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Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide
Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide
Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide
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Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide

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About this ebook

768 d.C. - La giovane Irene, proveniente da una nobile famiglia Greca, partecipa alla fastosissima "sfilata della sposa",
indetta dal basileus Costantino V per trovare la futura sposa dell'erede al trono d'Oriente, suo figlio Leone.
Contro ogni pronostico, riuscirà a trionfare su tutte le concorrenti conquistando il futuro marito, che la
introdurrà a corte cambiando la sua vita dopo anni di vessazioni da parte dei suoi stessi familiari.
Ma nè Leone, nè lei possono immaginare cosa accadrà in seguito. Sempre più a suo agio a palazzo e affascinata dal potere,
Irene inizierà a nutrire ambizioni ben più grandi del suo ruolo di consorte del basileus.
Soggiacendo alla sua smania, darà il via a una scalata che rimarrà nella storia. E che la consegnerà ai posteri
come la prima imperatrice dei Romei, sola e incontrastata al potere.
Alle spese dei suoi nemici, ma anche dei suoi cari.

 
LanguageItaliano
Release dateSep 2, 2020
ISBN9788835869757
Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide

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    Irene d'Atene. L'imperatrice Mantide - Patrizio Corda

    Corda

    IRENE

    D‘ATENE

    L’IMPERATRICE MANTIDE

    Patrizio Corda

    A mia sorella

    I

    La dama tessitrice

    Atene, Settembre 767 d.C.

    Le sue dita affusolate continuarono quella danza che ormai nasceva e moriva da sé, quasi svincolata dalla sua volontà.

    D’altronde, a Irene non rimaneva altro da fare per riempire le sue giornate. Era quello l’unico sollievo dai pensieri, dal duro confronto con una vita che pareva aver intrapreso un viatico ben diverso dal prestabilito.

    A testimoniarlo era appunto quel suo tessere, un’attività che sarebbe dovuta appartenere alla servitù. Eppure era stata lei stessa ad abbracciarla, ritenendola un’autentica grazia.

    Le permetteva di non ricordare.

    Pur essendo di nobili origini, nessuno soleva trattarla con il dovuto rispetto. Specialmente i suoi familiari.

    Era un membro della nobile famiglia dei Saranthapecos, tra le più stimate e riverite di tutta Atene. Non di rado vi erano state solide e durature relazioni tra suoi parenti e i regnanti di Costantinopoli.

    Ne era prova suo zio Costantino, che l’aveva presa con sé dopo che era rimasta orfana di padre e di madre. Impossibile, per Irene, ricordare le oscure circostanze che l’avevano lasciata sola al mondo. Sì, sola.

    Perché quella era la verità.

    Per quanto la gente comune l’avesse sempre apprezzata, lodando la sua bellezza e il suo fisico slanciato e usando garbo verso di lei, non era mai riuscita a ottenere lo stesso nel pur fastoso palazzo in cui abitava. Al pari dello zio, tra gli strateghi più noti di tutta la Grecia, tutte le persone attorno a lei si erano ben guardate dal darle il minimo affetto.

    Contribuendo a farla crescere nella tristezza e nel disprezzo di sé e della sua condizione. Talvolta pensava anche che fosse colpa sua, se nessuno le aveva mai teso una mano.

    Anche se non le mancavano il cibo e un tetto sulla testa, Irene si sentiva strappata a quanto meritava e quindi caduta in disgrazia.

    A sedici anni, si sentiva già condannata senza alcuna possibilità di salvezza.

    Più di ogni cosa, però, la addolorava l’astio di suo zio.

    Questi si era più volte comportato con lei come se fosse stato costretto a prendersene cura, facendola sentire un peso.

    Una percezione che Irene vide confermata per l’ennesima volta, quando Costantino irruppe nella sua camera disadorna.

    Questi si guardò attorno quasi indignato per la penombra in cui la nipote passava le giornate, senza premurarsi di creare un’atmosfera un poco accogliente. Aggrottò la fronte com’era solito fare, creando una cascata di rughe orizzontali che unirono le sue due folte sopracciglia. Quando faceva così, i suoi occhi scuri e piccoli sembravano poter pungere e trafiggere.

    Al pari dei suoi commenti salaci.

    «Nobile patrizio» disse lei in tutta fretta con voce delicata, alzandosi per poi abbozzare un inchino.

    Ma Costantino la indicò.

    «I tuoi capelli. In disordine, come sempre ».

    Mortificata, Irene avvampò e provvide a risistemarli nella lunga coda bionda che tutti pretendevano portasse. Anche quel desiderio di limitare il più possibile il suo fascino era un esempio dell’unanime avversione verso di lei.

    «Come posso aiutarti?» disse allora, cercando di riscattarsi per quell’errore.

    «In nessun modo» rispose sprezzante Costantino, facendola sentire una nullità. «Sono qui solo per darti una notizia».

    «E quale sarebbe?» chiese Irene spalancando i grandi occhi color nocciola.

    «Che a breve te ne andrai da qui».

    Il suo cuore si fermò per un attimo. La sua mente, pur abituata a creare scenari drammatici, si scatenò ancora di più.

    Si immaginò abbandonata per strada, o peggio ancora misconosciuta e arrestata. Il mondo esterno, che da sempre le era stato precluso, assunse contorni terrificanti.

    Come avrebbe fatto a procurarsi da vivere?

    Sarebbe forse finita come tante altre sfortunate, costrette a vendere il proprio corpo per campare?

    Trovò comunque la forza di chiedere spiegazioni.

    «E…e dove andrò?»

    «Alla corte d’Oriente. Anche se non direttamente a Costantinopoli. Un atto dovuto, dato il legame che ci lega alla famiglia imperiale. Chissà che almeno in questo frangente tu non riesca a farti valere » rispose Costantino, ancora deciso a umiliarla.

    Era merce di scambio. Nulla più. Ma era pur sempre meglio di diventare una senzatetto.

    Dalla strada alla corte del basileus . Non sarebbero potuti esistere due luoghi più distanti tra loro.

    «Non hai molto tempo. Qualche settimana, non di più. Tieniti pronta» aggiunse lo zio, chiudendosi dietro la porta.

    Irene rimase immobile, in mezzo alla stanza ancora più cupa.

    Pur conscia dell’ennesimo attacco inferto a suo danno da chi avrebbe dovuta crescerla con amore, non se ne curò.

    Si chiese piuttosto come si sentisse.

    Era scossa, disperata? O forse entusiasta?

    Un cambiamento del genere avrebbe sconvolto chiunque, figurarsi una persona che era stata costretta per anni a servire le proprie parenti subendo le angherie di una famiglia che invece avrebbe dovuto stringersi attorno a lei.

    Se c’era una cosa buona, era appunto il fatto che non avrebbe più visto quei volti per un po’. Forse, a Oriente avrebbe ricevuto il rispetto che meritava. Non tanto come nobile, ma come essere umano. Le sarebbe bastato quello.

    Una cosa era certa. Se mai ne avesse avuto l’occasione, avrebbe tanto voluto smentire chiunque sul suo conto.

    Specialmente suo zio.

    Non sarebbe stato fantastico, forse, avere la rivincita su chi aveva rinnegato il loro legame di sangue?

    II

    Memorie tra le onde

    Mar di Marmara, Dicembre 767 d.C.

    Il rollio costante di quell’imbarcazione le suggerì che forse avrebbe fatto meglio a non mangiare. Allora, Irene si adagiò su quel giaciglio un po’ spartano ma comunque comodo, affondando la testa nel cuscino. Se cercava di ricordare quella giornata, così come le precedenti, le sembrava di avere vissuto tutto senza concedersi una sola pausa. I preparativi erano stati lunghi e frenetici, eppure aveva ben poco con sé. Suo zio, forse vergognandosi di mandarla sul Bosforo in quelle condizioni, aveva deciso di farle realizzare diversi vestiti su misura, dandole in dote persino una quantità di cosmetici e gioielli.

    Non di certo per affetto nei suoi confronti, ma solo per dare un’immagine di lei che parlasse anche di sé.

    Tutta una questione di reputazione.

    Sentendosi sempre più stanca, Irene pensò a quel concetto.

    Lei non sapeva neppure cosa fosse, la reputazione.

    Sin da piccola era stata costretta a trattenersi, a causa dei ripetuti rimproveri. Spesso si era guardata allo specchio, vedendosi orribile e oltretutto stupida a prescindere da cosa dicesse.

    Non si era costruita un’idea di sé. Troppo soverchianti erano stati i giudizi altrui, lapidari e inequivocabili, perché potesse anche solo assecondare quello stimolo. Contava solo l’opinione degli altri.

    Ma era sempre stata così?

    Come aveva vissuto la sua infanzia?

    Sapeva benissimo che il punto di svolta nella sua esistenza era stata la morte dei genitori. Nel momento in cui era andata a vivere da Costantino, tutto era cambiato.

    La realtà si era fusa agli incubi, diventando cupa e monotona.

    A volte, pensando a quanto spregevole fosse lo zio, aveva creduto che fosse stato proprio questi a renderla orfana.

    Casualmente, infatti, poco dopo egli aveva ottenuto il titolo di stratega accrescendo smodatamente il suo prestigio e diventando la figura di maggior spicco di tutta la famiglia.

    Poteva essere.

    Ma ormai non aveva più senso aggrapparsi a rimpianti, brutti ricordi e congetture.

    La Grecia era già lontana, scomparsa definitivamente dietro l’orizzonte. Tuttavia, per quanto questa fosse stata il palcoscenico del suo personalissimo dramma, Irene non avrebbe mai potuto smettere di amarla. Era la sua terra natia, un luogo meraviglioso e dalla storia ricca e gloriosa come nessun altro.

    Amava i Greci.

    Solo loro erano stati capaci di farla sentire viva, anche nelle peggiori circostanze.

    Ricordava ancora quando, in una delle poche occasioni pubbliche alle quali era stata ammessa, le era stato concesso di sfilare per la città assieme al resto dei familiari. Questi l’avevano trattata come una figura di contorno, un partecipante al corteo non più importante della marea di schiavi che li attorniava.

    Ma proprio l’amore e gli occhi meravigliati della gente erano riusciti a strapparla alla frustrazione di un’umiliazione pubblica.

    Si era sentita applaudire, ricoperta da complimenti che avevano palesemente indispettito le cugine.

    A quanto pareva, era davvero bella.

    Anche se per anni si era sentita dare della sciatta, come se non si fosse mai presa cura di sé.

    Ma soprattutto, si era sentita chiamare per nome.

    Tutti sapevano chi fosse, anche se non l’avevano mai vista.

    Quella era una delle poche memorie piacevoli che poteva richiamare a sé prima di dormire.

    Sarebbe successo lo stesso, una volta arrivata a destinazione?

    Come l’avrebbe accolta la gente?

    Avrebbe udito nuovamente il suo nome echeggiare intorno a lei?

    Mancava poco, e presto l’avrebbe scoperto.

    La nave ondeggiò paurosamente, ma ormai Irene era prossima a sprofondare in un sonno che si preannunciava più ristoratore del previsto. Sorrise appena, sparendo sotto le lenzuola.

    Aveva delle buone sensazioni.

    Qualcosa le diceva che forse, là dov’era diretta, le sarebbe stata offerta un’opportunità di riscatto.

    Stava solo a lei coglierla e trarne il massimo.

    Quella prospettiva le infuse nuove energie, ma pur tentata di riaprire gli occhi e fantasticare nel buio decise di assecondare la spossatezza del suo fisico.

    Rivolse a malapena, prima di assopirsi, una supplica al Signore perché quei flutti ai quali si era affidata si portassero via i ricordi drammatici che l’avevano tormentata sino ad allora.

    III

    Nobiltà rivelata

    Hiera, Febbraio 768 d.C.

    «Mia signora, ti prego. Lascia che sia io a tessere per te. Ti prometto che farò del mio meglio per rispettare le tue indicazioni».

    Irene guardò sbalordita la serva e i suoi occhi imploranti.

    Cedette l’incombenza alla giovane donna, che s’inchinò in segno di gratitudine e lasciò frettolosamente la stanza.

    Da quando era arrivata nel lussuoso palazzo immerso tra i pini che la famiglia imperiale le aveva messo a disposizione, ogni giorno era stato così. Una moltitudine di persone l’aveva circondata, con garbo e pazienza, offrendosi di aiutarla in qualsiasi cosa e non mancando mai di farla sentire al centro delle loro vite.

    Certo, non era ancora tempo per lei di fare il proprio ingresso al gran palazzo, ma si sentiva già come se abitasse lì.

    Era ancora poco chiaro quale dovesse essere il suo ruolo.

    Sapeva solo di essere stata inviata sul Bosforo in segno di fratellanza tra la sua nobile famiglia e il basileus , ma non aveva ricevuto alcuna istruzione se non quella di comportarsi con la dignità che era richiesta dal suo rango.

    E che prima le era stato fatto credere di non possedere.

    Fatto stava che finalmente si sentiva al proprio posto.

    Vestiva abiti sfarzosissimi, fatti con i migliori tessuti e tempestati di gemme. Gli ornamenti in filo d’oro si sposavano perfettamente con i suoi lunghi capelli biondi e il colorito roseo del volto.

    Non dormiva più in una minuscola stanza con appena una finestra, perennemente avvolta nell’ombra alla quale era stata relegata anche tra i suoi familiari.

    Né si doveva più prodigare nel servire chi avrebbe dovuto amarla come una sorella, dedicandosi ad attività umili e frustranti.

    Forse, non avrebbe mai più tessuto in vita sua.

    Si guardò attorno un po' frastornata, circondata da quegli arredamenti lussuosi che talvolta la intimidivano.

    Quel palazzo, che forse per la famiglia imperiale sarebbe stato modesto, era per lei gigantesco.

    Era sempre convinta di perdersi in quegli ampi corridoi, e di tanto in tanto veniva sorpresa ad aggirarsi per quello stabile così vasto.

    I servi la guardavano con sorpresa e ammirazione, non capendo quei suoi comportamenti così semplici ma al contempo rimanendo rapiti dalla sua eleganza. In fondo era sempre stata convinta di avere un certo fascino, con la sua sagoma slanciata ma anche sinuosa e i tratti del viso gentili ma seri.

    Nessuno, però, le aveva mai fatto un solo complimento.

    Adesso la sua autostima rifioriva, ogni qual volta scovava qualcuno dei suoi cortigiani ad osservarla di nascosto.

    E sempre più spesso si ritrovava a chiedersi se quella nobiltà che tutti le riconoscevano non fosse la sua reale condizione.

    Si mise a sedere sulla comoda poltrona imbottita che aveva adorato sin dalla prima volta.

    E adagiandovisi mentre prendeva un profondo respiro, si chiese se proprio in virtù di questo non avrebbe dovuto cambiare atteggiamento.

    Richiamando a sé proprio l’austerità imposta dal suo lignaggio, una dote che era rimasta sepolta sotto una montagna di vessazioni e soprusi nei lunghi anni spesi ad Atene.

    Doveva esserci un motivo se tutti attorno a lei ora la trattavano quasi come una regina.

    Era una sensazione meravigliosa, che la faceva sentire come se potesse fluttuare per aria senza sfiorare il suolo quando camminava. E non intendeva perderla per nessuna ragione.

    La sfiorò il dubbio che forse, se avesse mantenuto l’umiltà che dopotutto era parte di lei, presto o tardi tutti avrebbero cessato di portarle il rispetto dovuto.

    Un’eventualità che non poteva permettere.

    Non ora che finalmente aveva ottenuto ciò che le spettava, dopo una vita di umiliazioni e di ingiustizie.

    Per tutto quel tempo, a limitarla e farle credere di non essere niente erano stati proprio l’astio e l’invidia che erano circolati attorno a lei, tristemente proprio da parte delle persone alle quali aveva affidato la sua esistenza.

    Era stato sufficiente che loro scomparissero dalla sua vista per recuperare magicamente la fiducia in sé stessa.

    Suo zio Costantino, credendo di liberarsi definitivamente di lei, aveva finito per farle il più grande dei regali.

    Sentiva finalmente di essere nata per una ragione precisa.

    E questa ragione era essere trattata con il rispetto che meritava.

    Ora lo sapeva.

    E non avrebbe mai permesso a nessuno di riportarla a quel passato buio che finalmente s’era lasciata alle spalle.

    IV

    La sfilata della sposa

    Hiera, Maggio 768 d.C.

    Non aveva idea di chi fossero quegli anziani uomini, vestiti in modo appariscente con lunghe vesti multicolori, che avessero richiesto di conferire in sua presenza. Né si sentiva granché a suo agio ad occupare la grande sala delle udienze, con i suoi marmi policromi e il lungo tappeto purpureo che conduceva al seggio su cui sedeva. Sentiva il peso di una qualche responsabilità che però le sfuggiva. Era stata informata all’ultimo del loro arrivo, e temeva di non essere sufficientemente presentabile per l’occasione.

    Provò a ricordare qualche frase da utilizzare, così come le aveva sentite da suo zio le poche volte che gli era stata attorno.

    «Sarò lieta di ascoltarvi» disse provando a restare immobile. «Adesso, però… presentatevi ».

    Era stata forse troppo autoritaria?

    «Nobilissima Irene, siamo degli ambasciatori inviati alla tua presenza nientemeno che dal basileus , Costantino V».

    Mentre le mostravano i sigilli imperiali, Irene si sentì gelare.

    Cosa desiderava l’imperatore da lei?

    Temette subito che il suo soggiorno in quella dimora da sogno fosse già terminato. La paura di dover ritornare in Grecia, in quell’inferno che credeva di aver abbandonato, la fece impallidire.

    Dalla paura di dover decidere, passò a quella di non potersi opporre ancora una volta a un destino infausto.

    Ma scorse dei sorrisi accondiscendenti nei suoi ospiti.

    «Percepiamo dello stupore in te. Ma ti prego, non preoccuparti. Il basileus intende farti un grande onore».

    Quelle parole ebbero l’effetto di ridarle un po’ di serenità.

    Tamburellando con le dita sui robusti braccioli in legno intarsiato, Irene decise di voler sapere di più.

    «E posso sapere come potrei render felice il basileus

    «Molto semplice» rispose uno degli altri, prendendo parola senza abbandonare la posizione inginocchiata. «Partecipando alla cerimonia che ha deciso d’indire. Un evento ben noto qui in Oriente, al quale le più nobili e affascinanti dame di tutto il mondo ambiscono di partecipare».

    «La sfilata della sposa» aggiunse quello che aveva parlato poco prima.

    «In cosa consiste?» domandò Irene.

    Già sentiva su di sé gli sguardi di tutti i cortigiani e persino delle guardie. Evidentemente, era la sola a non sapere di che si trattasse. E la cosa la rese irrequieta.

    «Costantino ha indetto la sfilata della sposa per scegliere, tra le giovani donne che illumineranno la corte, la fortunata da dare in moglie a suo figlio. Leone è infatti l’erede al trono. E con la celebre sfilata il basileus si augura di trovare la giusta consorte per lui, così da dare lunga vita alla dinastia».

    A Irene quella parve innanzitutto una trovata politica, prima ancora che una grande occasione.

    Certo era che tutte le più belle giovani delle terre circostanti si sarebbero presentate nel loro massimo splendore, davanti alla prospettiva di diventare imperatrice.

    Dovette riconoscere che ciò attraeva anche lei.

    Ma c’era qualcosa a frenarla. Probabilmente, l’idea di tornare a far parte di una corte così ampia. Gli spettri del passato erano sempre lì, a ricordarle gli errori commessi e i dolori patiti.

    Anche se la corte di Costantinopoli non poteva essere come l’ambiente nel quale era cresciuta.

    Rimase in silenzio, ponderando su quella grandissima possibilità che le era stata offerta.

    Sapeva di essere di bell’aspetto, e probabilmente la distaccata austerità che aveva da poco assunto le aveva conferito un’aria ancora più fascinosa.

    Ma sarebbe stata capace di competere con tutte quelle principesse che avrebbero lottato per sposare il futuro reggente?

    In verità, avrebbe preferito conquistare il suo primo amore con la personalità e l’intelletto, doti che sapeva di possedere ma che nessuno aveva mai intravisto in lei.

    Proprio mentre considerava tutti quei fattori, si rese conto che delle persone erano apparse all’ingresso della sala. Si muovevano furtive, facendo attenzione a non essere scoperte.

    Non sarebbero mai dovute essere lì.

    Eppure non potevano fare a meno di sporgersi, lanciandole occhiate fugaci e che speravano attirassero la sua attenzione.

    Le riconobbe subito.

    Erano le sue serve, quelle donne così amorevoli e gentili che si erano prese cura di lei dal primo giorno e l’avevano fatta sentire amata per la prima volta. Vide i loro occhi umidi, e i cenni di assenso che facevano col capo. La stavano incoraggiando.

    Volevano che accettasse.

    Per sé, e forse anche per loro.

    Rimanere a riflettere non avrebbe fatto altro che toglierle altri momenti preziosi. Ne aveva persi fin troppi nella sua giovane vita, costretta a rimanere con i suoi pensieri in quelle lunghe notti passate in solitudine. Adesso non era più costretta a farlo.

    Poteva vivere, e farlo agendo senza intrattenersi più a dialogare con sé stessa. Ne aveva l’occasione, finalmente.

    «Quando…quando si terrà la sfilata?»

    «Tra pochi mesi, nobile Irene. Sarà nostra premura informarti col debito anticipo, cosicché il tuo trasferimento possa essere organizzato con tutti gli agi che ti spettano».

    Annuì.

    Poi sorrise, rendendosi conto di aver deciso.

    «Sta bene. Io… io accetto ».

    Che la sua nuova vita, fatta di emozioni mai provate ed esaltanti opportunità, avesse finalmente inizio.

    V

    Preludio al sogno

    Costantinopoli, 1 Novembre 768 d.C.

    Fosse stata ad ascoltare ciò che si mormorava per i lunghissimi corridoi del palazzo imperiale, Irene non si sarebbe neppure presentata al grande evento. Ma si era imposta, giorno dopo giorno, di isolarsi da qualsiasi diceria o previsione da parte dei cortigiani. Era conscia che assieme a lei avrebbero partecipato principesse e nobildonne tra le più avvenenti di tutto l’impero.

    Questa non era però una ragione per rinunciare a un’opportunità talmente grande.

    Di lì a poco, uno stuolo di serve avrebbe fatto irruzione nella sua stanza per aiutarla a prepararsi in vista della sfilata.

    Sarebbero passate ora prima che fosse vestita, truccata e acconciata come concordato. Quelli erano gli ultimi istanti che avrebbe avuto per sé.

    Si avvicinò allora all’ampio e alto specchio poco distante dal suo letto. Guardò incuriosita il proprio riflesso.

    Era alta e snella, con un’espressione forse troppo decisa per la sua giovanissima età. Non avrebbe di certo ammaliato la corte con quell’atteggiamento così austero e forse supponente.

    Allora si spogliò completamente, restando nuda.

    Cercò dentro di sé la femminilità che aveva sempre represso, o che forse non gli era mai stato concesso di esprimere.

    Sciogliendo i capelli, arrivò alla decisione che li avrebbe tenuti a quel modo. Anche se sarebbe potuto passare come un gesto sovversivo, l’urlo di un animo selvaggio determinato a non soggiacere all’etichetta che imponeva ordine assoluto nel modo di presentarsi.

    Lei, in fondo, non era certamente lì per compiacere tutta quella gente che a malapena conosceva.

    Il suo desiderio era un altro. Ed era ben lontano anche dalle ambizioni che probabilmente tutte le altre concorrenti nutrivano segretamente. A Irene del potere importava ben poco.

    Se per loro sposare Leone era una mossa politica, utile ad ottenere un’influenza prima inimmaginabile, ai suoi occhi quella sfilata aveva un significato assai più profondo..

    Non voleva che fossero le sue vesti o il suo aspetto a convincere il futuro imperatore. Bensì, i suoi occhi.

    Ad essi sarebbe spettato l’arduo compito di trasmettergli le sue intenzioni più pure, così come quella profonda tristezza che a lungo aveva nascosto al mondo intero.

    Si domandò che uomo fosse quel giovane che di lì a poco avrebbe incontrato. Non aveva avuto modo di raccogliere alcuna informazione su di lui. Le sue fattezze, al pari del suo carattere, gli erano sconosciuti.

    Ma neppure quello aveva importanza.

    Irene avrebbe voluto sapere dell’altro.

    Leone sarebbe stato degno di lei? Si sarebbe rivelato un uomo dall’animo nobile come il suo sangue?

    Avrebbe saputo trattarla con amore, quello stesso amore che lei non aveva mai provato né aveva ricevuto?

    Quello sì, sarebbe stato un premio gradito.

    Trovare finalmente qualcuno capace di vedere del buono in lei, di accoglierla ed accettarla per quel che era senza ritrosie o giudizi negativi.

    Presto avrebbe avuto le risposte che cercava.

    Capendo se quell’uomo sarebbe stato ciò che aveva sempre sognato: non un potente, ma un animo gentile.

    Capace di farla sentir viva, in quel mondo che fino ad allora le era stato crudelmente precluso.

    VI

    Specchiarsi nel destino

    Costantinopoli, 1 Novembre 768 d.C.

    Si passò le mani lungo i fianchi stretti, guardandosi per l’ultima volta prima di attraversare lo spesso tendaggio che la separava dalla corte. Dai ministri, dai sacerdoti, dal basileus e poi da Leone.

    L’erede al trono per il quale era stata indetta quella sfilata che avrebbe cambiato la vita di una fortunata tra di loro.

    Irene aveva visto passarle accanto donne di una bellezza abbagliante, avvolte nelle migliori stoffe e illuminate dai gioielli più costosi che potessero esistere. E ciò nonostante, non si era sentita meno sicura di sé.

    Accarezzando il tessuto della sua lunga veste bordata d’oro, si ripeté che il messaggio che intendeva lanciare sarebbe giunto al destinatario. Non a caso aveva scelto di ricoprirsi di quella stessa porpora che era il colore degli imperatori.

    Il ruolo che un giorno sarebbe stato di Leone.

    Una mano l’accarezzò dolcemente, appoggiandosi alla sua schiena mentre era immersa in quel dialogo interiore. Voltandosi, riconobbe il vecchio ministro incaricato di supervisionare l’andamento della sfilata. Questi la guardò compunto.

    Era arrivato il suo momento.

    In preda alla lucida confusione che abbranca uomini e donne nei momenti decisivi delle loro esistenze, Irene si ritrovò a incedere verso l’esterno senza neppure accorgersene. Attraversò il tendaggio come se questo non fosse neppure esistito, e improvvisamente si ritrovò circondata da decine e decine di persone. Percepì chiaramente il peso di quegli sguardi su di lei.

    Fu infastidita dal giudizio di alcuni, onorata dall’interesse di altri.

    E mentre camminava, sforzandosi di essere decisa ma anche suadente, cercò di scrutare tra quegli sconosciuti.

    Sapeva che presto o tardi avrebbe trovato Leone.

    L’uomo che tanto desiderava conoscere, e che sognava potesse darle finalmente la libertà.

    Si augurò anche che egli cogliesse il suo appello, quell’affermazione di dignità nel suo vestito e nella sua alterigia velata di malinconia. Che capisse che lei non intendeva fare un affronto a nessuno, ma bensì recuperare proprio lì il suo orgoglio. Senza

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