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Dolce come il miele
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Dolce come il miele

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DARK ELEMENTS - PREQUEL

SETTE GIORNI PER CONQUISTARE IL SUO CUORE

Per Jasmine, giovane gargoyle di un potente clan di Guardiani, la razza incaricata di proteggere l’umanità dalle creature degli inferi, Dez era stato molto più di una cotta adolescenziale. Per otto anni era stato il suo migliore amico, la persona con cui si confidava, tutto il suo mondo. Le aveva promesso che sarebbero stati insieme per sempre... e poi l’aveva abbandonata senza una parola di spiegazione. Tre anni dopo, si ripresenta da lei come se niente fosse, pronto a riprendere la loro storia da dove si era interrotta. Ma Jas non ci sta. Non vuole soffrire ancora. E così pone delle condizioni. Dez avrà sette giorni per guadagnarsi la sua fiducia e convincerla che sono fatti l’uno per l’altra. Sette giorni all’insegna di eccitanti pericoli e dolcissime tentazioni, per conquistare il suo cuore... o spezzarglielo di nuovo.
LanguageItaliano
Release dateSep 21, 2014
ISBN9788858928684
Dolce come il miele
Author

Jennifer L. Armentrout

Autrice al vertice delle classifiche del New York Times e di USA Today, oltre a scrivere romance si è cimentata con successo nei generi Young e New Adult, fantascienza e fantasy. Attualmente vive a Martinsburg, West Virginia. Con HarperCollins ha pubblicato le serie Covenant, Titan, Dark Elements, The Harbinger, Blood and Ash e Flesh and Fire.

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    Dolce come il miele - Jennifer L. Armentrout

    Copertina. «Dolce come il miele» di Armentrout Jennifer l.

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Bitter Sweet Love

    Harlequin Teen

    © 2013 Jennifer L. Armentrout

    Traduzione di Marta Donati

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 9788858928684

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Frontespizio. «Dolce come il miele» di Armentrout Jennifer l.

    1

    Niente al mondo era come volare.

    Niente era paragonabile alla gioia che mi dava la sensazione dell’aria fresca tra i capelli sciolti o sulla pelle accaldata e lungo la curva della spina dorsale, tra le ali. Ero così in alto, sorvolavo i monti Adirondack da una tale quota che, quando aprii gli occhi, ebbi l’impressione di poter toccare le stelle solo allungando una mano, di poter andare dritta in paradiso.

    Il che sarebbe stato un problema, se fosse successo davvero. Dubitavo che gli Alfa avrebbero gradito che un Guardiano varcasse all’improvviso i loro cancelli di un bianco perlaceo. Risi a quel pensiero, e il suono si innalzò e venne portato via dal vento. Non si poteva certo entrare in paradiso volando. Come per l’inferno, lo si raggiungeva solo attraverso portali disseminati per tutto il mondo e accessibili a quanti sapevano dove trovarli e avevano motivo di varcarne la soglia.

    Nel corso degli ultimi tre anni, con grande disappunto di mio padre, avevo trascorso tutte le sere lassù, nel cielo. In teoria non era previsto che le femmine volassero da sole o facessero altro che sfornare bambini e crescerli, o insegnare ai giovani, ma nessuno degli uomini era veloce quanto me. O, almeno, nessuno che fosse nei dintorni o che contasse davvero, o...

    Bloccai quel pensiero disastroso prima che potesse farmi deragliare e rovinare la mia bella serata estiva, una delle prime dell’anno.

    Viste dall’alto, le cime degli Adirondack non sembravano poi tanto enormi e inamovibili. No. Apparivano soffici come marshmallow. Tra le vette, i laghi luccicavano come brillanti tinozze di onice, e la foresta era fitta e virtualmente inabitabile. Una volta avevo sorvolato tutte e quarantasei le vette, spingendomi fino al Canada e poi tornando nella contea di Washington.

    Una raffica di vento sfiorò la parte inferiore delle mie ali, facendo vibrare le estremità cornee mentre la corrente mi sollevava come se fossi imprigionata in una bolla. Per un istante il cambio di atmosfera, la purezza dell’aria, mi serrò i polmoni e io non riuscii a incamerare abbastanza ossigeno.

    Una breve scintilla di panico si accese in me, quando mi scoprii incapace di respirare, ma svanì nell’attimo stesso in cui l’istinto prese il sopravvento e il cervello perse il controllo sul mio corpo.

    Scesi in picchiata, le ali strette al corpo, gli occhi spalancati e la mente sgombra dai pensieri, così come il mio petto, libero dalla morsa di dolore che di solito mi faceva soffrire come una ferita non ancora rimarginata. Erano rari quei momenti, in cui non avevo obblighi verso la mia razza e non esistevano minacce di morte, né tanto meno il ricordo di quanti avevo amato e perduto. E io facevo tesoro di quei brevi, bellissimi istanti.

    Ma, come sempre, anche quel momento passò troppo in fretta.

    A metà strada verso il suolo, spiegai le ali, rallentando la mia discesa in modo da non spiaccicarmi come un pancake sul fianco della montagna. Dopo aver sorvolato le cime per diverse miglia, mi tuffai nella valle sopra Greenwich e scesi planando verso una modesta cittadina.

    Erano passati sei anni e trovavo ancora strano non dovermi preoccupare che gli umani mi vedessero. Non c’era nulla di più divertente che spaventarli piombando su di loro senza preavviso come un rapace gigante.

    I Guardiani erano usciti dall’ombra rivelando al mondo la loro presenza quando io avevo dodici anni. Come ci eravamo aspettati, vedere miti e leggende trasformarsi in una realtà concreta aveva scatenato il panico tra gli abitanti della terra.

    Per migliaia di anni si era pensato alla mia razza come a niente più che qualche statua di pietra appollaiata sui tetti di case e chiese. I gargoyle. E, tecnicamente, quello eravamo, anche se il modo in cui ci descrivevano era a dir poco eccessivo. Nemmeno i più brutti fra i Guardiani avevano il naso bitorzoluto o zanne che spuntavano dalla bocca. Era quasi un insulto nei nostri confronti, se ci si soffermava a pensarci.

    Tipico degli umani spacciare per vere informazioni sbagliate. E oltre a trinciare giudizi sul nostro conto, non avevano nemmeno idea che i demoni fossero ovunque. Alcuni erano esattamente come loro nell’aspetto, mentre altri non sarebbero passati inosservati, se avessero provato a mescolarsi agli abitanti della terra. Ma tutto era cambiato sei anni prima, quando all’inferno c’era stata una sommossa. La cosa non avrebbe dovuto destare preoccupazioni in superficie, se non fosse stato che centinaia di migliaia, se non addirittura milioni di demoni erano stati buttati fuori dall’inferno dal Grande Capo, e avevano iniziato a riversarsi nel regno degli umani in quantità mai viste prima. Nessuno, nemmeno gli Alfa, sembrava sapere esattamente perché fosse scoppiata la rivolta, ma l’attività dei demoni in tutto il globo aveva assunto proporzioni galattiche. Non che i demoni non si fossero mischiati agli abitanti della terra in passato e che noi non fossimo stati in grado di rimanere nell’ombra e nella nostra forma umana, ma ormai c’erano troppe creature degli Inferi che causavano troppi problemi e avevano un aspetto fin troppo umano.

    Gli Alfa – quelli che comandano – avevano deciso che i Guardiani avrebbero dovuto uscire allo scoperto. Che noi, visto il proliferare dei demoni, non avremmo più potuto agire senza far sapere al grande pubblico della nostra esistenza.

    Gli Alfa erano come una leggenda metropolitana. Io non ne avevo mai visto uno con i miei occhi, ma li avevo sentiti quando erano venuti a parlare con mio padre. Erano i più potenti di tutti gli angeli e anche i più spaventosi. Gli Alfa non erano teneri o simpatici e nemmeno cordiali, persino nei giorni migliori. Loro vedevano tutto in bianco e nero, male contro bene, sbagliato contro giusto.

    E dal momento che a crearci erano stati loro, avrebbero anche potuto cancellarci dall’esistenza senza guardare in faccia nessuno. Allontanai quei pensieri deprimenti. La prospettiva di essere eliminata mi metteva di cattivo umore.

    Dopo che il panico e il caos si erano placati, erano rimaste milioni di domande a cui non potevamo rispondere e così eravamo diventati tutti bravissimi a evitare il problema. La maggior parte degli umani pensava che fossimo come il mostro di Loch Ness o il Big Foot. Una leggenda, che però si era rivelata vera.

    Se solo avessero saputo...

    C’erano regole che persino i demoni dovevano rispettare e la principale era che gli umani dovevano restare all’oscuro della presenza concreta del maligno nel mondo. Qualche cavolata sul libero arbitrio o roba del genere: dovevano credere che inferno e paradiso esistevano sulla fiducia, senza averne le prove. A me sembrava una stronzata. Se i Guardiani e gli umani avessero unito le forze, forse si sarebbero potute salvare molte vite, compresa quella di mia madre.

    Ma la situazione era quella che era. Gli umani o pensavano che i Guardiani erano dei supereroi che combattevano contro il crimine, o che eravamo il diavolo incarnato.

    A volte si vince. A volte si perde.

    Atterrai sul tetto piatto della nostra casa di famiglia un secondo prima di individuare un’altra ombra nel cielo che si avvicinava a grande velocità. Sobbalzai per la sorpresa nel riconoscere il profilo regale di mio padre. Non avrebbe dovuto essere lì! Mutai forma in tutta fretta, tornando ad assumere le mie sembianze umane un soffio prima che lui toccasse il cornicione.

    Uno sguardo nella sua direzione e mi resi conto che era troppo tardi.

    Merda. Lo sapeva.

    Mio padre si alzò in tutta la sua altezza, che rasentava i due metri. Le ali immense fremettero quando avanzò verso di me, facendo tremare il tetto sotto il proprio peso. Nella sua vera forma era una visione che intimidiva. La sua pelle del colore del granito era altrettanto dura al tatto, e lo rendeva praticamente indistruttibile, come tutti i Guardiani. Due corna scure dividevano la folta chioma di capelli neri, ognuna che si incurvava all’estremità in una punta letale e acuminata. Il naso era piatto, le narici piccole, e i suoi occhi, di solito del colore del cielo all’alba, adesso erano di un blu intenso.

    Era mio padre ma, in quanto capo del clan dello stato di New York, era anche il più potente di tutti i Guardiani della zona. Persino io sapevo che era meglio camminare con passo leggero quando era di cattivo umore. Come in quel momento.

    Irrigidì la mascella e i suoi occhi sprizzarono scintille. «Jasmine.»

    Nel sentire il mio nome, rizzai la schiena come se mi avessero colato dell’acciaio nella colonna vertebrale. «Papà?»

    «Sei uscita di nuovo.» Non era una domanda.

    Detto così sembrava che fossi andata a spasso nella Striscia di Gaza, quando invece avevo solo sorvolato delle semplici montagne. Decisi di giocare la carta dell’evasività. «Pensavo che fossi a New York.»

    «Infatti.» Mentre camminava verso di me, anche lui riprese le sembianze umane. La vivacità nei suoi occhi svanì mentre le ali venivano riassorbite dalla pelle e i tratti del suo viso diventavano più normali. Ma non incuteva certo meno timore mentre mi fissava dall’alto in basso, e mi ci volle tutto l’impegno possibile per tenergli testa, occhiataccia per occhiataccia.

    Avevo preso da lui i capelli neri e la statura, ma per il resto assomigliavo a mia madre,

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