile con i crimini efferati compiuti contro le popolazioni abissine. Altrettanto solido era il luogo comune secondo cui «gli italiani non sono razzisti» (o, peggio ancora, «quello fascista era un razzismo all’acqua di rose»), contraddetto dalla rigida legislazione discriminatoria introdotta dal Duce subito dopo la conquista dell’impero e prima che fossero adottate le misure rivolte contro gli ebrei.
Solo sull’onda della decolonizzazione cominciammo a fare un primo esame di coscienza, grazie soprattutto all’opera pionieristica di uno storico non accademico, Angelo Del Boca. Ma all’inizio la sua era una voce quasi isolata, anche perché la vittima dell’aggressione italiana nel 1935, il negus Hailè Selassiè, era un monarca tradizionale legato all’Occidente, uno che poi aveva mandato i suoi soldati a combattere in Corea contro i comunisti, insieme agli americani. Decisamente inadatto a fungere da eroe per la sinistra italiana dell’epoca, in maggioranza filosovietica. Oggi comunque possiamo contare su molti lavori importanti di approfondimento e ricerca sull’esperienza coloniale italiana in Etiopia, prodotti da storici come Paolo Borruso, Lucia Ceci, Filippo Colombara, Matteo Dominioni, Emanuele Ertola, Nicola Labanca, Giorgio Rochat, Federica Saini Fasanotti, Alberto Sbacchi. Resta però un dato: l’attenzione si concentra sulla guerra di aggressione, tra il 1935 e il 1936, o sulla repressione successiva all’attentato contro il viceré Rodolfo Graziani del febbraio 1937, mentre alla caduta dell’impero mussoliniano per mano britannica viene dedicato molto meno spazio.
Si tratta di una scelta comprensibile, quasi ovvia. La guerra d’Etiopia del 1935-36 è un evento dalle ripercussioni incalcolabili, che mobilita le energie del Paese, incide profondamente sull’immaginario nazionale e cambia la collocazione internazionale dell’Italia, con notevoli riflessi sullo scacchiere geopolitico. Nell’ambito della Seconda guerra mondiale la fine del dominio italiano nel Corno d’Africa è invece una vicenda marginale, d’importanza trascurabile in un conflitto di quella portata, secondaria anche rispetto all’impegno bellico del nostro Paese altrove, nel deserto nordafricano, nei Balcani e in Russia. Data la loro infelice collocazione strategica, Eritrea, Etiopia e Somalia non potevano essere rifornite dalla madrepatria e il loro destino era segnato sin dall’inizio, a fronte delle risorse schiaccianti di cui disponeva l’impero britannico nell’oceano Indiano.
Ne consegue però che le operazioni militari in Africa orientale sono state in gran parte rimosse dalla coscienza collettiva. Come giornalista mi è capitato di essere criticato da lettori sicuramente in buona fede per aver sottolineato sul Corriere della Sera l’esito disastroso dell’avventura coloniale in Abissinia. Nell’immaginario di molti il ricordo di quei fatti si ferma al 9 maggio 1936, con la solenne proclamazione dell’impero. Una grande vittoria delle armi italiane, insomma: il fatto che meno di cinque anni dopo il negus sia tornato trionfalmente ad Addis Abeba risulta secondario, quando non si arriva addirittura a rimuoverlo.
Per tutte queste ragioni considero veramente utile il libro che il lettore ha tra le mani. Andrea Santangelo, studioso attento e appassionato, dotato di una scrittura vivace, con questo suo volume colma un vuoto grave, non solo dal punto di vista della storia militare. Il crollo dell’impero, la conquista di cui Mussolini si era tanto vantato, evidenzia anche l’errore tragico (ma forse inevitabile) compiuto dal regime fascista nel 1935, ponendosi in rotta di collisione con la Gran Bretagna e in sintonia con la Germania di Adolf Hitler per acquisire possedimenti assai più costosi che redditizi, e l’assoluta irresponsabilità della scelta di entrare in guerra, che ha portato inevitabilmente alla perdita quasi immediata del dominio coloniale conseguito a così caro prezzo. Un fallimento completo sotto ogni profilo: diplomatico, economico, strategico, militare. Anche morale: prima il Duce ha suscitato ingannevoli illusioni negli italiani spediti a far fruttare le presunte ricchezze dell’impero e poi li ha sacrificati sull’altare della sua sete di potere, mettendoli in una condizione obiettivamente disperata.
Un altro pregio del libro di Santangelo è la ricostruzione minuziosa di avvenimenti assai poco conosciuti. Quanti sanno chi era e come morì il duca Amedeo d’Aosta, al quale pure è intitolato un ponte nel centro di Roma? Chi ricorda i tanti atti di eroismo compiuti in quella campagna da militari italiani insigniti della medaglia d’oro? L’autore fa bene a riportare le motivazioni per cui sono stati decorati, anche se hanno combattuto per un regime totalitario e per una causa sbagliata, dimostrando una dedizione e un valore ai quali è doveroso rendere omaggio.
Nella campagna in Africa orientale troviamo ben rappresentati il peggio e il meglio della condotta militare italiana nel secondo conflitto mondiale. La battaglia di Cheren fu un episodio glorioso, anche se sfortunato, che vide i soldati del generale Nicola Carnimeo tenere il campo da soli, senza quel supporto da parte tedesca che fu decisivo per i successi ottenuti in Nord Africa. L’ostinazione dei difensori di Gondar guidati dal generale Guglielmo Nasi, che si arresero solo a fine novembre del 1941, completamente isolati dal mondo, è un’altra pagina più che onorevole. Ma il lettore troverà nel lavoro di Santangelo anche parecchi esempi di incapacità, approssimazione e sfiducia nei propri mezzi che contribuirono a facilitare la marcia vittoriosa dei britannici, soprattutto sul fronte meridionale.
C’è un pezzo significativo di storia d’Italia in questo libro, denso d’insegnamenti anche per il presente. Troppo spesso oggi sentiamo risuonare, sulla bocca dei nostri politici, accenti burbanzosi che ricordano il grande bluff con cui Mussolini riuscì a impadronirsi dell’Abissinia. Sono operazioni che sul momento possono riuscire, ma poi si pagano care, perché la realtà dei rapporti di forza prende quasi sempre il sopravvento. Ottant’anni fa nel Corno d’Africa l’Italia del nazionalismo cieco e delle ambizioni smodate subì una lezione durissima, che purtroppo è stata in gran parte dimenticata. A Santangelo va il merito di averla sottratta all’oblio.
Antonio Carioti
Introduzione
Il generale Alberto Rovighi, per molti anni titolare dell’insegnamento di Storia militare alla Scuola di guerra dell’Esercito di Civitavecchia¹, nel 1988 lamentava la scarsa attenzione che gli studi e le pubblicazioni davano alla campagna 1940-41 in Africa orientale italiana (AOI)². Prima che Rovighi si accingesse a scrivere quella che è considerata ancora oggi l’opera di riferimento sull’argomento, c’era stato solo un lavoro degno di questo nome, La guerra in Africa orientale 1940-41, redatto dal colonnello Ugo Leone nel 1951³. Dal