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L incanto di Capodanno: Harmony Jolly
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L incanto di Capodanno: Harmony Jolly

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Cuore latino 1/4
Non c'è donna ideale, che abbia un cuore puro, che un uomo non sia sicuro di conquistare (G. Casanova)


A Phoebe Gates sembra di sognare quando le viene offerta una cifra da capogiro per risistemare le residenze negli Hamptons e a Roma del milionario italiano Matteo Bianchi: quell'incarico è esattamente ciò di cui ha bisogno! Giorno dopo giorno, l'attrazione tra i due inaspettatamente cresce, fino a quando un bacio sigilla il loro desiderio nella notte di Capodanno. Durante il viaggio a Roma, Phoebe e Matteo si scoprono sempre più vicini, e mentre lei riversa con entusiasmo tutte le proprie energie nella risistemazione della casa, Matteo comincia a domandarsi se riuscirà ad aprire il suo cuore a quella donna, ritrovando così la fiducia nell'amore per costruire un futuro insieme a lei.
LanguageItaliano
Release dateFeb 20, 2019
ISBN9788858994382
L incanto di Capodanno: Harmony Jolly

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    L incanto di Capodanno - Scarlet Wilson

    successivo.

    1

    Lo squillo del cellulare la strappò dai suoi sogni proprio mentre stava per salvare il mondo insieme a Hugh Jackman.

    Assonnata e confusa, Phoebe fece scivolare il braccio fuori dal piumone e allungò la mano verso il comodino in cerca del cellulare, sforzandosi di ricordare che cosa fosse accaduto la notte precedente. Aveva tolto la camicia a Hugh, poi... quell'immagine svanì nell'istante in cui accostò il telefono all'orecchio.

    «Pronto? Sono Phoebe Gates» mormorò, rabbrividendo.

    In quegli ultimi giorni a New York la temperatura era scesa di parecchi gradi a causa di una tempesta di neve che aveva danneggiato l'impianto di riscaldamento.

    «Signorina Gates... le piacerebbe guadagnare un quarto di milione di dollari?»

    Phoebe corrugò la fronte, convinta di avere un disturbo uditivo. O magari si trattava di uno scherzo. Provò ad associare quella voce calda e vibrante, dal forte accento italiano, a un viso che conosceva, ma non ci riuscì.

    «Che-che cosa?» farfugliò, stringendosi l'orlo della coperta sotto il mento. Forse non si era svegliata ed era ancora nel mezzo di un sogno.

    «Le ho chiesto se vorrebbe guadagnare un quarto di milione di dollari» ripeté lo sconosciuto.

    Phoebe fissò il soffitto per qualche secondo. «Sarebbe fantastico, ma...»

    «La sua risposta è un sì?» la interruppe lo sconosciuto.

    «Mi scusi?»

    «Vorrei sapere se è libera da impegni il mese prossimo.»

    «È uno scherzo? Se si sta prendendo gioco di me, sappia che ha trovato la persona sbagliata, perciò...»

    «Signorina Gates...» l'interruppe l'uomo in tono spazientito.

    «Non so come abbia avuto il mio nome e numero di telefono, ma la smetta con questi giochetti» sbottò lei, scattando a sedere sul letto. «Sa che giorno è oggi?» gli domandò, guardando l'orologio. «E soprattutto che ore sono?» aggiunse, passandosi una mano tra i folti ricci. «È il giorno di Santo Stefano e sono le otto del mattino» dichiarò, accecata dalla luce bianca che filtrava dalla finestra. «Lei non lo festeggia il Natale

    Un sospiro impaziente la raggiunse dall'altro capo del telefono. «Signorina Gates... sarà libera le prossime settimane, o ha già preso degli impegni?»

    A quel punto Phoebe si svegliò del tutto. Quell'uomo arrogante, che l'aveva strappata ai suoi sogni, si rivolgeva a lei come se fosse una scolaretta.

    «Dipende. Per prima cosa vorrei sapere con chi ho il piacere di parlare. Non mi sembra di aver sentito il suo nome. Le buone maniere contano, signor...?»

    Silenzio.

    «Mi scusi, signorina Gates. Ha ragione, non mi sono presentato e mia nonna probabilmente ne sarebbe indignata. Se fosse qui, mi darebbe uno scappellotto. La mia mancanza è imperdonabile.»

    Phoebe colse una vena d'ironia nella sua voce.

    «Mi chiamo Matteo Bianchi» proseguì. «E possiedo due immobili che desidero vendere nel più breve tempo possibile, ma hanno bisogno di qualche ritocco prima di essere messi sul mercato.»

    Dunque... si trattava di una telefonata di lavoro. «Capisco, ma la sua urgenza è tale da telefonare proprio il giorno di Santo Stefano alle otto del mattino?»

    «Natale è passato e io detesto perdere tempo. Accetta la mia offerta?» domandò lui con insistenza.

    Phoebe guardò fuori dalla finestra la neve che cadeva fitta. Aveva pianificato di andare in giro per negozi e fare qualche acquisto in saldo ma visto il brutto tempo e la folla che si sarebbe riversata nei centri commerciali, decise di cambiare programma.

    «Dove sarebbero questi immobili?» domandò in tono scettico.

    «Il primo si trova negli Hamptons, per la precisione a Southampton.»

    Phoebe si portò una mano alla bocca. In quella zona c'era una concentrazione quasi imbarazzante di ville esclusive, e nessuna che non valesse almeno un milione di dollari. Lavorare in un uno dei posti più ricchi al mondo era un sogno che coltivava da sempre e che adesso poteva avverarsi. Inoltre, accettare quell'impiego significava non doversi più preoccupare di non riuscire a fare fronte alle spese mediche di sua madre.

    Cercò d'imprimere alla propria voce un tono neutro. «E la seconda proprietà dove si trova?»

    «A Roma.»

    Phoebe smise di respirare. Era raro che restasse senza parole, ma questa volta si ammutolì.

    «Ho bisogno che lei cominci immediatamente. Mi assicurerò che riceva una carta di credito aziendale per pagare tutto ciò che sarà necessario.»

    Il mutismo di Phoebe proseguì.

    «Signorina Gates? È ancora in linea?»

    «Sì, sì, eccomi. Per quanto riguarda la sua proprietà agli Hamptons non c'è alcun problema. Posso andare a vederla in qualsiasi momento, ma per quella di Roma non sarà così semplice.»

    «Perché ha bisogno di vederla?»

    «Devo valutarne le potenzialità, capire il lavoro che mi aspetta» puntualizzò lei, udendo un sospiro spazientito dall'altra parte.

    «D'accordo. Passerò a prenderla tra un'ora.»

    «Che cosa?» reagì Phoebe, scattando in piedi come una molla.

    «Vuole visitare la casa, perciò passerò a prenderla per mostrargliela.»

    Quell'uomo conosceva il suo nome, il suo numero di telefono, il suo indirizzo, eppure nessuno li aveva mai presentati. Se così fosse stato, non avrebbe dimenticato quell'accento.

    «Signor Bianchi... posso sapere chi le ha suggerito di contattarmi?» Non riusciva a credere di dover lavorare il giorno di Santo Stefano. Soltanto cinque minuti prima era immersa in un sonno profondo.

    «Ho visitato l'appartamento vicino a Central Park che ha curato prima che fosse messo in vendita.» Matteo fece una pausa. «Mi è piaciuto. Ha fatto un ottimo lavoro. Il proprietario ha tessuto le sue lodi.»

    «Si riferisce a quello in Madison Court?» replicò lei con il sorriso nella voce. Si era divertita molto in quell'occasione.

    L'appartamento in questione apparteneva a un anziano capitano della marina e Phoebe, contrariamente all'opinione di altri designer d'interni, aveva preferito preservarne lo stile, che rifletteva lo spirito del suo proprietario, piuttosto che trasformarlo seguendo i dettami della moda minimalistica che quell'anno celebrava il nero e l'acciaio. Il risultato era stato vincente. Dando risalto all'arredamento marinaro e preservando alcuni elementi – un timone, un faro artigianale, un modello su piccola scala di una barca capitanata dallo stesso Monaghan – l'appartamento aveva incontrato il gusto dei visitatori, tanto che era stato venduto a un prezzo superiore rispetto a quello richiesto inizialmente.

    Lusingata che a Matteo fosse piaciuto il suo operato, si sentì più ben disposta nei confronti dell'uomo. Madison Court era stato uno dei lavori più importanti che si era trovata ad affrontare. Prima di accettare l'incarico, aveva incontrato il capitano, anziano e malato, nello stesso ospedale in cui era stata ricoverata sua madre. Quell'uomo, dal passato avventuroso, le aveva fatto breccia nel cuore. La malattia lo stava consumando e Phoebe, commossa, gli aveva promesso che avrebbe fatto tutto il possibile per preservare lo stile della sua casa e renderla unica.

    «Devo ammettere che Madison Court è... insolita» commentò Matteo Bianchi. «Dunque... lavorerà per me?»

    Un quarto di milione di dollari. Quella era la cifra che il signor Bianchi le aveva offerto.

    Phoebe e sua madre avevano messo da parte qualche risparmio, insufficiente tuttavia a sostenere le spese mediche non coperte dall'assicurazione sanitaria. Erano ormai sull'orlo del collasso, e quell'impiego piovuto dal cielo era la risposta alle loro preghiere. «Ci vediamo tra un'ora» rispose di getto.

    «Non vedo l'ora di conoscerla, signorina Gates» dichiarò.

    Phoebe controllò nuovamente l'orologio. Se non voleva fare tardi, doveva mettersi in moto subito. Entusiasta per la proposta appena ricevuta, si chiese come mai, tra dozzine di designer d'interni, quell'italiano dalla voce calda e pastosa avesse scelto proprio lei. Non aveva mai seguito la vendita di una residenza negli Hamptons prima di allora ed era strano che quell'uomo si fosse rivolto proprio a lei.

    «Signor Bianchi?»

    «Sì, signorina Gates.»

    «Scusi la domanda, ma è inevitabile: quanti altri arredatori d'interni ha contattato questa mattina prima di arrivare a me?»

    «Solo sette» rispose Matteo.

    Phoebe scoppiò a ridere. «Ci vediamo tra un'ora» confermò, terminando la telefonata.

    Matteo controllò le lancette dell'orologio per la quinta volta in pochi secondi. La limousine procedeva a passo d'uomo lungo la strada innevata e lui cominciava a innervosirsi. Finalmente, dopo un tempo che gli parve infinito, raggiunse la destinazione.

    Una donna, vestita come se dovesse affrontare il rigore del Polo Nord, si avvicinò alla macchina. Era così infagottata che lui non riuscì a scorgerle il viso. L'autista si affrettò a scendere per aprirle lo sportello e la Signorina delle nevi scivolò sul sedile posteriore accanto a lui.

    Tolti cappuccio e sciarpa, si voltò verso di lui e lo fissò con i suoi occhi scuri e luminosi come due pietre d'onice.

    Phoebe Gates era più giovane e più attraente di quanto si fosse aspettato. Il color ambrato della pelle e i riccioli che le incorniciavano il volto le conferivano un'aria esotica.

    Phoebe gli rivolse un sorriso aperto mentre si sbottonava la giacca... anzi, le giacche che aveva indossato a strati. «Credo di aver esagerato. Ho dato un'occhiata alla temperatura e vedendo tutta questa neve, ho praticamente indossato tutto ciò che possiedo.»

    «Già, me ne sono accorto» concordò lui con un sorriso divertito, mentre la osservava spogliarsi. Non poté fare a meno di scuotere la testa notando che si sfilava un impermeabile, un parka nero e infine una felpa con il cappuccio.

    «Fa caldo qui dentro» sbuffò Phoebe, scostando i capelli dal viso.

    Matteo si strinse nelle spalle mentre lei accavallava le gambe e ruotava il busto verso di lui. «Dunque... sono la numero otto, giusto?»

    «Esatto, ma sembra che abbia scelto il periodo dell'anno sbagliato per rivolgermi a lei.»

    «No, credo solo che lei abbia scelto il giorno meno adatto» replicò Phoebe in modo diretto, guardando la città ammantata di bianco. «Comunque... come mai ha tanta fretta?»

    Matteo appoggiò le spalle contro il sedile di pelle e sospirò, chiudendo gli occhi per un attimo. «È arrivato il momento giusto e non voglio perdere tempo» le rispose.

    Lei arricciò il naso, soppesando quelle parole, poi qualcosa catturò la sua attenzione e ordinò all'autista di fermare la macchina.

    L'uomo inchiodò di colpo e i due passeggeri furono catapultati contro i sedili anteriori. «Che cosa è successo?»

    «Lo vede quel chiosco? È il mio preferito. Serve un ottimo caffè e ha dei dolci buonissimi. Posso portarvi qualcosa?»

    «Che cosa? Ha fatto fermare l'auto solo perché desidera un caffè?» protestò Matteo, incredulo.

    Lei lo scrutò per un istante, socchiudendo i suoi grandi occhi marroni, quindi posò la mano sulla spalla dell'autista. «Per lei un caffè macchiato, giusto?»

    Confuso, l'uomo annuì.

    «E una ciambella al cioccolato?»

    L'autista annuì una seconda volta.

    Phoebe scese dalla limousine e si avvicinò al venditore, poi tornò indietro e bussò al finestrino dell'auto.

    «Che cosa c'è?» le domandò Matteo, irritato.

    New York cominciava a svegliarsi e presto le strade si sarebbero riempite di gente. Avrebbero impiegato un'ora e mezza circa per raggiungere gli Hamptons e se avessero tardato ancora, sarebbero rimasti intrappolati nel traffico.

    «Stavo cercando di capire se è più il tipo da caffè americano, o da un doppio espresso» spiegò lei con un mezzo

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