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Solo un algoritmo ci potrà salvare
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Solo un algoritmo ci potrà salvare

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Il coronavirus ha sconvolto e cambiato il mondo intero. Non esiste Paese che non abbia dovuto fare i conti con il contagio e con il conseguente lockdown come unica forma di protezione contro la diffusione del virus.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 19, 2020
ISBN9788831686297
Solo un algoritmo ci potrà salvare

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    Solo un algoritmo ci potrà salvare - Luca D'Auria

    D’Auria

    CAPITOLO I

    Vivere in un quadro di Edward Hopper e la nuova città dell’uomo animale virtuale

    Appare oramai un lontano ricordo il mondo della socialità, degli assembramenti, della condivisione fisica degli spazi; eppure sono passati solo una cinquantina di giorni da quando il mondo funzionava in modo radicalmente differente da oggi. Ciò che maggiormente stupisce è come questa rivoluzione sociale sia intervenuta in tempi brevissimi. In un lampo l’intero mondo è passato dalla dimensione sociale a quella solitaria e silenziosa. Più di un critico letterario ha ritenuto di raccontare la nuova realtà attraverso un richiamo artistico alle opere di Edward Hopper, il pittore del silenzio.¹ In effetti questi sono i giorni del silenzio, delle strade deserte, delle metropoli che paiono abbandonate. In realtà le nostre città sono piene. La popolazione è chiusa in casa. Le luci degli appartamenti sono accese, proiettando qualche segno di vita in un contesto di apparente abbandono.

    Immaginate una città dove nessuno cammina per le strade. Dove i marciapiedi sono ripuliti come soffitti e l’insegna del barbiere è immobile come un cadavere. Non c’è alito di vento. Una sola luce risplende mentre il resto della città rimane nella sua ombra.² Sono le parole con cui Ira Sadoff ha descritto I nottambuli di Hopper, una delle sue opere maggiormente rappresentative. Gettando lo sguardo al di là del limite invalicabile delle proprie dimore si prova la medesima sensazione di silenzio, sospensione e vuoto. Le luci degli appartamenti che consentono di scorgere qualche movimento rendono ancor più spettrale il paesaggio virtuale della città, creando un contrasto surreale tra la non vita del mondo e i brevi schizzi di vita che vengono incorniciati dalle finestre come fossero dei visori di un mondo artificiale.

    Hopper ha raccontato il medesimo silenzio. Quello delle stanze, delle strade, delle città e della campagna. Ha trasformato questi luoghi in mondi sospesi, in realtà incerte, in metafore del vuoto.

    Dai primi giorni di marzo del 2020 ogni individuo sta sperimentando l’affermazione di Mozart secondo cui la musica più profonda è quella che si nasconde tra le note. È un’idea incredibile: tra una nota e l’altra, anche se strettamente legate, c’è l’infinito. Il mistero è lì, in quello spazio che racchiude l’universo.³ Il silenzio apre all’infinito e all’infinità delle possibilità, ancora tutte sospese tra il mondo del possibile e dell’impossibile.⁴

    Il silenzio sospende il flusso cognitivo e lo pone in attesa del suo successivo sviluppo.⁵ La condizione in cui si trova l’individuo oggi è quella dell’attesa, del silenzio, dell’impossibilità di prevedere quale sarà il domani.

    L’allarme da coronavirus ha interrotto il dispiegarsi ininterrotto delle attività fisiche e materiali, quelle che parevano essere la vera superpotenza della contemporaneità e l’alibi per non pensare, per non lasciar cullare il pensiero nel mistero del silenzio. Le nostre città erano costantemente immerse nei trambusti del vivere sociale ed erano oramai incapaci di vivere il pensiero, quello stato di attesa e di sospensione che permette di cogliere il suono successivo e il preludio verso un nuovo cominciamento.

    Le metropoli apparivano come un formicaio in cui gli esseri umani compivano continui movimenti con il solo scopo di riempire ogni vuoto, ogni silenzio e ogni spazio di riflessione. Hopper ha stimolato l’osservatore a staccare la spina cerebrale dal tumulto delle immagini compulsive della contemporaneità favorendo un vero e proprio shock percettivo: quello del silenzio, di una attesa tra un prima e un dopo.

    Il cervello della contemporaneità non è educato ad essere sospeso; è incapace di interrompere il divertissement orgiastico del continuo movimento che assorbe il pensiero, alienandolo verso la giostra delle fantasmagorie avvinte dal turbolento avvicendarsi delle immagini vertiginose dell’esistenza.

    Il susseguirsi continuo e martellante delle pantomimes lumineuses⁷ della vita quotidiana dell’uomo animale sociale ha sempre rappresentato una rassicurazione cognitiva. Poter scaricare sugli oggetti (gli object della filosofia)⁸ il proprio io è stata una trovata neurale per deresponsabilizzare il singolo e la collettività dalle proprie scelte.

    Edward Hopper, al pari della necessaria reclusione domestica e del distanziamento sociale in epoca di coronavirus, mette in crisi proprio il modello delle pantomimes lumineuses neurali, costringendo l’osservatore a guardare il teatro del mondo attraverso la lente della solitudine, del silenzio e della sospensione cognitiva.

    Chiunque si attardi a godere di un’opera di Hopper oppure trascorra una serata a scrutare la città deserta, nascosta dietro le finestre illuminate della sera, coglie l’assoluto dell’indefinito.

    La pausa impone al cervello la costruzione del dopo. Le connessioni neurali non sono più affaccendate a farsi accompagnare dal flusso degli object. Questi sono fermi, congelati. L’unico movimento che si può cogliere è quello cerebrale, nella sua angosciante impossibilità di agganciare un fare che ne interrompa lo stato d’incertezza. Tutta la realtà è divenuta come una tela di arte astratta.

    Dinnanzi alla dimensione astratta il cervello ha necessità di costruire dei ponti di sicurezza, dei tasselli di realtà per comporre un’immagine affidabile e in grado di fungere da struttura a cui agganciare la cognizione. Si tratta di un lavorìo complesso per i percorsi neurali ma diviene decisiva la necessità di trovare soluzioni al silenzio e all’ambiguità dell’immagine. Diversamente, l’arte figurativa permette al cervello di adagiarsi sull’object già conosciuto e rassicurante⁹: una forma espressiva enormemente più rassicurante e accolta con favore da parte del sistema cognitivo.

    Hopper, pur non essendo un artista astratto, al pari dello scrittore Marcel Proust,¹⁰ lancia una sfida al nostro cervello: quella del silenzio. Un silenzio che produce rilanci infiniti nella cognizione, che stimola l’io neurale verso orizzonti tanto incommensurabili quanto spaventosi. Lo scrittore francese e il pittore americano sono stati capaci di descrivere realtà semplici, oggettivamente riscontrabili nella banalità del quotidiano, ma riuscendo a trascinare il cervello del lettore e dell’osservatore dal più semplice realismo al più profondo soggettivismo.

    La cognizione umana è immersa in un continuo gioco di specchi tra l’oggetto fenomenico e le tortuosità del pensiero personale. Questi labirinti mentali svuotano l’oggetto della sua natura originaria per traghettarlo in una realtà totalmente altra rispetto a quella in cui l’object è chiamato a vivere e operare: è il trionfo del mentale, del puro cognitivo, definitivamente staccato dal mondo delle cose, oramai rimaste confinate ai primi stadi del viaggio della conoscenza.

    Il Covid-19 ha costretto l’individuo ad abitare poeticamente il mondo¹¹ vivendo l’infinito sconosciuto del suo assoluto, quello deprivato degli object che sanno offrire un supporto decisivo per non cascare nell’indefinito soggettivo e profondo che vive tra una nota e l’altra.

    A seguito della reclusione forzata l’individuo ha perso la collocazione tradizionale in cui viveva le sue giornate: è finito il saltellamento tra una nota e l’altra senza avvedersi delle pause; si è interrotta la rincorsa alle lancette dell’orologio tra le strade congestionate; è crollata l’affannoso affollamento che non può accettare gli spazi vuoti.

    Il coronavirus ha sradicato la vita cognitiva dagli oggetti che costituivano il fulcro e l’alibi cerebrale delle giornate. Il coronavirus ha fatto saltare in aria la mercificazione delle giornate delle monadi capitalistiche, tutte proiettate a produrre oggetti per la giostra del feticismo.

    Dai tempi della Grecia classica l’essere umano è cresciuto mettendo al centro del vivere la socialità. In poco più di un mese di lockdown questo edificio antropologico, etico e cognitivo sembra essere crollato, quasi imploso nella sua incapacità di rispondere alle esigenze del nuovo. Come narrato nel saggio di Thomas Kuhn¹² sulla dinamica delle rivoluzioni scientifiche, il vecchio paradigma cerca di assorbire il nuovo pur di non capitolare. La via è quella di mettere in campo ogni possibile sforzo per dimostrare che il nuovo paradigma non può sostituire il vecchio oppure che le presunte novità possono essere assorbite dalla tradizione, già adeguata a cogliere ogni possibile sfida. È quanto accade alla giustizia in un’epoca in cui il mondo guarda all’intelligenza artificiale come supporto del fare umano e invece lo jusdicere vuole strenuamente rimanere umano troppo umano.¹³

    Il coronavirus non è esclusivamente una pandemia che investe il mondo nel 2020. Si tratta dell’avvento di un nuovo modello antropologico di essere umano. Per millenni l’uomo è stato un animale sociale e la sua prerogativa principale è stata quella di creare innovazione per potenziare il suo fisico e la sua capacità di movimento. L’attualità rivela l’esistenza di una nuova forma di essere umano, l’uomo animale virtuale. Negli ultimi decenni questa era una verità nascosta, che tramava nel silenzio. Oggi è una verità rivelata.¹⁴ Il mondo di Hopper è divenuto il mondo dell’attualità e non rappresenta più una fantasmagoria. Il mondo dell’uomo animale virtuale si trova ad azzardare i primi passi sullo scenario della vita. Come la ruota ha rappresentato la prima invenzione per consentire all’uomo animale sociale di trasportare la sua fisicità da un luogo a un altro, così la rete rappresenta la prima forma di novità tecnica dell’umo animale virtuale.

    L’uomo animale sociale è stato oggetto di critiche millenarie. La letteratura, la saggistica, la giurisprudenza e l’arte sono i portavoce del tormento dell’uomo animale sociale nei propri stessi confronti. Nessuno è in grado di conoscere quale sia il destino dell’uomo animale virtuale. Secondo taluni questa nuova forma di essere umano non potrebbe neppure essere più chiamata uomo quanto piuttosto un’ibridazione uomo-macchina, una sorta di marionetta gestita da algoritmi in mano a pochi burattinai onnipotenti. ¹⁵

    Il nuovo paradigma dell’uomo animale virtuale non è però piombato sull’umanità come un meteorite dal cielo e non è neppure il precipitato della pandemia da Covid-19.

    Si è trattato di un salto antropologico preparato per decenni proprio da parte del vecchio uomo

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