Orso di pezza
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Orso di pezza - Horacio Cavallo
Horacio Cavallo
Orso di pezza
ISBN: 9788899958169
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http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
1
I
2
II
3
III
4
IV
5
V
6
VI
7
VII
8
VIII
9
IX
10
11
12
13
14
A
X
15
B
16
C
&
17
&’
18
D
XI
19
*****
Note
Orso di pezza
Horacio Cavallo
Titolo originale: Oso de trapo
Traduzione dallo spagnolo di Giacomo Falconi
La pubblicazione di questa traduzione è stata sostenuta dal Programa IDA
Copyright © Horacio Cavallo 2007
Copyright © Edizioni Wordbridge 2020
Foto di copertina: © Edizioni Wordbridge 2020
ISBN: 9788899958169
1
Mentre María faceva tintinnare i piatti in cucina canticchiando una melodia sdolcinata, Eduardo si accarezzò la fronte, aspirò due o tre volte la pipa e si mise a parlare. La vecchia sonnecchiava con il gatto in grembo, facendo uscire l’aria in un sibilo che si confondeva con la decina di grilli sparsi intorno alla vecchia casa.
«Da allora, dipingo solo la ragazza. Beh, sempre che si possa chiamare così. Nessuna si fa donna da un giorno all’altro. Eppure, una sera d’estate in cui lo stallone nitriva impertinente e lo si poteva sentire bene galoppare a una ventina di metri, una notte come questa in cui i grilli giocherellano con le lancette dell’orologio e le damigelle fluttuano tra piatti sporchi e lampade, María compiva tredici anni. Non dirò che ero venuto di proposito, che me l’ero ricordato e che avevo deciso di passare a chiederle che regalo voleva. Lo seppi dopo, quando mi infilai a letto perché era troppo tardi e il cielo iniziava a farsi verdastro da est. Tappandosi il ventre con le mani e guardando il soffitto della stanza, mi disse che aveva già tredici anni. Se fino ad allora mi ero dedicato a dipingere paesaggi giallognoli di ruscelli tremolanti e capanne perdute – i seni appuntiti della bambina, le mani incrociate sull’inguine, l’orso di pezza, con il collo ritorto, riverso contro una delle pareti – ognuna di queste cose parlava a voce alta, mi lanciava un incantesimo confuso che offuscava la vista e, così come lo avevo vissuto ai miei tempi e così come lo viveva María, il mondo a venire si faceva spaventosamente freddo, limitato, ostile.»
Sonia, mantenendo gli occhi chiusi, tossì due o tre volte e sistemò una mano sopra l’altra spaventando il gatto, che fece un salto e poi scomparve. La ragazza gridò qualcosa che né Eduardo né Lucien riuscirono a comprendere in modo chiaro. La vecchia spalancò gli occhi, sciolse le mani, li guardò entrambi per un po’, offrì loro un’altra tazzina di caffè, sorrise assonnata e il mento le cadde sul petto.
«Da allora, dipingo solo María. E non fare quella faccia, che sarebbe potuto succedere anche a te. Beh, adesso chissà, ma un giorno avrai settant’anni anche tu. Immaginati di arrivare quando le ultime luci del giorno danno alla sala quell’aria fantasmagorica dei sogni: la ragazza se ne sta sdraiata lì, su quella stessa poltrona, i capelli lunghi e umidi, arricciati soltanto nelle punte, riempiendo tutto con quell’aroma che hanno i saponi buoni e le pelli più giovani. Un vestito sottile a fiori lungo fino alle ginocchia, la ragazza che ti guarda senza dire nulla, sostenendosi il mento con il palmo della mano e le gambe socchiuse da cui si possono vedere le cosce praticamente unite.»
«La prozia non c’è. È andata a Elordoy. Torna domani pomeriggio – mi disse quasi senza guardarmi, concentrata sulla crosta di una ferita che aveva nel gomito.»
«Strano che non mi abbia detto nulla.»
«Lei dice che vieni sempre senza avvisare, e che le volte in cui è venuta a trovarti ha bussato ma non le hai mai aperto la porta.»
«Se sono sul retro non si sente nulla. Trascorro molto tempo chiuso nello studio.»
«Me lo immagino. La prozia dice che passi il tempo a dipingere quadri con paesaggi che non sono di qua. Dimmi la verità Eduardo, te li inventi? – mi chiese accavallando le gambe. Provai a guardare da un’altra parte, evitare la pelle della ragazza, parlare tra me sottolineando l’innocenza di María, cresciuta tra quattro mura e l’ombra di un’enorme biblioteca.»
«Spesso li sogno – le dissi sedendomi accanto a lei. Non solo non si mostrò intimorita, ma si stiracchiò fino ad appoggiare la testa sul bracciolo.»
«Raccontami, raccontami queste cose – mi pregò, mentre appoggiava i piedi nudi sul mio grembo tremante – anch’io sogno luoghi che non conosco.»
«Parlammo di posti solitari: la sierra di Pinzón, il bosco delle araucarie. Magari tu non li conosci, li puoi visitare, non sono lontani, anche se non sono più gli stessi. Poi mi inventai altri posti in cui promisi di portarla una volta cresciuta. Era scesa la notte quando propose di cenare e mi mostrò il vano della credenza in cui Sonia teneva una bottiglia di anice e un’altra di scotch per gli ospiti.»
«María si bagnò appena le labbra di anice. Io bevvi troppo.»
«Tornammo sulla poltrona. Lo stallone nitriva in modo insopportabile in strada come nei giorni di tormenta. Sembrava aggirarsi intorno alla casa. Per questo, ogni tanto María provava un brivido, faceva un salto, contraeva le mani e passava minuti a guardare dalla finestra, mordendosi le unghie, strofinandosi la fronte disperata. Le accarezzai la schiena per consolarla e quella fu la prima volta in cui mi guardò come una donna. Sentii che dal profondo dei suoi occhi María mi chiedeva di restare a dormire con lei e di deflorarla con dolcezza. Tu sorridi Lucien, perché non consideri il fatto che avevo bevuto troppo e che la ragazza si era trasformata in una donna tra un canto del gallo e l’altro.»
«Non preoccuparti, resto qua – le dissi accarezzandole la nuca. Lei socchiuse gli occhi e liberò l’aria piano, sonnecchiando.»
«Mi stesi sul letto di Sonia e guardai il soffitto della stanza con la camicia mezza sbottonata e le scarpe ancora allacciate. Avevo lasciato María alla porta di camera sua, promettendole che sarei arrivato all’istante se mi avesse chiamato. Ti dico che guardai il soffitto della stanza, che seguii con lo sguardo un paio di quadri che si distinguevano appena sotto la luce pallida che eludeva la finestra. Il lampadario causava un riflesso minuto e brillante che si muoveva appena per la debole brezza estiva. Era in quel punto, una stella persa in mezzo alla stanza, che fissavo lo sguardo e che vedevo andare e venire immagini della bambina. Il whisky mi salì fino in gola. Con gli occhi offuscati e le gambe flosce tornai in sala e girai intorno alla poltrona. Dal nulla spuntò il cigolio del treno delle tre e il suo fischio risuonò a lungo, come se non dovesse scomparire mai. Un uccello volò vicino alla finestra e tutti i cani del paese abbaiarono fuori tempo. Un attimo dopo, mi ritrovai sulla soglia della camera della ragazza. Aveva acceso l’abat-jour e posso assicurarti – disse Eduardo abbassando la voce e controllando che Sonia continuasse a dormire – che non avevo mai visto un corpo più suggestivo di quello di María, a gambe aperte al centro del letto, con la sottoveste che le copriva appena i primi ricci del pube. Non ti preoccupare, non entrerò nei dettagli.»
María tornò dalla cucina con la stanchezza disegnata sul volto, svegliò la zia e l’accompagnò in camera. Eduardo restò in silenzio e ne approfittò per scuotere la pipa e servire il frangelico riempiendo i bicchieri fino all’orlo.
«Potete usare il giradischi, è l’unica cosa che funziona bene. Io vado a dormire» disse la ragazza appoggiata alla porta.
Lucien cercò in quel corpo l’altro, quello che Eduardo aveva descritto meticolosamente. Non sapeva quanto delirio ci fosse nella storia del vecchio, ma concordava sul fatto che la figura di María sprigionava qualcosa di invisibile e stimolante. Non a caso, lei stessa gli aveva assicurato che la prozia la preferiva dentro casa, rinchiusa e in silenzio.
«No, ce ne andiamo anche noi» disse Eduardo, e Lucien lo imitò mettendosi in piedi.
Il pittore fece una riverenza e Lucien salutò la ragazza alzando la mano. Lei rispose con un sorriso, con un gesto che voleva essere come un sorriso.
I
Il nonno dice che sono malato, che dovrò restare per diverso tempo a letto e che poi, se mi comporto bene, potrò muovermi piano dentro casa. Queste cose le ha dette il dottore, come se fosse un segreto. La nonna ha provato a distrarmi, ma io ho capito tutto. Il medico si è tolto l’apparecchio dalle orecchie e tossendo ha fatto un unico gesto, per farsi accompagnare fino alla porta. La nonna ha esitato e ha scelto di mettere su una faccia triste e poi fare subito delle smorfie ridicole. Gli altri sono usciti. Il nonno trascinando le ciabatte fino alla scala. Il dottore tutto curvo da un lato per il peso della valigetta.
Poi mi hanno lasciato solo. La nonna dice che mi farà bene riposare un po’ e che mi troveranno qualcuno che sa leggere per tenermi al passo con quello che i miei compagni imparano a scuola.
Sono un po’ stanco, questo è certo, anche se non mi fa più tanto male lo stomaco. Ma non ho sonno per niente. Vorrei che tornasse Selva. A lei verrebbe sicuramente in mente qualche gioco per passare il tempo.
Selva è mia