Assassinio sulla Costa Deliziosa
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Assassinio sulla Costa Deliziosa - Giovanni Bertini
Deliziosa
Prologo
Le metastasi che affliggono l’Italia sono le mafie, di tutte la ‘ndrangheta si è estesa nel mondo e lui fa finta di non saperlo
La vita è un viaggio fuori dal tempo. Un libro su cui ogni cosa scrive di sé. Lo si può leggere in vari modi. Noi sfogliamo le pagine, leggiamo le parole e ci abbandoniamo alle emozioni. E il viaggio vale la vita.
Eravamo tremila ospiti e l’ospite da sempre, ovunque, è sacro; il comandante scelse un vecchio rimbambito e l’arrestò con l’accusa di omicidio. Perché? Perché?
Più mi lambiccavo il cervello e più lui, la sede dell’intelletto, confusa, affondava nelle gelide acque dell’oceano Pacifico (o era l’Atlantico?) mentre la nostra splendida nave lo stava deliziosamente solcando.
Non mi si creda ricco, non lo sono. D’altronde non credo che alcuno dei miei compagni d’avventura lo sia. Quelli veramente ricchi hanno la loro barchetta da venti metri munita di ogni servizio, magari fornita anche di automobile e elicottero, per attraversare questi imprevedibili mari. Se non ce l’hanno loro lo yacht, probabilmente l’avrà un loro parente o amico.
Inoltre, per una crociera così, quattro mesi da gennaio ad aprile, beh, bisogna essere davvero degli sfaccendati. Insomma, bastano poche decine di migliaia di euro e il desiderio di condividere ogni giorno uno spazio ristretto con altre persone, sempre le stesse, e l’illusione di essere, se non dei capitani Nemo, sicuramente degli indomabili comodi avventurieri.
Se ci vedete nel momento che mettiamo piede su questo grattacielo viaggiante chiamato Costa Deliziosa di dodici piani (più quattro per l’equipaggio e la sala macchine) e due facciate lunghe circa trecento metri, vi accorgerete che la stragrande maggioranza è come me e la mia compagna, Olga, cioè con i capelli bianchi, se li ha, oppure tinti. Noterete che siamo tutti, o quasi, serenamente pensionati.
Molti, sia pure apparentemente gagliardamente deambulanti, hanno un piede nella fossa e l’altro che si accinge. Io, per esempio, sono portatore di tre o quattro stent (cilindretti reticolari espandibili) nelle arterie che hanno il compito di fare circolare il sangue. Perché sono arteriosclerotico, ecco perché sono un po’ rimba
.
A Olga, invece, che ha avuto un problema oncologico, le hanno asportato l’apparato riproduttivo. La sua mente è sveglia, molto sveglia, più della mia, ma non più di tanto. Di fatto assieme al capobastone della ‘ndrangheta ammazzato lei è la protagonista. Io sono soltanto l’umile cronista. Un po’ come il dottor Watson, l’assistente di Sherlock Holmes di doyleana memoria.
Ecco, vedete, tutti ma proprio tutti, non solo siamo vicini alla fine del nostro cammino e la diritta via, che sia smarrita oppure no, ormai non ci riguarda più. Ma siamo anche pervicacemente intenzionati a gustare in ogni suo aspetto l’ultimo tratto. Checché ne dica il sommo poeta. Mi riferisco a Dante, il rimatore, e non a Virgilio simbolo della ragione umana.
Queste gigantesche navi hanno uno speciale rispetto per la vita. Cercano d’inquinare sempre di meno e hanno un riguardo particolare per coloro che per motivi di salute, anagrafici o esistenziali hanno difficoltà pratiche a vivere la vita di tutti i giorni. La vita a bordo e le escursioni in ogni modo sono agevolate e rese vivibili per chiunque, con discrezione e rispetto dell’intimità.
Olga e io siamo due ficcanaso, un poco irresponsabili. Siccome abbiamo risolto un caso investigativo che concerneva non solo la vita professionale di un famoso giornalista-scrittore degli anni Sessanta del secolo scorso, ma riguardava pure le sospette cause della sua morte, ci siamo premiati (gli altri ci hanno ignorato) con un viaggio in giro per il mondo.
Per sentirci ancora vivi amiamo il brivido e speriamo che ci succeda qualcosa in questo viaggio, carico delle aspettative di ogni suo passeggero. Beh, magari non come l’ultima volta che venti fanatiche megere tentarono di farci annegare nell’allagato scantinato dell’immane artistica magione posseduta dalla principessa genovese Mafalda Ademaschi.
E qua vengo a quella alta e imponente persona che comanda e dirige il nostro immenso e maestoso transatlantico, evitando accuratamente scogli e inchini con la nave
a personaggi eventualmente degni di tale riguardo. L’inchino
è una manovra azzardata della nave vicino alla costa. Cosa che abitualmente faceva il comandante Francesco Schettino fino a quel maledetto giorno, il 13 gennaio 2012, in cui portò la nave da crociera Concordia a naufragare sulle rocce. Non abbandonò la nave per ultimo e causò la morte di 32 persone.
Vada a bordo, cazzo!
, gli intimò per telefono l’ufficiale della guardia costiera di Livorno Gregorio De Falco (oggi cazzuto e litigioso membro del parlamento).
Ebbene costui, il capitano della nostra nave, ha accontentato la nostra smania. Anzi, la mia, visto che soltanto me ha ristretto in un locale con funzioni di cella. Afferma, il calunniatore, che ho assassinato un uomo ma non circostanzia, non mi interroga. Aspetta le autorità inquirenti.
Nella cabina dell’ammazzato sono state rinvenute dieci cartucce. Nove pallottole sono infisse sulla fotografia di una rivista incollata sulla parete della cabina, rappresentante la vittima seduta su una poltrona e un’altra persona inginocchiata che gli bacia l’anello al mignolo della mano sinistra. Il decimo proiettile gli è entrato nella nuca. Il capo calvo e lucido riflette l’immagine appesa al muro crivellata di colpi.
Giuro che il portatore di quello schifoso anello, prima di salire su questa nave da sogno, non lo avevo mai visto. D’accordo, poi facemmo conoscenza e simpatizzammo, ma mai pensai di fargli del male. Anzi.
È per questo che ho formalmente investito per la bisogna Olga, la quale tramite computer, contatti umani e ogni altro mezzo investighi e, possibilmente, trovi il colpevole del suddetto crimine.
Comunque, di fatto, è lei che ha risolto i casi precedenti. Io li ho immaginati prima che avvenissero e, dopo, li ho descritti puntualmente nei relativi libri che ho scritto.
A questo punto preciso che Olga è una ex insegnante di matematica in un liceo scientifico genovese, appassionata di bridge, vincitrice di tornei di carte e gare di nuoto e, come ho detto, più scaltra di me.
Io sono un perito mercantile che nel porto di Genova ha controllato e registrato le merci che venivano sbarcate o imbarcate sulle navi. A parte undici anni di terribili lavori precari, trenta li ho vissuti nell’amata Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie Paride Batini, già presente nel porto genovese dal 1340. Ecco perché ho insistito con Olga per fare questo viaggio. Amo il mare, le navi, l’odore dell’aria salina, le gru e tutto quanto concerne la complessa vita di bordo e portuale.
Infatti da giovane, con sudore e sacrificio, ho onorato 42 cambiali per possedere un piccolo appartamento nel mio centro storico, proprio là dove prima della fondazione di Roma nacque Genua, la mia città adottiva. E vedo il mio porto.
Un giorno Olga mi ha ricordato che il porto di Genova non è il centro del mondo. Sicuramente no, ma lo è stato del mio mondo. E credo di poter dire che mi ha salvato la vita. Ma quella è un’altra vita.
Ma non da qui, Genova, bensì da Venezia è iniziata la nostra crociera alloggiati in una cabina con balcone. La città lagunare è il luogo migliore per iniziare il giro del mondo.
Sia Olga che io abbiamo pagato il viaggio della nostra vita con una buona parte del nostro TFR, trattamento di fine rapporto, cioè la liquidazione. E adesso questo comandante vuole rovinarmi la mia rimembrante vacanza (quanti e quali porti toccheremo, andrà tutto bene?).
Ce la vedremo.
Per giunta io costoro li conosco bene, so chi sono. Sai quante volte ho disputato con loro sulla qualità del carico oppure sul numero dei colli sbarcati? Capitava che li informavo che avevo contato una quantità di merci non corrispondenti al manifesto di bordo. Loro, immancabilmente, mi accusavano di essermi sbagliato a contare o quant’altro. Prevaleva la mia opinione. Perché una volta attraccata la nave, sia fuori che dentro il porto, l’autorità del comandante viene trasferita alle autorità marittime di terra. E la mia firma di perito mercantile era ed è registrata alla Camera di commercio genovese.
Perciò quando gli spedizionieri dovevano ritirare le loro merci dai magazzini, dalle chiatte o dai piazzali si rivolgevano a me; e io nel bene o nel male ero il responsabile.
Comandante Albani, le farò vedere io chi sono. Cazzo!
Costa Deliziosa 5 gennaio 2020
Capitolo 1
L’imbarco
Mentre Olga ed io salivamo lo scalandrone della Costa Deliziosa mi sono chiesto nuovamente perché ho insistito con la mia compagna a fare questo viaggio di quattro mesi su un villaggio navigante tra gli oceani.
Sì, la nostalgia per il mio lavoro e quella babele che è il porto di Genova conta, però in fondo a me vi sono anche altre motivazioni.
Con comandanti e ufficiali stranieri contestavo in inglese la quantità oppure la qualità di alcuni colli da sbarcare che presentavano evidenti segni di umidità e muffa dovuti a violenti marosi. Con gli spedizionieri facevo presente in italiano che alcune casse portate all’imbarco erano prive di tavole e che muovendole si udivano rumori di possibili rotture. Tutti loro immancabilmente sminuivano. Sì, poi con loro firmavo i documenti di consegna, ma soltanto io come perito mercantile in ultima istanza ero il vero responsabile.
Non solo. Con i camalli (gli scaricatori), in genovese stretto, spiegavo come manipolare le merci; che fatica per me, toscano cresciuto da una mamma e una zia che parlavano un italiano che neanche il Montanelli. Inoltre dovevo, con molta discrezione, stare attento che i camalli non pivassero
: i pivanti, in porto, sono quelli, anche non lavoratori portuali, che si appropriano indebitamente di cose appartenenti ad altri.
Amavo correre da una nave all’altra, l’adrenalina era sempre alta, le persone che incontravo, anche i camalli, ogni giorno diverse; in porto operavano in ordinato caos migliaia di persone. Non ero chiuso tra quattro mura e per me, multifobico e un pochino ipercinetico, non era cosa da poco.
Mentre varcavamo la soglia del transatlantico ho realizzato che non volevo soltanto respirare la salsedine, identificare il suo odore, girare nuovamente a bordo e ascoltare le conversazioni della gente e dell’equipaggio. No, qualcosa dentro di me ha cominciato a rimescolarsi; l’adrenalina, sordamente, urge di rifluire nelle mie fibre. Voglio l’avvenimento. Il clic che come l’ultima volta magari causa l’investigazione con i relativi rischi.
Quel caso, l’ultimo, come sempre lo ha risolto Olga, io mi sono limitato a descriverlo, perché scrivere (o meglio, scribacchiare) è il mio senile passatempo: visto che non posso più saltare di qua e di là, adesso volo come Pindaro, il poeta greco antico.
Olga, con il suo pragmatismo e i suoi accattivanti e furbi sorrisi, scioglie i più complessi intrighi. Uno si può chiedere che cosa ci veda in me: me lo chiedo inutilmente anch’io.
Gianni, hai visto quei due che erano a fianco al fotografo che ci immortalava come ti squadravano?
Sì Olga, sono due poliziotti in borghese che quando i nostri sguardi si sono incrociati hanno notato che li ho riconosciuti. È normale, sono a bordo per la nostra incolumità oltre quella della nave.
Ma come hai fatto, li conosci?
No, però ormai sono pratico, se li avessi incontrati al mare con la loro famiglia non me ne sarei accorto. Ma qua sono in servizio e malgrado cerchino di nascondere il loro modo inquisitivo, uno di esperienza come me li scopre. Piuttosto il problema è un altro.
Mi vuoi rovinare il viaggio? Cosa c’è?
C’è che sul lato opposto a loro ce n’erano altri due. Mi chiedo di quale squadra sono. Antiterrorismo, antispionaggio, antispaccio, antimafia o cos’altro?
Io non li ho visti. Ma fotografarci è normale?
Sì, tutti i passeggeri sono fotografati, poi ce le vendono, è un business. Vedrai, abbiamo pagato il viaggio con la formula tutto incluso, ma gli extra opzionali però irrinunciabili sono infiniti.
Beh, però lo sapevamo, no?
Scusate, ma come avete fatto ad aprire? Questa cosa la infilo nella fessura, ma la porta non si apre. Potete aiutarmi?
Ma certo. Olga, intanto entra in cabina e fatti la doccia che dobbiamo andare al cocktail di benvenuto… Ecco, vede, la tessera magnetica non basta metterla nella fessura, bisogna inserirla in questo modo ed estrarla velocemente. Così, fatto. Mi chiamo Gianni Bertini, se ha bisogno bussi pure alla parete, come ha notato siamo contigui.
Grazie infinite. Visto che saremo compagni di viaggio per quattro mesi è meglio che facciamo conoscenza. Entri con me, ci dovrebbe essere una bottiglia di champagne. Vuole far venire anche la sua signora? A proposito, mi chiamo Rocco, Rocco Montalbano, ed è la prima volta che esco dalla Calabria. Perché mi guarda così, ci conosciamo?
"No, mi scusi… è che lei assomiglia molto al commissario Montalbano, ma quello è un personaggio immaginario, perciò non le