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Dopo il diluvio
Dopo il diluvio
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Dopo il diluvio

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About this ebook

Siamo in un luogo senza nome e senza tempo, da qualche parte nel cuore dell’Europa; forse nella prima metà del ’900, così sembrano suggerire alcuni dettagli come il telegramma, la sigaretta, il furgoncino del latte, i caratteri tipografici del passaporto di Lisetska. Allo stesso tempo, sembra di essere entrati in un buio Medioevo dove la follia che scuote e inebria i personaggi fa pensare alle storie sulla fine del mondo…
Un paese incastrato in una conca profonda sotto il livello del mare e una pioggia fitta e insistente (un diluvio) che finisce per riempirla fino all’orlo. Il paese è sommerso perché qualcosa ostacola il flusso dell'acqua nel canale di scolo… Le case del paese, tranne il bordello e il covo del truce Generale Kraus, finiscono sott'acqua, come pure i campi di rape, unico vero sostentamento del villaggio. Nel frattempo un telegramma avvisa che il nemico è ormai alle porte, pronto all'invasione, distruzione e morte.
Fin dall’inizio il macabro e il grottesco si fondono in un’abile narrazione in chiave comica dal ritmo incalzante che investe e travolge ogni cosa trasformando la tragedia in farsa: personaggi che sembrano usciti dai dipinti di Bruegel ma anche Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, divertenti e inquietanti allo stesso tempo. Le atmosfere letterarie di "Dopo il diluvio" evocano le maschere allegoriche di Hieronymus Bosch.
Una storia paradossale, in bilico tra narrazione epica e ambizione tragica, in realtà profondamente comica, di una comicità antica, che sembra proprio alludere clownescamente al nostro reale contemporaneo.
LanguageItaliano
Release dateSep 11, 2020
ISBN9788831461115
Dopo il diluvio

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    Dopo il diluvio - Leonardo Malaguti

    quisiscrivemale

    DOPO IL DILUVIO

    Leonardo Malaguti

    Dopo il diluvio

    di Leonardo Malaguti

    Collana quisiscrivemale

    © 2018 – Edizioni Exòrma

    Via Fabrizio Luscino 73 – Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Published in arrangement with Lorem Ipsum | Agenzia Editoriale, Milano

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Impaginazione omgrafica, roma

    In copertina: elaborazione grafica da disegni dell’autore

    ISBN 978-88-31461-11-5

    A Giovanna,

    a cui non ho potuto

    finire di leggerlo.

    I

    MARZ E IL DILUVIO

    La testa bulbosa del contadino Marz stava reclinata tra le spalle e il cappello: le orecchie dritte, un occhio chiuso e uno aperto nascosti nell’ombra gettata dalla tesa. Era un cappello di vimini mangiato dai topi e l’ombra che disegnava sul volto del contadino era imprecisa, l’unico genere di ombra che potesse permettersi – eccezion fatta per quella delle vacche che nelle ore assolate punteggiavano i campi. Qualche mosca ronzava attorno, un cavallo nitriva nel bosco e le nuvole si accumulavano.

    Il contadino Marz guardava la strada seduto su un mucchio di fieno e aspettava che il nemico arrivasse.

    Arriveranno coi porcari di Baden-Baden e i mastri ferrai di Feldenburg, fantasticava rosicchiando uno stelo, e vorranno, com’è ovvio, spazzarci via senza pietà… ma se io rimango a vedetta le teste di latta saranno colte di sorpresa. Sei intelligente, Thomas Marz, tua madre – santa donna! – ti ha dato quattro arti robusti e un cervello fino, sfrutta il sale in zucca che ti ritrovi e anticipa le mosse dell’invasore… se solo avessi ascoltato mio padre e mi fossi arruolato! Oggi sarei come minimo soldato semplice!

    Così si diceva dall’alto del monticello, preso dal suo gioco preferito, la paranoia, e rimpiangeva i tempi andati, le scelte sbagliate di una vita passata a sudare e quella madre che lo aveva allattato al seno troppo a lungo. Ogni pensiero era una via di fuga, una scusa per rimanere lì ancora un po’, e nel frattempo i campi di rape seccavano, lasciando presagire con largo anticipo i tempi di magra che incombevano sul paese.

    I nemici hanno i carri armati, le mazze ferrate e trivelle d’ogni sorta, possono attaccarci da terra e da mare e forse, chissà, dal cielo, questi aeroplani moderni, la morte che portano – una folgore. I loro soldati hanno elmi puntuti che usano come rinoceronti per caricare la gente, ci sfonderanno il torace a forza di testate. I rinoceronti… verrà il giorno dell’invasione, urlava ai campi vuoti, e ci sorprenderà a braghe calate!

    Signor sindaco, ci spezzeranno le braccia e le gambe (i miei poveri arti robusti! sussurrava accarezzandosi), bruceranno le chiese, stupreranno donne e bambini, sì, i bambini, pensi ai bambini signor sindaco, pensi ai loro corpi violati e appesi ai pennoni al posto delle bandiere, pensi alle bandiere buttate a terra e profanate col fango! L’unico che vedrà la salvezza sarà Thomas Marz da sopra la sua balla di fieno.

    Ma non c’era nessuno ad ascoltarlo: il sindaco sonnecchiava in comune e le rape, abbandonate, avvizzivano sottoterra.

    Dai campi, un grido.

    Marz era sposato con Lisetska, immigrata dalle steppe, presto caduta nelle mani del contadino come serva e donna di compagnia. Poco ci era voluto perché lui la lasciasse incinta e fosse arrangiato un matrimonio alla bell’e meglio: siccome alla poveretta si erano rotte le acque e la necessità di un sacro vincolo su quell’unione si era resa urgente, fu fatto svegliare un prete nel mezzo della notte cosicché officiasse al volo.

    Il figlio, purtroppo, morì prima ancora di uscire – e Lisetska pianse di gioia al pensiero di quello che gli era stato risparmiato – ma poté godere, almeno, di una sepoltura dignitosa nel cimitero di famiglia dietro al campo, gentilezza che, se il prete non avesse acconsentito a celebrare quel matrimonio così alla svelta, probabilmente gli sarebbe stata negata – come d’altronde era già pronto a fare il pragmatico Marz, che dovette invece sacrificare un buco di terra dalla tomba del padre per non sprecare lo spazio che aveva conservato per lui e, se proprio necessario, per Lisetska.

    Il grido sembrava provenire dal cimitero.

    Il contadino, saltato subito sull’attenti, prese a scrutare l’orizzonte con circospezione. Sono già arrivati? Ma sebbene dal cocuzzolo della sua balla avesse una visione piuttosto ampia dei dintorni, da nessuna parte sembrava muoversi anima viva. Che l’avesse immaginato?

    Un grido nuovo spezzò ogni incertezza.

    Marz non sapeva che fare, se abbandonare il posto di guardia e correre a vedere, rischiando però di perdere d’occhio la strada, o se rimanere lì e lasciare che qualcun altro – qualcuno arriverà, no? – se ne occupasse. Per più di un minuto rimase immobile a soppesare pro e contro, senza riuscire a decidersi. Nel frattempo il cielo si faceva plumbeo e l’umidità insistente.

    Quando un tuono squarciò il silenzio di tomba che era seguìto alle grida, Marz si decise a scendere dal trespolo e correre a vedere cosa stesse succedendo; i nemici non sarebbero certo arrivati, non a quell’ora.

    E in più stava per piovere.

    In quella valle-scatola, chiusa su ogni lato da massicci montuosi, l’aria era solita stagnare ammassando settimane grigie sotto una cappa di nubi; ma di quando in quando, senza preavviso, un tuono rompeva la bolla e di lì a poco si potevano prevedere con certezza piogge torrenziali. I campi allagati vomitavano fango sulle strade, il fiume rompeva gli argini e inondava le vie del paese e gli abitanti dovevano rimanere chiusi in casa, spesso senza provviste sufficienti, perché la pioggia feroce e i torrenti di acqua melmosa risucchiavano chiunque affrontasse la loro furia.

    Qualche anno prima la pioggia era cominciata durante la fiera cittadina e aveva preso tutti alla sprovvista.

    La banda suonava per le vie centrali e la gente ballava e cantava allo zumzum metallico degli ottoni ingozzandosi di zucchero filato, tutti erano per strada. D’un tratto, cadde la pioggia più violenta che la valle avesse mai visto e in pochi minuti fu il caos. Molti bambini rimasero invischiati nei flutti e portati dalla corrente giù nelle fognature: i più fortunati annegarono subito, gli altri… poco si sa, se non che le fogne erano piene di ratti che quella primavera fecero nidiate insolitamente numerose.

    Una donna, addirittura, ne adottò uno perché sosteneva avesse gli stessi occhi del suo bimbo scomparso. Una madre, andava dicendo, queste cose le sa, le vede subito.

    Della banda – e delle loro uniformi rosse e oro prese in prestito da un borgo vicino – rimase solo qualche trombone e un timpano sfondato.

    Capite dunque che quel tuono, forse più delle grida, aveva messo in guardia il contadino Marz, che tutto desiderava tranne venire sommerso e affogare incastrato nel canale di scolo del suo campo di rape. Già il padre era morto così e questo fantasma aveva turbato i suoi sogni fin dall’infanzia.

    Lisetska! Gridava a gran voce avvicinandosi all’abitazione, che sorgeva al lato esterno del campo, proprio al limitare del bosco. Lisetska, per Dio, esci! Sta succedendo qualcosa! Entrato nel cortile bussò affannato alla porta di legno, Lisetska! Esci ti ho detto! Ma la donna non rispondeva e lui, frenetico, schiacciò ripetutamente il naso contro le finestre: dentro la casa era buio, nemmeno un lumino acceso. Vuota. Fece allora una corsa attorno alle mura bianche, squadrò il tetto, cercò nel pollaio, nella casetta degli attrezzi, afferrò il binocolo e scrutò con ansia tra i campi, ma nulla, l’immigrata delle steppe era scomparsa, dileguata come paglia sul fuoco.

    Un nuovo grido. Oltre il cimitero, dal bosco.

    No, non il bosco, non ora.

    Gli tremavano le gambe. Dove si era cacciata Lisetska? Dov’era finita la bastarda? Che fosse scappata di nuovo? Non era possibile, le aveva confiscato il passaporto, le aveva nascosto tutti i documenti (veri e falsi), non poteva averli trovati.

    Prese una scala e con gli occhi spalancati e le narici da toro salì sul tetto dell’abitazione, raggiunse il comignolo e si sporse dentro, agitando i piedi in aria per bilanciarsi. Con dita prudenti sfilò un mattone all’interno e tastò nella cavità quadrata: erano ancora lì. Non era fuggita, dunque, non oltre il confine almeno.

    Riposto il mattone, rimase qualche secondo in piedi sul tetto e scrutò nuovamente l’orizzonte.

    Lisetska! Nulla.

    Quando sarebbe tornata a casa glielo avrebbe fatto vedere lui alla puttana come ci si comporta: quando Thomas Marz chiama sua moglie, sua moglie deve correre dritta da lui.

    S’incupì.

    A dire il vero, quell’assenza inaspettata lo faceva sentire debole, esposto, in piedi sul tetto quasi si sentì mancare. Era una banderuola. Una stupida banderuola pronta a essere scardinata dal temporale. Il temporale! Quasi lo dimenticava. Scese in fretta dal tetto, ripose la scala, e il primo istinto fu di rifugiarsi in casa e rimanerci – Se non torna in tempo, che se la pigli l’acqua!

    Non l’avesse mai detto.

    Dal bosco si alzò un grido così penetrante da fargli tremare le ginocchia. Sembrava non finire mai. Era straziante.

    Lisetska…

    Che fosse lei? Non poteva essere. Eppure…

    Pensieri orribili gli riempirono il cervello. Non avrebbe sopportato il senso di colpa, le ombre lo avrebbero assalito, la casa vuota se lo sarebbe mangiato vivo, il buio della notte, poi, non poteva tollerarlo senza una donna di fianco e la madre, ormai, era morta da tempo… e se se la fossero presa i lupi? Cosa posso fare contro i lupi? Thomas Marz, se i lupi hanno preso tua moglie non c’è niente che tu possa fare. È andata così. Abbassò la testa, girò la chiave nella toppa e aprì la porta con un tonfo, ma non riuscì a superare la soglia. Troppo vuoto. Il silenzio… In fondo lui stava tutto il giorno nei campi o sulla balla di fieno a far da vedetta, e quando tornava a casa l’unica cosa che gli facesse tirare un sospiro di sollievo era Lisetska che rammendava in un angolo. Se l’avevano presa i lupi doveva almeno recuperare il corpo (o quel che ne rimaneva) e darle degna sepoltura prima che il temporale lavasse via tutto disperdendola per sempre. Senza pensarci più saltò in casa e ne balzò fuori un istante dopo brandendo un attizzatoio – i lupi non lo avrebbero colto impreparato! –, corse verso la foresta senza neppure chiudersi la porta alle spalle.

    Le nuvole ormai avevano coperto completamente il cielo ruggendo lampi e tuoni e pareva che l’orizzonte fosse sull’orlo del collasso. Il paesaggio, cinto solo dai monti del confine in lontananza, si era fatto più ampio, più alto, più gonfio: sul campo di rape i segni dell’aratro si disperdevano all’infinito e la terra secca cominciò a inumidirsi, a ribollire, a emanare una nebbia vaporosa che andava a spandersi serpentina mezzo metro sopra il suolo.

    Le betulle ridevano scheletriche in mezzo agli abeti e Thomas Marz si fece il segno della croce passando la fila di tronchi che fungevano da soglia alla foresta, ma non volle fermarsi, ché anche se erano solo le quattro del pomeriggio già il buio si insinuava con prepotenza tra i rami e quasi faticava a vedere il sentiero: doveva fare in fretta se non aveva intenzione di passarci la notte.

    Per chilometri non si vedeva un’anima, tra la foresta e il paese era un giorno buono di cammino e quel pomeriggio la desolazione era completa.

    Marz ormai non era che un punto in mezzo agli alberi e poco a poco diventava sempre più difficile scorgerlo tra le frasche.

    La pioggia cominciò a cadere a gocce rade che si infrangevano a terra con un suono secco. Per qualche minuto quello fu l’unico rumore, costante e privo d’eco; il vento aspettava paziente che il diluvio prendesse forza per cominciare a sferzare le lande, e gli animali annusavano l’aria rorida e lo ascoltavano crescere, prima scomposto poi serrato poi di colpo scrosciante.

    Il diluvio era cominciato e prometteva di rimanere a lungo.

    Da dietro una macchia di cespugli all’altro lato del campo sbucarono fuori un uomo alto e secco come un chiodo e una giovane ragazza dai capelli color stoppa, nudi come lombrichi, entrambi reggendo gli indumenti sopra la testa a mo’ di ombrello.

    Che cosa facciamo? Urlava lui saltando sul posto.

    Tu che dici? Non possiamo certo andare avanti sotto questa pioggia!

    Dove andiamo?

    Io vado a casa, tu vai dove vuoi!

    Posso venire anche io?

    E rischiare che ci sia mio marito ad aspettarmi? Tu sei pazzo! Nasconditi nel furgoncino e rimani lì finché non smette.

    Ma è dietro la collina, ci metterò mezz’ora!

    Tanto sei già bagnato. Ora va’, o ci prenderemo una polmonite!

    Io…

    Va’, ho detto!

    E senza aspettare corse via.

    Lui rimase fermo sotto la pioggia e la guardò correre lungo il campo, la pelle nuda completamente zuppa, i glutei leggermente flosci che dondolavano e le braccia forti da donna di fatica che teneva sospese in aria reggendo gli abiti sulla testa.

    I capelli fradici, impastati in un’unica massa, le cadevano al centro della schiena seguendo con la punta la spina dorsale.

    Era sgraziata, ma molto bella.

    Quando lei fu scomparsa in lontananza, si decise e scappò anche lui.

    Giunta a distanza di sicurezza dall’abitazione, Lisetska si affrettò a rimettere i vestiti in modo che il marito non sospettasse nulla. Già una volta era tornata nuda durante un temporale ed era stata dura convincerlo che gli abiti glieli avevano rubati mentre faceva il bagno al fiume. Se mai lo venisse a sapere, pensava, chissà di cosa sarebbe capace… e già sentiva dolere le braccia e le gambe dove lui era solito colpirla con un sacco pieno di tuberi.

    Stava per dirigersi verso la casa, ma, alzato lo sguardo, rimase di sasso. La porta era aperta, anche da quella distanza poteva vederlo bene. Era aperta e il vento la sbatteva contro il muro di mattoni. Cominciò a tremare non più solo per il freddo.

    Che mi abbia vista? Che ci abbia visti? Si sentì mancare la terra sotto i piedi.

    Thomas? Gridò. Thomas, caro, dove sei? Già lo immaginava spuntare dal cortile brandendo un forcone.

    Thomas, sei fuori con questa pioggia?

    Nessuno rispose.

    Si morse il labbro. Non poteva rimanere in eterno in mezzo al diluvio, doveva rientrare per forza, non c’era soluzione. No. Non era possibile che l’avesse vista, non era possibile che fosse fuori. Forse era nel capanno degli attrezzi quando aveva cominciato a piovere ed era rimasto lì per non bagnarsi. O nella stalla. Non poteva essere altrimenti: strinse i denti e corse

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