Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

November Road
November Road
November Road
Ebook349 pages4 hours

November Road

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Quando i lettori dicono che vogliono leggere un romanzo davvero buono, intendono questo. Eccezionale. STEPHEN KING
Un romanzo importante e indimenticabile. DON WINSLOW

La fortuna di Frank Guidry è giunta al termine.
Leale membro della mafia di New Orleans e fedele al suo capo Carlos Marcello, uno degli uomini più potenti e pericolosi d’America, Guidry ha imparato che tutti sono sacrificabili. Ma ora, purtroppo, è arrivato il suo turno perché sa troppe cose sul crimine del secolo: l’assassinio del presidente John F. Kennedy.
A poche ore dall’omicidio di JFK, tutti quelli che hanno legami con Marcello vengono trovati morti e Frank sospetta di essere il prossimo: è stato a Dallas per una missione per il capo meno di due settimane prima che il presidente venisse ucciso. Con poche possibilità di salvarsi, Guidry si dirige verso Las Vegas per incontrare un vecchio socio, un uomo spietato che odia Marcello abbastanza da aiutare Frank a sparire.
Forse.
Frank sa che la prima regola della fuga è “non fermarsi”, ma quando vede una bella donna sul ciglio della strada con l’auto in panne, due figlie e un cane sul sedile posteriore, vede anche il travestimento perfetto per coprire le proprie tracce e seminare i sicari che lo stanno inseguendo.
Fingendosi un assicuratore, si offre di aiutare Charlotte a raggiungere la sua destinazione, la California. Se lei lo accompagna a Las Vegas, lui può aiutarla a procurarsi una nuova auto.
Per Charlotte è più di una macchina: è una via d’uscita. Anche lei sta scappando, da un’esistenza soffocante in un piccolo paese dell’Oklahoma e da un marito gentile che è però un alcolista senza speranza. La loro è una storia americana: due estranei si incontrano per condividere un viaggio verso Ovest, verso un sogno, una speranza, e si scoprono l’un l’altro lungo la strada.
Charlotte è attratta da un uomo forte e gentile; Guidry da una donna intelligente e divertente. Capisce che è determinata a dare una nuova vita a se stessa e alle sue figlie; lei invece non può sapere che lui sta disperatamente cercando di lasciarsi la vecchia vita alle spalle.
Un’altra regola è che i fuggiaschi non dovrebbero innamorarsi, soprattutto tra di loro. Perché una strada non è solo una strada: è una traccia e gli spietati e implacabili cacciatori di Guidry lo stanno raggiungendo. Però Frank non vuole solo sopravvivere, vuole vivere davvero, forse per la prima volta.
Ognuno è sacrificabile, o dovrebbe esserlo, ma ora Frank non può abbandonare la donna e le bimbe che ha imparato ad amare.
E questo potrebbe farli uccidere tutti.
LanguageItaliano
Release dateJan 17, 2019
ISBN9788858993255
November Road
Author

Lou Berney

Lou Berney is the multiple award-winning author of Dark Ride, November Road, and The Long and Faraway Gone, as well as Gutshot Straight and Whiplash River. His short fiction has appeared in publications such as The New Yorker, Ploughshares, and the Pushcart Prize anthology. He lives in Oklahoma City, Oklahoma, and teaches in the MFA program at Oklahoma City University.

Related to November Road

Related ebooks

Crime Thriller For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for November Road

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    November Road - Lou Berney

    Sam

    1963

    1

    «Guarda! Big Easy nel suo massimo splendore!»

    Frank Guidry si fermò all’angolo di Toulouse Street per crogiolarsi nel riverbero delle luci al neon. Era vissuto a New Orleans per gran parte dei suoi trentasette anni, ma l’osceno luccichio del Quartiere Francese gli faceva ancora bollire il sangue nelle vene come una droga. Gente del posto e cafoni venuti da fuori, delinquenti d’ogni genere e prostitute, mangiatori di fuoco e illusionisti. Appoggiata a un balcone di ferro battuto al secondo piano, con una tetta in libera uscita dalla vestaglia di paillettes, una ragazza sculettava come un metronomo al ritmo della musica jazz che proveniva dall’interno: un trio – basso, batteria e pianoforte – che macinava le note di Night and Day. Era così che New Orleans ti si offriva. Anche la più scassata delle band nel locale più schifoso della città ti folgorava col suo swing.

    Dal fondo della via giunse di corsa un uomo che sbraitava a proposito di un sanguinoso omicidio. Era inseguito da una donna che brandiva un coltello da macellaio e gridava quanto lui.

    Con la grazia di un ballerino, Guidry si tolse dalla loro traiettoria. Il poliziotto di quartiere fermo all’angolo sbadigliò. Al giocoliere fuori dal Club 500 non sfuggì neanche una pallina. Era un mercoledì sera come tanti altri in Bourbon Street.

    «Venite qua, bellezze!» La ragazza al balcone dimenò le tette in direzione di due marinai ubriachi che si reggevano in piedi a stento, con gli occhi fissi su un loro compagno che vomitava l’anima nel canale di scolo. «Fate i gentiluomini e offrite da bere a una signora!»

    I marinai le rivolsero un’occhiata maliziosa. «Quanto?»

    «Quanto avete?»

    Guidry sorrise. Il mondo alla rovescia. Nei capelli cotonati la ragazza aveva un cerchietto con due orecchie da gatto di velluto nero. Aveva anche due ciglia finte così lunghe che Guidry si chiese come riuscisse a vedere. Forse era quello il suo problema.

    Prese Bienville Street, muovendosi con cautela fra i passanti. Indossava un completo grigio come l’asfalto bagnato – un abito che il suo sarto aveva confezionato con un fresco lana fatto arrivare appositamente dall’Italia. Camicia bianca e cravatta cremisi. Niente cappello. Se il presidente degli Stati Uniti non lo metteva, allora anche Guidry poteva farne a meno.

    Svoltò in Royal Street. Giunto davanti all’Hotel Monteleone, il fattorino corse ad aprirgli la porta. «Novità, Mr Guidry?»

    «Nessuna, Tommy. Ti dirò: ormai sono vecchio per stupirmi ancora, quello che ho visto fin qui mi basta e avanza.»

    Il Carousel Bar era affollato come sempre. Guidry infilò una serie di «ciao, come stai?» aprendosi un varco tra la folla. Strinse un’infinità di mani, diede diverse pacche sulle spalle e chiese a Fat Phil Lorenzo se per cena avesse mangiato il cameriere che l’aveva servito. Risata dell’interessato in risposta. Uno degli uomini di Sam Saia gli mise un braccio intorno al collo e gli sussurrò all’orecchio: «Devo parlarti».

    «Dimmi tutto» rispose Guidry.

    Era una delle regole che si era dato: se qualcuno ti sta cercando, meglio affrontarlo di petto. Si sedettero al tavolo nell’angolo, a Guidry piaceva guardare la sala da quella posizione.

    Una cameriera gli portò un doppio Macallan con il ghiaccio a parte. L’uomo di Sam Saia cominciò a parlare. Guidry sorseggiò il whisky con gli occhi fissi sulla gente che affollava il locale: gli uomini che cercavano di farsi le ragazze, e viceversa. Sorrisi, bugie, sguardi celati dal fumo. Una mano che scivolava sotto un vestito, una bocca vogliosa che sfiorava un orecchio. Guidry adorava quello spettacolo. Tutti che si davano da fare, cercando con ogni mezzo di indurre la propria vittima a cedere.

    «Abbiamo già il posto, Frank, è perfetto. Il proprietario dello stabile possiede anche il bar al pianterreno, ce lo darà per poco. Magari anche gratis.»

    «Gioco d’azzardo» indovinò Guidry.

    «Ma di classe. Un casinò di lusso. Senza che la polizia abbia da ridire. Abbiamo solo bisogno che tu sistemi un po’ le cose con quello stronzo di Dorsey. Sai quanto ci tiene…»

    L’arte della tangente. Guidry era imbattibile nel valutare il prezzo di una persona, sapeva sempre cosa ci voleva per comprare qualcuno. Una ragazza? Un ragazzo? Una ragazza e un ragazzo? Il tenente Dorsey dell’Ottavo Distretto, pensò, aveva una moglie che non avrebbe disprezzato un paio di pendenti con diamanti di Adler.

    «Sai bene che Carlos dovrà essere d’accordo» disse Guidry.

    «Carlos sarà d’accordo se tu gli spieghi che è un buon affare, Frank. Ti daremo il cinque per cento.»

    Una ragazza con i capelli rossi lo stava fissando. Era attratta dai suoi capelli neri e dalla carnagione olivastra, dalla sua magrezza e dalla fossetta sul mento, dal taglio cajun dei suoi occhi verdi. Quel taglio particolare da cui gli oriundi italiani capivano che Guidry non era uno di loro.

    «Il cinque?» disse Guidry.

    «Dài, Frank. Questa volta facciamo tutto noi.»

    «Allora non avete bisogno di me.»

    «Cerca di essere ragionevole.»

    Guidry vedeva che la rossa si stava scaldando al crescere dell’eccitazione in sala. La sua amica la istigava. Gli schienali imbottiti delle poltrone del Carousel erano rivestiti di seta e ciascuno raffigurava un diverso animale della giungla dipinto a mano. Una tigre, un elefante, una iena.

    «Oh, Natura, rossa di zanne e artigli» disse Guidry.

    «Cosa?» domandò l’uomo di Saia.

    «Sto citando Tennyson, rozzo barbaro che non sei altro.»

    «Dieci per cento, Frank. Non possiamo fare di più.»

    «Quindici. E un’occhiata ai registri ogni volta che mi gira. Adesso smamma.»

    L’uomo di Saia gli rivolse un’occhiata furente, ma quella era la dura legge della domanda e dell’offerta. Il tenente Dorsey era il poliziotto più cocciuto di New Orleans e solo Guidry riusciva ad ammorbidirlo.

    Ordinò un altro scotch. La rossa spense la sigaretta e si avvicinò distrattamente al loro tavolo. Aveva gli occhi truccati in stile Cleopatra – l’ultima moda – e un’abbronzatura dorata. Forse era una hostess, in turno di riposo dopo un volo da Miami o da Las Vegas. Si sedette senza chiedere il permesso, stupita della propria sfrontatezza.

    «La mia amica mi ha consigliato di starvi alla larga» disse.

    Guidry si chiese quante frasi d’approccio si fosse ripetuta nella mente prima di scegliere quella vincente. «Però sei qui.»

    «La mia amica va raccontando che avete degli amici molto interessanti.»

    «Be’, ne ho anche molti piuttosto noiosi» rispose Guidry.

    «Dice che lavori per chi sappiamo» aggiunse lei.

    «Il famigerato Carlos Marcello?»

    «Sì. È vero?»

    «Mai sentito nominare.»

    Lei giocherellò ostentatamente con la ciliegina nel bicchiere. Doveva avere diciannove, forse vent’anni. A ventidue avrebbe sposato il conto in banca più cospicuo dei quartieri alti che le fosse capitato sottomano e si sarebbe sistemata. Ora, però, era in cerca di un’avventura e Guidry era felice di accontentarla.

    «Allora» disse la rossa, «non sei curioso? Perché non ho dato retta alla mia amica e non sono rimasta alla larga?»

    «Perché non ti piace sentirti dire che non puoi avere quello che vuoi.»

    La ragazza strizzò gli occhi come se Guidry le avesse sbirciato nella borsa approfittando di un attimo di distrazione. «Esatto.»

    «Vale anche per me» disse Guidry. «Di occasioni te ne danno una sola nella vita, una e basta. Se non godi ogni minuto, se non accogli il piacere a braccia aperte, di chi è la colpa?»

    «Mi piace vivere al massimo» disse lei.

    «E a me piace sentirtelo dire.»

    «Mi chiamo Eileen.»

    Guidry notò che Mackey Pagano era entrato nel bar. Magro, grigio, non rasato, sembrava uno che vive in una caverna. Vide Guidry e lo salutò con un cenno del mento.

    Oh, Mackey. Sbagliava sempre i tempi, ma sapeva cogliere al volo le occasioni e rimediava solo affari vantaggiosi.

    Guidry si alzò. «Aspetta qui, Eileen.»

    «Dove vai?» chiese lei, stupita.

    Lui attraversò il locale e abbracciò Mackey. Santo Dio! Puzzava come una capra. Aveva bisogno di una doccia e di un abito pulito, subito.

    «Dev’essere stato un party da sballo, Mack» disse Guidry. «Dimmi tutto.»

    «Ho una proposta da farti» rispose Mackey.

    «Immaginavo.»

    «Facciamo quattro passi.»

    Afferrò Guidry per il gomito e lo trascinò nell’atrio, oltre il banco dei sigari, lungo un corridoio deserto e un altro ancora.

    «Hai intenzione di arrivare a Cuba, Mack?» chiese Guidry. «Sarò impresentabile con la barba.»

    Si fermarono davanti alle porte che conducevano alla zona di servizio.

    «Allora, cos’hai da propormi?» domandò Guidry.

    «Niente» rispose Mackey.

    «Come niente

    «Ho solo bisogno di parlarti.»

    «Non hai visto che al momento ho di meglio da fare?» disse Guidry.

    «Scusami. Sono nei guai, Frankie. Guai seri, probabilmente.»

    Guidry aveva un sorriso per ogni occasione. Questa volta doveva nascondere l’ansia che si stava impadronendo di lui. Afferrò una spalla di Mackey e la strinse con forza. Andrà tutto bene, amico mio. Cosa può esserci di tanto grave? Ma a Guidry non piaceva quel tremito nella voce di Mackey, il modo in cui si teneva aggrappato alla manica della sua giacca.

    Qualcuno li aveva visti uscire insieme dal Carousel? E se fosse sbucato un tizio all’improvviso, scoprendoli a parlottare? In quell’ambiente i guai si diffondevano in un battibaleno, come il raffreddore o gli applausi. Guidry sapeva che potevi rimanerne vittima anche solo per una stretta di mano, o un’occhiata inopportuna.

    «Passo da te nel fine settimana» disse. «Ti aiuterò a venirne fuori.»

    «Devo venirne fuori subito.»

    Guidry fece per allontanarsi. «Ora non posso. A domani, Mack. Stai tranquillo.»

    «Non torno a casa da una settimana» disse Mackey.

    «Allora dimmi dove. Possiamo vederci ovunque ti pare.»

    Mackey lo guardò. Quegli occhi socchiusi sembravano quasi buoni, sotto una certa luce. Mackey sapeva che Guidry stava mentendo, che non sarebbe andato da lui il giorno dopo. Ovvio. Guidry aveva una naturale predisposizione all’inganno, ma era stato proprio Mackey a insegnargli le sfumature, a spiegargli come perfezionare quell’arte.

    «Da quant’è che ci conosciamo, Frankie?» chiese Mackey.

    «Ecco» rispose Guidry. «L’approccio sentimentale.»

    «Avevi sedici anni.»

    Quindici. Guidry era ancora un ingenuo ragazzino di Ascension Parish e ciondolava per Faubourg Marigny. Viveva alla giornata, rubando carne in scatola dagli scaffali di A&P. Mackey aveva capito che prometteva bene e gli aveva affidato il suo primo lavoro. Tutte le mattine, per un anno, Guidry aveva ritirato l’incasso dalle ragazze di San Peter Street e l’aveva consegnato a Snake Gonzalez, il mitico magnaccia. Cinque dollari al giorno, e fine di tutte le illusioni che Guidry poteva essersi fatto sulla specie umana.

    «Ti prego, Frankie» disse Mackey.

    «Cosa vuoi che faccia?»

    «Parla con Seraphine. Fatti dire cos’hanno in testa. Forse sono impazzito.»

    «Vuoi dirmi cos’è successo? Anzi, no, lascia perdere, non m’interessa.» A Guidry non importava conoscere i dettagli della brutta situazione in cui Mackey si era cacciato. Gli interessavano soltanto i dettagli della sua situazione, quella in cui Mackey l’aveva appena messo.

    «Ti ricordi che un anno fa» disse Mackey «sono andato a San Francisco per parlare con un tizio di quella faccenda del giudice. Carlos ci ha messo una pietra sopra, come sai, ma…»

    «Basta» lo interruppe Guidry. «Non m’interessa. Maledizione, Mack.»

    «Scusami, Frankie. Sei l’unico di cui mi posso fidare. Altrimenti non te lo chiederei.»

    Mackey rimase in attesa. Guidry si allentò il nodo della cravatta. La vita è così. Una serie di rapidi calcoli: lo spostamento dei pesi, l’equilibrio della bilancia. La sola decisione infelice è quella che lasci prendere a un altro.

    «Va bene, va bene» disse Guidry. «Ma non posso mettere una buona parola per te, Mack. Ne va anche della mia pelle, capisci?»

    «Capisco» rispose Mackey. «Devi solo scoprire se è il caso che sparisca dalla città. Posso squagliarmela pure stanotte.»

    «Non fare niente finché non te lo dico io.»

    «Sto in Frenchmen Street, a casa di Darlene Monette. Passa di là quando hai finito. Non lasciare messaggi.»

    «Darlene Monette?»

    «Mi deve un favore» rispose Mackey, guardando Guidry con gli occhi socchiusi. Uno sguardo che valeva un’implorazione. Come a dire anche tu mi devi un favore.

    «Non fare niente finché non te lo dico io» ripeté Guidry.

    «Grazie, Frankie.»

    Guidry chiamò Seraphine da un telefono nell’atrio. Nessuna risposta, forse non era in casa, e così provò con l’ufficio privato di Carlos sull’Airline Highway a Metairie. Quanti erano in possesso di quel numero? Non più di una decina. Un bel colpo da maestro, il suo!

    «Non avevamo stabilito di vederci venerdì, mon cher?» disse Seraphine.

    «Certo, è confermato» rispose Guidry. «Ma è forse vietato telefonare per fare quattro chiacchiere?»

    «No, anzi. È il mio passatempo preferito.»

    «Ho sentito dire che zio Carlos sta cercando un mezzo disgraziato che non gli serve più. Il nostro amico Mackey. O sbaglio?»

    Guidry udì un fruscio di seta. Quando si stiracchiava, Seraphine inarcava la schiena come un gatto. Sentì anche il rumore di un cubetto di ghiaccio in un bicchiere.

    «Non sbagli» disse lei.

    Maledizione! Allora le paure di Mackey non erano infondate. Carlos lo voleva morto.

    «Sei ancora lì, mon cher

    Maledizione. Mackey gli aveva dato una mano un migliaio di volte. Gli aveva fatto conoscere i fratelli Marcello e aveva garantito per lui quando nessuno sapeva nemmeno che esistesse.

    Ma tutto questo era il passato. A Guidry interessava il presente, e il futuro.

    «Di’ a Carlos di dare un’occhiata in Frenchmen Street» rispose Guidry. «C’è una casa con le persiane verdi all’angolo con Rampart Street. È lì che abita Darlene Monette. All’ultimo piano, l’appartamento sul retro.»

    «Grazie, mon cher» disse Seraphine.

    Guidry tornò lentamente al Carousel. La rossa l’aveva aspettato. Rimase per un minuto sulla porta a guardarla. È un sì o un no, signore e signori della giuria? Gli piaceva come aveva iniziato ad appassire, con il trucco da Cleopatra vagamente sbiadito e i capelli appiattiti. La rossa si scrollò di dosso un tipo tristanzuolo che cercava di flirtare con lei facendo scorrere un dito sul bordo del bicchiere vuoto. Poteva concedere a Guidry altri cinque minuti, non uno di più. Stavolta non avrebbe fatto sconti.

    Guidry avrebbe preferito che le cose fossero andate diversamente per Mackey. Avrebbe voluto che Seraphine gli dicesse Ti sbagli, mon cher, Carlos non ha niente contro Mackey. A questo punto, però, non poteva che stringersi nelle spalle. Pesi e misure, una questione di aritmetica. Forse qualcuno l’aveva visto con Mackey. Guidry non poteva correre rischi. A che scopo?

    Portò la rossa a casa sua. Abitava al quindicesimo piano di un piccolo grattacielo affacciato su Canal Street, un liscio aculeo di acciaio e cemento, sigillato e fresco all’interno. D’estate, quando la città soffocava per il caldo, a Guidry non colava una goccia di sudore.

    «Oh» disse la rossa. «Mi piace qui.»

    Le pareti di vetro, il divano di pelle nera, il carrello dei liquori di cristallo e metallo cromato, l’hi-fi di lusso. Si accostò alla finestra, con una mano sul fianco e tutto il peso su una gamba per evidenziare le curve, e guardò da sopra la spalla come facevano le modelle sulle riviste.

    «Sogno di vivere in un posto così, un giorno o l’altro» disse. «Tutte queste luci. E le stelle. Sembra di essere in una navicella spaziale.»

    Guidry non voleva che la ragazza si facesse delle strane idee, non aveva alcuna intenzione di conversare, così la spinse verso la finestra. Il vetro vibrò e le stelle tremarono. La baciò. Sul collo, fra la mascella e l’orecchio. Aveva l’odore di un mozzicone di sigaretta che galleggia in una pozza di profumo Lanvin.

    Lei gli passò le dita fra i capelli. Guidry le afferrò il polso e glielo bloccò sulla schiena. Poi le infilò una mano sotto la gonna.

    «Oh» sussurrò la rossa.

    Mutandine di raso. Non gliele tolse, per il momento, e con estrema lentezza ne tracciò i contorni, facendo scivolare due dita al di sotto. Senza smettere di baciarla sul collo e di mordicchiarla.

    «Oh.» Stavolta lo disse convinta.

    Guidry spinse via l’elastico e infilò due dita dentro di lei. Dentro e fuori, col pollice sul clitoride, cercando il ritmo migliore per soddisfarla, la giusta pressione. Quando sentì che iniziava ad ansimare e vide che sollevava i fianchi, rallentò ed estrasse le dita. I muscoli del collo della ragazza si contrassero per la sorpresa. Guidry aspettò qualche secondo e ricominciò. Il piacere era un brivido elettrico che le scuoteva tutto il corpo. Quando Guidry si interruppe una seconda volta, la ragazza rimase senza fiato, come se le fosse stato dato un calcio.

    «Non ti fermare» disse.

    Guidry la fissò immobile. Aveva gli occhi vitrei, il volto sembrava imbrattato di beatitudine e di bisogno. «Dimmi ti prego» le disse.

    «Ti prego.»

    «Dimmi bene: ti prego

    «Ti prego.»

    Guidry andò fino in fondo. Ogni donna viene in modo diverso. Con gli occhi socchiusi o il mento in fuori, le labbra aperte o le narici dilatate, con un sospiro o un ringhio. Sempre, comunque, arriva il momento in cui intorno a lei il mondo cessa di esistere, un bianco lampo atomico.

    «Oh, mio Dio.» La ragazza si riconnesse con la realtà. «Mi tremano le gambe.»

    Pesi e misure, semplice aritmetica. Mackey avrebbe fatto gli stessi calcoli se fosse stato al posto di Guidry. Avrebbe alzato il telefono e fatto, senza indugi, la stessa telefonata che aveva fatto lui. E Guidry non se la sarebbe presa per questo. C’est la vie. O meglio, quel loro genere di vita molto particolare.

    Rovesciò la rossa sul letto, le sollevò la gonna e le tirò giù le mutandine. Il vetro vibrò nuovamente quando la penetrò. Il padrone di casa sosteneva che le finestre del palazzo potevano reggere l’urto di un uragano, ma era una cosa ancora tutta da dimostrare.

    2

    Charlotte si immaginò sola sul ponte di una nave nel mezzo di una burrasca, con le onde del mare che si rovesciavano in coperta. Vele strappate, cime spezzate. Mettiamoci anche del fasciame in frantumi, per non farci mancare niente. Il sole emanava una luce fredda e incolore, tanto che lei ebbe l’impressione di essere già annegata.

    «Mamma» gridò Rosemary dal soggiorno, «io e Joan vogliamo chiederti una cosa.»

    «Vi ho detto di venire a fare colazione, bambine mie» disse Charlotte.

    «Settembre è il tuo mese preferito, vero mamma? E novembre quello che ti piace di meno.»

    «Venite a fare colazione.»

    Il bacon stava bruciando. Charlotte inciampò nel cane, disteso al centro del pavimento, e perse una scarpa. Riattraversando la cucina – anche dal tostapane stava salendo del fumo – inciampò pure nella scarpa. Il cane si contorse e fece una smorfia, forse era in agguato una crisi. Charlotte si augurò che si trattasse di un falso allarme.

    Piatti. Forchette. Charlotte si mise il rossetto con una mano mentre versava il succo di frutta con l’altra. Erano già le sette e mezzo. Dove finiva il tempo che passava? Non lì, evidentemente.

    «Ragazze!» gridò.

    Dooley, ancora in pigiama, entrò in cucina strascicando i piedi. Aveva il colorito verdognolo e l’atteggiamento da martire di un santo di El Greco.

    «Farai di nuovo tardi al lavoro, tesoro» disse Charlotte.

    Lui si lasciò cadere su una sedia. «Stamattina mi sento uno schifo.»

    Charlotte pensò che non poteva essere altrimenti. Era l’una passata quando l’aveva sentito aprire la porta e avanzare lungo il corridoio sbattendo contro tutto ciò che incontrava. Ubriaco fradicio, si era tolto i pantaloni prima di infilarsi a letto, ma si era dimenticato la giacca. Non era una novità.

    «Vuoi del caffè?» chiese Charlotte. «Ti preparo del pane tostato.»

    «Probabile che abbia l’influenza.»

    Charlotte ammirava la sua capacità di rimanere serio. Forse credeva davvero alle bugie che diceva. Era un’anima candida, dopotutto.

    Dooley bevve un sorso di caffè e si trascinò fuori dalla cucina per andare in bagno. Lei lo sentì vomitare e poi darsi una sciacquata.

    Le bambine si arrampicarono sulle proprie sedie intorno al tavolo. Rosemary aveva sette anni, Joan otto. Vedendole, non avresti mai detto che erano sorelle. La testolina bionda di Joan era sempre liscia e lucente come una capocchia di spillo, mentre dal cerchietto di tartaruga che Rosemary indossava regolarmente sfuggiva sempre più d’una ciocca dei suoi capelli ricci e castani. A volte sembrava quasi che fosse cresciuta in mezzo ai lupi.

    «A me novembre piace» disse Joan.

    «No, Joan. Guarda, settembre è meglio perché in quel mese, ogni anno, abbiamo la stessa età» disse Rosemary. «E in ottobre c’è Halloween. Halloween è meglio del Ringraziamento, ovviamente. Quindi novembre deve essere il mese d’autunno che ti piace di meno.»

    «Okay» disse Joan. Era sempre consenziente. Una virtù, avendo una sorellina come Rosemary.

    Charlotte stava cercando la borsa. L’aveva in mano un attimo prima. O no? Sentì Dooley vomitare un’altra volta, e darsi un’altra volta una sciacquata. Il cane era tranquillamente sdraiato sul pavimento. Secondo il veterinario, la nuova medicina avrebbe forse potuto ridurre la frequenza delle sue crisi. Non c’era che da aspettare e vedere.

    Scorse sotto il cane la scarpa che aveva perso e dovette fare un certo sforzo per recuperarla.

    «Povero papà» disse Rosemary. «È di nuovo malato?»

    «Sì, si può dire così» rispose Charlotte.

    Dooley tornò dal bagno, meno verdognolo ma sempre più martire.

    «Papà!» esclamarono le bambine.

    Lui fece una smorfia. «Shhh. La testa.»

    «Papà, io e Joan siamo d’accordo che il nostro mese preferito in autunno è settembre, e novembre quello che ci piace di meno. Vuoi che ti spieghiamo perché?»

    «A meno che non nevichi in novembre» disse Joan.

    «Ah, sì!» esclamò Rosemary. «Se nevica è il mese più bello. Joan, facciamo che adesso nevica. E che il vento soffia forte, e che la neve ci si scioglie sul collo.»

    «Okay» rispose Joan.

    Charlotte posò davanti a Dooley il pane tostato e diede un bacio sui capelli alle bambine. L’amore che provava per le sue figlie andava al di là di ogni comprensione. A volte esplodeva all’improvviso, in modo assolutamente imprevedibile, come una scossa che le attraversava tutto il corpo.

    «Charlie, non mi dispiacerebbe un uovo fritto» disse Dooley.

    «Non vorrai fare di nuovo tardi al lavoro, tesoro.»

    «Oh, all’inferno. A Pete non interessa quando arrivo. Potrei anche darmi malato, per oggi.»

    Grande amico del padre di Dooley, Pete Winemiller era il proprietario del negozio di ferramenta. Era anche l’ultimo di una lunga serie di amici e clienti che avevano fatto al vecchio il favore di assumere quel disgraziato del figlio. E l’ultimo di una lunga serie di datori di lavoro ad aver perso rapidamente la pazienza con lui.

    Charlotte, però, doveva procedere con cautela. Già all’inizio del matrimonio si era resa conto che una parola o un tono di voce sbagliati, se non addirittura uno sguardo preoccupato in un momento inopportuno, rischiavano di far precipitare Dooley in uno stato di depressione che poteva protrarsi per ore.

    «Ma non è stato proprio Pete a dire, la settimana scorsa, che ha bisogno di te sveglio e puntuale al mattino?» disse.

    «Oh, non preoccuparti di Pete. Ne dice tante.»

    «Però credo che conti su di te. Forse, se tu…»

    «Santo cielo, Charlie» la interruppe Dooley. «Sto male, non lo vedi? Non si può mica spremere sangue dalle rape.»

    Di certo sarebbe stato più semplice che avere a che fare con suo marito. Charlotte distolse lo sguardo. «Va bene» disse. «Ti friggo un uovo.»

    «Vado a sdraiarmi un attimo sul divano. Fammi un fischio quando è pronto.»

    Lei lo guardò uscire dalla cucina. Dove finiva il tempo che passava? Un istante prima Charlotte aveva undici anni, e adesso ne aveva ventotto. Un istante prima correva scalza e abbronzata al sole della prateria, e saltava dagli argini del Redbud River, tuffandosi a bomba nell’acqua. I genitori ripetevano sempre ai loro figli di stare nei dintorni, sul lato dove sorgeva la città e il fiume era poco profondo, ma Charlotte era la migliore nuotatrice del gruppo, non aveva paura della corrente e poteva raggiungere la riva opposta senza problemi per scoprire luoghi inesplorati.

    Si rivedeva sdraiata al sole, dopo quelle lunghe nuotate, a fantasticare dei grattacieli di New York, delle prime nei cinema di Hollywood, di jeep in corsa nella savana africana, chiedendosi quale futuro l’aspettava fra i molti, esotici e attraenti, che sognava. Tutto era possibile.

    Allungò una mano per prendere il piatto di Joan e rovesciò il suo succo di frutta. Il bicchiere cadde sul pavimento e andò in frantumi. Il cane cominciò ad agitarsi e a fare smorfie, stavolta in modo più marcato.

    «Mamma?» disse Rosemary. «Stai piangendo o stai ridendo?»

    Charlotte si chinò per accarezzare il cane sulla testa. Con l’altra mano raccolse i frammenti acuminati del bicchiere.

    «Amore mio» rispose, «credo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1