Il Virus nella Mente
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Book preview
Il Virus nella Mente - Antonello Bellomo
Antonello Bellomo
IL VIRUS NELLA MENTE
Un'analisi dei comportamenti reiterati dalla popolazione nelle grandi epidemie della storia
ISBN: 9788884595997
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Colophon
Frontespizio
Presentazione
Introduzione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Conclusioni
Bibliografia
Ringraziamenti
Colophon
ISBN 978-88-8459-599-7
WIP Edizioni S.r.l.
Via Capaldi, 37/A – 70125 Bari
tel. 080.5576003
www.wipedizioni.it – info@wipedizioni.it
In copertina:
Pieter Bruegel il Vecchio,
Trionfo della Morte ( The Triumph of Death ), 1562
Olio su tavola, 117×162 cm.
Museo del Prado di Madrid.
È vietata la riproduzione, anche parziale,
con qualsiasi mezzo effettuata,
senza l’autorizzazione dell’Autore e dell’Editore.
Frontespizio
Antonello Bellomo
IL VIRUS NELLA MENTE
Un’analisi dei comportamenti reiterati dalle popolazioni
nelle grandi epidemie della storia
WIP Edizioni
Presentazione
Come sarà il dopo pandemia? Come saranno i nostri rapporti lavorativi e sociali, le nostre relazioni amicali; i nostri incontri sentimentali? E soprattutto cosa abbiamo appreso da questa esperienza traumatica, oltre la condivisione e la solidarietà con chi ci è più prossimo? Saremo davvero diversi o quando tutto tornerà com’era si riproporranno gli stessi comportamenti come se niente fosse accaduto?
Se una cosa è certa, è che abbiamo tutti capito di non essere immortali; di non aver risolto, una volta per tutte, l’eterna sfida della morte e della vita che, testarda, vuole sempre vincere la battaglia del momento con ciò che la mette in crisi, svelandone la fragilità. Abbiamo compreso che vivere è davvero un miracolo, e che a morire basta molto poco. Che non vale la pena sfidare la morte, perché anzi quella è sempre in agguato, e ci attende dietro l’angolo, proprio quando siamo più convinti di non doverla incontrare. Abbiamo capito che le sfide della medicina non sono state vinte una volta per tutte. Che i vaccini sono importanti, come lo è la ricerca scientifica e medica. E che queste attività hanno valore e dignità che devono essere apprezzate e stimate, perché conferiscono pregio e virtù alla vita umana stessa. Abbiamo compreso che non si può andare avanti da soli. Che ogni conquista umana implica impegno, sacrificio, condivisione e dedizione, da parte di tutti, in modo solidale.
La Storia della Medicina ci illustra, come l’autore di questo libro, il professor Antonello Bellomo, ha fatto mirabilmente nelle pagine che seguono, che la guerra per la vita, contro i virus, è vecchia quanto l’uomo, e che, stando agli ultimi eventi, non è mai stata vinta. Perché i virus sono strani organismi viventi, che si adattano e provano a mutare di continuo, facendo temutissimi salti di specie, che ci rendono più vulnerabili anche per via dei nostri comportamenti, poco rispettosi della natura e dell’ambiente.
E dunque, se è vero che bisogna rispettare il sistema ecologico, con i suoi imprescindibili e delicati equilibri, è anche altrettanto vero che l’ambiente naturale costituisce il nostro habitat, ed è la casa in cui viviamo. Se sappiamo, pertanto, rispettare l’ambiente, rispettiamo anche la vita umana. Altrimenti, deturpandolo e distruggendolo, finiremo per distruggere anche noi. E dopo il virus arriva la paura, lo stigma e il pregiudizio, che allontanano l’uomo dall’uomo, condizionando rapporti e relazioni, non più improntati alla ricerca dell’altro, quanto piuttosto segnati dalla paura dell’incontro, e dall’isolamento reciproco, nell’intento di proteggere e salvaguardare la propria stessa vita.
L’altro non è più una risorsa, ma diventa una minaccia e un rischio da evitare. E per proteggersi bisogna innalzare muri, steccati, divisioni, che alimentano la paura di qualcosa di invisibile, di indefinito e di non individuabile che, nella sua mancata identificabilità, genera angoscia e sviluppa in misura geometrica la potenza della sua carica psicotica. Così, accanto a una carrellata delle più grandi epidemie della storia umana, che vanno dalla peste del Trecento, alla Spagnola, al virus dell’HIV, fino alle più recenti epidemie di Ebola, e al Covid-19, Antonello Bellomo, ha saputo rappresentare, nel suo libro, gli effetti psicosociali delle malattie che hanno afflitto l’umanità, e che hanno fatto scrivere molte pagine oscure alla ricerca medica e a quella storico scientifica, perché hanno, inevitabilmente, mietuto un numero assai elevato di vittime, a livello individuale e collettivo, se si pensa che le più grandi crisi economiche, o i conflitti bellici, sono stati sempre preceduti o seguiti anche da epidemie molto gravi, per la loro virulenza, e la velocità di espansione e diffusione della malattia.
Difatti, per parlare di pandemia è necessario che la diffusione virale sia estesa su tutto il pianeta, e che nessuna parte della terra possa considerarsi immune da essa. Ciononostante, gli effetti comportamentali sulle persone, risultano essere i più disparati: c’è chi nega i fatti, sostenendo che non esiste alcuna pandemia; chi si barrica in casa, e fa fatica a uscire anche dopo, perché continua a vivere il fuori
come una minaccia della sua integrità fisica e dei suoi propri confini.
Ovviamente bisogna cercare e praticare la medietà, senza eccedere nell’un senso come nell’altro opposto. A ogni modo, come accade sempre nella storia, e dunque anche nella storia della medicina, ogni epidemia ha qualcosa da dire per tutte le epidemie che hanno afflitto l’umanità.
I caratteri comuni li possiamo estrapolare da questo bel lavoro di sintesi del professor Bellomo, che ha saputo abilmente riunire le sue competenze medico psichiatriche con gli interessi per la storia della medicina, facendole convergere nello spunto assai interessante che ci propone la sua ricerca.
Essi sono le crisi economiche e politiche, e la generale instabilità monetaria, o le carestie, e l’assenza di risorse; la mancanza di misure profilattiche o – nella storia più antica – di vere e proprie norme igieniche; la conseguente diffusione del virus; la malattia e la morte come misura del limite ontologico con cui l’umanità si deve inevitabilmente confrontare; le misure precauzionali di isolamento individuale e collettivo, con l’uso dei dispositivi di sicurezza e di distanziamento sociale e fisico dagli altri; l’allontanamento e lo stigma che da sempre accompagnano la malattia; il pregiudizio che colpisce chi è vittima della diffusione e del contagio; la costruzione del paradigma dell’altro come estraneo, straniero, minaccia, rischio, per l’altrui integrità.
Tuttavia, se pensiamo che solo circa un anno fa, eravamo tutti a ragionare e disquisire di immigrati e politiche migratorie, fa specie pensare che la categoria dei nuovi poveri, e dei nuovi emarginati, con il carico di disoccupazione, disperazione, depressione e smarrimento che ne conseguono, potrebbero oggi più che mai, toccarci da vicino. Perché l’umanità è fragile allo stesso modo a ogni latitudine e longitudine della terra, e i virus non fanno differenze, e colpiscono soprattutto i paesi più globalizzati e ricchi, e le regioni all’avanguardia.
Ci resta da domandarci se, per continuare la guerra al virus, ci attende, sic stantibus rebus , un futuro dietro lo schermo del pc, o se potremo presto tornare ad abbracciarci, decretando, ancora una volta, la vittoria dell’uomo e della ricerca scientifica e medica, e della vita sulla morte. E credo fermamente che valga la pena di insistere a sperare e lottare perché debba essere proprio così.
Foggia, 3 Giugno 2020
Antonietta Pistone
Docente di Storia e Filosofia
Introduzione
La parola Virus deriva dal latino e vuole indicare una sostanza simile a un veleno o una linfa dannosa. Il primo virus fu scoperto nel 1892 dal biologo russo Dmitrij Ivanovskij che lo identificò come agente causale di una malattia delle piante di tabacco. Egli aveva descritto questo agente patogeno come invisibile e più piccolo di tutti i batteri conosciuti fino ad allora.
Agli inizi del secolo XX, dei virus non si sapeva nulla; Pasteur e Koch ‒ e anche i medici e gli scienziati che li seguirono ‒ diffusero a quell’epoca la teoria dei germi che sostituì progressivamente il concetto galenico di malattia.
La teoria dei germi ebbe profonde implicazioni non solo in ambito scientifico ma anche sugli stili di vita; Ippocrate precedentemente aveva elaborato teorie che, in questo senso, erano molto avveniristiche: egli era convinto che tutte le persone fossero responsabili delle loro malattie se non avessero adottato uno stile di vita che favorisse la buona salute; al contrario non riteneva responsabili coloro che erano affetti da malattie ereditarie, ritenendo, tuttavia, che anche questi avessero la responsabilità delle loro scelte; diceva a questo proposito che il formaggio non disturba tutti allo stesso modo, ma vi sono alcuni ai quali giova e che mangiandone troppo non solo non ne soffrono ma ricavano molta energia; altri invece a malapena lo digeriscono.
Ippocrate aveva intuito in epoca lontanissima il concetto di interazione tra geni e ambiente che sarebbe stato sviluppato molti secoli dopo.
Fino al Medioevo quasi tutte le malattie erano attribuite alle divinità; allo stesso modo fino al XIX secolo molte epidemie erano ancora considerate segni divini. La teoria dei germi costrinse a prendere in considerazione la possibilità che molte malattie fossero in realtà controllabili, perché si iniziò a ipotizzare che fossero causate da alcuni agenti patogeni, spesso invisibili; questa idea peraltro si fece largo in un’epoca in cui si erano diffuse largamente le proposte eugenetiche che fecero seguito alla teoria della evoluzione sviluppata da Darwin nel suo testo più famoso L’origine della specie (1859). Le derivazioni più pericolose della teoria sulla selezione naturale , furono alcune ipotesi che prospettarono l’idea che l’umanità comprendesse diverse razze in competizione per la sopravvivenza. Quelle più forti sopravvivevano, le più deboli erano destinate alla povertà e alle malattie.
Questi principi divennero, a quell’epoca, facilmente complementari alla teoria dei germi; per cui agli inizi del XX secolo chi si ammalava di tifo, colera e altre malattie a prognosi infausta, poteva facilmente essere additato come persona debole
, ‒ anche a livello culturale e caratteriale ‒ ed effettuare un percorso terapeutico diverso dagli altri. Ricordiamo, a proposito, che a fine Ottocento, l’eugenetica era alla base delle politiche di immigrazione e di sanità pubblica in tutto il mondo; gli antropologi tedeschi tendevano a classificare le razze; gli