Seducente vendetta: Harmony Destiny
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Yvonne Lindsay
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Book preview
Seducente vendetta - Yvonne Lindsay
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Pregnancy Contract
Harlequin Desire
© 2011 Dolce Vita Trust
Traduzione di Lara Zandanel
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-780-4
1
«È morto?»
Wade la guardò attentamente. Oh, era davvero una brava attrice. Chiunque avrebbe pensato che fosse scioccata, o perfino dispiaciuta, nell’apprendere della morte di suo padre. Ma se fosse stato davvero così, gli sarebbe stata accanto invece di divertirsi in giro per il mondo, come aveva fatto negli ultimi otto anni. Cercò di allontanare il dolore che lui stesso provava per la perdita dell’uomo che era stato il suo mentore e il suo migliore amico. Sarebbe stato logico partecipare alla sofferenza della figlia. Ma si rifiutava categoricamente di condividere di nuovo qualsiasi sentimento con Piper Mitchell.
«Sì. Quattro giorni fa. Questa...» disse, indicando la gente che affollava il piano terra della casa «... è la sua veglia funebre.»
«No, non può essere morto. Stai mentendo.» Piper inspirò a fatica. «Deve essere così.»
«Non sprecherei fiato a mentirti.»
Le parole la colpirono, affondando oltre l’incredulità. Wade riuscì a individuare l’istante esatto in cui la realtà la travolse. Il viso divenne pallido. La luce che illuminava gli occhi blu topazio scomparve, le pupille si dilatarono e lo sguardo si perse nel vuoto. Fece un passo indietro, instabile, e Wade tese istintivamente il braccio per impedirle di cadere.
Inclinò la testa per guardare la mano di lui, che la sosteneva.
«Non mi sento molto bene» mormorò, mentre la voce le veniva meno, le ginocchia cedevano e le palpebre si chiudevano.
Maledicendola silenziosamente per il tempismo e la reazione, Wade la prese in braccio e attraversò la porta d’ingresso.
«Signor Collins, va tutto bene?» Dexter, il maggiordomo gli si avvicinò rapidamente.
«La signorina Mitchell è svenuta» rispose Wade mordendosi la lingua e pensando ai termini, decisamente più coloriti, che avrebbe voluto usare per descrivere la sua reazione.
«Devo chiamare il medico?» chiese Dexter.
«Non credo che sia necessario. Vediamo come si sente una volta ripresa. La sua camera è pronta?»
«Il signor Mitchell desiderava che la camera della signorina Piper fosse sempre pronta, signore.»
«Allora la porto di sopra.» Wade fece un cenno in direzione dello zaino che Piper aveva lasciato nel portico. «Puoi raccogliere le sue cose?»
«Certo, signore.»
Wade salì le scale con la figlia del suo capo tra le braccia. Nonostante l’altezza era leggera come una piuma, e quando l’adagiò sul letto notò quanto il suo corpo fosse esile e fragile sotto i jeans e la felpa che indossava.
«Forse dovrei chiamare la signora Dexter per occuparsi di lei» disse piano il maggiordomo mentre appoggiava il sudicio zaino sul parquet lucido della stanza.
«Sì» rispose Wade, cercando un segno di ripresa nel corpo inerme sul letto. Non voleva toccarla più di quanto fosse strettamente necessario.
Perché ora? si domandò. Perché era tornata proprio adesso? Rimase fermo accanto al letto a osservare i movimenti del suo respiro. Scosse la testa. Aveva esaminato i resoconti bancari e sapeva che aveva dissipato il suo fondo fiduciario negli ultimi otto anni. Come diavolo aveva fatto a spendere tutti quei soldi? Certo non in vestiti, a giudicare da quello che indossava.
Un rumore alla porta segnalò la presenza della governante che era al suo servizio, insieme a Dexter, da quando aveva comprato la casa da Rex Mitchell, un paio di anni prima.
«Oh, tesoro, cos’hai combinato?» mormorò la donna mentre poggiava la mano sulla fronte di Piper. «E i tuoi magnifici capelli, cosa sono questi?»
«Credo che si chiamino dreadlocks» interloquì seccamente Wade, il labbro piegato in una smorfia di derisione.
Bussare alla sua porta con l’aspetto di una profuga fuggita da un paese straniero. Proprio il tipo di richiesta di attenzione tipica di Piper.
Perché avrebbe dovuto essere sorpreso? Si stupì nel rendersi conto che, in fondo, aveva sperato che potesse essere cambiata. Ma ancora una volta aveva dato prova che c’era una sola persona di cui le importasse: se stessa. E niente e nessuno l’avrebbe fermata, nemmeno il padre morente.
Nemmeno il bambino che aveva quasi dato alla luce.
Il maggiordomo riapparve sulla soglia della camera di Piper.
«Signor Collins, i suoi ospiti?»
«Sì, grazie Dexter. Arrivo subito.»
Tornò al piano terra, alla riunione che doveva rappresentare la celebrazione della vita dell’uomo che aveva dato a Wade l’opportunità di lasciarsi alle spalle la mediocrità e che gli aveva insegnato a eccellere. Rex Mitchell poteva sembrare un vero bastardo a volte, ma aveva un gran cuore e sapeva ricompensare il duro lavoro. E amava sua figlia, che aveva ripagato il suo affetto andandosene senza voltarsi indietro.
Wade si unì alla folla nella sala da ballo della maestosa casa di Auckland e si comportò esattamente come ci si aspettava, accettando le condoglianze e raccontando storie che facevano nascere sorrisi amari sui volti dei presenti. Alla fine tutti se ne andarono e rimase solo. Solo, a parte i domestici che stavano riordinando le stoviglie, e la donna che era ancora di sopra.
Quando sarebbe riapparsa? Be’, lui non aveva fretta di affrontarla. Il confronto sarebbe stato tutt’altro che piacevole.
Si spostò in biblioteca, andando dritto verso la credenza. Il cognac gorgogliò attraverso il collo della bottiglia e il liquido ambrato riempì il bicchiere. Continuando il rituale che aveva ripetuto ogni sera con Rex, prima che la malattia lo rendesse troppo debole per alzarsi dal letto, Wade si accomodò sulla poltrona davanti al fuoco e sollevò il bicchiere in un brindisi silenzioso verso la sedia vuota.
«A quanto pare non vedevi l’ora di dare fondo al cognac di papà.»
Wade si irrigidì nell’udire il suono della voce di Piper, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di sapere quanto l’avesse ferito pronunciando quelle parole.
«Vuoi unirti a me?» le domandò strascicando le parole, senza voltare il viso nella sua direzione.
«Certo. Perché no.»
La sentì versarsi da bere e poi avanzare sul tappeto che copriva il pavimento. Con un sospiro si lasciò cadere sulla sedia che era stata di suo padre. Il fresco profumo di sapone e una leggera fragranza colpirono le narici di Wade. Le concesse uno sguardo. Si era fatta una doccia e aveva indossato un paio di jeans e un maglione pulito. Oltre la stoffa riusciva a intravedere il profilo delle sue ossa. Perfino il viso ora era più spigoloso, i tratti resi duri dall’esperienza. Sembrava non avere più nulla in comune con la ragazza viziata che aveva preso il suo cuore e lo aveva gettato via.
«Non riesco a credere che se ne sia andato davvero» disse piano, spezzando il silenzio.
Sapeva cosa voleva dire. Anche per lui era stato difficile affrontare la situazione, quando Rex gli aveva ceduto le redini degli affari, diciotto mesi prima. E prima ancora, quando aveva stabilito di vendergli la casa di famiglia, per evitare che cadesse nelle mani di un estraneo dopo la sua morte.
«Già, ma è così.»
«Non pensavo che potesse morire.»
«Nemmeno lui all’inizio. Le statistiche di guarigione per il cancro alla prostata sembravano essere dalla sua parte.»
«Cancro? Credevo che fosse morto d’infarto.»
«Cosa te lo ha fatto pensare?»
«Non sapevo che fosse malato. Ho immaginato che si trattasse del cuore perché lavorava sempre tanto.»
Wade vide i suoi occhi riempirsi di lacrime. Non aveva condiviso la decisone di Rex di non parlare della sua malattia nelle rare occasioni in cui Piper telefonava. Negli ultimi mesi, l’ostinazione dell’uomo era stata l’unico motivo di contrasto tra loro. Rex considerava Piper troppo debole e incapace di gestire lo stress della malattia, ma Wade era convinto che meritasse di averla accanto negli ultimi giorni e non gli importava se lei avesse o no la forza per affrontarlo.
Piper continuò: «Sarei tornata prima se l’avessi saputo».
«Forse è una delle ragioni per cui non ti ha detto niente» ribatté Wade, sempre più frustrato da quella tardiva dimostrazione di affetto figliale.
Lei fremette all’udire quelle parole e le lacrime lasciarono il posto a un moto di rabbia.
«Cosa intendi dire?» chiese.
«Esattamente ciò che ho detto. Sai com’era tuo padre. Non sto dicendo che non ti volesse a casa. Sperava nel tuo ritorno ogni giorno, da quando te ne sei andata. Ma credo che nel profondo desiderasse che tu tornassi perché era ciò che volevi, non perché eri costretta a farlo.»
«Stai dicendo che l’ho deluso ancora una volta.» Era sulla difensiva.
«Non mettermi in bocca parole che non ho detto, Piper.» Sbuffò, rifiutandosi di cadere nella provocazione. «Più di ogni cosa, Rex voleva proteggerti dal mondo crudele, compresa la sua malattia. Non voleva che anche tu provassi quello che stava passando lui. Comunque, ora non ha più importanza, no?»
«Credo che possiamo considerare la continua delusione di mio padre nei miei confronti come un dato di fatto» disse lei aspramente, prima di bere un sorso del suo drink. «Tu, invece, sei rimasto il ragazzo d’oro.»
Piper lottò contro il desiderio di urlare, di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per provocare Wade e spingerlo a litigare con lei. Dopotutto, avevano fatto abbastanza esperienza nel periodo in cui erano stati insieme. Era sempre stato così tra loro. Passione dirompente, emozioni profonde. Un litigio era qualcosa che era in grado di gestire.
Ciò che non riusciva ad affrontare, invece, era l’innegabile verità che non avrebbe mai più rivisto suo padre. Non avrebbe più sentito la sua voce tonante nella casa che era della sua famiglia da generazioni, non avrebbe più percepito il calore del suo abbraccio.
Non avrebbe mai avuto la possibilità di scusarsi per le difficoltà che gli aveva sempre causato da quando aveva scoperto il potere della sua femminilità. Sapeva che aveva sofferto nel vederla andar via appena ventenne, ma il dolore probabilmente era stato in parte mitigato dal sollievo di non doversi più scontrare ogni giorno con quella figlia ribelle.
Piper posò il bicchiere sul tavolino e rannicchiò le gambe sulla sedia, le ginocchia sotto il mento e le braccia che stringevano i polpacci. Come aveva potuto tenerle segreta la malattia? Le era sembrato stanco l’ultima volta che l’aveva sentito. Quand’era stato? Forse tre mesi prima? Avrebbe dovuto dirle tutto.
Un senso di gelosia la attanagliò. Ovviamente suo padre aveva condiviso tutto con Wade. I due erano stati vicini fin da quando Rex gli aveva offerto uno stage nella società di esportazioni. Era presto diventato il figlio che non aveva mai avuto.
Piper invidiava la loro confidenza e aveva fatto del suo meglio per distruggere quel rapporto, fallendo miseramente e finendo per fare del male alle uniche due persone che avesse mai amato.
Gettò uno sguardo all’uomo seduto di fronte a lei e avvertì l’antico e familiare fremito di desiderio. Anche con quell’espressione astiosa sul viso aveva il potere di animare i suoi sensi e farle accelerare il battito del cuore. Era cambiato mentre lei era via. Il viso aveva acquisito un’espressione più seria e la mascella era valorizzata da un’ombra di barba sul mento. L’abito firmato gli cadeva alla perfezione ed era l’immagine perfetta dell’uomo d’affari di successo.
Lanciò un’occhiata alla sua mano sinistra e notò che non portava alcun anello, rimproverandosi immediatamente di averlo fatto. Lui aveva messo bene in chiaro l’antipatia che provava per lei, fin da quando aveva varcato la soglia di casa. Tuttavia, la nuova Piper Mitchell era determinata a farsi perdonare le trasgressioni passate. Trasgressioni che includevano il modo in cui aveva trattato Wade, permettendo che l’amore per lui la rendesse egoista, chiedendogli più di quanto lui fosse disposto a dare. Ora era dispiaciuta per