La cardatrice: magnifiche storie che ti lasceranno il segno
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… l’oggetto ne conserva memoria e ne parla con dovizia di particolari per dipanare il grumo dei ricordi di chi ne fu vittima.
Negli altri racconti è l’autrice stessa che svolge il ruolo di cardatrice, districando con gli aghi della narrazione frammenti di vite vissute non solo da esseri umani.
In ogni situazione il lettore si troverà immerso nelle atmosfere dei luoghi in cui sono ambientate le diverse vicende: da un’alba tragica a New York ai cieli limpidi della Carnia, dalle brume della laguna di Grado al sole caldo di una bella città del sud.
L’autrice esplora i sentimenti dei protagonisti con occhio attento e mano leggera, riuscendo a far immergere con continuità il lettore in situazioni apparentemente distanti fra loro.
Il genere narrativo del “racconto”, per molto tempo bistrattato, sta diventando oggi un genere rivalutato dai lettori attenti, i quali si rendono conto della sua enorme potenza narrativa.
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La cardatrice - Maria Renata Sasso
132
ATTACCO IN LAGUNA
Il cuore batte meno forte, ora.
Ho guadagnato quota e distendo le ali in tutta la loro ampiezza. Il cielo della laguna s’apre davanti a me. Ho bisogno d’aria, ho bisogno del silenzio per calmare l’ansia provata fino a poco fa. Tutto sembra tornato nell’ordine naturale delle cose, infine.
Guardo in basso.
Laggiù la laguna mostra il suo abito autunnale: isolotti e barene disegnano ghirigori nell’acqua salata, cespugli e arbusti agitano lievi le fronde, canne fitte e sottili custodiscono, materne, i nidi dei miei compagni di vita, altri aironi garzette piovanelli. Verso Belvedere i pini marittimi segnano la strada che conduce al campeggio. L’aria è tersa grazie allo sporadico via vai dei veicoli umani che percorrono il lungo nastro grigio che taglia in due la laguna. Le montagne, a settentrione, si specchiano simmetriche sul piano d’acqua immobile e lucido.
A Sud l’isola di Grado, che più isola non è. Alti condomìni sfidano l’eleganza del campanile dell’antica basilica di sant’Eufemia. Più oltre, il mare ondeggia piano in bassa marea e lascia ampi lembi di sabbia umida e solitaria: il tempo novembrino ha spazzato via i bagnanti in avida ricerca di vongole e cappelunghe.
* * *
Solo pochi istanti fa non avrei avuto tempo d’ammirare compiaciuto la vista che m’attardo a descrivere. La violenza imprevista di un uomo e la successiva paura incontrollata avevano annullato il tempo della contemplazione a me tanto caro.
Conosco l’aggressività. Non è estranea ai comportamenti della mia specie. Padroneggio la mia irruenza, sfido quella dei miei simili, so come attaccare con efficacia. A volte non sono tenero neppure con i piccoli volatili, aironi o no, che spesso m’infastidiscono invadendo il mio territorio. Divento aggressivo soprattutto dopo aver abbandonato la garzaia e il nido che ho contribuito a costruire, lì dove nascono le mie nidiate. Quest’anno ho lasciato la femmina con i piccoli già a inizio primavera per starmene da solo, in pace, lontano dai loro schiamazzi.
Mi procuro il cibo con metodo antico. Adoro i pesci da ingurgitare in un boccone, le viscide rane salterine e i topolini, che trafiggo senza difficoltà con il mio lungo becco. M’hanno insegnato a diffidare dei serpenti, ma trangugio volentieri bisce d’acqua sciocche e imprudenti.
L’ambiente in cui vivo m’è familiare fin dalla nascita, popolato da esseri mimetici come me, volatili e non, amichevoli e non, o addirittura a me del tutto indifferenti, come farfalle e altri insetti. Mi piace l’umidità della laguna, la protezione che offre, il cibo che procura con l’andirivieni delle maree, il silenzio ovattato del mattino, i colori caldi del tramonto. A volte soffiano venti burrascosi, schiume salmastre raggiungono i canneti in cui mi riparo, più raramente fiocchi di neve imbiancano il paesaggio.
Fra isolotti e barene più lontane dalla costa, compare di tanto in tanto anche l’uomo.
I sempre più rari pescatori gradesi che remano lenti e regolari, in piedi sulle batele [1] , lungo i canali e i bracci navigabili della laguna. Pescano orate, branzini, cefali, poi raggiungono i loro casoni [2] dal tetto di paglia. Lì riparano le reti, preparano il boreto [3] e riposano, protetti dal vento che viene da est.
A volte si vedono ragazzi muscolosi vogare con forza. A remi appaiati spingono ritmicamente canoe nei canali più rettilinei. Allenano il corpo alla gara o si allontanano dagli affanni della gioventù.
Al mutar delle stagioni si notano studiosi che arrivano ai nostri siti armati di retini. Sono gli umani più silenziosi. Si muovono con rispetto, s’appostano dietro i cespugli e ci osservano da lontano con strani aggeggi. Somigliano a noi aironi quando piegano le gambe nell’acqua per non farsi vedere!
Noi però li scorgiamo ugualmente, anzi, siamo abituati alla loro presenza, al loro modo di guardarci, di osservare quel che facciamo. Sono gentili perfino: lasciano cibo nella stagione fredda, quando è difficile per noi trovare quel che serve alla sopravvivenza. Li conosciamo discreti, attenti a non disturbarci più di tanto.
* * *
Stamani però no!
Non un pescatore non un vogatore né tantomeno un ornitologo era l’uomo giunto a solcare le nostre acque salmastre. In abito verdastro e stivaloni, è arrivato guardingo su una barca di legno a base piatta, ma non era una batela. Portava un retino largo e robusto, ma non era un osservatore. Ed era forte, molto più forte dei giovanotti che scivolano sul canale, questo l’ho scoperto più tardi a mie spese.
Sul far del mattino ero uscito dal canneto, stimolato dalla fame. Camminavo cauto, sollevando lentamente le zampe dal basso acquitrino in cui andavo a caccia. Il collo allungato, lo sguardo vigile a osservare la laguna in cerca di guizzi e lievi onde leggere. Come sempre, cacciando le mie prede, controllavo che tutto fosse a posto attorno a me. Quest’atavico gesto di prudenza è stato la mia salvezza.
L’uomo s’era avvicinato piano al mio rifugio solitario.
M’aveva localizzato e mi teneva d’occhio mentre s’avvicinava. Procedeva in modo impercettibile, senza quasi sollevare il remo dalla superficie, senza provocare lo sciabordio dell’acqua. Poi ha iniziato a modulare debolmente il nostro stridulo grido, per indurmi a credere al richiamo di una femmina. Nonostante il segnale fosse chiaramente fuori stagione, ho scioccamente mosso qualche passo verso quel richiamo. Una volta giunto a tiro, l’uomo ha atteso che girassi il capo per accertarmi della direzione del verso tentatore, ha calcolato la distanza e la potenzialità del suo retino, poi ha sferrato l’attacco.
Un attimo prima ho percepito la sua presenza minacciosa e girato il capo quel tanto da