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Firma fatale (eLit): eLit
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Taylor Jackson 2

Dieci vittime, tutte con pelle chiara e lunghi capelli scuri, tutte con un taglio attraverso la gola e lo stesso rossetto rosso imbrattato sulle labbra. Era la firma di un serial killer che terrorizzava le strade di Nashville, nel Tennessee, e che poi aveva dichiarato terminato il suo lavoro in una lettera alla polizia. Ora vengono trovati altri quattro corpi, contrassegnati con quella firma fatale. I residenti di Nashville temono che il pazzo sia tornato, mentre il tenente della omicidi Taylor Jackson crede che si tratti di un killer emulatore, ipotesi ancora più terrificante...
LanguageItaliano
Release dateFeb 1, 2019
ISBN9788858997574
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    Book preview

    Firma fatale (eLit) - J.T. Ellison

    successivo.

    Prologo

    Il bastardo si sarebbe deciso a chiamare? Il fumo saliva dal portacenere dove si consumava, ignorato, un sottile sigaro cubano. Parecchi mozziconi si contendevano il poco spazio. L'uomo controllò l'ora. Era finita?

    Schiacciò con rabbia il sigaro e alzatosi andò alla finestra, le lastre di vetro sporco coperte da una sottile patina di condensa. Quell'anno il freddo era arrivato presto. Con un dito della mano tracciò una X sul vetro. Guardò fuori, nella notte. Benché fosse quasi mezzanotte, c'erano luci e rumori. Qualche festa al giardino botanico di Checkwood, risate e divertimento. Strizzando gli occhi, riusciva a distinguere la luce delle torce elettriche usate da parcheggiatori troppo pagati che guidavano gli automobilisti lungo le curve del viale.

    Si voltò a osservare la stanza. Così vuota. Così buia. Spettri si annidavano negli angoli più scuri. Il fiato improvvisamente affannoso, accese la lampada sulla scrivania. Proiettava una luce fioca, ma era pur sempre qualcosa. Certe cose non cambiano mai. Dopo tanti anni, aveva ancora paura del buio.

    La scrivania, sporca di cenere, era sgombra, fatta eccezione per la bella scatola in legno di rosa, il portacenere e il telefono silenzioso. La stanza stessa era spartana, la sua monotonia rotta soltanto dalla semplice scrivania, una poltrona girevole di pelle a schienale alto e tre sedie pieghevoli. Aprì l'umidificatore e ne estrasse un altro sigaro Cohiba. Fedele al rituale, ne spuntò la cima e vi accostò la fiamma, poi inalò una prima, lenta boccata di fumo. Ecco. Così andava meglio.

    L'isolamento era necessario. Non gli piaceva che la gente lo vedesse in quello stato. Gli altri dovevano percepirlo come l'uomo forte e capace che era sempre stato, non quella creatura patetica, quell'oscura entità con le mani deformi e le spalle curve. Come poteva un'immagine simile suscitare paura?

    Ormai non mancava molto. La paura sarebbe stata il suo pallido cavallo, montato da ragazze dalle labbra scarlatte. I duplicati. I surrogati. I sostituti.

    Lo squillo del telefono gli strappò un sussulto. Finalmente. «Sì?» rispose brusco. Rimase in ascolto, quindi riagganciò.

    Un sorriso lento gli si dipinse sul viso, il primo di quella notte. Era ora. Ora di ricominciare, di affiorare nuovamente in superficie. Un nuovo volto, un nuovo corpo, una nuova anima. Spense il sigaro, chiuse l'umidificatore e affrontò le ombre. Muovendosi risoluto verso la porta, scomparve nella semioscurità.

    Il telefono aveva ripreso a squillare. Una parte della sua mente registrò il suono. Sapeva che avrebbe dovuto rispondere, ma che diavolo, stava facendo un bellissimo sogno. Senza aprire gli occhi, Taylor Jackson si allungò oltre il corpo tiepido steso accanto al suo e sollevò la cornetta. «Pronto?» grugnì.

    «Taylor, sono la mamma.»

    Taylor socchiuse appena un occhio, sforzandosi di mettere a fuoco le cifre luminose della sveglia digitale: le due e quarantotto del mattino.

    «Chi è morto?»

    «Santo cielo, Taylor, devi essere sempre proprio così acida?»

    «Mamma, è notte fonda. Perché mi chiami a quest'ora? Perché hai cattive notizie, ovvio. Quindi sputa il rospo, così poi potrò tornare a dormire, cosa che apprezzerei molto.»

    «Oh, d'accordo. Si tratta di tuo padre. È scomparso. Dalla Shiver

    Un'ondata di emozioni la travolse. Si alzò a sedere e posò a terra i piedi. Win Jackson. Winthrop Stewart Jackson IV, per essere più precisi. Il suo illustre genitore, scomparso? Di colpo, si scoprì a ricacciare indietro le lacrime. Un evento insolito per lei.

    Suo padre. Oh, Cristo, non voleva neppure pensare al significato di quel termine. Scomparso. Disperso. Equivaleva a morto, quando sparivi da una barca in pieno oceano, giusto?

    Padre. Strano che una parola sola bastasse a scatenare una valanga di amarezza. Papà, che procurava alla sua bambina l'ammissione all'accademia. Papà, che le comperava il trasferimento dal servizio di pattuglia alla Omicidi. Papà, che contribuiva generosamente alla campagna elettorale del sindaco e si garantiva così la qualifica di tenente per la figlia. Il buon vecchio Win Jackson. Razziatore di società, esperto investitore, avvocato, politico. Gran truffatore, in una confezione ingannevolmente gradevole. A Nashville, Win era una leggenda. Una leggenda da cui Taylor si sforzava di restare il più lontano possibile.

    Il pensiero di suo padre evocò la fragranza della costosa acqua di colonia che lui aveva scoperto a Londra e che da allora si faceva mandare ogni anno a Natale.

    Si accorse che sua madre stava gridando.

    «Taylor? Taylor, sei ancora lì?»

    «Sì, mamma, sono qui. Ma cosa ci faceva a bordo della Shiver? Credevo che avesse smesso di andare in barca.»

    «Sai com'è fatto tuo padre.»

    No, non lo so.

    «Aveva deciso di portarla a St. Bart. St. Kitts, Saint... oh, non so. Una di quelle isole caraibiche. Sono sicura che aveva a bordo una delle sue puttanelle. E ora pare che potrebbe essere caduto in mare.»

    Non c'era emozione nella voce di Kitty Jackson. Non emozione, non sofferenza, non amore. Niente. A volte Taylor si scopriva a chiedersi se il cuore di sua madre non avesse smesso di battere molto tempo addietro.

    «La Guardia Costiera è stata avvertita?»

    «Taylor, sei tu quella... nelle forze dell'ordine. Io di certo non ne ho idea. E comunque, sto per partire. Passo l'inverno a Gstaad.»

    «Eh?»

    «A sciare. Da ottobre a gennaio. Non ricordi? Ti ho spedito l'itinerario. Devo ancora fare i bagagli e non ho tempo di occuparmi di questa faccenda.»

    Il tono petulante colpì Taylor come la lama di un rasoio. Il primo pensiero di Kitty era sempre per Kitty. Suo marito era disperso, Cristo Santo, forse era morto, ma... quella era Kitty. Sempre pronta a mettere davanti a tutto le proprie esigenze.

    «Grazie per avermi informata, mamma. Me ne occuperò io. Passa una splendida vacanza, d'accordo? Ciao.» Interruppe la comunicazione prima che l'altra potesse rispondere.

    Gesù, Win. In che razza di guaio ti sei cacciato questa volta? Tornò a sdraiarsi, decisa a concedersi almeno un'altra mezz'ora di sonno, ma quasi subito il telefono squillò di nuovo. E adesso chi diavolo era? Un'occhiata al display le fornì la risposta, e questa volta, quando rispose, il suo tono fu più professionale. «Taylor Jackson.»

    «C'è una ragazza morta che devi vedere.»

    «Arrivo subito.»

    1

    Due mesi dopo

    Nashville, Tennessee, domenica 14 dicembre, ore 7:00.

    Le lampade alogene si riflettevano nella pozza vermiglia. Sopra, si stava formando una crosta di ghiaccio che la schiariva a mano a mano che si avvicinava al punto di congelamento. Il sangue era venato da ciocche di capelli neri.

    La donna era nuda, la pelle costellata di ecchimosi. Giaceva scompostamente sul fianco destro, il viso rivolto verso la collina che portava al Campidoglio. I lunghi capelli, nerissimi, le si allargavano intorno alla testa come un torrente fangoso. Il viso era pallido, di un pallore spettrale; le labbra dipinte di un cremisi violento. Sembrava una principessa delle fiabe chiusa in una bara di vetro. Ma non era stata una mela avvelenata a condurla in quel luogo, circondata da amore e rimorso. Invece, era stata scaraventata giù dal piedistallo di marmo, scartata come se fosse spazzatura. Il suo cadavere si arcuava intorno all'asta centrale e le bandiere più piccole che lo circondavano sembravano volerlo proteggere, mentre sbattevano al vento. La gamba sinistra, piegata in un'angolazione innaturale, copriva una delle luci che con tanta eleganza illuminavano la scena. Un esame più attento rivelò una profonda ferita da coltello alla gola. Nell'oscurità, lo squarcio sembrava ammiccare, color borgogna, in certi punti quasi nero, e qua e là il biancore di frammenti di cartilagini e ossa.

    Taylor ispezionava in silenzio il lugubre scenario. Oh, la gioia di essere un tenente della Omicidi. Si accorse di rabbrividire. Prima di uscire si era coperta bene: giaccone di montone che le arrivava a metà coscia, maglione color crema e jeans, e naturalmente guanti e una sciarpa, ma il freddo le si insinuava dentro attraverso minuscole fenditure e l'aria che sapeva di neve era gelida e tagliente. Ormai da parecchi giorni la temperatura si era assestata ben al di sotto dello zero; per Nashville si preparava una tormenta. Questa settimana l'inverno arriva sul serio, diceva la gente. Taylor strusciò sull'erba ghiacciata il piede calzato in uno stivale da cowboy. Aspettava. Ed era stanca di aspettare. Le sembrava di aver trascorso tutta la vita in una sorta di sospensione, a controllare l'orologio, sicura che mancassero solo pochi minuti, poche ore, pochi giorni prima che succedesse qualcosa, che arrivasse qualcuno.

    Il medico legale l'avrebbe raggiunta a breve. Allungò le braccia e sentì la tensione delle spalle allentarsi un po'. Era troppo tesa, e il freddo non era di aiuto. Fece qualche passo nella notte, felice di allontanarsi dal tanfo di morte, solo per affrettarsi a tornare indietro, sconfitta dal gelo intenso. Le lacrimavano gli occhi. Cominciò a camminare lungo il muro di granito che delimitava l'anfiteatro.

    Doveva riconoscerlo, il parco cittadino creato in occasione del bicentenario di Nashville era l'ambiente ideale per un omicidio. Inaugurato nel 1996 per celebrare i duecento anni dello Stato del Tennessee, non aveva mai raggiunto la popolarità auspicata dai leader della città, ma era pur sempre un contesto gradevole, perfetto per una colazione all'aperto e per i pochi jogger dell'ora di pranzo. E di notte, estremamente tranquillo. L'unica folla che l'omicidio aveva attirato era una moltitudine di auto di pattuglia bianche e azzurre, le luci ancora vorticanti sui tettucci, ma tutto sarebbe cambiato appena i media avessero avuto sentore dell'accaduto. E delle condizioni della vittima. Con ogni probabilità, la numero quattro.

    «Dannazione.»

    I furgoni delle emittenti nazionali continuavano a intasare le strade del centro cittadino, in attesa di qualunque passo falso della polizia che garantisse un'altra chicca per il notiziario del giorno. Due mesi sotto i riflettori dei media avevano logorato i nervi di tutti. Tre famiglie erano state distrutte – e sarebbero diventate quattro non appena la nuova vittima fosse stata identificata. Più notti insonni di quante Taylor potesse contare. E altre la attendevano.

    Continuò a camminare. Il lato sud del parco, dove giaceva la ragazza morta, era un tributo alla bandiera dello Stato. Ben otto ne circondavano una più alta, delimitate su tutti i lati da un sentiero di granito. Ora sventolavano gaie, ignare del macabro spettacolo. Forse era giusto così. Il Tennessee si era ben meritato il nomignolo di Stato dei volontari grazie all'incredibile numero di uomini che si erano arruolati durante la Guerra Civile. Era stato LeRoy Reeves, del terzo reggimento fanteria, a progettare la bandiera. Il fondo cremisi, su cui campeggiavano tre stelle bianche, sembrava mettere in risalto il sangue e l'ammasso inerte di ossa ai piedi dell'asta.

    Era una bella scena, se ti piacevano le cartoline dall'inferno. Il quarto di quei tableaux da quando il serial killer battezzato Biancaneve era strisciato fuori dal maledetto sasso sotto cui si nascondeva e aveva ricominciato a uccidere.

    Taylor guardò oltre le bandiere, oltre il cadavere, verso la collina illuminata e la vegetazione ben curata su cui era appollaiato il Campidoglio che, maestoso nelle sue linee neoclassiche, splendeva nell'oscurità. Al di là, si stendeva il centro di Nashville. La sua città. La sua responsabilità. Si volse, riprese a camminare.

    Era evidente che l'assassino aveva voluto attirare l'attenzione. Due isolati dalla sede di Channel 5 e quattro da quella della polizia. C'erano rotonde su entrambi i lati del parco; facile scaricare il corpo e quindi proseguire fino alla James Robertson Parkway. Taylor era genuinamente sorpresa che la locale affiliata della CBS non fosse già sul posto.

    Un fiocco di neve le volteggiò davanti agli occhi, splendido nella sua fragilità. Strano che una cosa bella come la neve potesse creare tanto scompiglio. Le previsioni avevano annunciato trenta centimetri nelle aree basse circostanti la zona metropolitana e poco più sul plateau. Il Midstate stretto in una morsa.

    E a coronare il tutto, di lì a pochi giorni Taylor era attesa alla chiesa di St. George. Per sposarsi.

    Inspirò profondamente e tornò verso il corpo, controllando ancora una volta l'orologio. A quel punto il medico legale sarebbe già dovuto essere arrivato e lei era più che pronta a far rimuovere il cadavere. Ad allontanarsi da quel freddo. A riposare un po' in vista del gran giorno. A fare qualunque cosa andasse fatta per assicurarsi che tutto andasse come previsto. Non sarebbe stato poi così grave se avessero rimandato, sussurrò una vocina nella sua testa. Come diavolo poteva sposarsi e partire per la luna di miele nel bel mezzo di un'orgia di omicidi?

    Un furgone dei media passò lungo la strada principale, silenzioso come uno squalo. Taylor pensò che la troupe volesse garantirsi una buona visuale della scena, arrivando dalla James Robertson Parkway per proseguire furtivamente lungo Charlotte e la Sesta. Merda. Ora di darsi una mossa.

    Infilò la mano nella tasca del giaccone per prendere il cellulare. Lo stava aprendo quando un altro furgone, bianco e con una scritta discreta lungo la fiancata, entrò nell'alone luminoso delle luci ad arco. L'anatomopatologo. Finalmente.

    Richiuse di scatto il telefono e avanzò a lunghi passi sull'erba. Quando fu vicino al veicolo, a gesti indicò al conducente di abbassare il finestrino. La dottoressa Samantha Loughley obbedì e lei infilò la testa nell'abitacolo caldo. Che meraviglia.

    «Allontanati, Taylor.» Sam la allontanò e, spento il motore, scese. Fece un cenno brusco con la testa. «Okay, dov'è?»

    «Sul piedistallo dell'asta del pennone Ma dovresti concederti un minuto prima di cominciare, fare il giro del parco. È davvero molto grazioso.» Taylor sorrise.

    «Sei impossibile. Qualche idea su chi possa essere la vittima?»

    «No. È nuda, e non c'è traccia di borsetta o indumenti. Credi che nevicherà davvero quanto dicono?»

    «Ho sentito che potrebbero cadere almeno una trentina di centimetri. Forse di più.» Con un'ammiccatina all'amica, Sam si avviò verso il corpo. Taylor la seguì, tempestandola di domande. Visioni dell'aeroporto chiuso al traffico, di spazzaneve rovesciati nei fossi, negozi di alimentari privi di energia elettrica le riempivano la mente. La prospettiva di rimandare il matrimonio non avrebbe dovuto rallegrarla tanto. Non ci contare troppo. Cinque giorni sarebbero bastati a riportare l'ordine in città.

    «Il fatto è che non sono mai precisi. Davvero, i metereologi sono noti per prendere un sacco di cantonate, giusto? Sam?» Forse la neve sarebbe durata fino a giovedì...

    Ma il medico aveva smesso di ascoltarla. Aveva appena visto il cadavere. Si fermò di colpo.

    Dimentica per un momento delle proprie ansie, Taylor le posò una mano sulla spalla. «Lo so» mormorò. «È l'effetto che fa anche a me. Ti presento Jane Doe.»

    Sam si inginocchiò accanto al cadavere, fissandone con intensità il viso rigido. «Sembrerebbe proprio opera del nostro uomo.»

    «Ma sta modificando il modus operandi. Questa non è una discarica isolata, e a giudicare dalla quantità di sangue, sono pronta a scommettere il distintivo che l'ha uccisa qui.»

    «E neppure molto tempo fa, per giunta.» Sam allungò la mano verso la borsa e Taylor indietreggiò per lasciarla lavorare.

    Le luci del furgone-squalo dei media si accesero con un ronzio perfettamente udibile, accecandola per un momento. Borbottando una scusa, Taylor si affrettò in quella direzione. A ogni omicidio, i mezzi d'informazione si facevano più audaci e lei non aveva alcuna intenzione di permettere a quella gente di rovinare il suo caso con supposizioni campate in aria.

    Alle sue spalle, sentì l'anatomopatologo sussurrare: «Tombola».

    2

    Nashville, Tennessee, lunedì 15 dicembre, ore 21:24.

    Taylor fremeva sotto le luci incandescenti dello studio dell'affiliata della Fox di Nashville. L'emittente madre, la Fox News, voleva una panoramica del caso Biancaneve dall'interno e lei, Taylor, era stata reclutata per il massacro. Le avevano appena agganciato il microfono quando la conduttrice aveva ricevuto una notizia dell'ultima ora. Un kamikaze si era fatto saltare in aria in un ristorante di Gerusalemme: erano morte quindici persone e due americani erano rimasti feriti. Il tempo dedicato alla notizia aveva dato a Taylor tutto il tempo per rimpiangere di aver acconsentito all'intervista.

    Perché, se da una parte era grata per quell'opportunità di far circolare la notizia del nuovo omicidio, dall'altra avrebbe preferito che al suo posto ci fosse stato Dan Franklin, portavoce ufficiale della Polizia metropolitana. Le interviste televisive non la entusiasmavano, ma era del tutto comprensibile che il ritorno di Biancaneve avesse messo in allarme l'intero Paese, per non parlare della sua città e della Divisione Omicidi a cui apparteneva, e tutti lavoravano ben oltre l'orario consueto.

    Si passò una mano sulla fronte sudata. Sarebbe stato simpatico se qualcuno avesse spento le luci mentre lei aspettava il suo turno. L'emittente aveva specificamente chiesto di lei, e Taylor sospettava che la richiesta fosse dovuta più al suo famigerato retroterra famigliare che al ruolo di investigatore capo di un caso sensazionale. La conduttrice era stata avvertita di non accennare a Win Jackson e lei sperava che, una volta tanto, la restrizione venisse rispettata.

    Oh, Win. Dove diavolo sei?

    Ci fu un certo trambusto. Il tecnico stava segnalando che si preparavano ad andare in onda. Iniziò il conteggio alla rovescia, quindi alzò le dita. Tre, due, uno. Taylor tirò un respiro profondo, esalò lentamente e sorrise alla telecamera.

    «Eccoci di nuovo in compagnia del tenente della Omicidi, Taylor Jackson del Dipartimento di Polizia metropolitana di Nashville. Siamo qui per parlare dell'orribile sequela di omicidi che sta gettando nel panico Music City, una città più abituata alle stravaganze delle stelle della musica country che agli assassinii. Proprio stanotte è stata trovata un'altra vittima del serial killer. Tenente Jackson, avete identificato la donna?»

    «No. Noi...»

    «È la vittima numero quattro, giusto?»

    «È troppo presto per...»

    «Due mesi fa, la polizia scoprì il cadavere martoriato della vittima di un rapimento, Elizabeth Shaw. La ragazza era stata stuprata e quindi le era stata tagliata la gola con un oggetto acuminato, presumibilmente un coltello simile a quelli in dotazione all'esercito. Tre settimane dopo, è toccata a Candice Brooks, uccisa secondo le stesse modalità. E la settimana scorsa, una giovane donna di nome Glenna Wells è stata trovata nei pressi di Percy Priest Lake, violentata, percossa e morta dissanguata a causa di una coltellata alla gola. Tutte le scene dei delitti mostrano affinità sorprendenti, e la polizia di Nashville sta indagando su quello che sembra essere a tutti gli effetti un assassino seriale.»

    Oh, Dio. Una di quelle a cui piaceva ascoltarsi.

    Una voce le rimbombò nelle orecchie, facendola sobbalzare. Non si sarebbe mai abituata a quelle intrusioni repentine nel suo cervello.

    «Spiacente. Si senta libera di intervenire appena si apre uno spiraglio.»

    Taylor controllò la larghezza del proprio sorriso. «Grazie. Lo farò.»

    Il monologo, intanto, continuava. «Questi omicidi sono già atroci di per sé, ma a rendere il quadro perfino più fosco, le autorità li attribuiscono a un uomo conosciuto in tutto il Paese come Biancaneve, il pazzo omicida che negli anni Ottanta assassinò dieci donne senza essere mai catturato.»

    Lo schermo si oscurò, quindi affiorarono volti e nomi femminili, mentre una voce fuori campo pre-registrata ripercorreva gli omicidi degli anni Ottanta, tracciando paralleli con i nuovi casi. Taylor ascoltava solo a metà.

    Lei frequentava le medie alla Father Ryan all'epoca in cui il killer Biancaneve faceva le sue vittime, e aveva solo pochi anni meno delle vittime più giovani. Una volta entrata in polizia, aveva studiato i loro fascicoli e memorizzato i dati più significativi, nella speranza, un giorno, di scoprire l'assassino. Ora, forse, ne aveva la possibilità. Rendendosi conto che la conduttrice stava ancora parlando, si sforzò di concentrarsi.

    «I media hanno attribuito al killer l'appropriato soprannome di Biancaneve, dato che tutte le sue giovani vittime somigliavano al personaggio disneyano – capelli neri, carnagione chiara e le labbra dipinte di rosso.»

    Ovvio, loro erano rimasti legati alla versione più commerciale e riconoscibile del personaggio, ma a Taylor le ragazze assassinate ricordavano di più quello originale della favola dei fratelli Grimm. Ma chi era lei per criticare? Guardò con più attenzione la giornalista. Hmm, Kimberley, con un po' di rossetto scarlatto, diventeresti un'eccellente candidata.

    La voce tornò a risuonarle nell'orecchio sinistro. «Okay, tenente, saremo di nuovo da lei fra tre, due...»

    «Poi improvvisamente scomparve. E la gente, pur senza dimenticare, riprese la sua vita. Fino a ora.» Il servizio finì e il viso di Taylor riempì lo schermo.

    «Allora, tenente Jackson, sembra che Biancaneve sia tornato in azione. Avete altre prove che corroborino questa teoria? Dove pensate che sia stato tutto questo tempo?»

    Era ora di riprendere il controllo della situazione. Taylor si schiarì la gola e sorrise.

    «Prima di tutto, voglio ringraziarla per avermi invitata questa sera, Kimberley. Come sappiamo, il killer battezzato Biancaneve è stato attivo qui a Nashville verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Nel 1988, scomparve dai nostri radar e non ne conosciamo la ragione. Forse è stato in carcere, forse è morto. Potrebbe essersi trasferito in un'altra città e aver cambiato il suo modus operandi, ma non è probabile. È raro che un serial killer modifichi il proprio comportamento, come anche lei certamente sa.»

    Come sapeva tutto il mondo, in effetti, grazie a trasmissioni come quella, con profiler ed esperti pronti a offrire la loro opinione su qualunque omicidio catturasse l'attenzione dell'opinione pubblica.

    «Non è vero, tenente, che secondo la polizia era un uomo che godeva di una certa agiatezza e che potrebbe aver lasciato il Paese?»

    «Sì, questo è uno degli scenari che abbiamo valutato. Anche se la squadra Omicidi è certa che sia rimasto nel Tennessee per almeno altri dieci anni.»

    Perché avevano ricevuto una lettera molto cortese in cui il bastardo li informava di essere ancora in città, ma di non avere in progetto altri omicidi. Non c'è bisogno che tu lo sappia, però.

    «Cosa le fa pensare che Biancaneve sia tornato in circolazione, tenente?»

    «Be', Kimberley, diciamo che si tratta soprattutto di un'illazione cavalcata dai media. La verità è che al momento non abbiamo prove certe che indichino che sia stata la stessa persona a commettere questi nuovi crimini. Diciamo che l'allestimento dei delitti è famigliare, il modus simile, ma nulla dimostra in modo definitivo che abbiamo a che fare con Biancaneve.» Tranne i ritagli e i nodi, ma non ho intenzione di dirti neppure questo.

    «È rimasto inattivo per più di vent'anni, tenente. Proprio come Dennis Radar, meglio noto come il killer Lega, tortura e uccidi di Wichita. È possibile che Biancaneve viva fra i vostri onesti cittadini, un membro integrato nella società che paga le tasse e magari fa l'allenatore della Little League?»

    «Tutto è possibile, ma direi che in questo caso l'ipotesi non è realistica. Nel corso del tempo si verifica spesso un'escalation della violenza, e la maggior parte dei serial killer uccide finché non viene preso o neutralizzato in qualche modo. È molto più verosimile che il responsabile degli omicidi di Biancaneve sia morto o in carcere per un altro crimine. Non desideriamo diffondere il panico.»

    «Ma non è forse vero che tutti questi nuovi omicidi hanno qualcosa in comune? In tutte le vittime, senza eccezione, non è stato riscontrato un livello di alcol nel sangue abbastanza alto da far pensare che avessero bevuto molto prima di venire rapite e assassinate?»

    «Assolutamente sì. A questo punto delle indagini queste sono le uniche informazioni che posso divulgare.» Lasciamo fuori gli ipnotici.

    «Molto bene, tenente. Ha qualche consiglio da dare alle donne di Nashville?»

    «Solo le solite precauzioni standard, Kimberley. Le donne che vivono nell'area devono sempre mantenersi vigili e non mettersi in situazioni potenzialmente pericolose. Non accettare drink da sconosciuti, osservare sempre il barman che prepara i loro cocktail e non lasciare mai incustodito il proprio bicchiere. Non allontanarsi con uomini che non conoscono. Tenere porte e finestre di casa ben chiuse, e bloccare le portiere dell'auto. Stare sempre attente a quello che le circonda, e se vedono o sentono qualcosa di sospetto, è bene che chiamino immediatamente il 911. Preferiamo di gran lunga effettuare qualche controllo inutile in più piuttosto che rischiare altre morti.»

    «Ottimi consigli, tenente. Ora, lasci che le faccia una domanda personale. Come si sente al pensiero che un serial killer si aggiri per la sua città, alla ricerca di giovani donne di cui fare le sue prede? Come fa a dormire bene la notte, sapendo che là fuori è in agguato un simile mostro?»

    Non lo faccio.

    «È ovvio che siamo tutti estremamente preoccupati, Kimberley. Il Dipartimento di Polizia metropolitana conta molti agenti in gamba e devoti al loro lavoro che stanno facendo di tutto per catturare l'assassino prima che colpisca ancora. Vogliamo tranquillizzare gli abitanti di Nashville, non creare il panico. Per questo vi chiedo ancora una volta, se qualcosa vi preoccupa o vi insospettisce, chiamate il 911 oppure l'apposito numero che è stato predisposto. Sta comparendo in sovraimpressione?»

    «Sì, tenente. Un'ultima domanda. Suo padre, Winthrop Jackson è scomparso dalla sua imbarcazione quasi due mesi fa. Ci risulta che alle indagini abbia partecipato il governo federale. Ha nuove informazioni da comunicarci?»

    Taylor sentì salire la pressione del sangue. Proprio non riusciva a reagire diversamente.

    «No, Kimberley.» Serrò le labbra e incrociò le braccia. Seguì un momento di silenzio, che la conduttrice si affrettò a riempire. «Grazie per il tempo che ci ha dedicato, tenente, e buona fortuna. Fra qualche istante parleremo con un esperto forense degli indizi trovati e degli eventuali collegamenti con le vecchie indagini sul killer Biancaneve.»

    Si fece risentire quella voce nell'auricolare. «Mi dispiace. Le avevo detto di non toccare l'argomento di suo padre. Buonanotte.»

    Uno scatto, e le luci accecanti cominciarono a smorzarsi.

    «Ottimo lavoro, tenente Jackson.» Il tecnico di Channel 17 le sorrideva con aria ammirata. Non dimostrava più di diciotto anni e la fece sentire vecchia. L'intervista era andata più o meno come aveva previsto. Il produttore, quanto meno, si era dimostrato una persona decente. Era un peccato che avessero ignorato la sua richiesta e affrontato la questione di Win, ma quanto meno avevano accettato un no in risposta. Un serial killer era molto più intrigante di una scomparsa vecchia di due mesi.

    Fece un cenno d'assenso. «Grazie.»

    «Vuole una copia della registrazione? Posso procurargliela.»

    «Sicuro, sarebbe fantastico.»

    Il ragazzo si precipitò fuori e Taylor si alzò. Come se rivedere l'intervista potesse esserle di aiuto.

    Quattro omicidi atroci in due mesi, le vittime tutte ragazze dai capelli neri, la carnagione pallida e le labbra dipinte con un rossetto Chanel scarlatto. Tante Biancaneve.

    Dovevano beccare quel tipo, e in fretta.

    John Baldwin era in piedi, le braccia conserte, appoggiato alla parete dietro di lui con una gamba. Da un quarto d'ora ignorava con feroce ostinazione la receptionist, che da parte sua lo fissava con l'aria di considerarlo un dolce appetitoso dal momento in cui era entrato. Da quando nella

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