Erinni
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Erinni - Marco Cibecchini
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Capitolo primo
Laura vedeva il suo ventre crescere; orgogliosa sapeva di essere portatrice di nuova vita, ma quando l’aveva saputo aveva pensato di abortire: non voleva che dentro di sé germogliasse il frutto della violenza.
Sì! Era stata violentata dal padre, ma solo in famiglia ne erano al corrente.
La madre, ormai avvizzita aveva lasciato che il marito insoddisfatto di lei approfittasse della figlia; in fondo era la sua proiezione in un tempo più recente.
Non le era sembrata una cosa tanto drammatica che lui avesse attrazione ancora per lei, nel senso che la figlia le somigliava molto; le pareva di essere lei stessa, tornata giovane.
Il marito era un uomo tuttora prestante, ne era ancora attratta come il primo giorno e lasciargli usare, abusare, la figlia le consentiva di tenerlo ancora legato a sé.
Laura fin da bambina era stata oggetto delle attenzioni del padre, ma solo quando le sue forme erano diventate quelle di una donna gli era entrata nella testa e spesso si addormentava pensando a lei come femmina e non come figlia.
Talvolta la sognava nuda che cavalcava sopra di lui, altre volte la immaginava dibattersi e urlare, mentre con una mano la teneva ferma bloccandole i polsi, con l’altra le strappava le mutandine e affondava dentro di lei... e fu proprio questo che avvenne quel pomeriggio di primavera quando lei rimase incinta.
Quel giorno la madre era tornata appena in tempo per assistere all’epilogo e dopo urla e imprecazioni verso di lui perché l’aveva tradita e verso la figlia perché era una puttana, si era calmata e, passata qualche ora, aveva riflettuto che rendere pubblica la cosa denunciando il marito per violenza non sarebbe stato utile a nessuno, avrebbe perso il marito rinchiuso in qualche cella e per la figlia ormai il fatto era successo, la denuncia non avrebbe riportato indietro il tempo, in più sarebbe stata marchiata a vita dal disonore.
Parlò con entrambi. Il marito lo convinse subito, del resto era lui il colpevole. Spiegarlo alla figlia fu un po’ più difficile, ma la vergogna pubblica che ne sarebbe scaturita convinse la ragazzina che, abbracciata alla mamma, non aveva mai smesso di piangere. Il silenzio sarebbe stato la cosa migliore. Il fatto non avrebbe dovuto varcare l’uscio di casa.
Capitò altre volte, ma la madre continuò a far finta di nulla, a non voler vedere, come se fosse una cosa normale. Ormai lo era.
La ragazza frequentava la chiesa, ne aveva parlato in confessione e non volle accogliere la proposta di aborto fatta da madre e padre, perché lo considerava un delitto, ma non voleva nemmeno accettare il consiglio del prete di denunciare il fatto alle autorità.
Con la minaccia che, se l’avessero costretta, avrebbe raccontato tutto, li obbligò ad accettare la sua gravidanza.
Quando non fu più possibile nascondere l’evidenza, al popolo fu detto che una sera, ad una festa tra ragazzi, qualcuno dopo averla fatta bere, aveva approfittato di lei e lei non ricordava nulla, nemmeno chi fosse stato.
La prima ecografia rivelò qualcosa di strano, di non troppo chiaro, i genitori pensarono alla possibilità che la gravidanza dovesse essere interrotta e ne furono quasi lieti.
Lei entrò in ansia come qualunque neo mamma.
Era necessario un tempo più lungo per avere delle certezze.
La volta successiva la dottoressa le comunicò con un ampio sorriso: «Le devo dare una bella notizia, forse un po’ impegnativa...»
La ragazza la guardò stupita e intimorita, perché aveva paura di perdete il bambino, ma la dottoressa le aveva detto: una bella notizia...
«Dunque» riprese la dottoressa, «sono tre e parrebbero tutte femmine!»
La ragazza stordita restò muta per qualche secondo poi, dal profondo della sua fede, rispose felice: «Sarà quel che Dio ha voluto.»
Capitolo secondo
Il tempo passava, le stagioni si alternavano, talvolta il pungente profumo del latte proveniente dalle grandi vasche di produzione del Parmigiano Reggiano arrivava alle narici, altre volte arrivava quello un po’ pesante delle stalle, altre ancora quello gradevole dei campi e dei fiori.
Laura, come accade alle donne incinte, spesso provava nausea, ma accettava paziente il disagio per amore di quelle tre vite che stavano maturando in lei.
Il pancione continuava a crescere e, come previsto dai medici, l’evento si verificò prematuramente.
In ospedale fu oggetto di grande interesse per vari motivi: già di per sé un parto plurigemellare è un fatto degno di attenzione, ma lo è ancor di più se si tratta di tre gemelli monozigoti. In questo caso, gemelle.
Un po’ tutti i medici del reparto vollero consultare la cartella causa la particolare rarità dell’evento e anche qualche medico di altri ospedali chiese il permesso per avere accesso ai dati per interesse scientifico.
Una volta nate, i sanitari dovettero completare la loro crescita con l’aiuto dell’incubatrice, ma le piccole arrivarono senza problemi al pieno sviluppo manifestando grande vitalità.
Addolorata, Vittoria e Speranza erano nate e nonostante tutto stavano bene.
Laura non aveva scelto i loro nomi a caso.
Addolorata
, per tutte le sofferenze che aveva subito, le violenze del padre e il tentativo di farla abortire.
Vittoria
, perché alla fine aveva vinto ed era riuscita a farle nascere.
Speranza
, per ciò che il futuro avrebbe riservato a tutte e quattro, lei compresa.
Laura con grande sacrificio stava crescendo meglio che poteva le piccole in quella famiglia così ostile e ottusa. Il burbero padre, vedeva le bimbe come la prova vivente del sua colpa e tentava di ignorarle, la madre tirava avanti corrosa dal grande conflitto di essere nonna delle figlie di suo marito e madre di colei che le aveva concepite, lei, Laura, madre e insieme sorella delle proprie figlie, avrebbe voluto allontanarsi, per offrire alle bambine un ambiente più fresco, non corrotto moralmente e con così scarse risorse economiche.
La madre appena se ne presentava l’opportunità, non si negava di ricordarle il grande errore di non aver interrotto la gravidanza, accettava il ruolo di nonna, ma le entrate erano poche e doveva destreggiarsi con quel poco, solo il padre lavorava in un caseificio di zona ed era l’unico ad avere uno stipendio certo.
Nel paese, le chiacchiere erano tante quanto le critiche, il fatto di tre gemelle senza padre conosciuto era già di per sé un buon motivo per esprimere pensieri beffardi e giudizi indignati, qualcuno non era stato del tutto convinto dalla storia della festa con ingravidamento incluso e tra le tante ipotesi aveva azzardato anche quella giusta, ma nessuno l’aveva presa sul serio, forse era troppo grossa per poter essere vera: troppo!
Qualche anima buona, sapendo lo stato di indigenza in cui versavano, aveva fatto dono a Laura di abitini e altro adducendo la motivazione che era roba ancora nuova e sarebbe stato uno stupido spreco gettarla. Una delicatezza per consentirle di accettare senza ferire il suo orgoglio e quello della sua famiglia.
Ma si sa, tra molte persone buone ce ne sono sempre altre che si nutrono avidamente delle disgrazie, altrimenti giornali e telegiornali non avrebbero un gran successo.
Capitolo terzo
Erano passati tre anni, le bambine perfettamente identiche l’una all’altra, erano cresciute senza che lo sviluppo portasse a differenze tali da consentire di riconoscerle, solo Laura ci riusciva e non sempre, ma per chi ne fosse stato a conoscenza un piccolissimo particolare sulla natica sinistra, diverso per ognuna, ne rendeva sicura l’identificazione.
Un giorno, attraverso una finestra semiaperta, qualcuno aveva visto l’incestuoso padre, tirare un manrovescio alla moglie e strattonare la povera Laura sbattendola sul letto.
La notizia arrivò ai carabinieri, che già da tempo insospettiti dai fatti e dalle voci di popolo, pensarono bene di chiedere mandato al giudice per una verifica con la presenza dell’assistente sociale.
In veste di addetti al controllo del territorio non potevano esimersi dagli accertamenti di rito.
***
In quel tardo pomeriggio il campanello suonò e Laura andò ad aprire, in collo una delle gemelle.
«Buonasera, possiamo entrare?» chiese il carabiniere in divisa.
«Oddio! Che c’è, cosa è successo!» domandò Laura angosciata.
«Nulla, nulla!» disse il militare cercando di tranquillizzarla in qualche modo.
«Siamo qui per un semplice controllo, niente di cui preoccuparsi anzi, vorremmo accertare se la vostra famiglia possa aver bisogno di qualche aiuto dal comune, con me c’è l’assistente sociale così potrà consigliarvi come fare se fosse necessario.»
Nel frattempo arrivò la madre da un’altra stanza. Non aveva sentito nulla di preciso, ma l’indugiare di Laura prima e la vista del carabiniere dopo la mise in allarme.
«Cosa volete? Chi vi ha mandato? Siamo brave persone qui!» asserì con forza e decisione.
«Nulla signora, non pensate male, abbiamo sentito voci che forse siete un po’ in difficoltà e siamo qui per accertare se potreste avere diritto a una qualche forma di aiuto, magari dal comune», rispose il carabiniere e aggiunse gentilmente: «Potrebbe farci entrare?» senza precisare che il mandato del giudice dava loro il diritto di farlo.
«Sì certo, non abbiamo nulla da nascondere!» rispose la madre facendosi da parte per dar