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A bocca chiusa non si vedono i pensieri
A bocca chiusa non si vedono i pensieri
A bocca chiusa non si vedono i pensieri
Ebook377 pages5 hours

A bocca chiusa non si vedono i pensieri

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About this ebook

Ginny Moon è per molti versi una tipica quattordicenne: suona il flauto nell’orchestra della scuola, gioca a basket due volte alla settimana e studia le poesie di Robert Frost per la lezione di letteratura americana. C'è solo un piccolo particolare che la distingue dalle altre ragazzine della sua età: Ginny è autistica. E ciò che per lei è irrinunciabile – come iniziare ogni giornata con nove chicchi d’uva a colazione, per esempio, oppure cantare Michael Jackson, o prendersi cura della sua bambola ed elaborare in gran segreto piani di fuga – a qualcuno potrebbe sembrare un po'... strano.

Per anni, dopo che l'hanno portata via alla madre naturale, tossica e violenta, è passata da una famiglia affidataria all'altra. Adesso però, finalmente ha trovato la sua Casa Per Sempre, un posto in cui si sente al sicuro, protetta, con genitori che le vogliono bene e si prendono cura di lei. È esattamente il tipo di famiglia che tutti i ragazzini nelle sue condizioni sognano... eppure lei ha altri progetti. Perché in quella vita perfetta manca qualcosa. Qualcosa di così importante che per riaverla è disposta a rubare, a mentire, ad approfittare della disponibilità di tutti quelli che le vogliono bene. Qualcosa per cui arriverebbe persino a farsi rapire.


A bocca chiusa non si vedono i pensieri è un romanzo insolito e commovente, e la voce della sua protagonista, originale e profondamente umana, resterà a lungo nel cuore dei lettori.
LanguageItaliano
Release dateJun 22, 2017
ISBN9788858967041
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    A bocca chiusa non si vedono i pensieri - Benjamin Ludwig

    generoso

    Martedì 7 settembre

    Ore 18:54

    La bambola elettronica non la smette di piangere.

    I miei Genitori Per Sempre hanno detto che dovrebbe essere come una bambina vera ma non lo è. Non riesco a farla contenta. Nemmeno se la cullo. Nemmeno se le cambio il pannolino e le do il biberon. Quando le dico su, su, da brava e lascio che mi succhi il dito non cambia espressione e grida grida grida.

    La stringo ancora una volta e nel cervello mi ripeto Piano e delicata, piano e delicata. Poi provo tutte le cose che faceva Gloria quando davo di matto. Le metto una mano dietro la testa e mi muovo avanti e indietro in punta di piedi. «Va tutto bene. Va tutto bene» dico. Con il tono che va su e giù come una canzone. E poi: «Mi dispiace tanto».

    Ma non vuole saperne di smettere.

    La stendo sul mio letto e quando il pianto diventa più forte cerco la mia Bambolina. Quella vera. Anche se so che non c’è. L’ho lasciata nell’appartamento di Gloria ma i bambini che strillano mi fanno diventare tanto tanto ansiosa e quindi devo mettermi a cercare. È come una regola che ho nel cervello. Cerco nei cassetti. Cerco nell’armadio. Cerco ovunque potrebbe esserci la mia Bambolina.

    Persino nella valigia. La valigia è grande e nera e a forma di scatola. La tiro fuori da sotto il letto. La cerniera ci gira tutto intorno. Ma la mia Bambolina non è lì dentro.

    Faccio un bel respiro. Devo farla smettere di piangere. Se la metto nella valigia e ci metto anche abbastanza coperte e peluche e la spingo di nuovo sotto il letto forse non la sentirò più. Sarà come mettere via il rumore nel mio cervello. Perché il cervello è nella testa. È un posto buio buio buio dove solo io riesco a vedere le cose e nessun altro.

    Ed è quello che faccio. Metto la bambola elettronica nella valigia e prendo le coperte. Gliele metto in faccia e poi ci metto anche un cuscino e tanti peluche. Tra pochi minuti il rumore smetterà.

    Perché per piangere bisogna poter respirare.

    Martedì 7 settembre

    Ore 19:33

    Ho finito di fare la doccia ma la bambola elettronica piange ancora. Ormai avrebbe dovuto smettere e invece no.

    I miei Genitori Per Sempre sono seduti sul divano e guardano un film. La mia Mamma Per Sempre ha i piedi in un catino d’acqua. Dice che ultimamente sono gonfi. Entro in soggiorno e mi metto davanti a lei e aspetto. Perché è una donna. Mi sento molto più a mio agio con le donne che con gli uomini.

    «Ciao, Ginny» dice mentre il mio Papà Per Sempre preme il tasto per mettere in pausa. «Che c’è? Hai la faccia di chi ha qualcosa da dire.»

    «Ginny…» interviene il mio Papà Per Sempre. «Hai ricominciato a tormentarti le dita? Sanguinano.»

    Sono due domande di fila perciò non dico nulla.

    «Ginny, cosa c’è che non va?» prosegue la mia Mamma Per Sempre.

    «Non voglio più la bambola elettronica» rispondo.

    Si toglie i capelli dalla fronte. Mi piacciono tanto i suoi capelli. Quest’estate mi ha permesso di farle i codini. «Sei stata quaranta minuti sotto la doccia. Hai provato a farla smettere? Tieni. Usa questo, adesso prendiamo i cerotti.»

    Mi allunga un tovagliolo.

    «Le ho dato il biberon e l’ho cambiata tre volte. L’ho cullata ma non la smetteva e allora l’ho…» Non dico più nulla.

    «Adesso fa un suono diverso» osserva il mio Papà Per Sempre. «Non pensavo che potesse gridare tanto forte.»

    «La fai smettere tu per favore?» chiedo alla mia Mamma Per Sempre. E poi ripeto: «Per favore?».

    «È stupendo sentirti chiedere aiuto» risponde. «Patrice ne sarebbe orgogliosa.»

    Dal corridoio arriva di nuovo il pianto e cerco un posto dove nascondermi. Perché ricordo che Gloria usciva sempre dalla sua camera quando non riuscivo a far smettere la mia Bambolina. Soprattutto se era con un amico uomo. Ogni tanto quando non smetteva di piangere e sentivo che lei arrivava prendevo la mia Bambolina e scappavo dalla finestra.

    Stringo forte il tovagliolo e chiudo gli occhi. «Se la fai smettere chiederò sempre aiuto» dico e poi li riapro.

    «Vado a dare un’occhiata» risponde il mio Papà Per Sempre.

    Si alza. Quando mi passa vicino io indietreggio. Poi mi accorgo che non è Gloria. Mi guarda in modo strano e va in corridoio. Sento che apre la porta della mia camera. Il pianto diventa ancora più forte.

    «Non so se questa cosa funziona» dice la mia Mamma Per Sempre. «Volevamo che ti rendessi conto di cosa significa avere un bambino vero in casa, ma non sta andando come avevamo programmato.»

    Il pianto in camera mia diventa fortissimo. Il mio Papà Per Sempre esce. Ha una mano fra i capelli. «L’ha messa nella valigia» dice.

    «Cosa?!»

    «Ho seguito il suono. All’inizio non riuscivo a vederla. Ci ha infilato dentro anche una pila di coperte e di peluche, ha richiuso la cerniera e ha rimesso la valigia sotto il letto» spiega.

    «Ginny, perché hai fatto una cosa del genere?» chiede la mia Mamma Per Sempre.

    «Non smetteva di piangere» rispondo.

    «Sì, però…»

    «Senti, se non la finiamo qui, questa storia ci farà diventare tutti matti» la interrompe il mio Papà Per Sempre. «Ho provato a farla smettere, ma non ci sono riuscito neanch’io. Per me siamo arrivati al punto di non ritorno. Chiamiamo la signora Winkleman e basta.»

    La signora Winkleman è l’insegnante di educazione sanitaria.

    «Stamattina ha detto di aver dato a Ginny un numero per le emergenze» risponde la mia Mamma Per Sempre. «L’ha scritto su un foglietto. Guarda nel suo zaino.»

    Lui torna in corridoio e poi in camera mia. Mi copro le orecchie con le mani. Riappare con il mio zaino.

    La mia Mamma Per Sempre trova il foglietto e prende il cellulare. «Signora Winkleman? Sì, sono la mamma di Ginny. Mi scusi se la chiamo a quest’ora, ma temo proprio che abbiamo un problema con la bambola.»

    «Non preoccuparti, Figlia Per Sempre» mi dice il mio Papà Per Sempre. «Tra pochi minuti sarà tutto finito, così potrai prepararti per andare a letto. Mi dispiace che sia stata un’esperienza pesante e snervante. Eravamo davvero convinti che…»

    La mia Mamma Per Sempre mette giù il telefono. «Dice che sulla nuca c’è un buco, bisogna infilarci una graffetta e premere il tasto, così si spegne.»

    Lui va nello studio e poi esce e va nella mia camera. Inizio a contare. Quando il pianto smette sono arrivata a dodici.

    E adesso posso respirare di nuovo.

    Mercoledì 8 settembre

    Ore 14:27

    Prima ero alla lezione della quarta ora che sarebbe scienze sociali e la signora Lomos è entrata in classe per darmi un messaggio. È la mia consulente scolastica. Indossa grossi orecchini a cerchio e si trucca un sacco. «I tuoi genitori verranno a scuola per un incontro» ha detto. «Poi ti riportano a casa, perciò, quando senti le comunicazioni del pomeriggio e la campanella che suona, resta nell’aula cinque con la signorina Dana. Potrai fare i compiti per un po’, fin quando non ti chiameranno. Vogliono che ci sia anche tu.»

    Adesso sono nell’aula cinque dove vado per le lezioni di inglese con gli altri ragazzi speciali. Perché io soffro di autismo e disabilità dello sviluppo. Ieri nessuno mi ha detto che oggi ci sarebbe stato un incontro. Immagino riguardi la bambola elettronica.

    La signorina Dana sta controllando gli alunni che salgono sui pullmini della scuola per tornare a casa. Dalla finestra vedo che indossa il solito gilet arancione. È vicina al pullmino numero 74. Che è il mio. Dietro e davanti ce ne sono altri. File e file di ragazzi ci salgono. In corridoio chi deve fare sport si prepara per gli allenamenti. Alison Hill e Kayla Zadambidge sono già andate via. Sono le altre due che vengono nell’aula cinque con me e Larry.

    Di solito i pullmini partono alle 14:30 ma tre minuti non mi bastano per andare su Internet. È da un bel po’ di tempo che provo ad andarci da sola perché non ho il permesso di farlo senza un adulto. Un giorno che ero con Carla e Mike mi sono infilata il portatile di Carla sotto il maglione e l’ho portato nel ripostiglio. Stavo scrivendo su Google Gloria LeBla… ma non ho finito perché la porta si è spalancata e Carla mi ha scoperto. Mi ha strappato il portatile e quando mi sono alzata mi si è messa davanti alla faccia e ha iniziato a gridare e strepitare.

    E io mi sono spaventata tanto tanto tanto.

    Un’altra volta ero a scuola a preparare una ricerca sui grandi felini e ho scritto su Google Gloria vende essenzialmente gatti Maine Coon perché è così che guadagna i soldi. Ma l’insegnante mi ha beccato e allora quando sono arrivata in questa nuova scuola e nella mia nuova Casa Per Sempre i miei nuovi Genitori Per Sempre hanno detto che non posso andare su Internet perché devono tenermi al sicuro. Poi Maura ha detto che lei e Brian mi vogliono bene e che Internet non è per niente sicuro. Non l’ha detto ma intendeva Non è per niente sicuro perché sappiamo che cerchi Gloria.

    La mia Mamma Per Sempre ha ragione perché Gloria è nell’appartamento con la mia Bambolina. Non so in quale città siano. Devo sapere se ha trovato la mia Bambolina o se è passato troppo tempo e adesso è troppo tardi. Se non è troppo tardi devo tirarla subito fuori dalla valigia e prendermi cura di lei perché a volte Gloria va via per giorni interi. E poi ha tanti amici uomini che la vengono a trovare. E si arrabbia e picchia. E poi a volte Donald è in città. Vorrei tanto poter essere più presente, ma non posso, mi ripeteva sempre Crystal con la C quando le raccontavo quello che faceva Gloria. Perciò, mi raccomando, prenditi cura della tua Bambolina, proprio come ti dice la mamma. Sarà sempre la tua piccolina, sempre e comunque.

    Esco dal mio cervello e mi tormento le dita.

    Larry entra. Mette lo zaino sul banco e appoggia i tutori per le braccia alla parete e si siede. I tutori per le braccia sono come stampelle ma si attaccano al corpo. Lo fanno sembrare una cavalletta. Larry ha i capelli e gli occhi castani. Io ho gli occhi verdi. E non la smette mai di cantare e non gli piace la matematica quanto invece piace a me. «Ciao, piccola» dice.

    «Larry io non sono piccola» dico io allora. «Ho tredici anni. Non lo sai ancora? È così tedioso

    Tedioso è quando ripeti una cosa un sacco di volte e gli altri si stufano come quando Patrice continuava a ripetermi che ero un po’ una bambolina anch’io quando ero nell’appartamento con Gloria. È quello che mi diceva quando provavo a spiegarle che dovevo andare a controllare la mia Bambolina. Non capiva.

    Larry stiracchia le braccia e sbadiglia. «Sono proprio stanco. È stata una giornata lunghissima» dice. «Mi tocca restare fin quando mia madre non mi viene a prendere per andare agli allenamenti di pallavolo di mia sorella.»

    «Mentre aspetti dovresti fare i compiti» dico, perché è quello che la signora Lomos ha detto a me. Prendo il libro di inglese e lo apro a pagina 57 dove c’è una poesia di Edgar Allan Poe.

    «Naaa. Meglio controllare Facebook. Mi sono iscritto ieri.»

    Si alza e rimette i tutori e va al computer. Io lo seguo con gli occhi.

    «Tu ce l’hai, Facebook?» chiede quando lo raggiungo. Senza girarsi. Si mette a digitare.

    Mi guardo le mani. «No» rispondo.

    «E allora, piccola, rimediamo subito.» Mi guarda. «Vieni, ti faccio vedere. Ce l’hanno tutti i tipi fighi, ci sei?» Larry dice sempre ci sei? Ci sei? è essenzialmente un modo di dire.

    «Non ho il permesso di usare Internet senza un adulto» rispondo.

    «Sì, me lo ricordo. Perché i tuoi non te lo fanno usare?»

    «Perché Gloria è su Internet.»

    «Chi è Gloria?»

    «Gloria è la mia Mamma Biologica. Prima vivevo con lei.» Smetto di parlare.

    «Ed è facile da trovare?»

    Scuoto la testa. «No. Ho provato tre volte a cercarla su Internet quando ero in altre Case Per Sempre ma continuavano a interrompermi

    «Com’è che si chiama?»

    «Gloria.» Mi alzo. Mi sento elettrizzata e pronta perché so che Larry mi aiuterà.

    «Gloria come

    Mi sporgo in avanti e lo guardo di traverso da sopra gli occhiali. Spingo indietro i capelli, ma mi ricadono in faccia. Quanto vorrei avere un elastico. «Gloria LeBlanc» rispondo.

    È da tanto che non dico il cognome LeBlanc. Perché è così che mi chiamavo. È come se mi fossi lasciata la vera me alle spalle quando sono venuta a vivere con i miei nuovi Genitori Per Sempre. Con Brian e Maura Moon. Adesso mi chiamo Ginny Moon ma è rimasto ancora qualcosa della vera me. Quindi è come se fossi diventata la vera Ginny Moon.

    «Come si scrive?» chiede e io glielo dico. Larry digita e poi si allontana e indica una sedia. Mi siedo.

    E la vedo.

    Gloria che mi picchiava e dopo mi abbracciava piangendo. Gloria che mi lasciava sempre da sola a casa ma mi dava cose buone da bere quando guardavamo i film con i mostri sul divano. Gloria che diceva di essere sveglia alla faccia di chi dice il contrario perché aveva preso il diploma da privatista con il massimo dei voti, e nel cervello immaginavo una sfilata di ragazze con delle belle gonne che facevano roteare bastoni colorati e gridavano di felicità.

    Gloria, la seconda persona più spaventosa che conosco.

    Gloria, la mia Mamma Biologica.

    La testa e la camicetta di Gloria sono essenzialmente diverse ma almeno ha foto di Maine Coon su tutta la pagina. E porta ancora gli occhiali ed è tanto tanto tanto magra come me. Non la vedo e non le parlo da quando avevo nove anni. Da quando la polizia è arrivata e lei ha detto: «Mi dispiace! Ginny, mi dispiace!». Adesso ho tredici anni ma ne compio quattordici il 18 settembre cioè tra nove giorni perché:

    E avevo nove anni quando sono andata nella prima Casa Per Sempre.

    «Piccola?» dice Larry.

    Sta parlando con me. Esco dal mio cervello. «Cosa?»

    «Vuoi vedere se è online per chattare?»

    Sono elettrizzata. Perché chattare significa parlare.

    Larry indica un punto sullo schermo. «Qui» dice. «Clicca qui.»

    Clicco e vedo la casella dove posso digitare.

    «Scrivi quello che vuoi dirle» spiega. «Scrivi ciao e chiedile qualcosa.»

    Io non voglio dirle ciao. Allora digito la domanda che continuo a fare a tutti e che nessuno capisce mai mai mai:

    Hai trovato la mia Bambolina?

    E aspetto.

    «Devi cliccare su Invia» spiega Larry.

    Ma non lo sento perché le immagini della polizia e di Gloria e della cucina si muovono così in fretta che non riesco a vedere altro. Sono di nuovo nel profondo del mio cervello. Vedo Gloria con la faccia schiacciata contro la parete e la polizia che ce la tiene ferma. Vedo la porta sfondata e la luce che entra dall’esterno e due gatti che scappano fuori. Non ricordo quali.

    «Aspetta» sento dire a Larry. «Faccio io.»

    Vedo la freccia che si muove sullo schermo. Tocca il tasto Invia e io inizio a contare perché se succede qualcosa io devo capire fino a quanto posso contare prima che succeda soprattutto se è la risposta che aspetto da quattro anni.

    Sei secondi. Poi sullo schermo appaiono delle parole sotto quelle che ho digitato io. Le parole sono:

    Ginny, sei tu?

    Non è la risposta alla mia domanda. Vorrei tormentarmi le dita ma non posso perché sullo schermo c’è una domanda e tocca a me digitare. Allora scrivo: Sì sono Ginny. Non hai risposto alla mia domanda. E clicco su Invia come mi ha mostrato Larry.

    Un’altra parola lampeggia sullo schermo. È in maiuscolo e grida. La parola è:

    SÌ!

    E poi:

    SÌ ABBIAMO TROVATO LA TUA BAMBOLINA MA TU DOVE CAVOLO SEI?!

    Vorrei scrivere Ti stai prendendo cura di lei? ma mi tremano le mani e non riesco a convincerle a ubbidire. E poi Gloria ha fatto una domanda. Apro e chiudo i pugni per tre volte e li metto fra le ginocchia e poi li ritiro fuori e digito: Nell’aula cinque con Larry.

    E allora lei scrive:

    CHI È LARRY QUAL È IL TUO INDIRIZZO?

    Adesso mi tormento le dita. Devo perché non voglio parlare di Larry o del mio indirizzo. Voglio parlare solo della mia Bambolina. Perché anche se Gloria ha scritto SÌ! e ABBIAMO TROVATO LA TUA BAMBOLINA non so se dice la verità o se la mia Bambolina sta bene per davvero. Perché Gloria è inaffidabile e incoerente ed è quella che dice bugie.

    Perciò apro e chiudo i pugni altre due volte e ricordo di respirare e poi digito: Larry è un amico. 57 Cedar Lane Greensbo…

    Smetto di scrivere perché sento la signorina Dana in corridoio. Sento che sta parlando con qualcuno. Forse con un altro insegnante. Il che significa che fra un minuto mi beccheranno.

    «Piccola?» fa Larry. È in piedi alle mie spalle. La sua voce è ansiosa.

    Allora scrivo: Devo andare. Appena clicco Invia però vorrei aggiungere: Ti prego ti prego ti prego mi porti la mia Bambolina? ma non è più il mio turno e la signorina Dana sarà qui a momenti.

    Scatto in piedi per allontanarmi dal computer. Poi qualcuno mi tocca la spalla e io indietreggio.

    Per poco non cado. Quando mi accorgo che è solo Larry e che nessuno mi farà del male abbasso il braccio e guardo verso lo schermo dove c’è un’altra parola.

    MANICOON.COM.

    E poi:

    MI TROVI QUI SE HAI BISOGNO.

    E poi:

    ’FANCULO ARRIVO DOMANI SONO LÌ.

    Sposto lo sguardo. Non vedo Gloria o l’appartamento o la mia Bambolina. Vedo solo Larry con un braccio fuori dal tutore e la mano alzata. «Ehi, bella» dice. «Tutto a posto? Dài, vieni. Dobbiamo sederci e tirare fuori i libri.» Si morde un labbro e aggiunge: «Adesso spengo il computer. Non andare fuori di testa, okay?». Allunga la mano sul mouse e clicca su Esci e poi sulla X nell’angolo dello schermo. Va al suo banco e si siede. Pure io mi siedo al mio banco e sfrego via lo sporco dalle mani e guardo la fotografia di Edgar Allan Poe.

    La signorina Dana entra. «Ginny, i tuoi genitori ti aspettano nell’ufficio della signora Lomos» dice.

    Mi alzo e prendo il mio zaino ed esco dall’aula. Appena sono nel corridoio mi metto a correre. Corro toccando la parete con le dita. Se non tocco qualcosa potrei cadere e corro corro corro. Sono ancora elettrizzata ma ho anche paura.

    Perché Gloria sta arrivando. Sta venendo qui.

    Mercoledì 8 settembre

    Ore 14:50

    I miei Genitori Per Sempre sono fuori dal piccolo ufficio della signora Lomos.

    «Ginny, vieni, andiamo nella sala riunioni» dice la signora Lomos.

    Cinque passi e siamo nella sala riunioni dall’altra parte del corridoio. I miei Genitori Per Sempre siedono al tavolo e lo faccio anch’io.

    «Ciao, Ginny» dice la mia Mamma Per Sempre.

    «Ciao» rispondo. Siede con le mani sul suo pancione rotondo che è grande come un pallone da basket. Anche il mio Papà Per Sempre ha il pancione e la faccia rotonda ma non ha la barba bianca o il naso rosso.

    «Ginny, i tuoi genitori sono venuti per parlare di quello che è successo ieri sera con il bebè elettronico» spiega la signora Lomos.

    Resto seduta e aspetto che parlino ma non lo fanno.

    «Mi hanno detto che l’hai messo in una valigia» prosegue la signora Lomos. «È vero?»

    «Intende la bambola elettronica?» rispondo.

    Mi guarda in modo strano. «Sì, certo.»

    «Allora sì.»

    «E perché l’hai messa lì?»

    Mi assicuro di avere la bocca chiusa così nessuno può guardarmi nel cervello. Poi la fisso da sopra gli occhiali. «Perché gridava» rispondo.

    «E quindi hai deciso di nasconderla sotto tutte le coperte che hai trovato e richiudere la valigia?»

    «No. Ho tenuto la mia trapunta.» Perché la trapunta è tutto quello che mi resta dell’appartamento. La mamma canadese di Gloria l’ha aiutata a farla quando è scappata in Canada con me subito dopo il parto in ospedale. L’hanno fatta insieme per me e solo per me. Ci avvolgevo sempre la mia Bambolina.

    «Va bene, ma perché non hai tentato di consolare la bambola?» chiede la signora Lomos.

    «Ho provato a consolare la bambola elettronica. Ho detto su, su, da brava come bisogna fare e ho provato a darle il mio dito da succhiare ma la bocca non si apriva. Le ho dato anche il biberon.»

    «E non è servito?»

    Faccio di no con la testa.

    «Hai cercato qualche altro modo per farla smettere di piangere?» chiede il mio Papà Per Sempre.

    Mi assicuro ancora di avere la bocca chiusa così nessuno può guardarci dentro. Scuoto la testa un’altra volta. Perché per mentire si usa la bocca. Una bugia è qualcosa che si dice.

    «Ne sei sicura? Pensaci bene.»

    E io penso bene. A tenere la bocca chiusa.

    «Ginny, nella bambola elettronica c’è un computer» interviene la signora Lomos. «Registra quante volte la bambola viene nutrita e cambiata e per quanto tempo piange. Registra anche colpi e scrollate.»

    Tutti mi fissano. Tutti. La mia Mamma Per Sempre accanto al mio Papà Per Sempre dall’altra parte del tavolo con le mani sul pancione rotondo. Non so che cosa siano colpi e scrollate ma nessuno ha fatto una domanda e così tengo la bocca molto chiusa.

    Il mio Papà Per Sempre prende un foglietto. «Secondo il computer la bambola è stata colpita ottantatré volte e scrollata quattro» dice. Mette giù il foglietto. «Ginny, hai picchiato la bambola?»

    «La bambola elettronica» rispondo anche se la regola dice che non si deve correggere.

    «Non importa che fosse un bambino vero o soltanto una bambola. Ti abbiamo chiesto di prendertene cura. Non possiamo…»

    «Brian» interviene la mia Mamma Per Sempre. E poi: «Ginny, i bambini non si picchiano e non si scrollano. Anche se sono bambini finti, bambole. Lo capisci?».

    Mi piace la mia Mamma Per Sempre. Mi aiuta con i compiti ogni sera dopo cena e mi spiega le cose che non hanno senso. E poi quando torno da scuola giochiamo alla dama cinese. Perciò rispondo: «Quand’ero nell’appartamento con Glo…».

    «Sappiamo cosa succedeva nell’appartamento» mi interrompe. «E ci dispiace davvero tantissimo che lei ti picchiasse. Ma non bisogna mai fare del male ai bambini, per nessun motivo. Devi ricominciare a vedere Patrice. Ti aiuterà a prepararti a essere una sorella maggiore.»

    Patrice è una psicoterapeuta. Una psicoterapeuta dell’attaccamento. Non ci vado da quando sono stata adottata a giugno. Vivevo da un anno con i miei Genitori Per Sempre alla Casa Azzurra. Che è anche quando ho iniziato ad andare nella nuova scuola.

    E questo mi ricorda che proprio in questo momento Gloria è in viaggio. Non so quanto ci metterà ad arrivare. Non so se arriverà prima che io vada da Patrice. Ed è importante perché devo sapere quando le cose succedono per poter contare e controllare l’ora e assicurarmi che tutto vada come previsto.

    Mi tormento le mani.

    «Quando vedrò Patrice?» chiedo.

    «La chiameremo oggi stesso per sapere quando ha tempo» risponde la mia Mamma Per Sempre. «Forse già all’inizio della prossima settimana, se ha posto. Ma sono sicura che per te lo troverà.»

    Giovedì 9 settembre

    Ore 14:45

    Oggi Gloria non è venuta a scuola. Ho aspettato e aspettato e aspettato e poi il mio orologio e tutti gli orologi di tutte le aule facevano le 14:15 e ci sono state le comunicazioni del pomeriggio. Poi la campanella ha suonato e sono uscita con tutti gli altri per prendere il pullmino.

    E perciò sono confusa.

    Adesso però sono confusa per qualcosa di più urgente. Patrice dice che più urgente significa che qualcosa è più importante di qualcos’altro. La cosa più urgente è che alla Casa Azzurra qualcuno è arrabbiato. Devo capire chi è.

    Per questo sono fuori sui gradini della veranda. Ho ancora lo zaino in spalla e il flauto in mano. La nostra cassetta della posta è stata abbattuta e per terra ci sono segni di gomme quindi qualcuno ha sgommato. Le persone sgommano quando sono in auto e sono davvero arrabbiate. Mi chiedo chi ha lasciato quei segni e quando alzo lo sguardo vedo l’auto del mio Papà Per Sempre nel vialetto vicino a quella della mia Mamma Per Sempre anche se di solito a quest’ora è al lavoro. Fa il consulente scolastico al liceo.

    Mi sistemo gli occhiali con un dito. Guardo di nuovo i segni delle gomme. Nel cervello ricordo che alle 14:44 subito prima che il pullmino si fermasse davanti alla Casa Azzurra ho visto due auto della polizia arrivare nell’altro senso. Andavano piano e così ho preso un bel respiro e l’ho trattenuto fin quando non sono passate.

    I poliziotti non mi piacciono. Hanno tutti la stessa testa.

    Poi sono scesa dal pullmino e ho visto la cassetta della posta e i segni delle gomme.

    Apro la porta della veranda. Sento subito odore di sigarette. Alla Casa Azzurra non fuma nessuno. L’odore mi fa pensare all’appartamento di Gloria.

    Entro. La mia Mamma Per Sempre è in cucina davanti al lavandino e con una mano stringe un bicchiere d’acqua e con l’altra si tiene il pancione. Ha i capelli tutti in disordine come se non si fosse pettinata e righe scure scure scure sotto gli occhi.

    «Ciao, Ginny» dice senza girarsi. «Vai a mettere a posto le tue cose. Dobbiamo parlarti in soggiorno.» Parla a bassa voce.

    Porto lo zaino e il flauto in camera e torno di là.

    «Ciao, Figlia Per Sempre» dice il mio Papà Per Sempre. È accanto alla finestra. «È successo qualcosa di interessante oggi a scuola?»

    «No» rispondo. «Però vorrei sapere chi di voi è arrabbiato.»

    Si guardano.

    «Arrabbiato?» chiede il mio Papà Per Sempre.

    Faccio di sì con la testa.

    «E perché uno di noi due dovrebbe essere arrabbiato?»

    «Perché nel giardino davanti ci sono segni di gomme.

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