Seduzione al primo sguardo: Harmony Collezione
By Julia James
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About this ebook
Quando Cesare scopre le conseguenze di quell'incredibile notte, decide di reclamare ciò che è suo. Carla però non è una donna disposta a lasciarsi comprare, e tutti i suoi stratagemmi di seduzione con lei sembrano non sortire più alcun effetto. Forse, l'unico modo per averla accanto a sé all'altare è aprirle il proprio cuore una volta per tutte.
Julia James
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Seduzione al primo sguardo - Julia James
successivo.
1
Per la centesima volta Carla controllò l'ora guardando verso l'entrata del ristorante affollato. Dov'era? Fu colta dall'ansia e da un'emozione ancora più forte. Non avrebbe mai immaginato di provare qualcosa del genere per l'uomo che stava aspettando.
D'accordo, aveva pensato di provare qualcosa la prima volta che l'aveva visto.
Adesso, però, desiderava disperatamente posare di nuovo gli occhi su di lui... vederlo entrare, con quel passo deciso ed elegante, con l'aria di chi ha la certezza di poter fare ciò che vuole, che per lui ci sarebbe sempre stato spazio, che la gente si sarebbe scostata per lasciarlo passare, che nessuno si sarebbe mai sognato di negargli qualcosa... qualsiasi cosa.
Lei non gli aveva negato niente... gli aveva concesso tutto, tutto ciò che lui aveva voluto da lei.
Ricordi brucianti l'assalirono. Fin dal primo momento in cui quegli occhi color della notte si erano posati su di lei, studiandola, desiderandola, era stata persa. Più che persa. Si era data a lui con l'assoluta convinzione che fosse l'unico uomo che potesse avere un impatto del genere su di lei. Quel preciso momento era impresso nella sua mente. Nella memoria e nel corpo che, all'improvviso, era stato avvolto in una fiammata. Nel cuore.
Ricordi che ancora ardevano implacabili dentro di lei...
La galleria d'arte era gremita di persone della Roma bene, champagne e tramezzini venivano offerti mentre Carla si aggirava tra gli ospiti, mormorando qua e là parole di circostanza.
Mentre prendeva un bicchiere di champagne, Carla sapeva di essere una di loro. Non certo per nascita, ma in quanto figliastra del multimilionario Guido Viscari poteva frequentare l'alta società come in quel caso.
L'abito da cocktail di seta blu scuro di una stilista famosa aderiva alla sua figura in modo perfetto e sicuramente stava alla pari con quelli delle altre ospiti. Anche il viso, per quanto ne sapeva, era all'altezza. I tratti tendevano al teatrale, con occhi che potevano mandare lampi e labbra piene che tradivano un'innata sensualità.
Era un viso che attraeva l'attenzione maschile, e adesso lo percepiva... soprattutto perché era da sola. A differenza delle altre ospiti, aveva un buon motivo per partecipare a quel ricevimento.
Da tempo ormai era abituata all'esame minuzioso che le riservavano gli uomini italiani. Dieci anni prima era rimasta sconcertata in quanto, da adolescente inglese, era ignara dello stile di vita italiano. Poi, però, era cresciuta. Adesso quasi non si rendeva conto delle occhiate sfacciate di apprezzamento.
Salvo che... S'irrigidì all'improvviso, il bicchiere di champagne a mezza strada dalle labbra. Qualcuno la stava osservando. Qualcuno il cui sguardo percepiva su di sé come una carezza. Qualcuno che la rendeva il centro della propria attenzione.
Alzò gli occhi e lo guardò.
Era appena entrato nella galleria. La receptionist al bancone gli stava ancora sorridendo, ma lui la ignorava e guardava deciso in una direzione precisa. Carla provò un brivido, come se fosse stata colpita da una scossa, e notò che il suo sguardo era focalizzato proprio su di lei.
Le mancò il respiro, la gola si chiuse. Provò un'improvvisa vampata di calore, perché chi la stava osservando era l'uomo più fantastico che avesse mai visto.
Era alto, con spalle ampie, i tratti decisi che attirano l'attenzione. Naso affilato, capelli scuri come la notte, così come gli occhi, una bocca sensuale piegata in una smorfia che le provocò strane emozioni.
Emozioni sconosciute...
Il calore nel corpo s'intensificò. Si ritrovò bloccata, come se qualsiasi movimento le fosse impossibile, come se fosse stata intrappolata.
Quanto a lungo l'avesse studiata, non avrebbe saputo dirlo, sapeva soltanto che era stato per un tempo interminabile.
I polmoni cominciarono a risentire della mancanza di ossigeno. Poi, all'improvviso, si rilassò. Qualcuno si era avvicinato allo sconosciuto per salutarlo con calore e i suoi occhi l'avevano lasciata, il viso si era voltato dall'altra parte.
Ancora scossa, trasse un profondo respiro.
Cosa le era successo?
La domanda le bruciava. Come poteva un solo sguardo provocare una reazione del genere? Avere su di lei un tale effetto?
Con uno scatto si portò il bicchiere alle labbra per il bisogno di qualcosa di fresco. Si allontanò costringendosi a fare ciò che era venuta a fare: studiare i ritratti che erano il soggetto dell'esposizione.
Alzò gli occhi su quello che aveva di fronte a sé.
E subito provò uno shock.
Stava fissando - ancora una volta - un paio di occhi scuri come la notte. Gli stessi occhi.
Provò di nuovo un brivido. Gli occhi del ritratto parevano sottoporla allo stesso scrutinio cui l'aveva sottoposta l'uomo accanto alla porta.
Distolse gli occhi dal viso che la guardava dal ritratto e osservò la targhetta alla base. Non aveva bisogno di leggere. Sapeva perfettamente chi fosse l'artista.
Andrea Luciezo che, con Tiziano, era uno dei più affermati pittori del Rinascimento. La sua abilità nel catturare l'essenza di coloro che avevano posato per lui - i ricchi, i potenti, gli uomini che avevano avuto il controllo dell'Italia del Sedicesimo secolo, le donne che erano state loro accanto - aveva fatto sì che apparissero vibranti, reali, quasi fossero riportati in vita.
Ritornò dal nome dell'artista agli occhi del soggetto del ritratto e annuì. Certo, naturalmente.
Osservava tutti coloro che lo guardavano con occhi scuri, socchiusi, calcolatori. Studiò i tratti del viso, i capelli scuri lunghi fino al collo, la barba che non riusciva a celare la linea sensuale della bocca, il ricco farsetto di velluto nero, la collana d'oro sul petto che mandava bagliori.
Era un uomo, e l'artista lo sapeva, il cui ritratto doveva esprimere la superiorità rispetto ai comuni mortali. C'era dell'arroganza in quello sguardo velato, nell'angolatura del capo, nella posizione delle spalle. Era un uomo al quale il mondo avrebbe obbedito, non importa cosa avesse richiesto...
Alle proprie spalle udì una voce, una voce che le provocò di nuovo quel rimescolio interiore. «Allora» disse mentre lei era immobile di fronte al ritratto, «cosa ne dice del mio antenato, il Conte Alessandro?»
Carla si voltò, alzò gli occhi e incontrò la versione vivente di quello sguardo che l'aveva paralizzata attraverso i secoli, la versione vivente che l'aveva paralizzata solo pochi momenti prima e la stava paralizzando anche adesso.
Cesare di Mondave, Conte di Mantegna.
Il proprietario di quel ritratto senza prezzo del proprio antenato, e di molto altro. Un uomo di cui si diceva che vivesse con lo stesso stile di vita dei propri antenati, come se il mondo gli appartenesse. Un uomo al quale nessuno diceva mai di no e al quale ogni donna che avesse ricevuto un suo sguardo avrebbe detto una cosa sola.
Sì.
E Carla incontrò quello sguardo, ne percepì l'impatto, il potere e la violenza, sapendo con un certo fatalismo che anche per lei sarebbe stato così.
«Be'?»
Carla si rese conto di dover dire qualcosa... le era stato imposto di rispondere. Perché a quell'uomo si doveva solo obbedire.
Tuttavia non gli avrebbe obbedito subito. Come minimo, l'avrebbe sfidato.
Deliberatamente guardò di nuovo il ritratto. «Un uomo del suo tempo» rispose alla fine.
Come tu sei un uomo del tuo tempo.
Le parole si formarono nella mente. No. L'attuale Conte di Mantegna non era un uomo del Ventunesimo secolo! Lo si notava da ogni tratto austero. Tradiva il proprio antico lignaggio in quel modo inconsapevole di alzare il mento alla sua risposta, in quel suo aggrottare le sopracciglia.
«Cosa vuole dire?»
Di nuovo la domanda richiedeva una risposta immediata.
Carla guardò ancora il ritratto, raccogliendo le idee per dare una giustificazione alla risposta. «Ha la mano sull'elsa della spada» cominciò, «è pronto a uccidere chiunque gli rechi offesa. Si sottopone all'esame di chi non potrà mai essergli alla pari. Si nota la sua arroganza in ogni tratto, in ogni pennellata.»
Si voltò verso l'uomo che le aveva imposto di parlare. La risposta non gli era piaciuta come lei aveva previsto.
Un lampo cupo gli attraversò lo sguardo mentre replicava.
«Lei confonde l'orgoglio con l'arroganza. Qui si tratta di essere orgogliosi di appartenere alla propria famiglia, alla propria stirpe, al proprio lignaggio. Un onore che difenderebbe con la vita, con la spada... che deve difendere perché non ha scelta. La rappresentazione dell'artista doveva essere molto accurata, tenendo conto che avrebbe dovuto preservarne la memoria per i posteri quando lui sarebbe stato polvere.»
Gli occhi cupi come la notte tornarono al ritratto come se, pensò Carla, i due uomini stessero comunicando tra loro.
Per un attimo lei corrugò la fronte. Che strano che un uomo del presente potesse guardare negli occhi un antenato. Era questo a rendere il conte diverso da tutti coloro che appartenevano alla comune umanità e che non avevano nessuna conoscenza dei propri avi.
Lei, per esempio, non conosceva neppure i più prossimi. Per lei suo padre non era altro che un nome. Un nome che le aveva imposto quando la gravidanza di sua madre aveva reso necessarie le nozze. In seguito era rimasto ucciso in un incidente quando lei era bambina.
Sua madre non era mai stata bene accetta dalla famiglia del marito e l'aveva allevata da sola finché non si era risposata, quando lei era adolescente, con Guido Viscari.
Conosco più della mia famiglia attuale di quanto non sappia di quella di mio padre!, rifletté Carla.
Per un uomo come il conte quest'ignoranza riguardo agli antenati doveva sembrare incomprensibile, perché lui sapeva tutto, risalendo nel corso dei secoli.
Carla, però, aveva pronto un commento.
«Quindi è merito dell'abilità di Luciezo riuscire a esprimere tutto questo in un ritratto. Senza la sua genialità, il suo antenato non sarebbe altro che polvere.»
C'era sfida nel tono e un'aperta affermazione che, per quanto illustre fosse la casata del Conte di Mantegna, niente era paragonabile al genio di un artista come Luciezo.
Il lampo attraversò di nuovo gli occhi cupi. «Non diventeremo forse tutti polvere?» mormorò, «fino a quel momento, però...»
Qualcosa cambiò nel tono, qualcosa che le provocò di nuovo un'ondata di calore.
«Non dovremmo forse attenerci al carpe diem?»
«Cogliere l'attimo?» ribatté subito Carla rendendosi tuttavia conto che la voce del conte si era addolcita, così come il modo in cui la guardava, apprezzando ciò che vedeva.
«O, forse, cogli la serata» osservò di rimando.
E adesso non c'era da sbagliarsi sul messaggio. Quei profondi occhi scuri erano fissi su di lei, e il messaggio era antico come il tempo.
Lei gli piaceva. L'aspetto, se non altro, anche se un po' meno le parole. Eppure quello scambio verbale era stato il meccanismo con cui lui l'aveva avvicinata... ciò che gli aveva offerto la possibilità che desiderava, in modo da ottenere ciò che voleva.
Il fine che ammise apertamente.
«Ceniamo insieme questa sera.»
Semplice, deciso. Gli occhi espressivi erano fissi su di lei e Carla ne percepì l'impatto, il messaggio. Sapeva quale risposta avrebbe dovuto dare a quell'uomo potente e sensuale.
D'abitudine aveva sempre risposto di no. Le poche relazioni che aveva avuto nel corso degli anni non erano state con italiani, e soprattutto non a Roma, sotto lo sguardo curioso della società che frequentava. E mai aveva voluto lasciarsi coinvolgere emotivamente. Si era sempre trattato di amicizie, di simpatie, niente altro.
Più sicuro che cedere a un'attrazione sensuale che