Riflessi
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About this ebook
Non bastava trovarsi con una proprietà abbandonata dal personale, dopo la morte del padre. No. Doveva piovere dal cielo anche una sconosciuta, una certa Maggie Dean, con una neonata in braccio. E qual è la vera sorpresa? La suddetta bambina non sarebbe altri che l'ultima figlia di Buck Tanner, il padre di Ace e dei suoi fratelli. A Maggie è parso giusto, dopo la scomparsa della madre della piccola, riportarla all'unico posto che può chiamare casa. Ma nonostante la disponibilità di Ace Tanner, che si occupa in prima persona della faccenda, Maggie capisce che non ha intenzione di tenerla con sé. Sta cercando qualcuno che se ne prenda cura. E no, lei può anche andarsene, ma la bimba deve restare.
Peggy Moreland
Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.
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Book preview
Riflessi - Peggy Moreland
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Five Brothers and a Baby
Silhouette Desire
© 2003 Peggy Bozeman Morse
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-942-8
1
La stanza in cui erano riuniti i fratelli Tanner era come tutto quanto nel Texas: enorme. Rustici ciocchi di legno, spaccati e intagliati dal primo Tanner che si era insediato in quella terra nel lontano 1800, contornavano tre lati della stanza, fungendo da sedili. Un camino in pietra, largo e profondo, occupava il quarto. Fotografie racchiuse in cornici di pelle adornavano le pareti, ricordando i momenti di gloria della famiglia.
Sebbene considerata grande anche secondo i parametri texani, la stanza sembrava essersi rimpicciolita, ora che accoglieva l’ultima generazione dei Tanner.
Era stata la morte del padre a far ricongiungere dopo tanti anni i fratelli, ma era il dovere, ora, che li aveva richiamati a raccolta. Dovere verso un uomo che con i suoi modi bruschi e scellerati era riuscito ad allontanarli dalla casa e dal ranch dove erano cresciuti e, in definitiva, l’uno dall’altro.
Ace, il maggiore, sedeva alla scrivania del padre, assumendosi il ruolo di capofamiglia, un onore e un onere che i suoi fratelli erano stati più che felici di accordargli. Woodrow, di quattro anni più giovane, aveva preso posto sul sofà di pelle di fronte alla scrivania, mentre Rory, il minore, era andato a sedersi sul lato opposto. Ry, invece, il secondogenito, preferiva camminare.
Con espressione solenne, Ace incontrò a turno lo sguardo dei fratelli. «Suppongo sappiate che ci ha lasciato in un mare di guai.»
Woodrow fece una smorfia. «Sai che novità!»
Ace annuì, comprendendo e condividendo il sarcasmo del fratello. «Pare che al vecchio piacesse un sacco spassarsela.»
Rory, il più rilassato dei quattro, allungò le gambe e ripiegò le mani dietro la testa. «Spassarsela, dici?» biascicò. «Creare guai, piuttosto.»
Ry smise di camminare e scoccò al fratello un’occhiata di brace. «Non essere irriverente. È pur sempre di nostro padre che si sta parlando.»
«Praticamente un estraneo» mugugnò Woodrow.
Sebbene il commento di Woodrow fosse molto pesante, nessuno dei fratelli osò riprenderlo. Con il suo fare furtivo e riservato, il vecchio avrebbe potuto popolare una città grande il doppio di Crossing, senza che nessuno di loro lo venisse a sapere.
«Ry ha ragione» rimarcò Ace, sperando di riportare la conversazione allo scopo di quella riunione. «Non siamo qui per giudicare nostro padre. Il nostro compito è quello di cercare di sbrogliare la matassa che ci ha lasciato.»
Ry guardò l’orologio con impazienza. «Sbrighiamoci, allora. Ho urgenza di ritornare ad Austin. Ho una mattinata fitta di interventi.»
Woodrow sbuffò. «E noi non vorremmo mai privare il dottore della possibilità di raggranellare un altro paio di milioni, vero?»
Poiché era dal giorno in cui era arrivato che il fratello minore lo provocava, Ry si lanciò verso di lui, lo afferrò per il bavero della giacca e lo sollevò di peso.
Rory intervenne prontamente per dividerli. «Su, ragazzi. Penserete a spaccarvi la faccia più tardi. Abbiamo da fare, ora.»
Ry fissò Woodrow in cagnesco per un paio di secondi, poi, con uno spintone, lo rimandò seduto sul divano.
Ace lo fulminò con un’occhiata severa. «Il vecchio non ci ha lasciato nessun testamento» riprese prontamente, prima che scoppiasse un’altra baruffa. «Per cui ci vorrà del tempo per riassestare il patrimonio. Nel frattempo, abbiamo un ranch di cui occuparci.»
Ry si guardò intorno. «Chi? Noi?» Sgranò gli occhi. «Non posso lavorare al ranch. Io sono un chirurgo. Ho il mio lavoro, i miei pazienti.»
«Abbiamo tutti i nostri impegni» gli rammentò serio Ace. «Spetta, però, a tutti noi, ognuno con il suo contributo, mandare avanti questo posto. Perlomeno, finché non decideremo se venderlo o no.»
Woodrow scattò in piedi. «Non possiamo vendere il Bar-T! È terra dei Tanner e lo è sempre stata.»
«E si spera che continuerà a esserlo» si augurò Ace. «Ma non saremo in grado di prendere nessuna decisione finché il patrimonio non sarà riassestato e sappiamo benissimo che cosa questo comporti, sia dal punto di vista economico sia da quello legale.»
Ry raggiunse la finestra e increspò la fronte, guardando fuori. «E Whit?» domandò, girandosi poi verso Ace. «Ci sarebbe dovuto essere anche lui.»
«Gli ho lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica, chiedendogli di raggiungerci qui al ranch. Se lo sentirà in tempo verrà, vedrai.»
Woodrow grugnì. «Non si è nemmeno presentato al funerale. Che cosa ti fa credere che verrà?»
«Perché dovrebbe, poi?» ribatté Ry. «Il vecchio lo ha sempre trattato male.»
«Whit c’era al funerale.»
Woodrow si girò per guardare Rory. «Dove? Io non l’ho visto.»
«Perché lui non ha voluto farsi vedere.»
Sogghignando, Woodrow scosse il capo. «Quel piccolo bastardo. Ha sempre avuto modi furtivi.»
«Riservati» lo corresse Ry. «Non furtivi.»
«Cos’è? Una diagnosi clinica?» lo rimbeccò l’altro. «E io che ti credevo un chirurgo plastico per ricchi e famosi, non uno psichiatra.»
Sebbene Ry si fosse irrigidito alla frecciata, non replicò, uno sforzo di autocontrollo di cui Ace gli fu grato. Con tutto quello che avevano da affrontare, noto e ignoto, Ace sapeva che litigare tra di loro avrebbe solo complicato ulteriormente le cose.
Si affrettò, quindi, a incanalare la conversazione verso l’obiettivo di quell’incontro.
«Poiché la mia attività di fotografo mi consente maggiore flessibilità, resterò io al ranch finché non avremo risolto la questione patrimoniale. Non posso, però, gestire questo posto da solo. Avrò bisogno dell’aiuto di voi tutti. Sarà necessario...»
Suonarono alla porta e Ace si alzò in piedi immediatamente, interrompendo il suo discorso. «È di certo Whit.»
«È più probabile che sia un vicino che viene a farci le condoglianze» borbottò Woodrow, che proprio non era disposto a lasciar sfumare la collera
Ace si fermò sulla porta e si girò lentamente indietro, verso i fratelli. «Chiunque sia» scandì, «mi aspetto da voi un comportamento esemplare. Intesi?»
Woodrow e Rory strabuzzarono gli occhi e distolsero lo sguardo, ma Ry lanciò ad Ace un’occhiata di sfida, come ad ammonire il fratello maggiore che lui non era un bimbetto che stava ai suoi ordini.
Ace fece un gesto contrariato con la mano e andò ad aprire, pregando che fosse Whit, così da poter risolvere quella questione al più presto. Prima se ne andava da Tanner Crossing, meglio era. Ritrovarsi di nuovo al ranch e nella cittadina che aveva preso il nome dalla sua famiglia cominciava infatti a dargli sui nervi.
Quando aprì la porta, però, invece di Whit, il fratellastro, si trovò davanti una donna in jeans e maglietta che teneva in braccio un fagotto avvolto in una coperta. Non riconoscendo né la donna né l’auto malandata ferma lungo il vialetto, Ace chinò il capo da un lato e la scrutò. «Posso esserle utile in qualcosa?»
«Sì, se lei è uno dei fratelli Tanner.»
L’amarezza nella sua voce lo sorprese. Di una cosa era certo: non era una vicina che andava a porgergli le condoglianze. «Io sono Ace» la informò, uscendo sul portico. «Il maggiore dei fratelli Tanner. E lei chi è, mi scusi?»
«Maggie Dean.»
Lui lanciò un’occhiata furtiva al fagotto avvolto nella coperta, che non gli fu difficile identificare come un neonato, poi incontrò di nuovo il suo sguardo. Il bagliore di sfida che le vide lampeggiare negli occhi lo mise subito sulla difensiva. «E che cosa desidera dai fratelli Tanner, signorina Dean?»
La donna gli porse il fagotto. «Le vengo a portare ciò che è suo.»
Ace indietreggiò, agitando le mani. «Oh, aspetti un secondo. Questo bambino non è mio.»
«Per la legge sì.»
«Quale legge, mi scusi?» sbottò lui nervosamente, cominciando a perdere la pazienza.
«Qualunque.»
«Aspetti un attimo. Io...»
Un acuto vagito si levò dalla coperta e Ace fece una smorfia.
La donna scostò un lembo della coperta. «Su, su, tesoro» lo confortò. «Non voleva spaventarti.»
Ace puntellò le mani contro i fianchi. «Mi ascolti, signora» cominciò, dovendo alzare la voce per farsi sentire al di sopra del pianto del neonato. «Io non so chi lei sia o perché abbia deciso di passare di qui, ma questo bambino non è mio.» Indicò l’automobile arrugginita. «Ora, se ne vada dalla proprietà dei Tanner e porti via con sé questo coso strepitante, altrimenti chiamo la polizia.»
Lei tirò su il mento, il viso paonazzo dalla collera, gli occhi iniettati di sangue. «Sarò felice di andarmene dalla vostra terra, ma il coso strepitante resta.»
E, detto questo, sbatté il bimbo che piangeva contro il petto di Ace.
D’istinto, lui lo afferrò mentre la donna piroettava su se stessa e correva via, sconvolta, sotto il suo sguardo incredulo.
Un paio di manine gli toccarono il petto, scostando la copertina. Lui abbassò lo sguardo e vide un faccino in miniatura, con i lineamenti troppo piccoli e perfetti per essere veri; un paio di accesi occhi azzurri allagati di lacrime che scintillavano sotto i raggi del sole; un nasino rosa non più grande di uno dei bottoni della sua camicia e una boccuccia aperta, come quella di un uccellino che aspetta di essere nutrito dalla sua mamma.
Solo che il suono che fuoriusciva da quella piccola bocca era più che reale.
Sollevò lo sguardo e vide che la donna aveva raggiunto la sua auto e stava freneticamente gettando sull’erba degli oggetti che prendeva dal sedile posteriore.
«Ehi!» urlò Ace. «Che cosa sta facendo? Non può lasciare il bambino qui.»
La donna sbatté la portiera e si girò, furente, sistemandosi sulla spalla la tracolla della sacca. «Non è un bambino» sibilò a denti stretti. «È una bambina.» Raddrizzò la schiena. «E resta qui.»
Poiché non era mai riuscito a ottenere nulla con le donne alzando la voce, Ace provò a ragionare. «Mi ascolti» disse, imponendosi la calma e avvicinandosi lentamente. «È evidente che lei ha dei problemi e ha bisogno d’aiuto.» Si portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni e sfilò il portafoglio. Lo aprì con una mano sola e lo allungò verso di lei, mostrando un bel pacchetto di banconote. «Si prenda pure quello che le serve. Anche tutto, se vuole.»
La donna scacciò la sua mano, colpendogliela bruscamente e facendo volare a terra il portafoglio. «Lei è proprio come suo padre» lo accusò con risentimento. «Crede di poter risolvere tutto col denaro. Be’, non è così! Questa bambina ha bisogno di una famiglia, di qualcuno che si prenda cura di lei e che la ami.»
La parola padre gli fece scattare qualcosa nella mente. All’improvviso, lui trattenne il respiro. «Questa... questa bambina è figlia