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Il segreto della montagna (eLit): eLit
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Il segreto della montagna (eLit): eLit

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About this ebook

ROMANZO INEDITO

Carine Winters si sta creando un nome come fotografa. I suoi soggetti preferiti sono i paesaggi e gli animali delle montagne del New Hampshire, fra cui è cresciuta; una passeggiata solitaria nella natura, armata della sua fedele macchina fotografica, è il modo più normale per lei di trascorrere una giornata. Durante un'escursione, però, viene coinvolta inspiegabilmente in una sparatoria, e solo la sua presenza di spirito e l'intervento di Ty North la salvano da quella pericolosa situazione. Mesi dopo, delusa per il mancato matrimonio con Ty, Carine decide di cambiare ambiente e si trasferisce a Boston dove una coppia di magnati la assume per fotografare la ristrutturazione di una dimora storica. Proprio in quella casa Carine si imbatte nel cadavere di un uomo assassinato. Da quel momento la vicenda si fa sempre più intricata e ogni cosa sembra ricollegarsi alla sparatoria in cui lei era stata coinvolta.
LanguageItaliano
Release dateFeb 1, 2019
ISBN9788858997598
Il segreto della montagna (eLit): eLit
Author

CARLA NEGGERS

New York Times bestselling author Carla Neggers is always plotting her next adventure, whether in life or for one of her books. Her fertile imagination and curious nature make her ready for anything. It is also these qualities that sparked her love of reading as a child and continue to drive her passion for storytelling today. With her trademark blend of action, suspense and down-to-earth, realistic characters caught up in extraordinary circumstances, her novels never fail to take her readers on an exciting journey. Carla began writing as a youngster, when she'd grab a pad and pen and climb a tree to spin her stories. Growing up in western Massachusetts, she is the third of seven children. Just before she was born, her Dutch immigrant father and Southern-born mother packed up the car with two kids and all their belongings and headed north to start a new life. They settled in an eighteenth-century carriage house on ninety acres and began a long process of renovation. After graduating as valedictorian of her high school class, she went on to major in journalism at Boston University, graduating magna cum laude. She enjoyed a brief stint as an arts and entertainment writer, then turned to writing fiction full-time and now has more than fifty books to her credit. Travel and research both play a large part in Carla's writing. She can often trace the germination of a plot to the exact moment of inspiration. “It's part of the fun of being a writer—you never know what will spark an idea. For example, on a trip to the Netherlands some years ago, we did a tour of a canal-like waterway,” she says. “I kept thinking—what would happen if a dead body floated by? What if it was an American? It's the way my mind works—around me, everyone else was admiring the quaint countryside. I was devising a murder.” Once a plot is hatched, the real researching begins. Her novels have taken her atop the northeast's highest peaks, onto a shooting range with a police academy instructor and across the world as she scouts out locations and seeks the authenticity that imbues her novels. The author's greatest pleasure comes in those moments when she feels she's gotten the story just right—when it all comes together on the pages of her book, exactly the way she's envisioned the tale in her mind. Then, when readers connect with the story, her satisfaction is complete. “Everything comes down to the finished book,” says the author. “When I hear from a reader that the story resonated, and that he or she had a great time reading it, I know I've done my job and done it well.” When she's not working on her next book, Carla enjoys traveling, hiking and kayaking. She's set out to become a “four-thousand-footer” by climbing all forty-eight peaks over four-thousand feet in the New Hampshire White Mountains, and she's always planning the next trip—and the next adventure—either of which just might inspire a new story. Carla lives in Vermont, where she and her husband have recently renovated their mountain house not far from picturesque Quechee Gorge. 

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    Il segreto della montagna (eLit) - CARLA NEGGERS

    successivo.

    Prologo

    Carine Winters mise nello zaino l'indispensabile per un'escursione di un giorno e la sua nuova macchina fotografica digitale e si diresse verso la zona boscosa, ondulata, a nordest del paese, che un tempo aveva ospitato le fattorie dei produttori di latte. Non si avventurò verso la montagna. Era una luminosa giornata di novembre nella valle, con poco vento e la temperatura attorno ai quindici gradi. Ma su Cold Ridge era già scesa sotto lo zero, il vento soffiava a oltre settanta chilometri all'ora e le creste di granito della montagna, aguzze come lame, erano già coperte di neve e ghiaccio.

    I suoi genitori erano saliti a Cold Ridge in novembre ed erano morti lassù, quando lei aveva tre anni. Il trentesimo anniversario era stato proprio quella settimana, ma Carine se ne ricordava ancora.

    Gus, suo zio, aveva fatto parte della squadra di ricerca che aveva trovato il fratello maggiore e la cognata. Aveva poco più di vent'anni, ed era tornato a casa dal Vietnam da meno di un anno, ma si era assunto la responsabilità di crescere Carine e i suoi fratelli. Antonia aveva appena cinque anni, e Nate sette.

    Sì, pensò Carine, scavalcando un muretto di pietra, ricordava molte cose di quei terribili giorni, anche se era stata troppo piccola per capire realmente l'accaduto. Gus aveva portato lei e i suoi fratelli sulla montagna, la primavera successiva alla tragedia. Cold Ridge incombeva sopra la loro valle, nel New Hampshire settentrionale, e sul paese omonimo. Gus diceva che non potevano averne paura. Suo fratello era stato un vigile del fuoco, sua cognata un'insegnante di biologia, entrambi appassionati escursionisti. Non erano né imprudenti, né inesperti. La gente, nella valle, parlava ancora della loro morte. Non aveva importanza se adesso le previsioni del tempo erano più accurate e l'equipaggiamento più tecnologico... Se Cold Ridge aveva potuto uccidere Harry e Jill Winters, poteva uccidere chiunque.

    Carine aspettò di essersi addentrata nei boschi prima di tirare fuori la macchina fotografica. Non era ancora sicura che le piacesse. Ma in ogni caso non sarebbe riuscita a concentrarsi seriamente sulla fotografia, quel giorno. La sua mente continuava a tornare ai fugaci ricordi, alle immagini indistinte dei suoi genitori... qualunque frammento che riuscisse ad afferrare.

    Gus, che era diventato una delle guide più stimate delle White Mountains, avrebbe sollevato obiezioni su quella sua escursione solitaria. Era il solo rischio che Carine si concedeva di correre, la sola norma di sicurezza che si permetteva di infrangere.

    Aveva scalato tutte le quarantotto cime delle White Mountains. Sette superavano i millecinquecento metri, i monti Washington, Adams, Jefferson, Monroe, Madison, Lafayette e Lincoln. Fra queste, il monte Washington, con i suoi quasi millenovecento metri, era il più alto e il più famoso, noto per le sue condizioni estreme, tra le peggiori al mondo. In qualunque periodo dell'anno gli scalatori potevano trovarsi ad affrontare venti della forza di un uragano su nude pareti di granito. Era capitato anche alla stessa Carine. A causa di quelle condizioni climatiche, sulle White Mountains la linea della vegetazione era più bassa di quanto fosse più a ovest, generalmente attorno ai millequattrocento metri.

    Si diceva che gli Abenaki considerassero sacre le cime più alte e non vi salissero mai. Carine non sapeva se fosse vero, ma poteva crederlo.

    La maggior parte delle piste di Cold Ridge correvano a oltre milleduecento metri, esponendo gli escursionisti alle condizioni estreme che regnavano al di sopra della linea della vegetazione per un tempo maggiore che se avessero semplicemente scalato una singola cima e fossero tornati indietro.

    Ma quel giorno Carine si accontentava dei boschi che coprivano il terreno un tempo occupato dalle fattorie. Gus l'aveva avvertita di stare alla larga da Bobby Paulet, un sopravvissuto che teneva duro in una piccola fattoria sul margine nordorientale dei boschi. Era un leggendario scorbutico che minacciava di sparare a chiunque mettesse piede nella sua proprietà.

    Carine scattò fotografie alle rocce e alle foglie rossicce delle querce, all'acqua che scorreva sui sassi in uno stretto ruscello, a un abete, a un olmo caduto e a un capanno da caccia abbandonato con un camino metallico piegato. Il terreno era di proprietà di un'impresa di legname che, per fortuna, era tollerante verso gli escursionisti.

    Quasi si lasciò sfuggire il gufo.

    Era un animale enorme, immobile come una statua, e i suoi colori neutri si mimetizzavano nel grigio paesaggio novembrino, mentre era accovacciato su un alto ramo di una betulla spoglia.

    Prima che Carine potesse alzare la macchina fotografica, il gufo spiccò il volo e superò il basso costone sopra di lei, sparendo alla vista.

    Lei sospirò. Aveva vinto dei premi per le sue fotografie di rapaci. Le sarebbe piaciuto catturare una buona immagine del gufo. D'altra parte, non era sicura che la macchina digitale sarebbe stata all'altezza del compito.

    Un forte colpo ruppe il silenzio.

    Carine si lasciò cadere distesa a terra, a faccia in giù, ancor prima di rendersi conto di cos'era quel rumore.

    Un colpo di fucile.

    La macchina fotografica le era sfuggita di mano ed era atterrata fra le foglie secche, a mezzo metro dal suo braccio. Lo zaino le pesava sulla schiena. Il cuore le martellava nel petto, e aveva la gola secca.

    Maledizione, pensò. Quanto era vicino?

    Dovevano essere dei cacciatori. Non cacciatori responsabili. Cacciatori pazzi. Incoscienti che non sapevano quello che stavano facendo. Sparare così vicino a lei! Che cosa avevano in testa? Aveva indossato un fiammante gilet arancione sulla giacca imbottita. Sapeva che era stagione di caccia al cervo, ma quella era la prima volta che un cacciatore sparava così vicino a lei.

    «Ehi!» Alzò la testa per gridare, ma per il resto rimase distesa sul terreno umido, fra le foglie secche. «Piantatela! C'è una persona, quassù!»

    Come in risposta, tre rapidi, assordanti spari crepitarono sopra la sua testa, e sentì il fischio delle pallottole. Una colpì una quercia, pochi metri alla sua destra.

    Quei tizi erano completamente idioti?

    Avrebbe fatto meglio a fare la sua escursione nella White Mountain National Forest, o in uno dei parchi statali dove la caccia era proibita.

    A un paio di metri da lei c'era un grosso masso isolato. Se quei tizi non intendevano smettere di sparare, doveva mettersi al riparo. Tenendosi bassa, raccolse la macchina fotografica, poi si arrabattò dietro il masso, appoggiando la schiena al granito ruvido.

    Il terreno era più bagnato, là, e Carine aveva già il sedere e le ginocchia umidi. Il freddo e l'umidità uccidevano. Erano morti più escursionisti di ipotermia, su Cold Ridge, che per qualunque altro motivo. Era stata quella la causa della morte dei suoi genitori, trent'anni prima. Erano stati sorpresi da una pioggia gelida imprevista, in condizioni di scarsa visibilità. Erano caduti. Feriti, impossibilitati a muoversi, a mantenersi caldi, non avevano avuto la minima probabilità di salvezza.

    Carine si rammentò che aveva un cambio di indumenti nello zaino. Cibo. Acqua. Un kit di pronto soccorso. Un coltello a serramanico, torcia elettrica, carta topografica, bussola, fiammiferi impermeabili. I suoi indumenti erano fatti di un materiale idrorepellente che la mantenevano isolata anche quando erano umidi.

    Il masso l'avrebbe protetta dai colpi di fucile.

    Nei boschi era sceso il silenzio. Forse chi aveva sparato si era accorto dell'errore. Per quello che ne sapeva, lui, o loro, potevano stare risalendo il vallone per scusarsi e assicurarsi che stesse bene. Ma era più probabile che se la stessero svignando, sperando che non li avesse visti.

    Tre altri spari, in rapida successione, rimbalzarono sul suo masso, facendo volare schegge di granito. Carine urlò, sorpresa, frustrata, arrabbiata. E, adesso, spaventata.

    Quando una scheggia schizzata dal masso la colpì sulla fronte tacque di colpo.

    Buon Dio, miravano a lei?

    Stavano cercando di ucciderla?

    Si raggomitolò su se stessa, con le ginocchia piegate, le braccia strette attorno alle caviglie. Il sangue le gocciolò dalla fronte su un polso. Non sentiva alcun dolore, ma il cuore le batteva all'impazzata e le orecchie le fischiavano per il frastuono dei colpi. Non riusciva a pensare.

    Ancora una volta, il silenzio seguì agli spari.

    Stavano ricaricando? Andavano a cercarla? O che cosa?

    Cercò di controllare la respirazione, sperando che non la sentissero. Ma a che serviva? Adesso, dopo che aveva gridato, dovevano sapere che era dietro il masso.

    Lo avevano saputo anche prima di sparare.

    Non poteva restare dov'era.

    Il costone basso si elevava a quattro o cinque metri sopra di lei. Se fosse riuscita ad arrivare in cima, sarebbe potuta scivolare dall'altra parte, nascondersi fra gli alberi e le rocce, tornare alla macchina e chiamare la polizia.

    Se chi le aveva sparato cercava di seguirla, almeno l'avrebbe visto, da sopra il costone.

    Già, l'avrebbe visto. E dopo, che cosa avrebbe fatto?

    Respinse quel pensiero. Avrebbe trovato una risposta più tardi. Doveva alzarsi e mettersi a correre? Camminare piegata in due? Strisciare su per il pendio? No, strisciare no. Sarebbe stata come un gigantesco verme fluorescente, con quel gilet arancione. Toglierselo? No, non c'era tempo.

    Avrebbe preso con sé lo zaino. Poteva fermare o deviare una pallottola.

    O doveva restare nascosta? Sperare che non l'avessero vista?

    Ogni fibra del suo corpo, ogni istinto di sopravvivenza che possedeva, le diceva che se rimaneva dov'era sarebbe stata uccisa.

    Scorse dei grossi alberi spogli, misti a dei sempreverdi, fra il suo nascondiglio e la cima del costone. Il fianco del pendio era cosparso di massi di origine glaciale. Quello era il New Hampshire. Lo Stato del granito.

    Respirò a fondo, visualizzando il percorso esatto, si piegò sulle ginocchia come un centometrista alla partenza, espirò e schizzò su per il pendio. Per prima cosa, si tuffò dietro un abete, poi corse diagonalmente fino a un acero, zigzagò sino a un altro abete, e infine si gettò oltre la cresta del costone. Si arrabattò giù per la discesa attraverso una macchia di arbusti nudi, mentre altri tre spari rimbombavano nel vallone dall'altro lato del costone.

    Un fischio, un rumore di rami spezzati sopra la sua testa.

    Gesù, sparavano proprio a lei!

    Una figura piegata in due balzò fuori da dietro un pino contorto alla sua sinistra, afferrandola alla vita con un braccio robusto, coprendole la bocca con una mano nuda, e poi tuffandosi di nuovo con lei dietro l'albero.

    «Carine... piccola, sono io, Tyler North. Non gridare.»

    Lui tolse la mano, appoggiandola accanto a Carine sul terreno, e lei si scostò bruscamente, anche se non riuscì a liberarsi del tutto dalla sua stretta.

    «Eri tu che mi sparavi? Mascalzone!»

    «Zitta. Non ero io.»

    Carine sbatté le palpebre, come se Tyler potesse non essere reale. Ma era praticamente distesa su di lui, contro il suo corpo caldo, solido. Tyler... Tyler North. Lui era intensamente concentrato. Pronto al combattimento, pensò Carine, con un nuovo sussulto di paura. Era un PJ dell'aeronautica. I PJ erano specialisti di ricerca e soccorso, quelli che andavano a recuperare i piloti precipitati dietro le linee nemiche. Carine lo conosceva da quando erano bambini. Aveva sentito dire che era a Cold Ridge in licenza. Forse stavano sparando a lui.

    Cercò di lottare contro la paura e la confusione. Stava scattando fotografie, badando ai fatti suoi. Poi, qualcuno aveva cominciato a spararle addosso. E ora, eccola là, dietro un albero con Ty North.

    «Da... da dove salti fuori?»

    «Sto facendo un'escursione con un paio di amici. Abbiamo visto la tua macchina e abbiamo pensato di raggiungerti per pranzo. Immaginavamo che avessi delle provviste migliori delle nostre.» Tyler corrugò le sopracciglia, ravviandole i capelli dalla fronte per scoprire il piccolo taglio, e lei ricordò che il suo addestramento comprendeva una preparazione, in fatto di pronto soccorso, superiore a quella di un paramedico. «Ti ha colpito una scheggia di roccia?»

    «Credo di sì. Ty, non so se sparavano a te...»

    «Non preoccupiamocene adesso. Il taglio non sembra troppo brutto. Vuoi che ce ne andiamo da qui?»

    Carine annuì, pensando che doveva avere l'aspetto di una pazza. Sanguinante, con degli sterpi fra i capelli, i pantaloni fradici e infangati. Aveva freddo, ma era molto lontana dall'ipotermia.

    Ty le sfilò lo zaino e se lo gettò sulla spalla.

    «Scenderemo zigzagando giù per il pendio, proprio come hai fatto tu per salire. È stato un buon lavoro. Hank Callahan e Manny Carrera sono qui, perciò non spaventarti se li vedi.»

    Hank Callahan era un ex pilota dell'aviazione e Manny era un altro PJ, sergente maggiore come Tyler. Carine li conosceva perché erano stati altre volte a Cold Ridge.

    «Okay.»

    «Va bene. Hai tutto? Se ti gira la testa, posso portarti...»

    «Ce la faccio.»

    Tyler sorrise, all'improvviso.

    «Hai dei bellissimi occhi. Perché non siamo mai usciti insieme?»

    «Come?»

    Per quanto la domanda l'avesse sorpresa, Tyler era riuscito a infrangere la cappa di paura che l'avvolgeva, e quando la prese per mano, Carine corse con lui senza esitazioni, servendosi di alberi e massi come riparo, zigzagando giù per la discesa, e poi su per un altro, piccolo pendio arrotondato. Si curvarono dietro un muretto di pietra, al di sopra del ruscello coperto di fogliame che Carine aveva fotografato poco prima. Lei respirava a fatica, il cuore le martellava nel petto per la paura e il dolore per il taglio alla fronte, che adesso aveva cominciato ad avvertire.

    Erano sempre più vicini alla strada principale. Alla sua macchina. A un luogo da cui avrebbe potuto chiamare la polizia. Aveva un telefono cellulare nello zaino, ma lassù non c'era segnale.

    Ci fu uno scricchiolio di foglie nelle vicinanze, e Hank Callahan li raggiunse, scambiando con Carine un rapido sorriso. Aveva un aspetto distinto, i capelli brizzolati, gli occhi azzurri e la mascella squadrata. Non aveva niente della solida aria rude da mastino di Tyler North.

    «Gesù, Ty, è ferita...» osservò a bassa voce.

    «Sta benone.»

    «Sono morta di paura! Quei bastardi mi stavano sparando!» Carine non alzò la voce, ma era tutt'altro che calma. «Incoscienti. Cacciatori...»

    Hank scosse la testa, e Ty disse: «Non cacciatori. Un cacciatore non spara tre colpi a un masso, anche se sta usando un fucile semiautomatico. Quei farabutti sapevano dov'eri, Carine».

    «Io? Ma io non ho fatto niente...»

    «Hai visto qualcuno?» chiese Hank. «Hai idea di quanti fossero?»

    «No, non ne ho idea.» Carine batteva i denti, adesso, ma ne attribuì la colpa al freddo, non a quello che Ty aveva detto. «C'è un vecchio capanno da caccia, non lontano dal punto in cui hanno cominciato a volare le pallottole. Mi è sembrato abbandonato. Ho scattato delle foto. Forse a qualcuno non è piaciuto.»

    «Credevo che fotografassi gli uccelli» osservò Tyler con un mezzo sorriso.

    «Sono solo più conosciuta per le mie fotografie di uccelli.» Da bambina, Carine aveva creduto di poter vedere i suoi genitori levarsi come angeli sopra Cold Ridge assieme a un falco o a un'aquila. Allora, Ty la prendeva in giro per questo. «Stavo provando la mia nuova macchina digitale.»

    Ma stava respirando rapidamente... troppo rapidamente... e Ty le mise per un momento una mano sulla bocca.

    «Ferma. Trattieni il respiro per un secondo prima di cominciare a iperventilare.»

    Carine, che si sentiva già un po' girare la testa, seguì il consiglio. Notò il colore verde degli occhi di Ty. Non era un buon segno. Non aveva mai notato niente di lui, prima, a parte il castano tendente al rosso dei capelli. Non ricordava neppure quando l'aveva visto l'ultima volta. Erano vicini di casa, ma si vedevano raramente. La madre di Ty era andata a vivere nella valle poco prima della nascita di Ty e aveva comprato la casa di mattoni che Abraham Winters, il primo dei Winters di Cold Ridge, aveva costruito nel 1817 per farne una taverna. Asseriva di chiamarsi Saskia, ma nessuno credeva che fosse il suo vero nome. Se aveva un marito, non l'aveva mai detto. Era tessitrice e pittrice, ma non la più attenta delle madri. Ty era praticamente cresciuto da solo. Anche da bambino si aggirava per ore sulle piste di Cold Ridge, prima che sua madre si accorgesse che era sparito. Era morta da quattro anni, lasciandogli la casa e cinquanta acri di boschi e pascoli. Tutti si aspettavano che Ty li vendesse, ma non l'aveva fatto anche se, per le esigenze della sua carriera militare, era raramente a Cold Ridge.

    «Non so voi, ma io preferirei mettere un bel po' di chilometri tra me e quei tizi armati di fucili» osservò Hank.

    «E l'altro vostro amico, Manny?» chiese Carine, un po' più calma.

    «Non preoccuparti per Carrera» disse Ty. «Sa badare a se stesso. Qual è la via migliore per andarcene da qui?»

    «Potremmo seguire il muretto. C'è una vecchia pista di boscaioli non lontano dal capanno...»

    Lui scosse la testa.

    «Se quelli che ti hanno sparato stanno usando il capanno, prenderanno quella pista. È probabile che abbiano dei veicoli.»

    Carine rifletté un momento.

    «Allora dovremmo seguire il ruscello. Non è una via altrettanto diretta, ma ci porterà nel punto in cui ho posteggiato.»

    «Quanto saremo esposti?»

    «Dal punto di vista di chi volesse spararci? Non posso giudicarlo. So solo che è la via più rapida per andarcene da qui.»

    «Più è rapida, meglio è» commentò Hank.

    Ty annuì, poi ammiccò a Carine.

    «Okay, bambola, faremo a modo tuo.»

    Lei non ricordava che l'avesse mai chiamata bambola, prima di quel giorno.

    Mezz'ora dopo, mentre sbucavano nell'area di parcheggio, sentirono un'esplosione nei boschi, nella direzione del capanno. Una nuvola di fumo nero si levò sopra gli alberi.

    Hank fischiettò.

    «Mi chiedo chi diavolo siano quei tizi.»

    Manny Carrera emerse da dietro un pino quasi morto. Non poteva essere stato molto dietro di loro, ma Carine non aveva sentito nulla. Era un texano con capelli e occhi scuri, robusto come un toro.

    «Bene» commentò Ty. «Non sei stato tu a saltare in aria. Il capanno?»

    «È quello che credo» rispose Manny con calma. Le esplosioni e gli spari nei boschi evidentemente non lo turbavano... e neppure Tyler o Hank. «Ci sono due uomini armati. Almeno uno è tornato al capanno. Non ho potuto avvicinarmi abbastanza per poterli descrivere.»

    «Ho un binocolo che avrei potuto prestarti» obiettò Carine.

    Lui sorrise.

    «Ma stavano sparando a te, bambina.»

    «Non necessariamente proprio a me

    «Sì, a te. Solo, non ti volevano morta. Spaventata, paralizzata dal terrore, forse. Altrimenti non ti avrebbero mancata così tante volte. Usavano fucili semiautomatici a cannocchiale.» Il tono era pratico, obiettivo, ma quando il suo sguardo si posò su di lei si addolcì leggermente. «Mi dispiace. Non è stato un incidente, né un'imprudenza. Non ti hanno scambiata per un cervo.»

    «Ho capito.» Carine si sforzò di essere altrettanto distaccata quanto i tre uomini a proposito della sua quasi mortale esperienza, ma continuava a vedersi accosciata dietro quel masso, a udire gli spari, a sentire la scheggia di roccia che le colpiva la testa. Le pallottole avevano fischiato attorno a lei, non a loro. «Forse mi hanno vista scattare fotografie, ma...» Respirò a fondo. «Per me, era solo un vecchio capanno da caccia.»

    «Basta così, per ora» dichiarò Ty. «Possiamo rimandare a più tardi le ipotesi. Hai con te un telefono cellulare?»

    Carine annuì.

    «Dubito che ci sia segnale, qui.»

    Prese lo zaino e tirò fuori il telefono, ma era così esausta, dopo tanti tuffi dietro massi e alberi e le corse in mezzo ai boschi, e tutto dopo una lunga camminata da sola con la sua macchina fotografica, che per poco non lasciò cadere a terra l'apparecchio.

    Senza commenti, Tyler lo prese e scosse la testa.

    «Niente segnale. Hank, Manny, voi prendete il mio fuoristrada. Io vado con Carine.» Si rivolse a lei, con aria pragmatica. «Te la senti di guidare, o vuoi che guidi io?»

    «Posso farcela.»

    Non trovarono copertura per il cellulare, né case, fino a quando non giunsero a un piccolo lago a nord del paese di Cold Ridge, e anche là Tyler riuscì a malapena a mettersi in contatto con il centralino prima che la linea cadesse.

    Spense il cellulare e guardò Carine.

    «Dicevo sul serio» affermò. «Perché non siamo mai usciti insieme?»

    Lei rimediò un sorriso.

    «Perché ti ho sempre odiato.»

    Lui ricambiò il sorriso, malizioso.

    «Non è vero.»

    E lei fu perduta. Là e in quel momento.

    Quando la polizia di stato e quella locale arrivarono sulla scena, il capanno era completamente bruciato e gli uomini che avevano sparato a Carine erano spariti. Secondo l'opinione degli agenti, Carine doveva essere capitata nel bel mezzo di un'operazione di contrabbando di cui avevano sentore, ma su cui non erano riusciti a ottenere alcuna informazione precisa. L'organizzazione contrabbandava droga, armi e clandestini da e per il Canada, e senza dubbio si trattava di gente pericolosa.

    Tutti convennero che era una vera fortuna che Carine non fosse rimasta uccisa.

    Anche se le fotografie che aveva scattato al capanno erano la ragione per cui i contrabbandieri le avevano sparato, non rivelavano nulla. Carine le aveva stampate nella sua minuscola baita di tronchi, mentre lei e il terzetto di militari aspettavano la polizia. Gli agenti si portarono via il dischetto, ma lei aveva ancora le stampe. Un capanno nei boschi con un camino di metallo piegato. A lei sembrava abbastanza innocente.

    Ty le medicò il taglio sulla fronte. Lei continuò a evitare il suo sguardo, consapevole della propria reazione, consapevole che, in qualche modo, qualcosa era cambiato fra loro. Conosceva Ty da sempre. Era sempre stato la sua spina nel fianco. L'aveva spinta giù dagli alberi. Aveva tagliato le corde della sua altalena. Adesso, la faceva fremere. Doveva essere l'adrenalina. Una reazione post-traumatica di qualche tipo, decise.

    Hank e Manny accesero il fuoco nella stufa a legna. Hank, apprese Carine, era un candidato dell'ultima ora, a sorpresa, a un seggio al Senato per lo stato del Massachusetts. Era un ex pilota di elicotteri dei servizi di soccorso e recupero dell'aviazione, un maggiore a riposo che aveva fatto notizia per la sua ultima missione, un anno prima, durante la quale aveva salvato dei pescatori la cui barca si era capovolta.

    Per quanto si fosse mantenuto imperturbabile nei boschi, Hank rimase virtualmente senza parole quando Antonia Winters entrò nella baita di sua sorella. Carine non poté fare a meno di sorridere. Antonia era medico, ortopedico per la precisione, a Boston, ma era andata a Cold Ridge per il trentesimo anniversario della morte dei loro genitori. Era un po' più bassa di statura di Carine, i suoi capelli ramati erano di una tonalità più chiara, ma Gus diceva che entrambe le sue nipoti avevano gli stessi occhi azzurri della madre.

    Antonia controllò la medicazione fatta da Ty e la dichiarò soddisfacente. Lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo. Antonia era decisa, attiva e di mente pronta, ma se notò la reazione di Hank alla sua presenza non lo diede a vedere.

    Gus arrivò pochi minuti dopo e spedì fuori i tre militari, facendo gli occhiacci quando Tyler ammiccò a Carine e le promise che si sarebbero rivisti più tardi. Però permise ad Antonia di restare.

    Gus aveva poco più di cinquant'anni. I suoi capelli scuri erano quasi tutti grigi, ormai, ma era robusto e in forma come sempre. Oltre a equipaggiare e guidare escursionisti sulle White Mountains, teneva corsi di sopravvivenza in montagna, campeggio invernale e operazioni di soccorso. Carine sapeva che il suo scopo era quello di ridurre le probabilità che qualcuno perisse nello stesso modo in cui erano morti suo fratello e sua cognata. Ma, nonostante i suoi sforzi, la montagna faceva vittime quasi ogni anno.

    Portò altra legna per la stufa e insistette affinché Carine si sedesse davanti al fuoco e raccontasse tutto a lui e alla sorella.

    Lei obbedì, omettendo solo il commento di Tyler sui suoi begli occhi.

    Gus avrebbe voluto portarla in paese con sé, ma Antonia si offrì di rimanere con Carine nella baita. Il loro fratello, agente di polizia giudiziaria a New York, telefonò e convenne con l'opinione generale che i contrabbandieri non avevano mancato Carine. Se l'avessero voluta morta, sarebbe stata morta.

    «Non andare tanto in giro per qualche giorno» le raccomandò.

    Senza farsi sentire da Antonia, Carine chiese a Nate che cosa ne avrebbe pensato se lei fosse uscita con Ty.

    «Ti ha invitata?»

    «No.»

    «Grazie a Dio.»

    Il giorno seguente Ty e i suoi amici ebbero l'occasione di soccorrere una coppia del Massachusetts che era rimasta bloccata su Cold Ridge. Sterling e Jodie Rancourt avevano comprato da poco una casa a breve distanza dalla strada del passo, ed erano partiti per la loro prima escursione sulla montagna, quella che, nelle loro intenzioni, doveva essere una passeggiata di un solo pomeriggio. Invece si erano imbattuti in venti più forti e temperature più rigide di quanto avessero previsto. Ty, Hank e Manny, assai più preparati a quelle condizioni, li aiutarono a riportarsi al di sotto della linea della vegetazione, dove furono raggiunti da una locale squadra di soccorso volontario.

    Jodie Rancourt aveva riportato una distorsione a una caviglia, e sia lei, sia il marito presentavano sintomi di congelamento. In considerazione della loro scarsa esperienza e delle difficili condizioni, sarebbero facilmente potuti morire, se i tre non fossero capitati nelle loro vicinanze al momento giusto.

    Un finesettimana denso di eventi, nelle White Mountains.

    Dopo che Manny se ne fu tornato alla sua base dell'aviazione e Hank alla sua campagna elettorale, Ty e Carine rimasero soli nella loro oasi tranquilla, all'ombra di Cold Ridge.

    Gus avvertiva quello che stava accadendo e passò a dire a Carine che era

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