Dolce complicità
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About this ebook
Anni prima, Whit Tanner aveva dovuto rinunciare all'amore. Dopo la notte di passione trascorsa con la bella Melissa Jacobs, l'aveva lasciata andare essendo fidanzata e prossima alle nozze col suo migliore amico.
Ora rivedersela davanti, sola e con un figlio da crescere, gli fa capire che per lui non è trascorso nemmeno un giorno da quella notte in cui l'aveva tenuta stretta tra le braccia. Lei ha bisogno di un sostegno, di qualcuno che assicuri un destino dignitoso a lei e a suo figlio, per questo Whit, rispettando il buon nome della famiglia Tanner, non può tirarsi indietro. Ma non capisce perché la dolce Melissa sembra sfuggente e preoccupata che lui possa scoprire qualcosa che lei nasconde da tempo.
Peggy Moreland
Scrive storie intense ambientate in Texas, che le hanno permesso di vincere numerosi premi letterari.
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Book preview
Dolce complicità - Peggy Moreland
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Sins of a Tanner
Silhouette Desire
© 2004 Peggy Bozeman Morse
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-949-7
1
Correva voce che non ci fosse donna in tutto lo stato del Texas in grado di resistere al fascino di un Tanner, se questi si metteva in testa di sedurla. Alti, ricchissimi, capelli nero corvino e occhi tenebrosi, i fratelli Tanner erano uomini irresistibili.
Whit Tanner era l’eccezione.
Sebbene fosse alto e non passasse certo inosservato, Whit non assomigliava affatto agli uomini con cui condivideva il cognome. Aveva i capelli castani e non neri, striati di biondo per gli anni di lavoro all’aria aperta sotto il cocente sole del Texas. I suoi occhi erano marroni, piuttosto che azzurri, l’inconfondibile marchio di famiglia, con pagliuzze dorate nelle iridi, che riflettevano la stessa tonalità calda della capigliatura.
E le differenze non si esaurivano lì.
Benché fosse un fatto assodato che nessuna donna, neppure la più morigerata, riusciva a resistere al fascino prorompente dei famosi fratelli, le uniche femmine in compagnia delle quali Whit si sentiva a suo agio calzavano scarpe ferrate e camminavano a quattro zampe. Quando si confrontava con il gentil sesso, infatti, lui tendeva ad arrossire e a balbettare, il che spiegava in parte perché fosse ancora single nonostante i suoi ventinove anni.
In verità, Whit non si era mai curato più di tanto della sua condizione, finché i suoi fratellastri non avevano iniziato, uno dopo l’altro, ad ammogliarsi.
Il primo era stato Ace, che aveva sposato la graziosa Maggie, poi era stata la volta di Woodrow, innamoratosi perdutamente di una dottoressa di Dallas. Ry li aveva seguiti a ruota, quando si era sposato con Kayla, la cameriera di Austin che gli aveva rubato il cuore. Ma era stato quando aveva capitolato Rory, lo scapolo più incallito del gruppo, convolato a nozze con Macy, che Whit si era reso conto con fastidio di essere rimasto l’unico Tanner senza fede al dito.
«L’unico Tanner senza fede al dito» borbottò tra sé mentre sollevava la sella dalla staccionata e la trascinava sul dorso della giumenta. Lui non era un Tanner, però. Non per nascita, perlomeno. Era stato adottato, un caso umano di cui Buck Tanner si era fatto carico quando aveva sposato sua madre.
Tutti sapevano a Tanner Crossing, incluso Whit, che il matrimonio tra Buck e Lee Grainger non era stato un’unione d’amore. Una divorziata con un figlio a carico che campava con le mance che raggranellava servendo ai tavoli, Lee cercava sicurezza, là dove Buck voleva qualcuno che si occupasse dei quattro figli orfani di madre. Con quell’accordo, Lee aveva ottenuto la casa e la sicurezza che tanto desiderava, mentre Buck si era guadagnato un’amante a domicilio e una governante.
E così Whit aveva preso il nome dei Tanner.
Un rivolo di sudore gli scivolò fra gli occhi. Spostandosi indietro il cappello, si asciugò il viso con la manica della camicia. Ma non erano solo l’aspetto fisico e il sangue a differenziarlo dai Tanner, pensò stancamente mentre si rimetteva il copricapo.
I Tanner non dovevano guadagnarsi da vivere sudando sette camicie sotto il sole bruciante. A meno che non fossero loro a deciderlo, naturalmente.
Sospirò, poi agganciò la fibbia della sella sotto il ventre del cavallo. A ogni modo, gli sarebbe potuta andare peggio, rifletté. Sarebbe potuto finire dietro una scrivania, in qualche ufficio, sommerso tra le scartoffie, o intrappolato in una fabbrica senza finestre a montare gli ingranaggi di qualche attrezzo meccanico. Pochi uomini avevano la fortuna di svolgere un lavoro di loro gradimento e lui adorava occuparsi dei cavalli.
Immaginava che dovesse ringraziare Buck per quello, perché era stato lavorando al Bar-T, il ranch dei Tanner, che lui aveva scoperto il suo amore per i cavalli. Ma era l’unica cosa di cui doveva considerarsi grato a quell’uomo, rifletté amareggiato. Buck Tanner era stato un pessimo patrigno e, secondo quanto raccontavano i fratellastri, anche un pessimo padre.
Si fermò e corrugò la fronte. Che cosa significava, poi, essere un buon padre?
Storse il viso in una smorfia e strinse la cinghia ancora un po’. Come faceva a saperlo? Il suo aveva tagliato la corda quando lui aveva appena tre anni, abbandonandolo insieme alla madre. Whit aveva creduto che lui e la mamma avrebbero continuato a cavarsela anche senza un uomo, quando un giorno, all’improvviso, sua madre gli aveva annunciato che avrebbe sposato Buck, il quale avrebbe provveduto ad adottarlo. La decisione aveva sorpreso un po’ tutti a Tanner Crossing, poiché Buck Tanner non aveva tempo di occuparsi neppure dei suoi quattro figli.
Ben presto, Whit avrebbe imparato che ne aveva ancor meno per un figliastro.
Rabbuiandosi al pensiero dell’atteggiamento non certo benevolo del patrigno nei suoi confronti, diede un’ultima stretta alla cinghia, assicurandosi che fosse ben salda. Il cavallo che stava per cavalcare, una giumenta saura, appiattì le orecchie contro la testa e divincolò il fianco all’aumento di pressione.
Whit l’accarezzò sul collo.
«È solo una sella, tesoro» le sussurrò. «So che ti sembra strana, ma presto ti abituerai.»
Bisbigliando dolcemente alla cavalla, Whit slegò la corda dal palo e incoraggiò l’animale a percorrere al trotto il perimetro del recinto. Con l’estremità della corda stretta in una mano, la condusse in un lento giro rasente lo steccato, tenendo d’occhio i movimenti del quadrupede dalla sua posizione al centro dello spazio circolare. Dopo cinque giri nervosi, la giumenta iniziò a rilassarsi, riportando gradualmente le orecchie all’insù e smettendo d’impennarsi.
Whit adorava quell’animale e sperava che il proprietario continuasse ad affidarlo a lui per l’addestramento. Era sicuro che sarebbe diventato un ottimo cavallo guida per il bestiame. Era intelligente, scattante e rispondeva bene ai comandi. La prova decisiva, però, sarebbe stata un confronto tra la giumenta e un vitello, in modo da valutare come l’animale avrebbe reagito sotto pressione.
Il rombo di un motore irruppe fra i suoi pensieri. Whit piegò il capo da un lato, concentrandosi sul rumore che si avvicinava sempre più. Sbirciò dietro il cavallo per vedere chi stesse arrivando. Un sorriso gli incurvò le labbra quando riconobbe il fuoristrada di suo fratello Rory. Macy, sua moglie, gli sedeva accanto.
Sebbene Whit avesse disprezzato Buck Tanner, il suo risentimento non coinvolgeva i fratellastri. Aveva stima di loro, li rispettava e gli erano simpatici. Soprattutto Rory, probabilmente perché era un ragazzo molto socievole, che si conquistava le simpatie di chiunque.
«Ehi, Whit!» gridò Rory mentre lui e Macy scendevano dalla vettura. «Dove hai preso quella vecchia giumenta?»
Whit ridacchiò mentre conduceva l’animale al centro del recinto. «È meglio che non ti faccia sentire da Dan Miller» lo avvisò, «perché ha pagato fior di quattrini per questa signorina.»
Rory spalancò il cancello e lo tenne aperto mentre la moglie entrava, poi la seguì. Macy sorrise a Whit e allargò le braccia, andandogli incontro. Lui si schermì in vista dell’abbraccio che sarebbe sopraggiunto. Sebbene si stesse abituando sempre più alle affettuose effusioni delle cognate, sentì un calore familiare imporporargli le guance allorché la ragazza lo cinse fra le braccia e lo premette a sé.
Lui ricambiò con un’impacciata pacca sulla spalla. «C... ciao, Macy.»
«Giù le mani da mia moglie» lo redarguì Rory, scherzando. «Basta coccolarla.»
«Se questa è la tua idea di coccole» ribatté Whit, asciutto, «non ti meravigliare se poi si stringe a me tutte le volte che mi vede. Questa donna ha un disperato bisogno d’affetto.»
«Se così fosse, non verrebbe a cercarlo proprio da te» rilanciò Rory, esplodendo poi in una sonora risata. «Che diamine, Whit, non sapresti cosa fare con una donna neppure se si presentasse da te con il libretto delle istruzioni!»
Abituato alle canzonature di Rory, Whit camuffò un sorriso e condusse il cavallo verso lo steccato, legandolo a un palo. «Sei venuto fin qui per prendermi in giro o c’è un motivo per questa visita?»
«Volevamo invitarti all’inaugurazione del mio vivaio» annunciò Macy. «Sarebbe sabato della prossima settimana e gradirei tanto che ci fossi anche tu.»
Whit si girò e si sfilò i guanti. «Ci sarà da abbuffarsi, immagino.»
«A volontà. Ho ordinato anche dello champagne.»
Whit rabbrividì a quella parola. «Non sarà una di quelle feste chic dove è d’obbligo l’abito scuro?»
Sorridendo, la cognata gli diede un buffetto sulla guancia. «Per quello che mi riguarda, puoi venire vestito come ti pare, anche in abiti da lavoro.»
«Aspetti visite?» gli domandò Rory, a un tratto.
Whit si voltò verso di lui, poi seguì la traiettoria del suo sguardo e vide un’auto avvicinarsi.
Corrugando la fronte, scosse il capo. «No.»
I tre osservarono l’utilitaria che si fermava accanto al fuoristrada di Rory. Whit si sentì lo stomaco stretto in una morsa quando riconobbe la donna dietro il volante.
«Quella non è Melissa Jacobs?» chiese Rory incuriosito.
Whit distolse rapidamente lo sguardo. «Già» borbottò, mentre si infilava di nuovo i guanti. «È proprio lei.»
«Ciao, Melissa» la salutò Rory mentre lei scendeva dal veicolo. «È un pezzo che non ci si vede.»
Alzando la mano per salutare, la donna li raggiunse all’interno del recinto. «Sì, è un secolo» concordò mentre accettava la mano che Rory le aveva offerto. «È un piacere vederti.»
Rory strinse Macy a sé. «Non credo che tu conosca mia moglie. Macy, Melissa Jacobs.»
«Felicitazioni!» esclamò Melissa mentre stringeva la mano a Macy, voltandosi poi verso Rory per includere anche lui nel suo augurio. «A tutti e due.»
«Grazie» replicò Rory, poi si adombrò. «Mi dispiace tanto per la scomparsa di Matt. È stato un brutto colpo per tutti.»
Il sorriso di Melissa svanì. «Sì, è vero.»
«Se c’è qualcosa che posso fare per te...»
«No, grazie» ribatté la vedova prontamente, «ma apprezzo il pensiero.»
«Allora» proseguì Rory, in un evidente sforzo di cambiare argomento, «come mai da queste parti?»
«Sono venuta a trovare Whit.»
Rory prese Macy a braccetto. «In tal caso, leviamo il disturbo.»
Whit era rimasto muto durante quello scambio di battute, ma entrò nel panico al pensiero di restare da solo con Melissa. «Non c’è bisogno che andiate via» si precipitò a dire. «Non appena avrò finito, possiamo entrare in casa a bere qualcosa di fresco.»
Rory consultò un istante l’orologio, poi scosse il capo. «Sono spiacente, fratello, ma dobbiamo proprio scappare. Abbiamo lasciato il padre di Macy da solo alle serre e si arrabbierebbe se dovesse arrivare un nuovo carico di piante, senza che ci sia nessuno a dargli una