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Sui confini - Europa, un viaggio sulle frontiere
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Sui confini - Europa, un viaggio sulle frontiere

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About this ebook

Il tema del confine si intreccia inesorabilmente con la cronaca. Il libro è un viaggio sulle frontiere di un’Europa che vacilla; ma non si limita alla cronaca dell’emergenza umanitaria. L’autore attraversa luoghi dove rimangono indizi di una storia recente, di frontiere ancora in essere, quelle che oggi si stanno chiudendo sempre più.
Al nord, a Basilea, città d’incontro di tre nazioni, a Copenaghen, tra percorsi ciclabili rialzati ed eleganti palazzi in vetro e cemento, e ancora più su, in Svezia e in Norvegia, dove il confine è segnato da pianure, boschi e una pace silente, si percepisce ancora solo l’eco lontana di quanto avviene lungo altri confini. A Melilla, in un’Europa che è Africa, al checkpoint di Barrio Chino controllato dal governo spagnolo, centinaia di persone trasportano balle piene di mercanzia, lavorando per conto di notabili marocchini per una forma di migrazione costante e tollerata; a Ventimiglia, alcune decine di ragazzi africani trascorrono l’estate accampati sugli scogli in riva al mare; a Calais si muore nel tentativo di attraversare la Manica nascosti sotto i tir o si vive nel limbo della “jungle”; a Röszke, in Ungheria, si sorveglia un muro di fil di ferro, che tenga lontani i siriani; a Seghedino, a Cracovia, persino in una capitale come Belgrado, si vive in attesa che qualcosa debba accadere, qualcosa di minaccioso, qualcosa che ha a che fare con le frontiere e la difesa dei confini come suggello dell’identità nazionale; a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, sorge il più grande e disperato campo profughi d’Europa.Così il racconto dei confini diventa racconto dell’attualità, diario geopolitico dell’Europa, dove le linee di demarcazione continuano a rappresentare luoghi simbolici che proteggono realtà economiche e sociali e affermano un’appartenenza geografica irrinunciabile e, soprattutto, non cedibile a chi non ha i requisiti per farne parte.Il libro è arricchieto dalle foto di Ivano Di Maria
LanguageItaliano
Release dateSep 11, 2020
ISBN9788831461030
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    Sui confini - Europa, un viaggio sulle frontiere - Marco Truzzi

    Scritti Traversi

    SUI CONFINI

    Europa, un viaggio sulle frontiere

    di Marco Truzzi

    SUI CONFINI

    Europa, un viaggio sulle frontiere

    di Marco Truzzi

    © 2017 - Edizioni

    Via Fabrizio Luscino 73 - Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Collana Scritti Traversi

    ISBN 978-88-31461-03-0

    Impaginazione omgrafica, roma

    In copertina Calais, Francia: la Jungle, foto di Ivano Di Maria

    Fotografie dove non espressamente indicato le foto sono di Ivano Di Maria

    ©Marco Truzzi

    A mio padre,

    che non ha mai viaggiato molto,

    ma mi ha insegnato tutto.

    L’effetto è quello di dannati su per la collina del Purgatorio. Devono espiare qualcosa, qualcosa che non è chiaro.

    Scegliamo innanzitutto un punto di partenza:

    riva o scena, porto o evento, navigazione o racconto.

    Poi diventa meno importante da dove siamo partiti

    e più fin dove siamo giunti: quel che si è visto e come.

    Predrag Matvejević, Breviario mediterraneo

    Spesso, nei loro imballi – assurdamente sproporzionati rispetto alla loro corporatura e alla capacità di trasportarli – c’è dentro gran parte della loro vita.

    CONFINI

    Il mappamondo in precario equilibrio sul comodino di mio figlio Lorenzo è assediato dai pastelli colorati e da pile di giornalini. La luce della piccola lampada azzurra all’interno della sfera riverbera nella camera da letto, quieta, proprio come il pianeta visto dallo spazio. Visto da lassù, ciò che si nota non è la terra, ma l’acqua, la grande, sconfinata acqua dei mari e degli oceani.

    «Che ce ne facciamo di tutta quell’acqua?», chiede Lorenzo. «Tanto è salata e non serve a niente».

    «Serve ai pesci», rispondo, banale.

    «Sì, ma la terra è meglio… Dove siamo noi?».

    Già, dove siamo noi? Domanda legittima.

    Ecco, allora l’Europa è quella parte piccolissima sopra la linea dell’equatore, più su dell’Africa, una specie di appendice di tutto ciò che sta alla sua destra, dove c’è l’Asia, che invece è immensa, e che arriva fino al Giappone, alla Russia, al gelo del Circolo polare artico.

    Anche solo vista così, dalla cameretta di Lorenzo, l’Europa appare segnata da un fitto reticolato di confini, che spezzettano all’inverosimile un’area non più grande del palmo della mano di un bambino. Alcuni Stati sono talmente piccoli che sulla mappa non c’è nemmeno lo spazio per scrivere tutto intero il nome della capitale. Altri, come il Lichtenstein o il Lussemburgo, sono indicati soltanto con l’iniziale.

    Lorenzo ancora non sa molte cose. Non è il solo. Ma a lui, ora, non interessa cosa stabilisce un confine; non gli importa della storia, della politica, dell’economia. A lui in questo momento interesserebbe soprattutto sapere come si chiamano gli abitanti di Andorra.

    Comunque, quel pezzetto di mondo lì, circoscritto e così puntigliosamente definito dalle frontiere, è il luogo dove ci troviamo a vivere, è la nostra terra. Siamo noi. Da lì in mezzo sono andati e venuti eserciti e genti, si sono irradiate religioni, filosofie, ideologie. Da lì sono partite guerre che poi sono diventate mondiali.

    Quel piccolo mare a sud è la culla di civiltà millenarie. A nord, est, ovest, ci sono Alpi e Carpazi, Pirenei e Urali, catene montuose e sorgenti di grandi fiumi che tagliano in due o più parti immensi territori. Là in basso, sulla destra, è nata la democrazia. Lo Stivale, in mezzo, siamo noi.

    È una terra vecchissima, l’Europa, ma in fondo solo da pochi decenni cerca di presentarsi al mondo come una. Prima c’erano gli Stati nazionali, o gli Imperi che, però, facevano riferimento solo al centro del potere, al suo luogo d’origine. Oggi ci sono ancora gli Stati nazionali, ma c’è anche un’altra cosa, l’Unione Europea.

    Osservo l’Europa sul mappamondo di Lorenzo, la sua ipotetica estensione, il suo insieme e la sua fragilità di promessa non mantenuta. Ho appena chiuso lo zaino con dentro poche cose, quelle che mi serviranno per l’ultima tappa di un progetto: insieme al fotografo Ivano Di Maria da due anni viaggiamo sui confini europei, perché pensiamo che quello che sta accadendo sia necessario vederlo; perché questi anni sembrano segnare un’epoca. Il dopo, in ogni caso, non sarà più come prima.

    All’inizio del nostro viaggio, oltre due anni fa, ho trascorso una notte al rifugio Papa, sulle Piccole Dolomiti venete, una notte avvolta dalla nebbia, salita improvvisa al termine di una giornata splendida e assolata, una nebbia che veniva da giù, dalla valle che conduce a Vicenza, densa e intrisa di un umore pesante. Dicono che sia spesso così, da quelle parti. Sull’altopiano, durante le offensive austriache della prima guerra mondiale, morirono circa trentasettemila soldati. Tra le rocce del Pasubio le tracce dell’orrore e della sofferenza si avvertono distintamente anche oggi, salendo dalla Strada degli eroi. I resti delle trincee e dei camminamenti si individuano chiaramente; il fronte italiano e quello austriaco. Due schieramenti contrapposti, a cannoneggiarsi per il possesso di pochi metri di una montagna pietrosa.

    Per cosa è stata massacrata un’intera generazione?

    Da sempre la questione dei confini è stata una priorità politica, strategica e militare. All’interno dei confini si costruisce l’identità.

    L’Europa, come la conosciamo noi, nasce proprio dall’idea di poter evitare il ripetersi di eventi simili. Anche se poi le guerre nei Balcani ci dicono che quell’obiettivo è stato raggiunto solo in parte. Nel frattempo, il resto del mondo è arrivato a bussare alle nostre porte.

    Gli anni seguiti alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, sembravano indicare una prospettiva, il riconoscimento dei diritti umani e un’Europa più inclusiva e solidale. Eppure ci troviamo oggi a fronteggiare il ritorno di istanze nazionaliste, protezionistiche, separatiste; intolleranza e spinte xenofobe, divaricazione della forbice nella distribuzione della ricchezza, economia interna a due velocità, crisi dei modelli delle politiche sociali.

    Cosa succede sulle frontiere? Che significato hanno oggi? Dove sono? E dove siamo noi? Quali fossili culturali si incontrano andando per confini?

    Sono sempre più forti gli echi di frontiere in fiamme che arrivano nelle grandi capitali, e si diffondono tra le mille lingue parlate nei sobborghi e nelle periferie-dormitori delle città occidentali. Echi che si trasformano e a volte accompagnano nel cuore del nostro mondo la tragica violenza del terrorismo. L’Europa è sotto pressione. I dispacci dalle frontiere parlano di concentrazioni di migliaia di persone in fuga che si accalcano in cerca di salvezza. O di speranza. Almeno tre punti cardinali – sud, est e ovest – stanno facendo i conti con tutto questo. Più a nord, invece, c’è quiete. Apparente.

    IL TASSISTA DI MELILLA

    aprile, 2015

    Nuvole biancastre scendono verso il mare, come trascinate indietro verso l’acqua da cui provengono. A Melilla piove e non ce la saremmo aspettata la pioggia, in Marocco. Mentre il volo, proveniente da Madrid, tocca terra nel minuscolo aeroporto di questa enclave spagnola affacciata sul Mediterraneo, ci rendiamo conto che nessuno a bordo era preparato alla pioggia. In genere non ci sono ombrelli su un volo diretto in Marocco e il nostro non fa eccezione. Cosicché, prima di affrontare il breve tragitto scoperto fino al terminal dell’aeroporto, noi, come tutti gli altri passeggeri, ci tiriamo le magliette sopra la testa per ripararci, e ingobbendoci ulteriormente solleviamo in fretta i trolley per evitare che si inzuppino.

    Melilla, insieme alla sua gemella Ceuta, da cui dista circa 200 chilometri, appartiene alla Spagna fin dal XV secolo. Gli spagnoli, imperialisti fin dagli esordi rinascimentali, in questo non sono secondi a nessuno e non hanno mai restituito le due città. Oggi Melilla conta circa settantamila abitanti dediti principalmente a due attività: la pesca e l’attraversamento della frontiera. Il confine a Melilla è infatti qualcosa di estremamente tangibile. Non è un’idea o una rivendicazione, ma una doppia barriera metallica, alta da tre a sei metri e lunga circa dodici chilometri.

    Ed è Spagna, anche se non dovrebbe.

    La nostra ricognizione dei confini europei, per quanto riguarda l’estremo sud, si spinge subito fuori dall’Europa. Che sembrerebbe una contraddizione. Ma che, invece, rappresenta un buon punto di partenza, soprattutto per andare a vedere com’è la situazione nei luoghi indicati dai politici degli slogan bisogna fermarli prima che arrivino da noi (riferendosi ai barconi di migranti che attraversano il Mediterraneo). E poi l’Europa, storicamente, ha sempre avuto la tendenza ad allargare i propri angusti confini oltre quelle che sarebbero le cosiddette barriere naturali.

    «Perché siete venuti qui?», ci chiede Moustafà, mentre guida come un pazzo il suo taxi – una Mercedes gialla di metà anni Novanta – nel traffico di Melilla. Evidentemente finge di non capire, visto che il motivo glielo abbiamo già ripetuto un paio di volte. Davanti a noi c’è un autobus bianco e blu che dondola sulle sospensioni, letteralmente, in mezzo alla strada. Evita d’un soffio motorini e pedoni, anche se nessuno di loro si scompone più di tanto. Il bus è molto vecchio. Sgasa in continuazione diesel dagli scarichi posteriori e si capisce perché Moustafà cerchi ripetutamente di superarlo, anche in curva, anche dove la visibilità sarebbe pari a zero. L’abitacolo del suo taxi, infatti, si trasforma rapidamente in una piccola camera a gas, e noi siamo soffocati dal diesel dell’autobus che ci precede e che non ha alcuna intenzione di lasciarci passare. Moustafà rischia parecchie volte di tirare sotto qualcuno. Noi restiamo aggrappati alla maniglia dei passeggeri; quella dalla mia parte mi resta in mano alla terza curva radente e cerco di nasconderla, facendola entrare in uno spacco del velluto beige che ricopre il seggiolino posteriore.

    «Lasciala lì, per terra», dice Moustafà guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. «Succede sempre. Poi la sistemo».

    Cerchiamo di riassumergli il motivo della nostra visita a Melilla.

    «Vogliamo vedere la barriera, il confine, il muro», ripeto lentamente.

    «Cosa? E perché? Fin qui per questo?», dice lui.

    Restiamo in silenzio per un po’, cercando di

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