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Senza lasciare traccia (eLit): eLit
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Ebook187 pages2 hours

Senza lasciare traccia (eLit): eLit

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About this ebook

In città si mormora che Jennifer Reid è tornata. Allo sceriffo Dylan Blackburn riaffiorano alla mente vecchi sentimenti che pensava di avere ormai sepolto nel passato. Ma lui si accorge che Jennifer sta nascondendo a tutti un terribile segreto. Qualcuno la sta cercando ed è deciso a eliminarla. Si, perché lei ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. E nemmeno con l'inganno è riuscita a sfuggire al suo cacciatore. Dylan è l'unico di cui possa fidarsi, e gli rivela...
LanguageItaliano
Release dateMay 31, 2017
ISBN9788858970652
Senza lasciare traccia (eLit): eLit

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    Senza lasciare traccia (eLit) - Charlotte Douglas

    successivo.

    Prologo

    Preparato frettolosamente lo zaino, se lo issò in spalla e si precipitò alla porta, ma si arrestò di colpo ancora prima di arrivarci. Attraverso i vetri opacizzati si scorgeva infatti una sagoma possente. E altrettanto minacciosa.

    Era venuto a prenderla.

    Girandosi sui tacchi, corse verso il retro della casa e socchiuse silenziosamente la porta di servizio. Attraversò il cortile correndo, quasi senza fiato. Proprio mentre si arrampicava sulla palizzata per saltare giù nel vicolo, però, il cane dei vicini incominciò ad abbaiare.

    Passi sempre più veloci risuonarono dietro di lei, una mano le afferrò la caviglia. Con un calcio poderoso che strappò una sfilza di imprecazioni al suo inseguitore, riuscì a liberarsi e corse verso la strada trafficata. Proprio in quel momento sopraggiungeva un autobus.

    Allora un Dio esiste, pensò mentre balzava sul mezzo. Le porte a soffietto si richiusero dietro di lei, l'autobus prese velocità.

    Soltanto allora si azzardò a guardarsi alle spalle.

    Lui rimase fermo sul marciapiede per un istante, poi si girò, iniziando a correre verso una macchina parcheggiata poco distante. Non le restava altra speranza che scendere dall'autobus prima che riuscisse a raggiungerla.

    E poi sparire. Sparire per sempre.

    1

    Quattro mesi dopo

    Ridendo tra sé come se avesse appena vinto la lotteria di Capodanno, lo sceriffo Dylan Blackburn salì in macchina e si allontanò dalla casa della signorina Bessie Shuford, in cima alla montagna.

    Quel giorno la fortuna gli era stata amica. Tanto per incominciare, era riuscito a venire via dal salotto di una delle più anziane e impenitenti zitelle di Casey's Cove senza essere costretto ad assaggiare le sue terribili brioche alla cannella. In secondo luogo, l'arzilla novantacinquenne gli aveva confidato una splendida notizia. Aveva appena assunto una nuova governante, una donna che in passato visitava spesso Casey's Cove e che Dylan ricordava bene. Adesso la giovane si sarebbe stabilita nella casa degli ospiti della vecchietta, a poche centinaia di metri dalla villa padronale, e lui avrebbe avuto la possibilità di rispolverare la vecchia amicizia.

    Dopo avere parcheggiato l'auto sul viale della casa degli ospiti, Dylan si mise in contatto con l'ufficio per assicurarsi che non ci fossero messaggi per lui, poi balzò a terra. Dalla proprietà della signorina Bessie, che copriva tutto quel versante della montagna, si godeva uno dei panorami più splendidi della valle, e Dylan si concesse qualche istante per ammirare il cielo terso di quella bella giornata autunnale, che si rifletteva nel lago Casey. Sulla riva occidentale del lago sorgeva la cittadina di Casey's Cove.

    Dylan trasse un profondo respiro, pensando che il paese in cui viveva era uno dei posti più belli del mondo. Era bello fare il poliziotto a Casey's Cove, soprattutto se si detestava il crimine. Il sereno villaggio sprofondato nelle Smoky Mountains della Carolina del Nord vantava il più basso tasso di criminalità di tutto lo stato.

    Con un'eccezione fatale.

    Per non rovinare una splendida giornata, Dylan scacciò quel pensiero dalla mente, anche se sapeva che presto sarebbe tornato. Come sempre. Soprattutto in sogno.

    Preferì rivolgere la propria attenzione alla casa degli ospiti, una miniatura della splendida magione vittoriana della signorina Bessie, accoccolata all'ombra di due alberi di noce secolari. Pieno di anticipazione, Dylan salì i gradini del porticato e bussò.

    Nessuno rispose.

    La porta era spalancata e gli consentiva la vista del soggiorno soleggiato. Una ragazza gli dava le spalle. Era inginocchiata davanti al divano e cercava con tutte le forze di spingere nella presa la spina dell'aspirapolvere.

    Dylan bussò di nuovo, urlò per manifestare la propria presenza, ma il rumore assordante dell'aspirapolvere copriva ogni altro suono.

    Per un attimo, allora, si concesse il lusso di osservare la giovane donna. Aveva un bel fondoschiena, e lo faceva ondeggiare a ritmo. Dylan seguiva con gli occhi ogni movimento, come ipnotizzato.

    Gli ci vollero diversi secondi per ricordare il motivo di quella visita e per distogliere lo sguardo dall'allettante spettacolo.

    «Buongiorno» urlò entrando. La donna continuò a ignorare la sua presenza. Rassegnato, allora, non poté fare altro che attraversare tutta la stanza per andarle a battere due dita sulle spalle.

    Con un urlo penetrante che sorprendentemente riuscì a superare anche il rumore dell'aspirapolvere, questa fece un salto, si raddrizzò, e così facendo gli colpì il naso con la testa. La stanza si fece improvvisamente buia, Dylan cadde all'indietro.

    «Attento!» la sentì esclamare mentre spegneva l'aspirapolvere, poi si accorse che lo afferrava per le braccia e lo conduceva verso una sedia.

    Grato, Dylan vi sprofondò sopra e scosse la testa, sperando in quel modo di schiarirsi le idee.

    «La smetta! Stia fermo!» gli ingiunse la ragazza.

    Troppo stordito per replicare, lui obbedì e chiuse gli occhi per qualche istante. Quando li riaprì ed ebbe modo di guardarla in viso, gli parve di essere stato colpito da un pugno allo stomaco.

    La dodicenne di un tempo era cresciuta, e come! Alta, snella, eppure con tutte le curve appropriate, aveva gli occhi più verdi che avesse mai visto. I lunghi capelli biondissimi erano raccolti sulla nuca in una coda di cavallo, ma qualche ciocca ribelle le cadeva sulla fronte e attorno alle orecchie. In altre circostanze sarebbe stata bellissima, ma in quel momento il suo viso incantevole era distorto dall'orrore.

    «Sta sanguinando!» esclamò, quindi si allontanò di corsa e tornò dopo pochi istanti portandogli un asciugamano inumidito.

    «Oh, sono spiacente» mormorò Dylan nel portarsi l'asciugamano al naso. Evidentemente il colpo ricevuto gli aveva procurato quell'emorragia.

    «Io no. Se lo merita davvero. Se anche è un poliziotto, non ha il diritto di entrare in casa mia e di farmi morire dallo spavento.»

    «Ho bussato diverse volte.»

    Senza replicare, lei gli strappò la salvietta di mano e gliela portò al naso nel tentativo di arrestare il sangue. «Si tolga la camicia» gli ingiunse.

    «Cosa?»

    «È tutta sporca di sangue. Se non la sciacqua subito, le macchie non andranno più via.»

    Le divise costavano parecchio, quindi Dylan si lasciò persuadere in fretta. Con pochi movimenti rapidi, si sbottonò la camicia, se la sfilò e gliela porse.

    «Anche la maglietta.»

    Lui obbedì.

    «Torno subito» gli comunicò a quel punto la ragazza nel tono di chi non ammetteva repliche. «Lei accenda il fuoco, così non prenderà freddo. Ma se vuole posso portarle una coperta.»

    «No, grazie, sto bene.»

    Il freddo era l'ultima sensazione che avrebbe potuto provare, dopo quell'insolito confronto con la donna più attraente e più irritante che avesse mai incontrato. Ciononostante, si sentì in obbligo di inginocchiarsi davanti al camino per accendere il fuoco. Dalla cucina attigua gli giungeva lo scroscio dell'acqua nel lavandino.

    Quando ebbe finito con il caminetto, tornò a sedersi e attese che lei lo raggiungesse. La vide arrivare con un vassoio. «Le ho preparato un caffè, per riscaldarsi.»

    Dylan accettò la tazza fumante ma rifiutò i biscotti.

    «Li ho fatti io. Sono al miele» proclamò offesa la ragazza. «A meno che, naturalmente, non preferisca le brioche alla cannella della signorina Bessie.»

    «Oh, no, i biscotti vanno benone. Sono io, che non ho fame.»

    Un sorriso malizioso sfiorò le labbra carnose di lei. «Dunque conosce già la specialità della signorina Bessie.»

    Lui le restituì il sorriso. «Porto sempre una bottiglia di sciroppo contro l'acidità di stomaco, quando vengo a trovarla.»

    Senza aggiungere altro, la ragazza prese una tazza di caffè e andò ad accoccolarsi sul divano, accanto a lui. «La sua è una visita ufficiale, sceriffo...?»

    «Blackburn» si presentò. «Dylan Blackburn.» Sperava che quel nome le dicesse qualcosa, ma non un segno di riconoscimento balenò negli occhi di lei. Evidentemente non ricordava più quell'estate di tanti anni prima. «E lei è Jennifer Thacker.»

    Questa volta lei sollevò di scatto la testa, spaventata. «Jennifer Reid» precisò. «Thacker era il mio nome da ragazza. Ma lei come fa a saperlo?»

    «La signorina Bessie mi ha dato una copia della sua domanda di impiego.»

    «Perché?»

    «Semplice routine. In qualità di assistente della signorina Bessie, di tanto in tanto dovrà dare una mano alla scuola materna che la signorina stessa finanzia, e qui in città facciamo sempre qualche controllo sulle persone che lavorano con i bambini. È una semplice precauzione.»

    «Che genere di controlli effettuate, agente Blackburn? Ho già fornito alla signorina Bessie tutte le mie referenze.»

    «Conduciamo una ricerca negli archivi di stato per verificare che non abbia mai avuto condanne o che non sia indagata per qualche reato.»

    Quella spiegazione parve farla rilassare, ma non del tutto. Era come se avesse qualcosa da nascondere.

    «Le macchie dovrebbero essere sparite» commentò di colpo balzando in piedi e tornando in cucina. Dylan sentì di nuovo scorrere acqua, poi il rumore di un essiccatoio messo in funzione. Nel giro di pochi secondi, Jennifer tornò con una caraffa per riempirgli di nuovo la tazza di caffè.

    Mentre sollevava gli occhi verso di lei, Dylan ebbe difficoltà a riconoscere in quella donna vivace la dolce fidanzatina dell'estate in cui aveva compiuto dodici anni. A quell'epoca, Jennifer Thacker era una ragazzina schiva e distante, ma quell'atteggiamento era causato soltanto dalla timidezza. Eppure non c'era traccia di timidezza in Jennifer Reid, la vedova che la signorina Bessie aveva appena assunto.

    «Non si ricorda di me, vero?» le chiese.

    Lei ebbe un tremito impercettibile. «Dovrei?»

    «Forse per lei non è stato tanto importante quanto lo è stato per me.»

    «Cosa?»

    «È stata la prima ragazza che ho baciato.»

    Jennifer arretrò fino al divano. «Vuole scherzare?»

    «Niente affatto. Avevo dodici anni, allora, e pensavo che lei fosse la ragazza più bella che avessi mai visto. Soprattutto perché non voleva avere niente a che fare con noi ragazzi del paese.»

    «La zia Emily era piuttosto severa, non mi lasciava molta libertà. Come riuscì a baciarmi?»

    «Per lo più si fermava a prendere il sole sul molo al lago» le ricordò. «Era precisa come un orologio, e io avevo imparato a memoria tutti i suoi orari.»

    «E cosa fece? Mi corse accanto e mi baciò?»

    Dylan non riusciva a capire dalla sua espressione se fosse divertita o stupita, ma la vista di quelle bellissime labbra gli fece venire voglia di baciarla di nuovo. E di baciarla in modo che ricordasse. Rendendosi conto di essere ancora in servizio, dovette suo malgrado soffocare quel desiderio. «Ero solo un ragazzino, non ricorda? E Tommy Bennett aveva scommesso un dollaro sul fatto che non avrei mai trovato il coraggio di farlo.»

    «Quindi mi baciò per una scommessa?» Questa volta Jennifer dovette trattenere una risata, e Dylan provò di nuovo l'irrefrenabile impulso di baciarla. «Avrei dovuto spingerla nel lago.»

    «Invece rimase impietrita, non disse una sola parola.»

    «E lei?»

    «Me ne andai. Però spesi il dollaro vinto comprandole delle caramelle. Il giorno dopo gliele lasciai davanti alla porta di casa, e soltanto in seguito venni a sapere che proprio quel giorno era ripartita per Memphis. Non è mai più tornata a Casey's Cove. Fino a oggi.»

    Lei scosse la testa, rattristata. «Da quell'estate, zia Emily non riuscì più ad affrontare il viaggio da Memphis. La sua artrite si faceva sempre più grave.»

    «E come mai adesso è tornata?»

    «Questo paese era il suo preferito.»

    «Di chi?»

    «Di zia Emily, si capisce. Non immagina quanti bei momenti abbiamo vissuto qui insieme. È naturale che abbia provato il desiderio di ritornare.»

    L'istinto di poliziotto di Dylan fu subito all'erta. C'era qualcosa di strano, nelle parole di Jennifer, qualcosa che pure non riusciva a definire. Per quale ragione avrebbe dovuto mentirgli su un fatto tanto banale come il motivo che l'aveva spinta a Casey's Cove?

    Forse perché aveva qualcosa da nascondere.

    Dylan scacciò quel pensiero. Non c'era niente di sospetto o sinistro, in Jennifer Reid. Tutt'altro! «Ho ancora qualche domanda» la informò, «poi la lascerò tornare al suo aspirapolvere.»

    «È un lavoraccio, ma bisognerà pure che qualcuno lo faccia.»

    «Cosa? Le pulizie o gli interrogatori?»

    «Tutti e due» scoppiò a ridere lei e, per la prima volta dall'arrivo di Dylan, parve rilassarsi completamente.

    «Ho sentito che è vedova.»

    Lei annuì. «Mio marito è morto circa un anno fa.»

    «È stato allora che ha lasciato Memphis?»

    «Avevo troppe faccende da sbrigare, subito dopo la sua morte, ma alla fine di giugno avevo sistemato la proprietà, così ho deciso di andarmene. Mi sembrava il modo migliore per sfuggire ai ricordi.»

    Per un attimo Dylan non poté fare a meno di chiedersi se quei ricordi fossero belli o brutti, ma non ebbe il coraggio di formulare la domanda ad alta voce. «Poco fa ha accennato alle sue referenze. Come mai non ce n'è nessuna da Memphis?»

    Un lampo di allarme tornò a brillarle negli occhi. «Non ho parenti in vita, e non avevo mai lavorato in vita mia. Se la signorina Bessie le ha dato il modulo della mia domanda, avrà trovato anche il nome del mio datore di lavoro di Nashville.»

    «Come mai proprio Nashville?»

    «Era una città vicina» rispose lei stringendosi nelle spalle. «Senza contare che mi piace la musica.»

    «E ha lavorato come cameriera in un ristorante?»

    «Non avevo molta scelta. Mi sono sposata subito dopo il liceo e non avevo specializzazioni di sorta.»

    «Com'è arrivata a lavorare per la signorina Bessie?»

    «Ho visto il suo

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