Disegni e lavagne
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Book preview
Disegni e lavagne - Jacopo Sebastiano Ferrero Gianfagna
jacopo@archistudiomilano.com
Prefazione
Disegni, lavagne e schermi.
Jacopo Ferrero Gianfagna e Claudio Umberto Comi sembrano AA.VV., invece sono solo due, plurinominati come i ricchi, quindi tendenzialmente antipatici sin da subito. Non conosco le loro finanze, ma posso confermare che sono estremamente ricchi: di idee, di sapienza sedimentata e rivoltata con il vomere e il versoio dell’urgenza. Un pandemico, invisibile ed essenziale ‐ direbbe Saint Exupery al netto del garbo ‐ esserino microscopico senza DNA, il Coronavirus, ci ha travolti, costringendoci a una clausura deprivata di relazioni, di tatto, di contatto, di sguardo, di corpi.
Chi non ha a cuore la docenza si è adattato senza batter ciglio alla DAD, che certamente ci ha salvati dalla paralisi, dall’arresto dello svolgimento dei corsi e degli esami, delle discussioni di tesi e di tutte le attività didattiche. Chi ne fa una missione, però, un credo, l’ha intrapresa problematizzandola e chiedendosi come migliorarla, come arginarne l’asetticità e l’inaridimento che ha investito le pratiche laboratoriali, ma anche la relazione tra docente e studente perché, come scriveva Platone l’immortale nelle Leggi, la formazione può avvenire solo in presenza di corpi.
L’istruzione intesa come mera trasmissione di contenuti, no. Ma la formazione, sì. Ferrero Gianfagna e Comi danno prova, con questo testo vivace e pensoso al contempo, di voler ‘formare’ i futuri designers. Saranno persone che avranno più capacità di leggere e trasformare lo spazio, di scegliere ed escludere materiali, di considerare la proiezione di un’ombra tanto corpo quanto il corpo stesso che la getta.
Avvertiva sin dal titolo Leon Battista Alberti che l’architettura è materia: De re aedificatoria, non de architectura, scriveva. La sua reificazione investiva innovativamente il progetto: non c’è niente di più concreto di un’idea, senza la quale non si avrebbe quel muro, quel tavolo su cui gli ingenui che vanno al sodo battono le nocche ad apprezzarne la solidità. Le idee, nell’ambito dell’architettura e del design si manifestano come schizzi, come esercizi ripetuti di assonometrie, prospettive, anisometrie, proiezioni ortogonali.
Un disegno
, osservano acutamente, rimane impresso più di dieci fotografie
. Per questo nel libro che sfoglierete troverete spesso disegni di edifici e non foto. Perché chi in‐segna è nel segno, e vuole lasciare segni, possibilmente su ‘fogli liberati’ dal fissaggio al supporto, come si faceva sino a pochi decenni fa, per reinterpretarli e variarli in un’assonanza dei movimenti del corpo non prestativi e ginnici, ma naturali.
Piccola rivoluzione copernicana quella del foglio liberato: invece di girargli intorno in contorsioni temerarie, si fa girare il foglio. Non si avvedranno, forse, dell’importanza di questo gesto emancipatorio gli studenti già abituati a girare lo schermo del cellulare o del laptop con consumata disinvoltura, ma passando al supporto cartaceo sarà la loro postura ad esserne grata. Ci sono azioni mirabili nel regno animale, che sono incarnate inconsapevolmente nella memoria profonda di un corpo vivente in azione, come quello del ragno che tesse la sua tela senza che nessuno glielo abbia insegnato, senza mai aver visto una mosca prima della inaugurale cattura. Non c’è niente di naturale, invece, nel disegnare. Non siamo nati per questo. Lo abbiamo acquisito culturalmente, ce lo hanno insegnato, e noi educhiamo il nostro corpo a una pratica artificiale che, per assiduità e migliorie, può diventare ‘naturale’.
Si tratta, per