Elisir
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Dalla voce di Aiden St. Delphi, un breve ma emozionante capitolo della Covenant series...
Da quando Alex è diventata Apollyon, il suo legame con Seth si è rafforzato tanto da diventare un pericolo per la sua stessa vita. Nonostante i nuovi poteri e la forza inimmaginabile che ha acquisito, ora è più vulnerabile che mai, e Aiden deve trovare il modo di proteggerla. Da Seth, ma anche dagli stessi dei, pronti a scatenare una guerra pur di eliminare chiunque minacci di distruggerli.
Non c'è limite a ciò che Aiden sarebbe disposto a fare per salvare la donna che ama più di se stesso. Questa volta, però, il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto per entrambi. Forse troppo...
Jennifer L. Armentrout
Autrice al vertice delle classifiche del New York Times e di USA Today, oltre a scrivere romance si è cimentata con successo nei generi Young e New Adult, fantascienza e fantasy. Attualmente vive a Martinsburg, West Virginia. Con HarperCollins ha pubblicato le serie Covenant, Titan, Dark Elements, The Harbinger, Blood and Ash e Flesh and Fire.
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Book preview
Elisir - Jennifer L. Armentrout
1
Alex stringeva tra le mani le sbarre di titanio forgiate da Efesto e Apollo, gli occhi ambrati accesi d'odio. Ma quegli occhi... non erano i suoi.
I suoi erano marroni e caldi come il buon whisky. Mi erano rimasti impressi fin dal nostro incontro in quella fabbrica abbandonata di Atlanta. Questa era una creatura completamente diversa.
Quando l'avevamo trasferita nel rifugio di Apple River, nell'Illinois, stavamo quasi per perderla. Nessuno di noi, me compreso, era preparato a una simile esplosione di potenza. Se Apollo non avesse convinto Efesto – l'unico dio in grado di costruire qualcosa che resistesse all'Apollyon – a creare una cella in cui rinchiudere Alex, non saremmo mai riusciti a controllarla.
«Se non mi fai uscire subito da qui, strapperò le costole a tuo fratello una per una e mi ci farò una bella corona da mettere in testa.»
Rimasi impassibile. Negli ultimi giorni mi ero abituato fin troppo alle intimidazioni di Alex. La minaccia di uccidere Deacon era una delle sue preferite. Si sarebbe stancata in fretta. All'inizio non si comportava così. All'inizio sembrava... normale, a parte gli occhi ambrati. Parlava come Alex e aveva la stessa voce. Faceva le stesse identiche battute. Si arrabbiava come lei. E ragionava come lei.
Adesso stringeva le sbarre di titanio. Ciascuna di esse era rivestita da un reticolo di metallo indistruttibile che Efesto aveva già sperimentato contro Afrodite. Neppure l'Apollyon avrebbe potuto sfondarle.
Sopra di lei erano stati incisi diversi segni sul cemento, per neutralizzare la maggior parte dei poteri appena emersi: non la bloccavano del tutto, ma le impedivano di costituire un pericolo per sé e per gli altri.
Per il momento.
Al ricordo di quanto era successo dopo il Risveglio di Alex mi ribolliva ancora il sangue. Si era connessa al primo – Seth – ed era stato subito chiaro a tutti che gli aveva spifferato il luogo del nascondiglio. Pur comprendendo alla perfezione la necessità di trasferirla in fretta, non avevo gradito per niente la mossa di Apollo.
L'aveva colpita con un fulmine divino.
E io gli avevo mollato un pugno.
Mi stupivo di essere ancora vivo.
«Hai idea di come ti sentirai a startene lì fermo a guardare mentre lo faccio?» mi provocò Alex. «Più o meno come quando hai visto i daimon massacrare i tuoi genitori, solo che sarà molto, molto più piacevole.»
Incrociai le braccia.
Espirando lentamente, Alex chinò la testa e cacciò indietro le lacrime. «Ti prego. Aiden, ti prego, fammi uscire di qui.»
Chiusi gli occhi. Uno spasmo mi contrasse la mascella. Quella... quella tattica era la peggiore in assoluto.
«Perché mi tratti così? Non vedi come sto? Perché gli hai permesso di farmi del male?»
Spalancai gli occhi di scatto. Sentii irrigidire ogni singolo muscolo del corpo. Le lacrime le sgorgavano lungo le guance e per un istante – soltanto uno – dimenticai che non era la vera Alex a pregarmi e implorarmi dalla cella.
«Credevo mi amassi...»
Avanzai così fulmineo che rimase atterrita. Infilai le mani tra le sbarre e le afferrai il viso. Premetti la fronte contro il metallo gelido e posai le labbra sulle sue. Fu un bacio fugace e violento. Arrabbiato. Disperato. Lei si pietrificò, incapace di reagire. In più occasioni, nelle ultime quarantotto ore, quello era stato l'unico modo per zittirla.
Mi ritrassi e la lasciai andare. «Proprio perché ti amo, non posso liberarti.»
Alex fu travolta da un senso di frustrazione che per poco non strappò a me la pelle dalle ossa. Il suo sguardo lacrimoso svanì all'istante. Con un grido si fiondò verso l'interno della cella. Lontana dalle sbarre, si accasciò contro la parete, le spalle curvate in avanti. «Non puoi tenermi rinchiusa per sempre.»
«Ci posso provare.»
«Lui verrà a cercarmi.»
«Non ti troverà mai» risposi, sedendomi sulla sedia di ferro fuori dalla cella. Mi ero assicurato che Alex avesse tutto l'indispensabile: un piccolo bagno separato, un letto che lei aveva distrutto subito riducendolo a un semplice materasso, e dei vestiti.
Scoppiò a ridere e si staccò dal muro. «Non riuscirete a prenderlo.»
Mi cadde lo sguardo sul piatto di cibo ancora intatto ai piedi delle sbarre. «Mangia, Alex. Hai bisogno di mangiare.»
«Non sarai mai come lui.»
Mi grattai la barba che ricresceva ispida, mentre Alex si avvicinava lentamente al piatto. Mi si accese un lampo di speranza. Non mangiava da quattro giorni, dal momento del Risveglio. Non capivo come facesse a reggersi ancora in piedi. Sollevò il piatto dal pavimento e arretrò.
«Hai deciso di mangiare finalmente?» domandai sfinito.
Lei mi sorrise e di colpo scagliò il piatto dritto verso di me. Il contenitore di plastica si schiantò contro le sbarre di titanio e cadde a terra rumorosamente. Frammenti di cibo – purè e carne di un qualche tipo – schizzarono tra le sbarre, imbrattandomi la faccia e il petto. Avevamo smesso di portarle piatti di ceramica da quando aveva tentato di usare i cocci come armi.
Attingendo alla pazienza ormai in riserva, mi ripulii con calma dai pezzi di cibo spiaccicati addosso. «Ora ti senti meglio, Alex?»
Mi mostrò il broncio. «Veramente no.» Poi prese a camminare su e giù, con un'andatura fluida che mi incantava nonostante mi avesse appena tirato addosso la cena... di nuovo. «Non ce la faccio più. Fammi uscire da qui o giuro che ti disintegro.»
Scossi la testa. «Alex, devi restare qui dentro. Ti conosco. Il mio cuore cesserebbe di battere se te ne andassi per sempre.»
Lei si lasciò cadere sul materasso, con un gemito. «Per gli dei, ma quanto sei romantico? Ho il cuore in fibrillazione.»
«Eccolo!» Mi alzai di scatto e afferrai le sbarre, imitando il suo atteggiamento di poco prima. «Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avresti messo a saltare fuori. Ti rode il mio amore per lei, Seth?»
Alex rotolò su un fianco, i lineamenti tirati e il viso pallido. «Seth non c'è, idiota di un Puro.»
«Fa male quando si connette, vero?»
«Non c'è e basta!» strillò lei con voce rotta.
Sapevo che stava mentendo. «Invece è qui.» Mi appoggiai alle sbarre. «Te lo leggo negli occhi.»
Alex si raggomitolò e trasse le ginocchia al petto. Fu scossa da un brivido. Sapevo cosa voleva fare: chiudersi in se stessa, raggiungere Seth, mettersi in contatto con lui.
«Alex» chiamai.
Sollevò la testa e serrò i pugni. «Vattene.»
I nostri sguardi si incrociarono. «Mai.»
«Ti odio» ribatté con un sibilo, e sembrava sincera. «Ti odio!»
«Non è vero. Alex mi ama.»
Lei alzò gli occhi al soffitto. «Alex sono io, idiota. E non ti amo. Ho bisogno di...»
«Hai bisogno di Seth.» Un incendio mi divampò nel petto e strinsi le sbarre così forte da indolenzirmi le nocche. In fondo al cuore sapevo che non si comportava così solo perché costretta da Seth. Sì, diceva cose che sembravano uscire dalla bocca del primo, ma era un bisogno a guidarla. Il suo bisogno di avvicinarsi a lui era tangibile, reale e fortissimo.
Ne sentivo persino il sapore.
Ricordai che gliene aveva parlato anche l'oracolo durante l'estate. All'epoca non avevo capito bene, ma adesso era tutto chiaro. Quel bisogno la stava distruggendo, stava distruggendo me.
«Il bisogno non è amore, Alex.»
Prima che potesse rispondere, si aprì la porta. «Oh!» Alex allungò le gambe e batté le mani. «Ci sono visite per la piccola prigioniera? Ma come sono fortunata. Ero stufa di vedere solo la sua faccia.»
Marcus, lo zio di sangue puro di Alex, mi lanciò un'occhiata. «Sembra di buonumore.»
Sbuffai.
Alex balzò in piedi, barcollando in modo innaturale verso l'estremità destra della cella. Il materasso, l'unico oggetto rimasto nella stanza, prese a fluttuare a mezzo metro dal pavimento. Avevamo eliminato tutto il resto. Ormai dominare gli elementi per lei era un gioco. Le bastava volerlo e ci riusciva. E per gli dei, quanto le piaceva!
Io e Marcus ci limitammo a fissarla, rapiti in modo quasi morboso dallo spettacolo. Era più potente del giorno prima, perciò significava che la magia protettiva si stava esaurendo. Efesto doveva tornare a farci visita prima possibile.
«Allora, me lo dici dove siamo?» Alex enfatizzò ogni sillaba, caricandola di energia pura.
Arretrai di un passo mentre le sue parole si riversavano e