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Cleopatra: La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità
Cleopatra: La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità
Cleopatra: La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità
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Cleopatra: La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità

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EDIZIONE ESCLUSIVA CON DEDICA DELL'AUTORE

Il mondo di oggi non sarebbe lo stesso senza Cleopatra, una donna di potere, intelligente e abile che appartiene all'immaginario collettivo universale, ma la cui figura storica è ancora per molti aspetti avvolta nel mistero e non priva di risvolti enigmatici.
Alberto Angela ha deciso di ricostruire le vicende della regina che in un certo senso ha conquistato Roma, rintracciando fonti storiche e accompagnandoci per mano, con il suo stile inimitabile, tra le caotiche strade della capitale del mondo antico, l'esotico porto di Alessandria d'Egitto e i sanguinosi campi di battaglia, alla scoperta di persone, storie, usi e costumi.
Solo un autore come lui è in grado di farci rivivere in prima persona il ventennio che ha segnato un cambio epocale nella storia romana, dall'uccisione di Giulio Cesare, che decreta la fine della Repubblica, alla morte di Antonio e Cleopatra (la cui tomba non è ancora stata ritrovata) fino alla nascita dell'Impero con Augusto al potere.
Un viaggio nel tempo in bilico tra Occidente e Oriente, per riscoprire con uno sguardo nuovo un periodo storico affascinante e convulso, ricco di intrighi e guerre che hanno segnato il nostro presente e contribuito a rendere il mondo il luogo che oggi tutti noi conosciamo.

LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2018
ISBN9788858991152
Cleopatra: La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità
Author

Alberto Angela

Alberto Angela, nato a Parigi nel 1962, è paleontologo, naturalista, divulgatore scientifico e giornalista, nonché autore di numerosi saggi e conduttore di molti programmi televisivi, tra i quali Passaggio a Nord Ovest, Ulisse - Il piacere della scoperta e Stanotte a... All’inizio del 2018 è andato in onda su RAI 1 con la trasmissione Meraviglie, dodici tappe di un itinerario alla scoperta dei grandi patrimoni dell’umanità; un programma che ha conquistato i telespettatori, i media e la rete, che hanno celebrato Angela come una star e parlato di un “marchio Alberto Angela”.

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    Cleopatra - Alberto Angela

    Angela

    1

    IL TRAMONTO DI UNA REPUBBLICA

    15 marzo 44 a.C.

    Lo sguardo è rivolto a un orizzonte lontanissimo, quasi cercasse l’abbraccio di sensazioni e ricordi dolci e protettivi.

    Uno scialle di seta, che un refolo di vento gonfia come una vela, le incornicia il volto. Sarebbe già volato via se non lo tenesse fermo con un gesto deciso della mano. È l’unico cenno di forza del corpo nudo di questa donna, dolcemente adagiato nella valva di una gigantesca conchiglia. La debole luce dell’alba non definisce i suoi contorni. E sarebbe impossibile: la sua bellezza infatti è raccontata da migliaia di piccole tessere di pietra che ne compongono le forme sinuose al centro di una sala. Questo elegante mosaico di Venere in una conchiglia viene progressivamente accarezzato da un fruscio lontano. È quello di una veste finissima che si avvicina, sfiorando il pavimento. All’improvviso si ferma e sul fianco di Venere, con la delicatezza di una piuma, si posa un piede, piccolo e curato. Indugia un attimo sul mosaico, poi prosegue nella sala senza far rumore, accompagnato solo dal bisbiglio della veste sul pavimento. A ogni passo la veste bianchissima ondeggia, seguendo le movenze del corpo come un danzatore avvinghiato alla sua amata. A dirigere questo movimento cadenzato sono i fianchi, che affiorano per un istante dal candore della tunica come delfini a pelo d’acqua, per poi reimmergersi e svanire, lasciando alle lunghe plissettature solo pochi istanti per ristabilire il loro elegante ordine. La tunica sembra galleggiare nella semioscurità del corridoio, solo pochi fasci di luce fendono il buio, proiettando ritmicamente il bagliore della veste sugli affreschi alle pareti: è una carezza luminosa che sfiora le pitture, leggera come una nuvola. Si sta dirigendo verso una finestra lontana, e la figura si staglia in controluce. La tunica, allora, sembra dissolversi, trasformandosi in un alone luminoso attorno al corpo che avvolge, quello di una giovane donna di venticinque anni, piccola, esile quanto basta, ma dalle forme molto sinuose. Ogni suo movimento sussurra un’indefinibile combinazione tra armonia, rotondità ed eleganza, dando vita a una profonda sensualità. Il suo passo lento e il disegno dei fianchi nell’aria fanno il resto. Il fascino di questa donna è impalpabile quanto la scia di profumo che lascia dietro di sé. E proprio come accade per un profumo, il suo vero segreto, più che nella bellezza, risiede nelle sensazioni che evoca in chi le è accanto. Un segreto che lei ha imparato abilmente a dosare e utilizzare, proprio come le pozioni curative e i veleni che da tempo padroneggia.

    Lei è Cleopatra.

    Contrariamente a quanto si pensa, il suo nome non è egizio ma… greco.

    Significa letteralmente gloria del padre nel senso di di stirpe gloriosa (dal greco κλέος, kleos, gloria, e πατρός, patros, del padre). Cleopatra, infatti, non è egiziana, ma greco-macedone. Appartiene a una dinastia di invasori che da quasi trecento anni siede sul trono d’Egitto, con abitudini diverse e un’altra lingua, il greco: sono i Tolomei (è corretto chiamarli anche Tolemei, ma in questo libro abbiamo scelto di utilizzare il nome più conosciuto). Il suo nome completo è Cleopatra Tea Filopatora, cioè letteralmente Cleopatra dea che ama il padre (dal greco θεά, thea, dea, e Φιλοπάτωρα, philopatora, che ama il padre). Sebbene ci appaia come un nome unico nella Storia, per una regina altrettanto unica, non è stata la sola a portarlo. Se ne conoscono altre sei prima di lei, al punto che gli storici oggi per non fare confusione la chiamano Cleopatra VII. Come mai così tante Cleopatre? Il motivo è che tra i Tolomei è tradizione usare nomi dinastici ricorrenti (un po’ come fecero i re di Francia con il nome Luigi). Così le principesse hanno invariabilmente uno di questi tre nomi: Arsinoe, Berenice o… Cleopatra, appunto.

    L’Egitto di Cleopatra è molto diverso da quello che tutti noi abbiamo in mente. Tra lei e altre donne egizie famose come Nefertari (la moglie del faraone Ramesse II), Nefertiti (la moglie del faraone Akhenaton) o Hatshepsut ci sono rispettivamente 1200, 1300 e più di 1400 anni! È come paragonare una donna dell’epoca moderna con una vissuta all’epoca di Carlo Magno o dei Longobardi nel primo Medioevo… Cleopatra, quindi, vive in un Egitto completamente diverso. Un regno già invaso e governato dai persiani addirittura per alcuni secoli, prima di essere conquistato da Alessandro Magno, che diede avvio, poi, alla dinastia greco-macedone dei Tolomei, rimasta sul trono per altri tre secoli circa.

    Quando Cleopatra nasce, l’Egitto sembra destinato a finire nelle fauci di Roma, la nuova potenza del mondo. Ma sarà proprio lei, grandissima statista e stratega, ad allungare la vita dell’Egitto, dandogli persino nuove terre e nuove ricchezze: grazie all’abile politica di Cleopatra, capace di irretire Cesare prima e Antonio poi, l’Egitto arriverà infatti a controllare praticamente tutte le rive del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Libia. Un risultato straordinario, che si deve solo al suo talento. Sarà l’ultimo grande dominio di un regno egizio, prima di scomparire per sempre nella Storia. Cleopatra regnerà solo ventun anni, ma il destino del mondo antico passerà attraverso di lei, facendone una delle donne più potenti, influenti e determinanti per la storia di tutti i tempi. Forse nessun’altra donna, con l’eccezione di Elisabetta I d’Inghilterra, riuscirà a fare altrettanto. Eppure morirà prima di aver compiuto quarant’anni.

    In un mondo dominato dagli uomini, le sorti dell’Occidente sono nelle mani di una ragazza. E lo sono in un momento cruciale, quando Roma si trasforma da Repubblica in Impero. Senza Cleopatra ciò non sarebbe possibile, o almeno non con i risultati che riempiono le pagine dei nostri libri di storia: perché è anche a causa sua che si scatena quella lotta di potere tra Antonio e Ottaviano che lascerà alla fine un solo protagonista, Ottaviano appunto, capace di vivere e governare così a lungo da porre delle solide basi per un impero che durerà secoli.

    Ad accompagnare la ragazza che cammina silenziosa nelle sale affrescate c’è una lista infinita di titoli: regina dei re e delle regine, regina dell’Alto e del Basso Egitto, regina di Cipro… Ma oggi, a più di 2000 anni di distanza, il suo nome ancora evoca soprattutto una donna dal fascino irresistibile ed esotico, colta, indipendente, abile nel dominare gli uomini e nel conquistarli con passioni travolgenti. Ma è davvero possibile che tutto ciò possa concentrarsi in questa ragazza di appena venticinque anni?

    Cleopatra è entrata in una pergula, una sorta di balcone coperto da un’elegante grata di legno che lo separa dal mondo esterno. Le sue dita sfiorano l’intreccio di arabeschi della grata e sentono filtrare l’aria frizzante di un mattino appena iniziato, con il tipico odore fresco e penetrante. La ragazza chiude gli occhi per un attimo, riempiendosi i polmoni con un lungo respiro. Poi le sue palpebre lentamente si dischiudono ed emerge uno sguardo caldo, intenso, luminoso… come il sole della sua terra natia, quando sorge nel silenzio dei deserti senza fine dell’Egitto.

    Ora, però, riflessa nei suoi occhi e interrotta solo dal battito delle lunghe ciglia, c’è un’altra terra, e soprattutto un altro mondo. Ci avviciniamo progressivamente al suo sguardo, e l’immagine che si rivela nelle sue iridi è quella di una città enorme, al di là di un grande fiume. È Roma, come appare a chi la osserva da Trastevere, dove si trovano gli Horti Caesaris, l’ampia proprietà di Giulio Cesare che ospita la regina dell’Egitto venuta a Roma…

    Si percepisce la vastità della città, la più grande del Mediterraneo e sempre più protagonista assoluta del mondo allora conosciuto. Esattamente come lo è stato l’Egitto per tanti secoli. Ma ora le cose sono cambiate…

    Ormai siamo vicinissimi allo sguardo di Cleopatra… sempre di più… La città riflessa nei suoi occhi ora ci appare nitidissima, al punto che possiamo entrare nelle sue vie e iniziare a esplorarla.

    Roma all’alba

    Siamo nel 44 a.C., ci troviamo alla fine della Repubblica. Manca ancora un’intera generazione alla nascita e alla potenza dell’Impero romano. Ma Roma è ormai da tempo quella città caotica e cosmopolita che stupirà gli scrittori antichi e gli archeologi. E soprattutto è già bellissima.

    Un forte vento ha spazzato via le nuvole e la pioggia delle ultime ore. Il sole è appena spuntato a est e i suoi primi, timidi raggi hanno colpito il Campidoglio, illuminando il grande Tempio di Giove Capitolino, con le sue immense colonne. All’interno, accanto alle statue di Giunone e Minerva tra le quali passano in silenzio alcuni sacerdoti che preparano i riti mattutini, troneggia quella immensa del dio supremo Giove, probabilmente realizzata con avorio e oro, un vero capolavoro. In realtà tutto il tempio, con i suoi sessanta metri per lato circa, lascia con il fiato sospeso. Secondo alcune fonti, le magnifiche colonne con capitelli corinzi provengono dalla lontana Grecia; Silla le avrebbe fatte asportare addirittura dal Tempio di Zeus Olimpio ad Atene nell’86 (o 84) a.C. Un’anima greca nel cuore di Roma: prova della forza della nuova potenza, ma anche una luce del passato per il suo futuro. Questo voleva Silla. Con il sorgere del sole, le statue di bronzo dorato e i rilievi del frontone del tempio progressivamente si accendono di luce; poi, quasi all’improvviso, sembrano incendiarsi come fiaccole. Uno spettacolo grandioso e simbolico, visibile da quasi ogni punto della città.

    L’alba inonda di luce i palazzi della Città Eterna, e anima i suoi colori: quel velo grigio bluastro che l’avvolgeva fin dall’aurora scompare a poco a poco, lasciando emergere il rosso dei tetti. In questo primo respiro del giorno, Roma appare come un mare increspato, una distesa infinita fatta di tante onde che corrispondono a edifici di altezze diverse con terrazzi, abbaini, e vere scalinate di tetti in corrispondenza dei colli. E qua e là, come fiori in un prato, spiccano le sommità verdi e scintillanti dei templi, realizzate con tegole di bronzo dorato, ormai ossidato.

    Sembra una tastiera concepita da un architetto su cui la vita, quasi fosse un’abile pianista, suona la sinfonia del risveglio: ovunque s’innalzano piccole colonne di fumo bianco nell’aria frizzante, segno che qualcuno ha acceso un focolare: per preparare il cibo, per celebrare riti nei templi, per accendere i grandi forni delle terme o più semplicemente per avviare i lavori nelle botteghe.

    E poi ci sono i muri. Roma è, ancora, una città di mattoni… Sarà Ottaviano, il futuro Augusto, a trasformarla in una città di marmi, come lui stesso amerà dire. Ma si suppone che questi muri di mattoni siano ricoperti da un intonaco bianchissimo che in questi istanti, con il sole, si accende rivestendo la città di luce. Una luce che progressivamente scende nei vicoli, ancora immersi nella semioscurità, quasi fosse un vapore luminoso. In uno di questi si muove un uomo, cercando di evitare il rigagnolo che serpeggia sul fondo di terra battuta. Sopra la sua testa si sente il cigolio di ante di legno che si aprono, sbattendo violentemente sul muro (le finestre in vetro sono una vera rarità, sicuramente poco conosciute dalla plebe di Roma). L’uomo aumenta il passo. Sa bene che all’apertura delle ante corrisponde spesso lo svuotamento dei vasi da notte. Per secoli, infatti, il bagno in casa sarà un lusso in tutto l’Occidente, con l’eccezione dei ricchi, che a Roma vivono ai piani bassi, quelli nobili, dove arriva anche l’acqua, un bene prezioso che giunge solo nelle dimore di pochi fortunati (di solito famiglie dell’aristocrazia, uomini facoltosi o… con buoni agganci nell’amministrazione).

    Il popolino, invece, si ammassa nei piani alti, senza servizi né acqua corrente, in piccoli appartamenti affittati e, cosa comune nella Suburra, il quartiere più popolare di Roma, persino con le varie stanze a loro volta subaffittate (e non di rado ulteriormente parcellizzate con teli e divisori interni per consentire a persone estranee di condividere lo stesso ambiente).

    L’acqua, a Roma, difficilmente è un bene privato, ma anzi è un bene pubblico di larghissima diffusione e disponibilità: non manca mai. Bisogna però scendere a livello della strada, dove ci si trova di fronte a una miriade di fontane pubbliche strategicamente posizionate nelle vie. La distanza tra di esse non è mai eccessiva per non far fare troppa strada a chi riempie secchi e brocche da portare poi in casa: un sistema capillare di distribuzione per soddisfare la sete della più grande città del mondo occidentale.

    Già, soddisfare quasi un milione di abitanti è forse il vero segreto di Roma… Questa città verrà definita in vari modi nella storia: Caput Mundi, Città Eterna, si dirà che tutte le strade portano a Roma… Ma pochi ricordano che è stata chiamata anche Regina Aquarum, cioè regina delle acque, tanto abbondavano in epoca romana.

    Ci sarà un periodo – successivo a quello del nostro racconto – in cui, grazie a undici acquedotti, riceverà un milione di metri cubi di acqua corrente… al giorno! Una quantità che solo in epoca moderna, e precisamente nel 1964, verrà eguagliata e superata… Ma considerando che gli abitanti della Roma dei Cesari, soprattutto sotto gli Antonini, superarono di poco il milione di abitanti, mentre oggi nella Roma metropolitana ce ne sono poco più del doppio, possiamo affermare che ai tempi dell’Impero romano ogni abitante aveva il doppio di acqua pro capite rispetto a oggi.

    Il nostro uomo è arrivato alla fine del vicolo, si ferma a una fontana e beve. Poi, passandosi il dorso della mano sulla bocca, riprende il cammino, mentre alle sue spalle giunge un urlo seguito da imprecazioni in latino. Qualcuno è stato centrato dal contenuto di un vaso da notte… Oggi una scena così può fare sorridere, ma all’epoca del nostro racconto no. Anzi, è un vero reato: tra le varie leggi del sistema giuridico romano è contemplato anche questo specifico tipo di insozzamento aereo (che a tutti gli effetti è un crimine), con tanto di sanzioni a seconda del danno a tuniche, toghe e, ovviamente… alla persona colpita.

    Sebbene il sole sia sorto solo da pochi minuti, le strade sono già invase da un gran numero di persone. Sono per lo più schiavi e servi che devono sbrigare le prime incombenze della giornata, figure infagottate che camminano un po’ intirizzite nel freddo dei vicoli. Ci sono pozzanghere ovunque. In effetti ha piovuto molto stanotte, anzi, c’è stata una vera bufera, con lampi, tuoni e vento forte. Per terra e nei vicoli si vedono numerosi oggetti caduti dai tetti e dai balconi: vestiti messi a stendere e ora ridotti a stracci informi, ceste volate via, vasi di fiori (anche se può stupire, sono già ampiamente usati in epoca romana). La primavera deve ancora venire. Questione di pochi giorni.

    Una cosa appare chiara: Roma, in quest’epoca, non è ancora la città sfarzosa e monumentale che si vede nei film, o che viene raccontata nei romanzi. È più povera e semplice, sia nei monumenti sia nelle architetture, ed è ancora un po’ provinciale rispetto alla maestosità che avrà tra pochi decenni. È una città caotica e affollata, con un aspetto dimesso e un sapore vagamente medievale perché è costituita da un intrico di vicoli stretti, edifici alti, spesso un po’ pericolanti, colorati da un mosaico di panni stesi. Tra questi palazzi, per le vie in terra battuta, in mezzo a rivoli di liquami, brulica la vita e corrono i bambini con le loro risate e i loro schiamazzi… Molti criticano lo stato delle strade nella Città Eterna, soprattutto dei clivi (le strade in salita), un problema talmente sentito che lo stesso Giulio Cesare ha ordinato di farli lastricare perché giudicati eccessivamente polverosi d’estate e troppo fangosi d’inverno… Ma non accadrà mai. Oggi scopriremo insieme il perché.

    Il Colosseo non esisteva

    Forse vi stupirà scoprire che Roma, ai tempi di Cleopatra, era priva di molti dei monumenti e edifici che noi conosciamo e che pensiamo siano sempre esistiti. Milioni di turisti arrivano ogni anno a Roma per ammirarli, ma allora non sarebbero mai venuti perché… i monumenti non erano ancora stati costruiti. La lista vi sorprenderà.

    Ecco quello che Cleopatra, Marco Antonio, ma anche Giulio Cesare, Cicerone e Ottaviano, non videro mai:

    – Il Colosseo verrà inaugurato tra più di un secolo, 124 anni per l’esattezza. Ma allora, vi chiederete voi, dove combattevano i gladiatori? Per i munera gladiatoria, cioè gli scontri tra gladiatori, si innalzavano anfiteatri di legno temporanei come si fa oggi con le strutture metalliche per gli spettacoli e i concerti nelle piazze.

    – Il Pantheon sarà edificato tra 17 anni, da Agrippa, genero e fedele comandante di Augusto. Ma il suo aspetto attuale risale a un’epoca ancora più lontana da Cleopatra: danneggiato da due incendi, verrà ricostruito sotto Adriano, quindi all’incirca 160 anni dopo la giornata che stiamo descrivendo, forse dallo stesso Apollodoro di Damasco, per alcuni quasi un Leonardo dell’Impero romano, che in seguito sarà forse fatto assassinare dallo stesso Adriano.

    – Le Terme di Caracalla saranno costruite tra più di 250 anni.

    – Le Terme di Traiano vedranno la luce tra circa 150 anni.

    – Le Terme di Diocleziano apriranno tra 350 anni.

    – Tutti i Fori Imperiali saranno innalzati tra 42 (Foro di Augusto) o addirittura 156 anni (Foro di Traiano).

    – Nel Foro romano, l’Arco di Tito e quello di Settimio Severo, tanto fotografati oggi dai turisti, saranno costruiti rispettivamente tra 130 e 246 anni.

    – Le Catacombe, ovviamente, ai tempi di Cleopatra e Cesare non ci sono ancora. Nasceranno timidamente molti anni dopo, per diventare progressivamente un immenso dedalo già sotto Costantino, nel IV secolo.

    – I palazzi imperiali sul Palatino non esistono ancora. Ci sono solo alcune bellissime domus affrescate delle famiglie aristocratiche più importanti della città. Bisognerà aspettare il famoso incendio di Roma, tra 108 anni, per vedere sorgere gradualmente i grandi palazzi del potere in cui vivranno e comanderanno gli imperatori romani.

    – La Domus Aurea comparirà tra più di un secolo, per scomparire nel giro di pochi decenni.

    – Non ci sono obelischi nei circhi e nelle piazze. Si trovano ancora in Egitto, e sarà Augusto a portare i primi due a Roma con immense navi costruite appositamente.

    Viceversa, a Roma in questa giornata del 15 marzo del 44 a.C., giorno della morte di Giulio Cesare, esistono monumenti e manifestazioni pubbliche che forse Cleopatra vide (anche se non è chiaro se, in quanto regina straniera, potesse circolare all’interno del Pomerio, cioè nel cuore sacro di Roma), ma che in epoca moderna non ci sono più:

    – Una naumachia, voluta da Cesare al Campo Marzio pochi anni prima.

    – Il Tempio di Venus Genetrix (Venere Genitrice) e l’annessa zona sacra (con una statua di Cleopatra all’interno, di fronte alla statua della dea).

    – La Basilica Iulia, i cui lavori però non erano completamente terminati.

    – Si poteva ammirare una quantità impressionante di statue di bronzo razziate in Grecia, di una bellezza paragonabile a quella dei Bronzi di Riace, di cui oggi si conservano in vari musei solo poche splendide copie in marmo di epoca romana più tarda, spesso danneggiate. In particolare, nel portico di Metello (in seguito chiamato portico di Ottavia in onore della sorella di Augusto) c’era un magnifico gruppo che raffigurava Alessandro Magno al galoppo con venticinque dei suoi cavalieri, caduti nel 334 a.C. nella battaglia del fiume Granico, andato distrutto e rifuso all’inizio del Medioevo.

    – Immense collezioni di gemme incise e di coppe scolpite in pietra dura, portate a Roma da Pompeo e dallo stesso Cesare, come per esempio la Tazza Farnese (o Tazza dei Tolomei).

    La Roma che conobbero Cesare, Marco Antonio e Cleopatra tuttavia esiste ancora, e potete ammirarne edifici, templi e monumenti rimasti in piedi per secoli (sebbene leggermente modificati nel corso delle generazioni dai romani stessi):

    – Il Circo Massimo (anche se nel 44 a.C. è meno capiente e imponente).

    – Il Foro romano con molti suoi templi, compreso il Tempio di Vesta, dove è custodito il fuoco sacro di Roma.

    – Il Foro di Cesare, inaugurato da poco dal dittatore.

    – Il Campidoglio con il Tempio di Giove Capitolino.

    Insomma, la Roma nella quale ci troviamo è diversa da quella che abbiamo in mente quando pensiamo all’età classica, ed è importante sottolinearlo, perché gli eventi ai quali assisteremo nel nostro racconto si situano in un momento per così dire formativo di Roma, che non è ancora sbocciata nella Storia: non ha ancora dato origine a un impero, però ha già sottomesso ampie aree geografiche trasformandole in province. Benché sia già il centro politico del Mediterraneo, non ha ancora il ruolo di motore culturale, economico e civile che tutti le riconosceranno. Lo acquisirà alla fine del nostro racconto: da quel momento in poi inizierà il processo che, passando dal Principato di Augusto, farà nascere l’Impero romano. Ma senza il contenuto delle pagine che ci separano da esso, la Storia sarebbe stata ben diversa. Si tratta di un momento critico e fondamentale per tutto l’Occidente, e chissà come sarebbe il mondo oggi, senza i protagonisti di questo volume: Giulio Cesare, Ottaviano, Marco Antonio e, naturalmente, Cleopatra, la donna che unì i loro destini e determinò le sorti di Roma. E del mondo.

    La città si sta svegliando

    Continuiamo il nostro percorso nelle strade di Roma seguendo l’uomo sbucato dal vicolo. Si è appena imbattuto in un gruppo di persone che discute animatamente a un incrocio: due carri cercano di passare ma si ostacolano a vicenda. È un banale problema di precedenza, ma gli animi dei carrettieri sono roventi e volano urla e insulti. Intorno a loro si è radunata una piccola folla che assiste divertita. È uno dei classici spettacoli di strada della vita moderna, ma che già si vedevano ai tempi di Cleopatra. E c’è una ragione. Visto l’affollamento di Roma, Cesare ha vietato il transito dei carri durante il giorno, trasformando di fatto la Città Eterna in un’immensa zona pedonale. Tutti i mezzi che riforniscono botteghe, negozi, palazzi ecc. sono obbligati a circolare per le strade di notte, togliendo il sonno a chi vive ai piani bassi, con i cigolii delle ruote e le imprecazioni di chi li conduce. Come sta accadendo in questo momento: entrambi i carrettieri non demordono, perché cercano di affrettare la loro uscita dalla città entro le prime luci del giorno per evitare multe e sanzioni.

    Il nostro uomo passa di lato alla folla, fiancheggia furtivo il muro di un palazzo e si allontana. È alto, magro, con le guance scavate e occhi infossati dallo sguardo penetrante. La folta barba nera che gli scende sul petto ci dice che è un filosofo. Un filosofo greco, per l’esattezza: il suo nome è Artemidoro di Cnido. Da molti anni insegna a Roma la lingua, ma anche la filosofia e la letteratura, del suo paese d’origine. Sappiamo dallo storico Appiano, anche lui greco, che quest’uomo all’apparenza anonimo è in realtà un amico fraterno di Giulio Cesare. La sua presenza in queste strade ci è nota anche grazie a un altro scrittore e filosofo greco dell’antichità, Plutarco. Quest’uomo, che cammina in una via della città che tra poco dall’alto sembrerà un formicaio, non è un abitante qualunque. Anche se ci mancano le fonti, è assai verosimile che in questo preciso momento lui abbia in mano un rotolo di papiro su cui sono scritte poche righe che potrebbero cambiare la storia del mondo antico e di tutto l’Occidente per i secoli a venire…

    Sembra di essere in un romanzo di intrighi internazionali: davvero quel piccolo rotolo contiene una sliding door tra le più importanti della storia della civiltà? Continuiamo a seguire Artemidoro.

    La città si sta svegliando attorno a lui. Sembra di assistere alla preparazione di uno spettacolo, con le maestranze che allestiscono la scena. Ecco un negozio che apre i suoi battenti. Sì, i battenti. Non esistono vetrate o serrande di metallo: ogni bottega (o taberna) viene chiusa da dentro con una serie di tavole di legno messe in verticale e tenute ferme da un lungo chiavistello. Il cigolio del chiavistello arrugginito è un rumore ormai familiare a chiunque abiti nelle vicinanze, così come quello delle tavole sollevate e poi appoggiate pesantemente al muro ai lati del negozio. Un suono che si trasforma in una piccola nuvola di polvere.

    Passandoci davanti, Artemidoro lancia una rapida occhiata all’interno e nell’oscurità scorge un padre con due figli che cominciano a esporre all’esterno della taberna le mercanzie, in questo caso coloratissimi tessuti. Il più piccolo dei figli s’inerpica con incredibile agilità su una lunga asta di bronzo per appendere alcuni cuscini al soffitto. È chiaramente la taberna di un commerciante di stoffe, in grado di fornire qualsiasi tipo di teli, coperte e cuscini, e … anche le sete più rare e raffinate giunte dall’Oriente, come ama dire il padrone, che in questo momento è in fondo alla bottega. Si intravede solo il suo volto, illuminato dal chiarore di una lucerna. L’uomo sta recitando le preghiere mattutine mentre offre vino e cibo a delle piccole statuette in bronzo collocate all’interno di una nicchia. Quella nicchia ornata da piccole colonne di legno è il Larario, una sorta di tempietto casalingo, di importanza cruciale per la vita di tutti i giorni dei romani. Con quelle offerte ci si garantisce la protezione degli dei Lari contro furti, incendi, malattie e negatività.

    Non è un caso infatti che spesso, appesi, dipinti o persino scolpiti sul selciato davanti a un negozio si vedano dei falli eretti. Non sono indicazioni per un lupanare, cioè una casa di tolleranza, come a volte si sente dire. Si tratta in realtà di semplici portafortuna, che proteggono la salute, danno energia vitale, richiamano buoni guadagni e soprattutto allontanano come parafulmini le invettive dei passanti o… degli altri negozianti invidiosi. Capita, come in questo caso, che una delle statuette del Larario rappresenti Mercurio, divinità protettrice di commercianti, ma anche… dei ladri. Spesso, in queste vie, la differenza è davvero sottile.

    Artemidoro prosegue per la sua strada. Il negozio successivo è quello di un vasaio, con anfore, piatti dipinti e brocche che vengono delicatamente esposti su tavoli e sgabelli di legno all’entrata. Spicca tra i vari oggetti anche quello splendido genere di ceramica chiamata sigillata, la cui decorazione dona a coppe e piatti una patina lucida e un tipico colore rosso vivo. Queste eleganti stoviglie, realizzate in serie a stampo con delle matrici, sono decorate con raffinati motivi in rilievo grazie a una tecnica oggi chiamata "alla barbotine", che consiste nell’applicazione con un pennello o una spatola di argilla diluita, in modo da creare piccoli grumi o onde increspate, e sono l’equivalente in epoca romana delle ceramiche di Capodimonte o di Sèvres. Ogni famiglia perbene le possiede: è il servizio buono da esibire agli ospiti. Cleopatra le avrà mai utilizzate? Probabilmente sì, considerandole però ogni volta dozzinali, abituata com’era a piatti in argento, coppe e bicchieri in alabastro o vetro e a un tenore di vita ancora più alto e lussuoso.

    Un fragore improvviso fa girare la testa ad Artemidoro. Uno schiavo ha sbadatamente fatto cadere una brocca. La reazione del padrone è brutale: una valanga di frasi intraducibili anticipa di pochi secondi una gragnola di schiaffi e calci… a ricordarci quanto sia violenta questa società rispetto alla nostra. La chiamiamo civiltà (per quanto antica), e lo è, perché mai nella storia dell’umanità si era raggiunto un livello così elevato di organizzazione sociale e raffinatezza artistica e culturale. Ma rispetto a oggi, in tanti settori, soprattutto legati alla libertà e ai diritti delle persone, sa essere ancora molto rozza e crudele con gli ultimi, gli schiavi. E non solo loro. In questa epoca la pedofilia, la schiavitù, la pena di morte, i massacri alle frontiere sono considerati cose normali e non fanno scandalo o notizia…

    Artemidoro affretta il passo e continua questo suo viaggio nelle atmosfere della Roma di Cesare e Cleopatra che si sta risvegliando con il nuovo giorno. Ad accoglierlo dopo pochi metri è un tonfo sordo. E poi un altro, e un altro ancora. Un macellaio ha appena affondato una serie di colpi di mannaia su di un ceppo di legno a tre piedi per separare le costole di un bue. Ogni colpo della mannaia lucente è accompagnato da uno svolazzare spaventato di galline tenute legate poco distanti dall’uomo. Forse intuiscono il loro destino… In fondo alla bottega, superata una distesa di teste di maiali, nugoli di mosche e agnelli appesi, c’è una donna seduta. È la moglie del macellaio, che, in attesa del primo cliente, pulisce un grande pallottoliere. Nella Roma Antica, infatti, sono quasi sempre le donne a tenere la contabilità dei negozi e a occuparsi della cassa, sicuramente perché molto accorte nei conteggi e soprattutto più affidabili dei loro mariti nella gestione dei sesterzi.

    Artemidoro fa una smorfia e con un gesto allontana le mosche della macelleria, prima di attraversare la strada. Ora ad avvolgerlo è il profumo pungente delle spezie esposte nella taberna che ha di fronte, una carezza per i suoi sensi… ma mai quanto quella del pane appena sfornato che lo accoglie nell’esercizio successivo. È una popina, cioè il tipico bar dell’epoca romana. Se ne vedono ancora ai giorni nostri, in siti archeologici come Ostia e Pompei, con il caratteristico bancone in muratura a L e gli ampi fori sulla superficie. Molti vi diranno che quei fori corrispondevano a giare che contenevano vino, ma non è così: il vino, e Artemidoro potrebbe confermarlo anche adesso, è contenuto in anfore allineate lungo il bancone. Da quei fori il negoziante attinge invece legumi secchi, grano, farro, e altri cibi che vengono venduti ai clienti. All’epoca, dunque, i bar erano anche negozi di alimentari, dove si poteva bere e acquistare cibo.

    Alcuni avventori stanno sorseggiando vino caldo e mangiando uova sode e focacce con il miele. È una sorta di continental breakfast dell’Antica Roma. Bisogna ricordare che la prima colazione di un romano è sempre molto abbondante e, a seconda delle tasche, comprende latte, carne o formaggi, vino e frutta, ingredienti che contengono l’energia necessaria per cominciare la giornata. Una giornata che inizia presto, all’alba, per sfruttare tutta la luce disponibile.

    Quest’uomo può cambiare la Storia

    Artemidoro non si ferma nella popina ma prosegue. Non ha fame, è molto teso e concentrato sulla propria meta. Le mani sudano, la gola è secca, i sensi sono tesi al massimo. Sceglie vicoli e scorciatoie, evita i luoghi troppo affollati. Spesso si gira all’improvviso per controllare di non essere seguito, prima di infilarsi con passo veloce in passaggi secondari. Ha un unico scopo: deve assolutamente recapitare il messaggio il prima possibile e senza essere intercettato. È una questione di vita o di morte. Ma a chi lo deve dare? E cosa c’è scritto di tanto importante in quel rotolo, chiuso con un sigillo? Se recapitarlo è così urgente, perché non l’ha fatto consegnare da uno schiavo fidato e veloce? Ebbene, il rischio è che lo schiavo possa essere catturato e il messaggio letto, cosa che significherebbe la morte dello stesso Artemidoro, e soprattutto quella della persona cui è indirizzato.

    Abbiamo detto che quelle righe potrebbero cambiare la Storia, ma cosa c’è scritto realmente di così importante?

    Il messaggio, che secondo Appiano non solo è realmente esistito, ma la mattina del 15 marzo del 44 a.C. si trovava proprio nella mano di Artemidoro, ha un solo obiettivo: salvare Caio Giulio Cesare.

    In quelle poche righe il filosofo avverte l’amico che qualcuno sta tramando alle sue spalle e cercherà di ucciderlo durante la riunione del Senato. Forse fa anche i nomi di alcuni dei congiurati, sperando che Cesare eviti di farli avvicinare, o forse semplicemente lo prega di non partecipare all’assemblea. Non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che se questo messaggio giungesse a destinazione e Cesare lo leggesse, l’assassinio delle Idi di Marzo potrebbe essere sventato, con conseguenze incalcolabili, e certamente profonde per tutti i secoli a venire.

    Raramente, nel corso dei millenni, un solo uomo ha potuto stringere nella sua mano una svolta così importante per la storia e il destino di così tante persone nei secoli… Quel rotolo è come una chiave che può aprire due tipi diversi di scenari: la storia senza Cesare, come la conosciamo noi, oppure la storia con Cesare e, di conseguenza, senza lo scontro tra Ottaviano e Antonio, senza l’amore tra Antonio e Cleopatra, che sarebbe rimasta la compagna di Cesare e di certo avrebbe ottenuto dai romani il rispetto per il Regno d’Egitto, che dunque non sarebbe diventato una provincia di Roma. Non ci sarebbe stata, quanto meno nell’immediato, l’ascesa di Ottaviano, niente nome-attributo di Augusto, niente nascita di un impero creato pazientemente e saggiamente, con lo sviluppo del cursus publicus (l’efficientissimo servizio postale creato in epoca imperiale), una rete di 80.000 chilometri di strade che ancora oggi utilizziamo, e nemmeno le sue leggi e riforme. Avrebbe potuto farlo qualcun altro al posto di Augusto? Forse, ma non come lui, che grazie alla sua straordinaria longevità (è morto a settantasette anni, una rarità anche se non un’eccezione) ha avuto tutto il tempo per edificarlo con cura.

    Cesare invece, che è già avanti con gli anni, non avrebbe avuto tutto quel tempo a disposizione. A parte questo dettaglio, se fosse vissuto, il suo sarebbe comunque stato un mondo diverso, forgiato dalle sue riforme e dalla sua forza.

    Chissà come saremmo oggi…

    Di certo in queste ore sta per entrare in azione un potente motore della Storia, con un effetto domino che scolpirà i secoli a venire, le future generazioni e, in definitiva, persino la vita di ognuno di noi oggi… Perché se le cose fossero andate diversamente il 15 marzo del 44 a.C., voi e io probabilmente non saremmo mai nati…

    È davvero incredibile pensare che quel filosofo greco tenga tra le mani sudate, letteralmente, il destino di miliardi di persone non ancora nate… È semplicemente pazzesco.

    Dai libri di storia sappiamo come sono andate le cose e, viste le ventitré pugnalate che verranno sferrate tra poche ore, dovremmo concludere che Cesare non riceverà mai quel messaggio. Ma le cose non andranno proprio così… Anzi, Artemidoro riuscirà nella sua missione e consegnerà a Cesare quel rotolo. Quello che accadrà poi ha dell’incredibile.

    La toilette di Cleopatra

    Le palpebre di Cleopatra sono chiuse. Si contraggono solo un po’ quando la sua acconciatrice, Eiras, appoggia delicatamente il bastoncino d’oro per disegnare con il kohl quella lunga linea nera che dagli occhi prosegue fin sulle tempie, forse il tratto più famoso e distintivo del trucco egizio. Il movimento è lento ma deciso, quasi armonioso. Il bastoncino scivola sulla palpebra inferiore, poi continua sulla pelle. Ripete il gesto più volte, fino a creare una perfetta striscia scura, senza sbavature. Eiras è certamente uno degli assi nella manica di Cleopatra: allungati con il kohl, che ha eliminato o nascosto ogni imperfezione, gli occhi sembrano ora incastonati nel nero, come una luna piena nel cielo notturno. E quando la regina li riapre, il suo sguardo già affascinante ha acquisito una potenza sorprendente.

    È stato detto che se Cleopatra avesse avuto un naso più corto, la faccia della terra sarebbe stata diversa (intendendo la sua storia). Scopriremo la verità sul naso della regina più in là nel nostro racconto. Certo è che questo trucco egizio, così pesante e intrigante, è un segreto silenzioso (e poco citato), forse ancora più determinante per il fascino e il sex appeal di Cleopatra, diventati leggendari.

    Eiras è la migliore truccatrice della corte egizia e forse è anche qualcosa di più, visto il contatto quotidiano con Cleopatra: probabilmente è una donna che sa ascoltare e che raccoglie le sue confidenze mantenendo il segreto. Sappiamo infatti che la regina la vorrà sempre al suo fianco. Sarà presente tra qualche anno nella famosa battaglia di Azio e continuerà a esserle accanto, silenziosamente, fino alla fine: Cleopatra morirà tra le sue braccia. È quindi assai probabile che si trovi anche qui a Roma insieme a lei.

    Ma come si trucca una regina? Qual è la sua toilette?

    Non differisce fondamentalmente da quella di tutte le altre donne egizie (se non per la qualità dei cosmetici, dei profumi e degli strumenti, la più alta e costosa dell’epoca). In Egitto, le donne usano creme per il viso composte da grassi naturali ai quali viene aggiunto del pigmento naturale (l’equivalente delle terre) per dare un tocco di colore alla pelle. Al contrario di oggi, si cerca di mostrare una pelle non abbronzata: deve essere chiarissima. Questo comporta l’uso di un fondotinta candido a base di particolari varietà di crete. Va detto che le sostanze grasse sono l’ingrediente fondamentale dei loro cosmetici. Possono essere di origine vegetale (a base di olio di ricino, di lino, o di oliva) ma sono molto costose, oppure di origine animale, più alla portata di tutti. Per le tinte si usano pigmenti naturali, quasi sempre di origine minerale: il blu deriva dall’azzurrite, il verde dalla malachite, il nero da sostanze bruciate o da un minerale, il giallo e il rosso dall’ocra ecc. Questi vengono sbriciolati, polverizzati e mescolati al grasso su piccole tavolozze di legno o avorio. Proprio come fa ogni mattina Eiras. Il tutto viene poi delicatamente spalmato con piccole palette. Sulle gote si usa di solito dell’ocra, che dà calore e vitalità al volto, così come sulle labbra. Già, com’era fatto il rossetto di Cleopatra e delle donne egizie? Scordatevi il piccolo contenitore cilindrico con il movimento a vite che si vede ai giorni nostri. Il papiro erotico conservato al Museo Egizio di Torino mostra una donna nell’atto di mettersi il rossetto: usa un lungo stilo, forse un lungo pennello, per umettarsi le labbra.

    Gli strumenti per il trucco infatti non sono da portare in borsetta (che non esiste). Sono meno pratici rispetto all’epoca moderna, perché si usano a casa, la mattina. Il nécessaire è una cassettina di legno, con l’esterno dipinto e decorato per personalizzarla e all’interno dei divisori dove alloggiano boccette di vetro per unguenti, oli, cosmetici vari e profumi…

    Cleopatra è seduta, immobile, mentre Eiras, aiutata da alcune ancelle, la prepara per questa giornata che sembra come tante altre; nessuno sa che oggi la storia del mondo antico cambierà per sempre… Loro intanto proseguono nella preparazione, che è laboriosa. Cleopatra ha la mano allungata su un tavolino: una serva le sta delicatamente dipingendo le unghie. Una donna egizia porta le unghie laccate come oggi, ma quale sostanza utilizza? Sarete sorpresi: l’henné…

    Sono tante le curiosità dietro la cosmetica egizia. Il suo scopo infatti non è solo estetico, ma anche protettivo. Le creme servono anche e soprattutto per proteggere la pelle dal sole intenso dell’Egitto e dal suo clima aridissimo.

    Un esempio emblematico è il kohl: è probabilmente realizzato con legno bruciato, grasso e antimonio, che è un disinfettante, un antisettico naturale che difende l’occhio da aggressioni batteriche, micosi e parassiti e lo protegge anche dalle conseguenze delle irritazioni causate dal sole e dal vento carico di polvere del deserto.

    La cosmesi per gli egizi, quindi, è soprattutto e innanzitutto protezione per il corpo.

    Si comprende così un altro aspetto legato alla cura intima. Se vi chiedete come si sia presentata Cleopatra a Cesare, la prima notte, possiamo dirlo con certezza anche se nessun testo o autore antico lo ha scritto: aveva il corpo totalmente depilato. L’abitudine di eliminare qualsiasi pelo dalla superficie del corpo (tranne capelli, ciglia e sopracciglia, ovviamente) è frutto della ricerca di una maggior igiene possibile, togliendo terreno fertile a parassiti di ogni tipo. Piccoli pettini dai denti finissimi, trovati nelle tombe egizie come anche a Pompei, ci raccontano quanto nell’antichità (e fino a oggi) la lotta ai pidocchi sia stata una costante. La presenza di lame taglienti piccole e grandi, o di piccole pinzette elaborate, come quelle rinvenute intatte nella famosa tomba di Kha, il cui contenuto straordinario è esposto al Museo Egizio di Torino, fa capire che questa abitudine era diffusa in tutte le classi sociali. La presenza di un vasetto che contiene ancora della cera al suo interno suggerisce l’uso di sostanze emollienti da spalmare sul corpo dopo la rasatura.

    Va detto che anche le donne romane si depilavano abitualmente, mentre gli uomini solitamente non lo facevano (sebbene si radessero ogni giorno la barba)… tranne Ottaviano: Svetonio ricorda la sua abitudine di bruciare i peli del corpo con delle noci arroventate per avere la pelle liscia. Una consuetudine un po’ curiosa per un uomo abituato in un certo periodo anche alla rude vita militare.

    La cosa interessante è che il trucco e la cosmesi per una donna e un uomo egizio sono unisex: entrambi si truccano e si depilano, ed entrambi usano parrucche.

    È proprio quello che sta accadendo ora a Cleopatra. A suggello di questa lunga ed elaborata sessione di trucco (ancora di più per una sovrana come lei) giunge il momento di indossare la parrucca. Lei, che è greco-macedone, di solito non porta la classica parrucca egizia, ma in questo caso, per rispetto alla tradizione, alla religione, e (anche) alla potente casta dei sacerdoti, lo farà, dato che deve celebrare un rito. Cleopatra, infatti, tra tutte le sovrane tolemaiche è quella più vicina al popolo e alla cultura egizia, anche se forse più per calcolo che per convinzione.

    Un’ancella porta una grande cassetta di legno che, una volta aperta, rivela al suo interno una voluminosa parrucca nera che viene estratta con delicatezza. Si diffonde nell’ambiente una forte fragranza di oli profumati. È fatta di capelli veri, nerissimi e lucenti, ordinatamente riuniti in fini ciocche ondulate che scendono su ogni lato come getti di una fontana e terminano con una piccola treccia strettissima e quasi solida, per dare peso alla parrucca e impedirle di svolazzare al vento.

    La parrucca è acconciata per formare tre grandi porzioni: una scende dietro, sulla nuca, fermandosi all’altezza delle scapole, le altre due scendono ai lati della testa, dietro le orecchie, fermandosi sul petto sopra i seni. È proprio questa disposizione tripartita a darle maggiore stabilità. Per secoli, in Egitto tutti, uomini e donne, ne hanno indossata una simile; diversa, certo, a seconda delle possibilità economiche. Sotto si nascondono i capelli veri, che potete solo immaginare: lisci, ricci, lunghi, cortissimi (un’abitudine molto diffusa) o totalmente rasati. Naturalmente, nella vita di tutti i giorni si portano anche i capelli liberi, pettinati in modi diversi e sempre curati con impacchi d’olio.

    Ci siamo, la parrucca è stata posizionata delicatamente sul capo della regina e ritoccata con pettini in avorio e spilloni dorati. C’è un ultimo momento dedicato ai profumi, che vengono aspersi sul capo e sulle vesti, oltre a qualche goccia sul collo. Termina così una lunga operazione, iniziata con la scelta delle vesti da parte delle sue serve di fiducia, che si ripete ogni giorno, da anni…

    Cleopatra si guarda nello specchio in bronzo levigato che Eiras le tiene davanti. Un piccolo sorriso malizioso sboccia involontario sul suo volto… È pronta. Può affrontare la giornata.

    Una simpatica canaglia

    Cleopatra si alza e si incammina in un porticato, con un passo diverso rispetto a quello della mattina: è più regale, e chiunque la incontri si inchina silenzioso. La regina è scomparsa oltre una porta, lasciandoci, al di là delle arcate del portico che ha attraversato, la splendida vista del maestoso Colle del Campidoglio in lontananza. Ai suoi piedi c’è il Foro e, su un lato, una grande domus, dove in questo stesso istante uno schiavo attende che il suo padrone esca dalla stanza da letto. Ha per lui un vassoio in argento con una coppa di vino e un preparato medico che deve assumere ogni mattina. Per tutta la notte il padrone ha russato rumorosamente, dopo una serata passata tra risate e fiumi di vino a un banchetto. Ama circondarsi di persone di dubbia reputazione, amanti della bella vita, con cui passa a volte intere nottate. Di certo ha fatto sesso con una donna, non importa quale. E, sebbene sia sposato, è uno stile di vita che ormai lo accompagna da tempo.

    Ha destato scandalo, in passato, una sua love story con una soubrette molto chiacchierata, Licoride, attrice di mimo nota anche con il nome di Citeride, bomba sexy, frequentatrice dei salotti e soprattutto degli uomini che contano… Per lei, ne parleremo più avanti, ha davvero perso la testa: andavano addirittura in giro insieme per Roma in lettiga preceduti dai littori. È stato lo stesso Giulio Cesare a chiedergli di cambiare rotta, vista la sua carica di console. Cosa che lui ha fatto.

    Cicerone lo definisce gladiatore, perché ritiene che il suo sviluppo muscolare abbia assorbito buona parte dell’energia dedicata in teoria al cervello. E lui stesso gioca molto sulla prestanza fisica, esponendo un petto ampio e muscoloso, ma anche un sorriso solare, disarmante e dalle rughe accattivanti, grazie al quale le sue donne e i suoi amici gli perdonano tutto. Potremmo definirlo… una simpatica canaglia.

    Il suo nome è Marcus Antonius, Marco Antonio. Ma noi lo chiameremo indistintamente Antonio o Marco Antonio.

    Lo schiavo di fronte alla sua porta abbassa la testa scuotendola e, sconfortato, se ne va…

    La casa del console è davvero grande. Si trova accanto a quella di Cesare, sul Colle Velia, un piccolo rilievo, assente in epoca moderna, compreso tra il Palatino e il Colle Oppio (oggi scomparso per permettere la costruzione della Via dei Fori Imperiali). Si estende su oltre 2200 metri quadrati. Secondo Andrea Carandini si trattava di una dimora cospicua se paragonata ad una abitazione contemporanea di medie dimensioni del Palatino, comprese tra i 915 e i 1340 metri quadrati. Eppure il suo padrone, Antonio, si è lamentato delle dimensioni appena l’ha acquisita, ritenendole non sufficienti per lui, e l’ha fatta ingrandire.

    Ha un grande giardino interno circondato da un elegante porticato a colonne (il peristilium) lungo addirittura 86 metri: è una vera reggia nel cuore di Roma. La parte centrale di questo giardino interno svela un lato della personalità di Antonio. È stata trasformata in palestra per l’esercizio fisico. E non è finita.

    Dal quadriportico si accede alla parte della domus destinata alla cura del corpo, con un esteso balneum dotato di sauna privata (laconicum)…

    Questa bellissima

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