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Una coppia in crisi (eLit): eLit
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Una coppia in crisi (eLit): eLit

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About this ebook

Carriage House 2

La famiglia di Jack Galway, Texas Ranger e uomo tutto d'un pezzo, attraversa un periodo burrascoso. Le figlie, ormai diciottenni, stanno per abbandonare il nido, il suo lavoro è sempre più impegnativo, e sua moglie, la bella, testarda, fiera Susanna, si è allontanata da lui con il pretesto di riflettere su alcuni dissapori e vive da un anno a Boston con la nonna. In realtà, l'ultimo caso su cui Jack ha indagato ha assunto dei risvolti preoccupanti, e un'agente di polizia che lui stesso ha mandato in prigione per corruzione adesso è stranamente ricomparsa a Boston...
Poiché Susanna rifiuta di tornare a casa, Jack riprende a corteggiarla come quand'erano studenti. Ma quello che sembra iniziato come uno scherzo malizioso rischia di volgere in tragedia...
LanguageItaliano
Release dateAug 31, 2018
ISBN9788858989029
Una coppia in crisi (eLit): eLit
Author

Carla Neggers

Carla Neggers is the New York Times bestselling author of the Sharpe and Donovan series featuring Boston-based FBI agents Emma Sharpe and Colin Donovan and the Swift River Valley series set in small-town New England. With many bestsellers to her credit, Carla and her husband divide their time between their hilltop home in Vermont, their kids' places in Boston and various inns, hotels and hideaways on their travels, frequently to Ireland. Learn more at CarlaNeggers.com.

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    Una coppia in crisi (eLit) - Carla Neggers

    successivo.

    1

    Sorseggiando il suo margarita, Susanna Galway osservò l'ora sullo schermo del televisore. Ancora un'ora a mezzanotte. Poi ci sarebbero stati fuochi d'artificio, grida e canti. Era una notte limpida e molto fredda, ma le strade erano piene di gente desiderosa di festeggiare l'anno nuovo.

    Jim Haviland, proprietario del pub di fronte alla casa in cui Susanna abitava con sua nonna e con le gemelle, le diede un'occhiata in tralice. Le aveva detto più volte che sarebbe dovuta tornare in Texas, da suo marito, e in fondo lei era d'accordo. Ma era rimasta a Boston.

    «Ti stai commiserando» dichiarò Jim poggiandosi un tovagliolo bianco sulla spalla.

    Susanna leccò un po' di sale dal bordo del bicchiere. Nel locale faceva caldo, e lei rimpiangeva di essersi vestita di cachemire. Aveva pensato di mettersi elegante, e come risultato Jim aveva detto che gli ricordava la Strega Cattiva dell'Est, forse perché era tutta in nero, gonna, pullover di cachemire e stivali... anche i capelli, solo gli occhi erano verdi.

    «Non mi commisero affatto» replicò. «Ho considerato tutte le mie possibilità per la serata e ho deciso che niente mi sarebbe piaciuto di più che cominciare l'anno in compagnia di un vecchio amico di mio padre.»

    Jim sbuffò. «Fesserie.»

    Lei gli sorrise soave. «Fai un margarita molto buono per essere uno yankee. Me ne faresti un altro?»

    «D'accordo, ma poi basta. Non voglio che tu perda i sensi nel mio bar. Non voglio dover chiamare tuo marito, il Texas Ranger e dirgli che ho lasciato che sua moglie cadesse da uno dei miei sgabelli e si rompesse la testa.»

    «Come sei melodrammatico. Non ho nessuna intenzione di perdere i sensi, e poi chiameresti la nonna e non Jack, visto che lei sta qui di fronte e Jack è a San Antonio.»

    Jim sorrise divertito. «Già. E a San Antonio ci sono ventitré gradi.»

    Lei non raccolse la provocazione, anche se Jim era stato una sorta di zio putativo nei quattordici mesi che aveva passato da sola in città. «Allora, quel margarita?» domandò.

    «Dovresti essere in Texas con la tua famiglia» fece lui testardo.

    «Ellen e Maggie sono state qui per il Ringraziamento, e adesso tocca a Jack averle per Natale e Capodanno.»

    «Come se faceste i turni per chi deve spazzare la neve dai marciapiedi» sbuffò lui.

    Susanna sorrise. «A San Antonio non nevica.» Niente avrebbe incrinato la corazza protettiva che si era costruita per quella sera, né i sensi di colpa né la nostalgia per l'unico uomo che avesse mai amato. Lei e Jack avevano passato insieme le vacanze di Natale l'anno prima, e non avevano risolto nulla.

    «Se fossi al posto di Jack...» mormorò Jim.

    «Se fossi al posto di Jack correresti dietro ai criminali invece di preparare degli ottimi margarita. Che gusto ci sarebbe?» Susanna spinse il bicchiere verso di lui. «Coraggio, fammi il bis. Puoi usare lo stesso bicchiere, così ti tieni più leggero con il sale.»

    «Preferisco tenermi leggero con la tequila, e certo non userò lo stesso bicchiere. Rispetto le norme igieniche, io.»

    «Nel quartiere ci sono almeno altri sei bar» ribatté lei. «Posso trovarne facilmente uno che mi faccia un margarita senza tante storie.»

    «Usano tutti delle miscele già pronte.» Jim portò via il bicchiere vuoto e ne prese uno impeccabilmente pulito. La gente non veniva nel suo locale per ubriacarsi. Era un locale tranquillo, conosciuto per la cucina casalinga, e Susanna ci si era sempre sentita protetta e al sicuro.

    «Ho mandato a Iris e alle sue amiche almeno un gallone di chili» la informò Jim. «Perfino tua nonna, a ottantadue anni, stasera si diverte più di te.»

    «Figuriamoci. Giocano a mahjong fino a cinque minuti dopo la mezzanotte, e poi se ne vanno tutte a dormire.»

    Jim la scrutò di nuovo. «L'anno scorso a Capodanno sei andata a casa» puntualizzò sottovoce.

    Infatti, e c'era andata con la ferma intenzione di chiarire il disaccordo tra lei e Jack. Solo che erano finiti a letto e non avevano chiarito proprio niente.

    I margarita non sarebbero serviti, pensò cupa. Poteva bere tutta la notte, non sarebbe riuscita a non pensare a suo marito.

    Quattordici mesi, e lei e Jack erano ancora in crisi. Ellen e Maggie erano all'ultimo anno di liceo, stavano pensando al college, ormai erano adulte. Le avevano telefonato un paio d'ore prima e lei le aveva rassicurate dicendo che avrebbe passato un Capodanno grandioso. Niente mahjong con la nonna e le sue amiche centenarie. Non voleva che le figlie la compatissero.

    «Non c'è più nessuno» disse a Jim. «Perché non chiudi? Possiamo salire sul tetto a vedere i fuochi d'artificio.»

    Lui sollevò gli occhi dal cocktail che le stava preparando. «Che cosa c'è che non va?» domandò quasi affettuoso.

    «Ho comprato uno chalet nei monti Adirondack» disse lei tutto d'un fiato. «Non è una cosa che non va, anzi. È una casa fantastica in un posto bellissimo. Tre camere da letto e un soggiorno con il caminetto, sulla riva di Blackwater Lake.»

    «Insomma, lontanissimo da qui.»

    Lei annuì. «La zona boschiva più estesa dello stato di New York. Sei milioni di acri. La nonna è cresciuta là, sai. La sua famiglia ci possedeva un albergo.»

    «Ma santi numi, Susanna» borbottò lui scuotendo la testa. «Dovresti comprarti una casa in Texas, non sui picchi degli Adirondack. Che ti è preso? Quando è successo?»

    «La settimana scorsa. Sono andata a Lake Placid per qualche giorno, per chiarirmi un po' le idee. Ho visto lo chalet e non ho potuto resistere. Mi sono detta, ora o mai più... e poi non è lontano da quello dei miei a Lake Champlain.»

    «Tu e la tua mania di chiarirti le idee! Te lo sento dire da mesi. L'unica cosa che può chiarirti le idee è tornare in Texas e risolvere le cose con tuo marito, non comprare case sperdute nei boschi!»

    Lei finse di non aver sentito. «La nonna è una specie di leggenda là, lo sapevi? Ha fatto la guida da ragazza, prima di trasferirsi a Boston con mio padre. Lui era piccolissimo, non credo che se lo ricordi. Mi è sembrata stupefatta quando le ho annunciato che io avevo comprato uno chalet proprio a Blackwater Lake.»

    Jim le mise davanti il bicchiere colmo, senza parlare.

    «Mi è successo qualcosa di speciale mentre ero là» riprese Susanna rivedendosi sul portico dello chalet, con il magnifico scenario del lago ghiacciato e delle montagne coperte di neve. «Non so spiegarlo. È stato come se fossi destinata a comprare quello chalet, capisci?»

    «Già. Mossa da forze invisibili.»

    Lei ignorò il suo sarcasmo e bevve un sorso di margarita, notando che era meno forte del primo.

    «Sì. Le mie radici sono là.»

    «Radici, un cavolo. Iris non torna negli Adirondack da più di sessant'anni.» Jim scosse la testa, sempre più sconcertato. Aveva disapprovato il fatto che Susanna mettesse su un ufficio in comune con sua figlia Tess, una designer che poi si era trasferita in una casa in riva al mare con il neomarito, e ancora di più che Susanna rimanesse in città senza la socia. Affittare un ufficio comportava una permanenza a Boston che a Jim Haviland non andava giù. Voleva che Susanna tornasse con suo marito.

    Era così che dovevano andare le cose, secondo lui.

    E Jack Galway gli piaceva perché, da buon Texas Ranger, vedeva le cose in bianco e nero proprio come lui.

    Ripulì vigorosamente il bancone con il suo tovagliolo bianco, come se sfogasse la sua frustrazione. «Quanto sono lontani gli Adirondack, cinque, sei ore di macchina?»

    «Sì, all'incirca.» Susanna bevve un altro sorso e aggiunse: «Quest'autunno ho preso il brevetto di pilota. Jack non lo sa. Forse mi comprerò un aereo. C'è un piccolo aeroporto a Lake Placid».

    Jim la scrutò di nuovo. «Uno chalet in montagna, un aereo, golfini di cachemire... Dimmi un po', ma quanti soldi hai?»

    Aveva dieci milioni di dollari, dal primo ottobre dell'anno prima. Una pietra miliare. La gente intuiva che era ricca, ma non sapeva quanto, e non lo sapeva nemmeno suo marito. Susanna non amava parlarne, perché non voleva che il suo denaro influenzasse l'opinione degli altri su di lei. E non voleva cambiare vita, a parte alcune cose... ma forse, pur non volendolo, l'aveva già cambiata. «Ho solo avuto fortuna in qualche investimento» borbottò scrollando le spalle.

    «Scommetto che la fortuna non c'entra per niente. Tu sei in gamba, Susanna. Sei in gamba, sei tosta. Ma diavolo, che ti è venuto in mente di comprare uno chalet sugli Adirondack? Jack lo sa?»

    «Non ti arrendi mai, eh?»

    «Il che significa che non lo sa. Cos'è, stai cercando di farlo arrabbiare finché non ti molla, o magari si precipita qui a portarti via di peso?»

    «Non verrà fin qui a portarmi via di peso.»

    «Oh, io non ci conterei.»

    In quel momento una giovane coppia entrò e si sedette a un tavolino, tenendosi abbracciata. Non sembravano curarsi del Capodanno o di altro, pensò Susanna, ma per ragioni molto diverse dalle sue. Jim li salutò con calore, prese le loro ordinazioni, poi tornò a fissarla truce. «Hai detto a Iris che stavi per comprare uno chalet nel posto dov'è cresciuta? Le hai dato la possibilità di pensarci? No, perché sei una testona e fai solo quel che vuoi tu!»

    «Così mi fai apparire egoista...»

    «Non ho detto che sei egoista, anzi, sei una delle persone più generose che io conosca. Ho detto che sei testarda.»

    Già, forse avrebbe dovuto parlarne con Jack. Sull'atto di proprietà non c'era il nome di lui, ma erano pur sempre marito e moglie. E lei voleva dirglielo, prima o poi. Non voleva affatto che lo chalet fosse un segreto. Ma quando si era trovata là, a Blackwater Lake, non aveva pensato al suo matrimonio. Comprare lo chalet era una faccenda che riguardava lei, la sua vita, le sue radici. Aveva sentito di doverlo fare, di essere destinata ad andare là, contemplare il lago, riflettere sugli ultimi quattordici mesi e dar loro un senso.

    Jim tornò dietro al bancone e le mise davanti una ciotola di chili fumante. «Devi mettere qualcosa nello stomaco...»

    «Preferirei metterci un altro margarita.»

    «Nemmeno per sogno.»

    «Abito qui di fronte» osservò lei attaccando il chili, che era caldo e saporito. «Se perdo i sensi per la strada qualcuno mi troverà prima che muoia congelata.»

    Jim evitò di rispondere perché nel frattempo era entrato Davey Ahearn e si era seduto sul suo solito sgabello in fondo al bancone. Susanna avvertì un'ondata di freddo emanare dai suoi abiti.

    Davey la guardò scuotendo la testa e disse: «Visto il tipo che sei, io non ci conterei. Ti lasceremmo a faccia in giù nel rigagnolo, sperando che il freddo ti dia uno scrollone e ti convinca a tornare in Texas».

    «Il freddo non mi dà nessun fastidio» tenne a precisare lei.

    Ma il punto non era il freddo, e lo sapevano entrambi. Davey Ahearn era grande e grosso, aveva due baffoni a manubrio e faceva l'idraulico. Era un altro degli amici d'infanzia di suo padre, padrino della figlia di Jim, Tess Haviland, e una spina nel fianco di Susanna. Tess diceva sempre che era meglio non discutere con lui, ma Susanna non aveva mai saputo resistere.

    Davey ordinò una birra e una ciotola di chili con dei cracker salati e Susanna abbozzò una smorfia. «Cracker con il chili? Che schifo!»

    «Che diavolo ci fai, qui?» ribatté l'altro. «Perché non sei a giocare a mahjong con Iris e le sue amiche? Hanno mille anni, ma almeno sanno come divertirsi.»

    «Hai ragione» disse lei. «Non è bello che io stia qui a bere margarita e a mangiare chili con un idraulico brontolone.»

    «Io invece il chili lo mangio con una forchetta.»

    Susanna rise suo malgrado. «Questa era tremenda, Davey.»

    «Però ti ha fatto ridere.» Quando arrivò la sua ciotola aprì due pacchetti di cracker e li sbriciolò nel chili senza badare ai gemiti orripilanti di Susanna. «Ehi, Jim, quanto manca al nuovo anno?» domandò.

    «Venticinque minuti. A dire il vero, credevo che tu avessi un appuntamento.»

    «Infatti ce l'avevo, ma poi lei si è arrabbiata e se n'è andata a casa.»

    Susanna mangiò un altro po' di chili anche se non aveva fame. «Davey Ahearn che fa arrabbiare una donna? Non ci posso credere.»

    «Cos'era questo, signora Galway, sarcasmo?»

    Jim intervenne. «Piantatela, voi due. A mezzanotte apro una bottiglia di frizzantino. Siamo una mezza dozzina, no?»

    Susanna lo osservò mentre allineava i bicchieri sul bancone, sentendo che i due margarita bevuti a stomaco vuoto le facevano girare un po' la testa. «Secondo voi ho avuto le bambine troppo giovane?» disse d'un tratto. Doveva essere colpa dell'alcol. «Non lo so... avevo ventidue anni e d'improvviso mi sono ritrovata incinta di due gemelle.»

    «Mi sa che non è stato così d'improvviso» sorrise Davey.

    Lei finse di non sentire. «E con quest'uomo accanto, questo texano dalla testa dura che voleva fare a tutti i costi il Texas Ranger anche se si era appena laureato ad Harvard.»

    «Già» fece Jim gentilmente. «Me lo ricordo.»

    «Erano due bimbe a dir poco adorabili, Ellen e Maggie. Sono gemelle, ma non identiche.»

    Jim e Davey sapevano bene anche quello, pensò con un'improvvisa voglia di piangere. Che diavolo le prendeva?

    Jim Haviland controllò che le coppe fossero ben pulite. «Sì, erano due bimbe proprio carine» concordò.

    «È vero, le vedevi quando venivo a trovare la nonna. Casa sua è sempre stata la mia ancora, perché con i miei abbiamo traslocato un sacco di volte. È per questo che sono venuta qui quando le cose con Jack sono diventate impossibili.»

    Chiuse gli occhi, e quando li riaprì la stanza stava girando. Se fosse caduta e avesse battuto la testa, i due avrebbero colto l'occasione al volo e avrebbero telefonato a Jack. Bisognava evitarlo.

    «È solo la seconda volta che Ellen e Maggie viaggiano in aereo da sole» riprese socchiudendo gli occhi per fermare il capogiro. Le sembrava di vedere Jack con il suo sorrisetto ironico. Le avrebbe detto che aveva bevuto troppo perché si sentiva sola, e perché sentiva la mancanza di lui nel letto la notte. Diavolo. «Ero un fascio di nervi la prima volta che sono partite da sole» riprese.

    «Non è che adesso sei così calma» osservò Davey.

    Bisognava ammetterlo, un terzo margarita l'avrebbe stesa. Già così si reggeva in piedi per miracolo. Ecco perché Jim si era messo a parlare con lei e le aveva dato il chili. Per impedirle di crollare sul pavimento.

    «Che faccio se le gemelle decidono di andare in un college del Texas? E se io rimango qui? Non le vedrò più...» ansimò, ingollando grandi boccate d'aria.

    Davey bevve un sorso di birra e si asciugò i baffi con il dorso della mano. «Perché, nel Texas ci sono dei college?»

    «Molto divertente» ribatté lei. «Che faresti se un texano venisse qui a fare battute sulla gente del nord?»

    «Magari a dire che siamo rozzi, maleducati e parliamo troppo in fretta? Ellen e Maggie me lo dicono di continuo. E poi mangiamo anche il chili con i cracker!» Le strizzò l'occhio e aggiunse: «E comunque sei del nord anche tu, Suzie bella. Anche se avete traslocato decine di volte, tuo padre è cresciuto qui, in questa strada. Quando Iris non ce la farà più a stare da sola, tuo padre e tua madre verranno a stare con lei e molleranno la loro galleria di Austin in un batter d'occhio».

    «Già, il piano è questo» ammise lei.

    «Un barista, un idraulico e un artista» borbottò Davey scrollando la testa. «Chi l'avrebbe detto? Certo, Kevin era bravissimo a far graffiti sui muri.»

    Susanna sorrise. I suoi genitori erano entrambi artisti, sua madre era un'esperta di tappeti e quilt antichi, e sette anni prima avevano aperto una galleria ad Austin e comprato una casa degli anni Trenta per ristrutturarla, un progetto che era tuttora in corso. Passavano le estati nel loro villino su Lake Champlain, ma quando Susanna era ragazza avevano viaggiato da una città all'altra insegnando, dipingendo, aprendo e chiudendo piccole gallerie d'arte. Era stata una sorpresa per loro che la figlia si dedicasse alle finanze e sposasse un Texas Ranger, ma non avevano mai interferito nelle sue decisioni. Tuttavia Susanna sapeva che Kevin ed Eva non capivano perché adesso lei vivesse con sua nonna. Forse speravano che prima o poi rinsavisse, come d'altronde si auguravano tutti gli altri.

    Jim prese una bottiglia di champagne dal frigo e disse, come se potesse leggerle nel pensiero: «Non ci hai mai spiegato perché sei finita qui. Tu e Jack avete litigato, o una mattina ti sei svegliata e hai deciso che preferivi parlare con l'accento bostoniano?».

    «Ellen e Maggie avevano già progettato di passare sei mesi qui...»

    «Un semestre all'estero» sbuffò Davey. «Neanche fosse Parigi o Londra.»

    «Un semestre con la loro bisnonna» corresse lei.

    «Be', adesso è diventato un anno, e ancora non spiega perché sei venuta qui anche tu» fece Jim.

    «Perché c'era qualcuno che mi minacciava.» Le parole le uscirono di bocca prima che potesse fermarle. «Tecnicamente non mi ha proprio minacciata, mi è solo sbucato davanti un paio di volte e non posso dimostrare che mi seguisse. Non sapevo nemmeno bene chi fosse finché un giorno non me lo sono trovato in cucina. E mi ha detto delle cose... be', sgradevoli.»

    Adesso entrambi gli uomini erano serissimi. «E tu che hai fatto?» domandò Jim.

    Susanna sbatté le palpebre. Che le era venuto in mente?, pensò. Non l'aveva mai detto ad anima viva, mai. «Ho cercato di non provocare reazioni violente. Voleva che intercedessi con Jack per lui. L'ho lasciato parlare, poi se n'è andato.»

    «E poi?» insistette Jim.

    «E poi niente. Ho deciso di venire qui con le gemelle e di restarci qualche settimana. Per chiarirmi le idee.»

    Jim la scrutò per un attimo, poi scosse di nuovo la testa. «Gesù. Non hai detto niente a Jack, vero?»

    «Sì, lo so, sembra irrazionale» ammise lei deponendo la forchetta e notando che la sua mano tremava leggermente. «Jack è un Texas Ranger, sarebbe stato logico dirgli che qualcuno mi minacciava.»

    «Poco ma sicuro. Un conto è non dirgli dello chalet in montagna, ma uno che ti perseguita...»

    «Allora mi è sembrato meglio tacere.»

    Jim inspirò a fondo prima di parlare. «Diglielo adesso. Puoi usare il telefono nel retro. Chiamalo e diglielo

    «Troppo tardi. Non farebbe nessuna differenza.»

    «Perché, quel tizio è in galera?»

    Lei fece segno di no.

    «È morto?»

    «No. A dire il vero non è nemmeno stato accusato. È libero come l'aria.»

    «Certo, perché tu non hai detto a nessuno che ti perseguitava!»

    «No, ma non sarebbe servito a niente perché lui avrebbe trovato qualche scusa plausibile. Avrebbe detto che era una coincidenza, o io che avevo capito chissà cosa. Le autorità non gli farebbero niente, adesso.» Sorseggiò il suo cocktail, che ormai il ghiaccio sciolto aveva diluito parecchio. «Ma allora cercavano questo tale per un delitto molto più grave che non le velate minacce fatte alla sottoscritta.»

    Questo attirò l'attenzione di Davey. «E cioè? Che altro aveva fatto, aveva ammazzato la moglie?»

    Susanna fissò l'orologio sullo schermo televisivo. Tre minuti a mezzanotte... due e mezzo... Buon anno. «Infatti. Ha ammazzato sua moglie.»

    2

    Jack Galway si svegliò la mattina del primo gennaio in un letto vuoto, con un feroce mal di testa e un altrettanto feroce risentimento nei confronti di sua moglie. Le cose erano andate peggiorando tra loro, e lui non sapeva come sarebbero finite: ma era stufo di dormire da solo, e stufo di arrabbiarsi per i segreti che lei non gli aveva rivelato.

    Aveva festeggiato l'ultimo dell'anno con le figlie e un milione di loro amici, ma senza alcol perché erano tutti al di sotto dei ventun anni, e poi aveva dovuto accompagnarne un bel po' a casa.

    L'anno prima era andata molto meglio. Ellen e Maggie erano state invitate a casa di un'amica, e lui e Susanna erano finiti dritti a letto. Forse avrebbero dovuto discutere dei loro problemi, ma non lo avevano fatto. Rabbia e frustrazione erano ancora molto forti tra loro, così avevano evitato di parlarne e avevano ceduto alla tentazione di far l'amore dopo tante settimane di lontananza. Jack aveva sperato che questo convincesse Susanna a non tornare a Boston, ma si era sbagliato...

    Si alzò cercando di ignorare il mal di testa e infilò un paio di jeans e una felpa. Da quando sua moglie si era rifugiata a Boston a guadagnare i suoi maledetti bigliettoni, lui teneva gli abiti in un mucchio sul pavimento.

    Tanto, chi poteva protestare?

    Quando scese in cucina alla ricerca di un'aspirina, trovò le figlie vestite di tutto punto e in piena attività. Ciotole, pentole, fruste elettriche, uova, farina e zucchero ricoprivano il tavolo. Dopo un istante di smarrimento Jack ricordò che avevano organizzato la Giornata Jane Austen con le amiche: tè, crema inglese al limone, panna, sandwich e una serie di film tratti dai romanzi di Jane Austen. La festa sarebbe durata tutto il pomeriggio.

    Lui ingollò un paio di aspirine e osservò Ellen che metteva a lavare una ciotola. Ellen era alta e atletica, con bei capelli castani identici a quelli della bisnonna Iris da giovane e gli occhi scuri come i suoi. Era un'appassionata giocatrice di rugby, sempre piena di lividi.

    «Abbiamo deciso di cominciare con Orgoglio e Pregiudizio, con Laurence Olivier e Greer Garson» lo informò. «Puoi guardarlo con noi, se ti va.»

    «Ellen!» esclamò Maggie voltandosi di scatto. Era bruna e flessuosa come sua madre, ma aveva anche lei gli occhi neri del padre e aveva ereditato il senso artistico dei nonni, Kevin ed Eva Dunning. «Non puoi invitare papà. Farebbe dei commenti imbarazzanti, e non è proprio il caso. Papà, tu non sei invitato.»

    «Bene. In tal caso vado a fare una corsa, così mi tolgo dai piedi.»

    A quel punto Jack tornò in camera sua e mise la tuta da jogging, resistendo all'impulso di tornare a letto a dormire. Cominciava a sentire tracce di accento bostoniano nei discorsi delle figlie, e non era sicuro che la cosa gli piacesse. Non si era opposto al loro progetto di passare sei mesi a Boston, in modo da conoscere meglio la loro straordinaria bisnonna; ma quel che non gli andava giù era che Susanna le avesse seguite e si fosse fermata là.

    Non le aveva chiesto esplicitamente di tornare anche perché pensava che lei non resistesse ai primi geli. Era troppo abituata al clima caldo del Texas, San Antonio era casa sua e probabilmente lo sapeva benissimo anche lei, ma si rifiutava di cedere perché restare testardamente a Boston era più facile che non litigare con lui o ammettere le proprie paure.

    Forse pure lui aveva contribuito ad aumentare la tensione fra loro due, pensò Jack. E continuava anche adesso, non dicendole quel che sapeva. E se così facendo l'avesse perduta davvero? La sola idea era insopportabile...

    Scacciò i pensieri neri e uscì nel sole del mattino, partendo al piccolo trotto per il solito percorso di dieci miglia che girava attorno a casa.

    Tutto della sua casa parlava di famiglia, pensava intanto. Era una casa spaziosa, con un grande soggiorno, un'ampia cucina decorata con colori allegri, un bel giardino con un tratto lastricato su cui le due gemelle avevano imparato ad andare in bicicletta sotto la sua guida. Maggie aveva rifiutato ogni sorta di aiuto. Ellen aveva accettato, ma aveva continuato a cadere per un bel po' prima di imparare.

    Lo rattristava l'idea che le gemelle tornassero a Boston tra due giorni. Poteva andare con loro, pensò. Gli spettavano alcuni giorni di ferie. Ma non sarebbe stato come cedere?

    Dopo qualche miglio il mal di testa cominciò a svanire, e lui continuò a correre quasi automaticamente, un passo dopo l'altro. Era quel che aveva fatto negli ultimi quattordici mesi. Un passo dopo l'altro, pazientemente, senza mai arrivare a un risultato concreto.

    «Maledizione, Susanna!» imprecò. Non aveva alcuna intenzione di svegliarsi tutte le mattine in un letto vuoto. Forse doveva dirglielo.

    Tornò a casa sudato e rinfrancato, pronto a godersi gli ultimi due giorni con le figlie. Ma quando si affacciò in soggiorno vide che erano già sedute di fronte al televisore con alcune amiche, e che tutte avevano in mano dei fazzoletti spiegazzati e tiravano su col naso. Tra qualche anno avrebbero mandato avanti il mondo, pensò sorridendo tra sé, ma per ora erano lì a piangere disperate sulla triste sorte di Darcy. Maggie gli diede un'occhiata ammonitrice, lui le fece l'occhiolino e si ritirò in camera sua.

    Fece una doccia, si rimise i jeans poi accese il televisore per vedere una partita di football. Tra un po', decise, sarebbe sceso in cucina a prendersi una birra.

    Ma di lì a poco Ellen bussò alla porta e gli disse che avevano deciso di invitarlo a prendere il tè. «Vogliamo vedere che faccia farai quando assaggi la crema inglese» rise.

    «Ho studiato ad Harvard» le rammentò lui. «Conosco già la crema al limone.»

    «Andiamo, papà. Non ci sembra giusto prendere il tè senza di te.»

    E a quel punto lui decise di arrendersi, dicendosi che poteva benissimo accontentarle un'altra volta. Avevano passato insieme due piacevolissime settimane, e Jack le aveva seguite in tutto quel che volevano fare: visitare diversi college, fare shopping, andare al cinema, giocare a rugby in cortile. Perché non dar loro quest'altra piccola soddisfazione?

    «Vuoi l'Earl Grey o l'English Breakfast?» domandò Ellen.

    «Perché, c'è qualche differenza?» scherzò lui.

    Ellen prese la domanda molto sul serio.

    «Be', l'English Breakfast ha un sapore più blando mentre l'Earl Grey profuma vagamente di agrumi...»

    «English Breakfast.»

    Le ragazze avevano preparato il tavolino da caffè con le migliori tazzine di porcellana, tovaglioli di lino ricamato, piattini di tartine e ciotole di panna, crema inglese e marmellata di fragole. Erano tutte in jeans e maglietta tranne Maggie, che adorava gli abiti d'epoca e indossava un vestito drappeggiato alla Gloria Swanson. Aveva il naso arrossato, ma fingeva di non aver pianto fino a due secondi prima. Il film che stavano vedendo era Ragione e Sentimento con Emma Thompson.

    «Avete visto questi film un milione di volte» osservò Jack. «Come potete ancora piangere come fontane ogni volta?»

    «Taci, papà» l'ammonì Maggie. E lui non protestò perché in fondo se l'era voluta.

    Ellen gli porse una tazza colma e un piattino con della crema al limone e un minuscolo sandwich al crescione. «Sai, papà, dovresti affittarti anche tu qualche film di Jane Austen» disse. «Ti insegnerebbe a essere un po' più

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