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Quando l'amore bussa
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Quando l'amore bussa

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About this ebook

Chi odia, ama!
Macy Keller, dopo aver scoperto dalla madre che Buck Tanner non è il suo vero padre, decide di restituire all'uomo il denaro che le aveva regalato anni prima per poi andare a fondo sulle sue vere origini. Parte per Tanner's Crossing dove però l'attende una notizia sgradevole e inaspettata: l'uomo che credeva suo padre è morto. A comunicarglielo è Rory Tanner, uno dei figli. Ripresasi dallo shock, Macy spiega le ragioni del suo viaggio e restituisce i soldi a Rory che però non si fida della donna e decide di indagare su di lei non perdendola mai di vista.
Certo è che il fascino sobrio e semplice della donna e quegli occhi che sanno esprimere ciò che le parole non riescono a dire sono una vera minaccia ai suoi scopi.
LanguageItaliano
Release dateSep 10, 2020
ISBN9788830519466
Quando l'amore bussa
Author

Peggy Moreland

Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.

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    Quando l'amore bussa - Peggy Moreland

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Last Good Man In Texas

    Silhouette Desire

    © 2004 Peggy Bozeman Morse

    Traduzione di Lucilla Negro

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-946-6

    1

    L’angolo nordoccidentale della piazza di Tanner Crossing ferveva di attività. Camion di ogni foggia, perlopiù del tipo usato nell’edilizia, erano allineati lungo la strada, occupando quel po’ di spazio per parcheggiare rimasto nel piazzale adiacente, il cui accesso non era stato interdetto da cartelli con la scritta: Attenzione. Asfalto fresco. Una moltitudine di operai, ciascuno impegnato nel proprio lavoro, grondava sudore sotto il sole cocente di mezzogiorno.

    Rory Tanner stava di fronte all’edificio quasi ultimato, i pollici premuti l’uno contro l’altro davanti al viso, esaminando la prospettiva attraverso la cornice creata dalle proprie mani.

    «Voglio che sembri un recinto per cavalli» disse, descrivendo la vetrina così come lui l’aveva in mente. «Con pezzi di staccionata e un cancello. Giusto un angolino, non tutto lo scenario. Un paio di cactus sparsi qua e là, magari una testa di mucca appoggiata sullo sfondo. E, mi raccomando, niente manichini.» Abbassò le mani e si lasciò percorrere da un fremito. «Quei cosi mi mettono i brividi addosso. Mi sembrano dei cadaveri.» Fece ondeggiare una mano, indicando la vetrina. «Appendi tutti gli abiti che vuoi esporre al soffitto. Usa dei fili di nylon o qualcosa del genere. Puoi anche attaccarli alle pareti, se è il caso. E stivali, tanti stivali. Appoggiati su delle balle di fieno, sulle pietre, per terra. E adopera polvere vera per il recinto. Ci tengo a creare un effetto il più realistico possibile. Voglio che questa vetrina catturi le persone per il colletto e le trascini dentro al negozio.» Gettò un’occhiata alla donna che prendeva appunti su un taccuino come una forsennata. «Afferrato il senso?»

    «Sì, credo di sì.» La ragazza abbassò l’agenda e lo sbirciò con aria crucciata. «Anche se non so proprio come possa realizzare il tutto in così breve tempo.»

    Sogghignando, lui le cinse le spalle con un braccio e l’attirò a sé. «Sei o non sei la più brava vetrinista di tutto il Texas? E dato che questo negozio si trova proprio nella mia città natale, deve essere il migliore di tutta la catena! Non voglio che qualcuno dica che Rory Tanner non fa le cose per bene. Ne va del buon nome della famiglia, perdiana.»

    Con la mente che rincorreva già il problema successivo da risolvere, diede alla donna un’altra stretta veloce e si allontanò.

    «Ehi, Jim!» gridò al carpentiere appollaiato sull’alta scala appoggiata alla facciata del negozio. «Bada che quell’insegna sia messa dritta. Non vorrei che alla gente venisse il torcicollo nel tentativo di leggerla.»

    Ridacchiando, Jim sollevò il pollice in segno di assenso e tornò ad avvitare i bulloni che avrebbero sorretto l’insegna del negozio di abbigliamento stile western di Rory Tanner.

    «Hai bisogno di aiuto, Don?» chiese Rory all’uomo che stava saldando delle aste di ferro.

    Don si sollevò la visiera dell’elmetto da saldatore, abbassando le spalle con aria avvilita. «Mi farebbe proprio comodo un altro paio di mani. Gus non si è presentato al cantiere, oggi. Sarà da qualche parte a smaltire la sbornia. C’è un altro casco nel mio furgone. Se non ti dispiace, porta un paio di metri di sbarre di ferro che sono nel bagagliaio, quando torni.»

    A suo agio con una saldatrice in mano così come lo era con un lazo, Rory indossò l’elmetto, abbassò la visiera, poi si appoggiò sulle spalle i due metri di spranghe che servivano a Don per realizzare l’inferriata che doveva separare il marciapiede dallo spazio per parcheggiare lungo la strada. Quindi, tornò indietro. Dopo essersi infilato un paio di guanti di pelle che teneva nella tasca posteriore dei jeans, si mise all’opera.

    In breve tempo, i due uomini presero il ritmo e insieme realizzarono altre due sezioni di inferriata, prima che Don sollevasse la visiera e segnalasse a Rory che aveva bisogno di ricaricare la saldatrice.

    La camicia intrisa di sudore, Rory si sfilò il copricapo metallico. Si passò un braccio sulla fronte, asciugandosi il sudore, e si guardò intorno.

    Gonfiò il petto, inorgoglito.

    Di tutti i negozi della fortunata catena, quello sarebbe stato il suo fiore all’occhiello. Ed era giusto così, dal momento che quella era la sua città natale. Molti suoi compaesani si erano spesso domandati se e quando avrebbe aperto un negozio proprio lì, a Tanner Crossing. Fino a qualche mese prima, tuttavia, non si sarebbe mai sognato di considerare la piccola cittadina come un eventuale ulteriore sbocco per la sua attività.

    Da quando suo padre, il vecchio Buck, aveva tirato le cuoia, i fratelli Tanner erano tornati uno alla volta all’ovile, diventando di nuovo una famiglia unita.

    Dapprima era tornato Ace che, in qualità di primogenito, si era accollato i doveri di esecutore testamentario del patrimonio del genitore. All’inizio, si era stabilito al Bar-T, il ranch di famiglia, assumendosi la responsabilità della bambina che il vecchio si era lasciato dietro alla sua morte. Era stata una vera e propria consegna a domicilio, che aveva destato sgomento e preoccupazione in tutti i fratelli, finché Ace non aveva sposato Maggie e insieme avevano adottato la piccola, con gran sollievo di tutti, compreso Rory.

    Ry era stato l’ultimo a ritornare al ranch, si era sposato e praticava ora la sua professione di chirurgo nell’ospedale del luogo. E, soprattutto, era felice. Più felice di quanto Rory non lo ricordasse da anni. Tutto merito di Kayla, la sua seconda moglie.

    Tra il ritorno di Ace e quello di Ry, anche il burbero Woodrow aveva preso moglie, una pediatra che sembrava fatta apposta per lui. Il che significava che lui e Whit erano gli unici fratelli Tanner a essere rimasti scapoli. Non sapeva come la pensasse Whit in proposito, ma lui era più che deciso a preservare ancora per un bel po’ il celibato. Magari per sempre. Le donne gli piacevano troppo per accontentarsi di una sola. Gli piacevano la loro dolcezza, la loro gentilezza, la loro femminilità.

    E se la donna che stava scendendo in quel momento dalla jeep Cherokee, che si era appena fermata nell’area parcheggio, possedeva un grammo di femminilità, voleva dire che se la teneva ben nascosta.

    L’informe salopette di jeans, che Rory considerava un abbigliamento decisamente maschile, le camuffava le eventuali curve. E quei capelli! Pareva che si fosse messa in fila insieme alle pecore per la tosatura e si fosse resa conto dell’errore a metà del processo. Il risultato erano ciocche scomposte e ispide di capelli biondi striati dal sole lunghi fino al mento, con ciuffi più lunghi sul davanti, che la donna mandava all’indietro con gesto nervoso mentre fissava l’insegna che Jim aveva appena finito di appendere. Un paio di occhiali da aviatore le nascondeva gli occhi, ma la parte del viso che restava scoperta offriva qualche speranza. Zigomi alti, naso sottile e labbra piene, turgide.

    Fu su quelle labbra che si focalizzò lo sguardo di Rory mentre si dirigeva verso la sconosciuta, pronto a fare gli onori di casa.

    «Salve» la salutò, elargendole un sorriso di benvenuto allorché la donna posò lo sguardo su di lui. «Non siamo ancora aperti, ma se gradisce fare un giro del negozio, sarei ben lieto di accompagnarla.»

    Lei gli indirizzò una lunga occhiata da dietro le lenti, poi distolse lo sguardo.

    «No, grazie» scandì, gelida. «Ho visto l’insegna e speravo di trovare un Tanner da queste parti.»

    Qualcosa nel suo tono di voce aspro disse a Rory che quella non era una visita di cortesia. Si mise subito sulla difensiva. «C’è più di un Tanner qui a Tanner Crossing. Chi cerca esattamente?»

    «Buck.» La donna tornò a guardarlo, sollevando un sopracciglio al di sopra del bordo degli occhiali. «Lo conosce?»

    Rory si sentì raggelare il sangue nelle vene, ma si sforzò di mantenere l’espressione impassibile. «Certo, signorina. Si dà il caso di sì.»

    Lei si guardò intorno, come se si aspettasse di trovare Buck nei paraggi. «È qui?»

    «No.» Lui la fissò con aria sospettosa. «Perché cerca Buck?»

    La ragazza si abbassò gli occhiali sul naso e lo fulminò con uno sguardo di fuoco. «Questi non sono affari suoi» gli rispose sgarbata.

    Rory soffocò un moto di rabbia. «Be’, detesto essere io a dirglielo, ma Buck è morto.»

    La ragazza impallidì. «Morto? Q... quando?»

    «Lo scorso autunno. Un infarto.» Rory schioccò le dita. «Se n’è andato così. All’improvviso.»

    «Non può essere morto. Io...» La sconosciuta si morse le labbra e guardò altrove.

    Rory poteva giurare di averle visto gli occhi umidi di pianto prima che lei si rimettesse gli occhiali. Non sapendo cosa dire, rimase in silenzio.

    «Mi ha detto che ci sono altri Tanner qui in città» riprese lei dopo un istante, recuperando la sua lucida determinazione. «Per caso imparentati con Buck?»

    «Sì. Tutti. Cinque figli maschi e una figlia che lui non ha mai conosciuto.»

    «Avrei bisogno di parlare con loro. Dove li posso trovare?»

    «Al Bar-T. Il ranch di famiglia. È a una quindicina di chilometri da qui.»

    «Può darmi indicazioni su come raggiungerlo?»

    «Potrei» disse Rory, poi scosse il capo. «Ma è asserragliato peggio di una fortezza.»

    Quelle labbra turgide che lui tanto apprezzava si sigillarono in una linea severa.

    «Be’, ci sarà pure un modo per mettersi in contatto con loro, no? Avranno un telefono, suppongo.»

    «Il numero non è sull’elenco degli abbonati.» Rory attese un secondo, poi aggiunse: «Ma se ha così tanta urgenza di parlare con loro, credo di poterle organizzare un incontro».

    «Quanto tempo le occorre?»

    Lui si grattò il mento. «Difficile stabilirlo. Sono in tanti, sa. Mi ci vorrà un po’ per radunarli tutti nello stesso posto. Se per caso alloggia qui in città, potrebbe lasciarmi un recapito telefonico, così l’avverto quando li avrò riuniti tutti.»

    La donna aprì la portiera della jeep e si allungò all’interno. Quando riemerse, aveva in mano un block notes e una penna. «Non sono in albergo» lo informò, mentre scriveva una serie di numeri. «Ho una roulotte parcheggiata nella parte sud della città.» Strappò la pagina e gliela porse. «Questo è il mio numero di cellulare. Lo tengo sempre acceso, di giorno.»

    Rory fissò il numero, poi guardò lei, sforzandosi di tenere a bada l’irritazione nella voce. «E c’è per caso un nome insieme a questo numero?»

    «Macy» rispose lei mentre rimontava sulla jeep. «Macy Keller.»

    Rory non perse un attimo di tempo. La polvere sollevata dalla jeep che sfrecciava via non si era ancora depositata sul terreno che lui era già corso al suo fuoristrada per prendere il cellulare appoggiato sul cruscotto.

    Chiamò prima Ace, ritenendo che, in qualità di primogenito ed essendo colui che viveva più distante, si meritasse

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