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Di nuovo tra le mie braccia: Harmony Collezione
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Di nuovo tra le mie braccia: Harmony Collezione

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About this ebook

IRRESISTIBILI MILIONARI 1/2
Arroganti, sicuri di sé e terribilmente sexy. Due uomini a cui è impossibile dire di no.

Per sette lunghi anni Leo Vincenti ha pianificato la sua vendetta contro Douglas Shaw, deciso a non lasciarsi fermare da nulla, neppure dalla splendida figlia di quest'ultimo, Helena, che implora la sua clemenza. Costringerla a tornare al proprio fianco, come sette anni prima, gli regala una cupa soddisfazione e un brivido di eccitazione che non si sarebbe aspettato. Non dopo tutto quel tempo.
Tuttavia Leo ha commesso un terribile errore: sottovalutare Helena. Un segreto inconfessabile la spinge a rischiare il tutto per tutto, e all'improvviso la passione che li aveva travolti anni prima porta entrambi sull'orlo della resa.
LanguageItaliano
Release dateApr 19, 2019
ISBN9788858996355
Di nuovo tra le mie braccia: Harmony Collezione

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    Di nuovo tra le mie braccia - Angela Bissell

    successivo.

    1

    Helena Shaw era seduta da quasi due ore nell'elegante foyer dell'esclusivo hotel di Mayfair, a Londra, quando l'uomo che aspettava fece finalmente il suo ingresso.

    Dopo tutti gli sforzi fatti per rintracciarlo, si sentiva angosciata ed era stata sul punto di cedere alla codardia e lasciare l'hotel per eclissarsi nella folla dell'ora di punta.

    Tuttavia non lo aveva fatto. Era rimasta a lungo seduta ad aspettare. Ed ecco che finalmente che lui era arrivato.

    Aveva lo stomaco stretto in una morsa, il cuore in gola. Respira, ordinò a se stessa, osservandolo mentre attraversava il foyer: alto, moro, bellissimo nel completo grigio antracite che trasudava ricchezza e potere, nonostante non portasse la cravatta. Le donne lo fissavano, gli uomini si spostavano per lasciarlo passare.

    Lui ignorava tutti e procedeva spedito, finché per un istante rallentò il passo, si voltò verso di lei e aggrottò la fronte.

    Helena si sentì gelare. Immersa nell'ombra e nascosta dietro una pianta esotica, era sicura che non potesse vederla, eppure per un istante provò la sconvolgente sensazione che percepisse la sua presenza, come se, dopo tanti anni, fossero ancora legati da un invisibile filo.

    L'improvviso rombo di un tuono, in linea con quanto annunciato dalle previsioni meteo, la fece trasalire.

    Non ho nessun legame con lui, qualunque cosa ci abbia unito ormai è svanita. Riprese fiato. E Leonardo Vincenti si vendicherà sulla mia famiglia, se non riuscirò a impedirglielo.

    Afferrò la borsa e scattò in piedi, il cuore in gola.

    Lui si stava dirigendo verso gli ascensori. Lo rincorse, per non perderlo di vista. Non che fosse possibile, neppure tra la folla, considerata la sua altezza e l'aura di potere che lo accompagnava.

    In Europa, gli osservatori economici lo etichettavano come il successo del decennio, un genio imprenditoriale che in meno di dieci anni aveva trasformato una start-up in un'impresa da milioni di dollari. Le fonti più attendibili dei media lo definivano risoluto e appassionato. Altri lo etichettavano in modo molto meno benevolo: inflessibile e spietato.

    Definizioni che a Helena ricordavano suo padre, anche se erano persino troppo generose per uno come Douglas Shaw.

    Suo padre era un uomo senza scrupoli, ma se la parola rimpianto fosse rientrata nel suo vocabolario, certamente sarebbe stata riferita alla decisione di aver sfidato, in passato, Leonardo Vincenti definendolo non all'altezza di sua figlia, perché Leonardo era tornato, sette anni dopo, ricchissimo e ancora furioso nei confronti dell'uomo che lo aveva costretto ad andarsene.

    L'oggetto dei suoi pensieri si fermò e premette il pulsante dell'ascensore, infilando poi le mani nelle tasche dei pantaloni. Alle sue spalle, Helena era ormai così vicina da poter osservare la trama del tessuto della giacca.

    Inspirò a fondo. «Leo.»

    Lui si voltò con un'espressione interrogativa che gli si congelò sul viso non appena i loro sguardi si incrociarono. Corrugò la fronte.

    «Che diavolo...»

    Quelle due semplici parole, emesse con una specie di ringhio gutturale, le fecero accapponare la pelle.

    Mi ha riconosciuto.

    Sollevò la testa. Con i tacchi raggiungeva quasi il metro e ottanta, eppure doveva reclinare indietro il capo per poterlo guardare negli occhi.

    E che occhi...

    Scuri, duri, scintillanti come ossidiana levigata e altrettanto impenetrabili. Come ho potuto dimenticare l'effetto di quegli occhi su di me?

    Cercò di concentrarsi.

    «Vorrei parlarti» cominciò.

    Un muscolo gli guizzò nella mascella. «Non potevi telefonare?»

    «Avresti preso la mia chiamata?»

    Accolse la sfida con un sorriso. «Probabilmente no. Del resto tu e io non abbiamo niente di cui discutere, al telefono o di persona.»

    Un ascensore si aprì con un ping. Leo inclinò la testa in un gesto di saluto. «Mi dispiace che tu abbia perso tempo.» Non aggiunse altro e si infilò dentro.

    Helena esitò un attimo, poi lo seguì. «Ti sei fatto vivo dopo sette anni per distruggere l'azienda di mio padre. Non credo che questo sia niente

    «Esci dall'ascensore, Helena.»

    «No» replicò, puntando i piedi.

    Le porte dell'ascensore si chiusero con un sibilo, costringendoli in uno spazio troppo piccolo e intimo, nonostante i grandi specchi.

    Leo le puntò addosso gli occhi scuri, mettendo a dura prova la sua audacia. Poi cambiò strategia, infilò la mano in tasca e prese un tesserino magnetico.

    «Come vuoi» dichiarò con apparente tranquillità, troppa per essere sincera, sussurrò una voce nella testa di Helena. Lui fece scorrere il tesserino su un sensore e premette il pulsante con l'etichetta Penthouse Suite.

    L'ascensore cominciò la sua salita.

    Helena si aggrappò alla sbarra alle sue spalle. La rapida risalita, o forse le farfalle nello stomaco che non riusciva a placare, le facevano girare la testa.

    Evidentemente il suo ex non solo si poteva permettere i migliori alberghi di Londra, ma poteva anche soggiornare nella suite più esclusiva dell'hotel.

    Il ragazzo che aveva conosciuto era di gusti semplici, con uno stile innato, mai ostentato. Era una cosa di lui che le piaceva, come la sua grinta, l'energia e la passione. Era diverso dai giovanotti pigri e viziati che i genitori volevano farle frequentare.

    E adesso?

    Rafforzò la stretta sulla sbarra. Adesso non importa quel che provo per lui. Quel che importa è il cataclisma che sta per investire i miei genitori. Se il padre avesse perso il controllo del suo prezioso impero, le conseguenze sulla moglie e sul figlio sarebbero state devastanti. Al padre non piaceva perdere, e quando succedeva, chi gli stava vicino ne faceva le spese.

    «È stato tuo padre a mandarti?» Il tono era carico di odio, un sentimento contro cui anche Helena combatteva quando si trattava del caro paparino.

    Studiò il viso di Leo, i lineamenti erano più definiti, più spigolosi di come li ricordava, ma sempre magnifici. Le fremevano le dita al ricordo di come aveva accarezzato quel viso mentre lui dormiva, come aveva osservato il naso lungo e austero, la mascella volitiva, le labbra scolpite, le stesse che un tempo riuscivano a fermarle il cuore con un semplice sorriso, o un bacio.

    La travolse un'emozione inaspettata, un misto di rimpianto e di desiderio che le fece dolere il petto.

    Istintivamente si portò una mano sul ventre, dove un tempo era fiorita una nuova vita, amaro promemoria del fatto che anche lei aveva sofferto.

    A Leo quel dolore era stato risparmiato, e ormai era inutile condividerlo. Lasciò ricadere la mano sul fianco.

    «Non sono la marionetta di mio padre, Leo.»

    Dalla sua gola uscì un suono aspro. «Che cosa non hai capito di non voglio più vederti

    Lei soffocò il dolore evocato da quelle parole. «Quello è successo tanto tempo fa. Chiedo solo la possibilità di parlarti. Ti sembra troppo?»

    Un leggero ping annunciò l'arrivo dell'ascensore al piano. Prima che potesse risponderle, lei superò le porte aperte, entrando in un ampio vestibolo. Si fermò, i tacchi sprofondati nel soffice tappeto color cioccolato. Solo allora si rese conto che quell'ala era completamente privata, isolata dal resto dell'hotel.

    Sentì le labbra aride. «Forse sarebbe meglio parlare nel bar foyer.»

    Leo la superò e aprì i pesanti battenti, le labbra contratte in un sorriso che le fece battere il cuore più in fretta. «Hai paura di restare sola con me?»

    Helena si arrestò sulla soglia. Dovrei averne? Nonostante il nervosismo, respinse quell'idea. Conosceva Leonardo Vincenti. Aveva trascorso molto tempo con lui. Erano stati intimi in un modo che aveva segnato la sua anima come con nessun altro uomo.

    Sentiva la sua collera vibrare sotto la patina del comportamento civile, ma era certa che non avrebbe mai perso il controllo. Non le avrebbe mai fatto del male come invece suo padre faceva alla madre.

    Si lisciò i pantaloni neri con la mano, assumendo un'aria altezzosa.

    «Non essere ridicolo» disse, ed entrò nella stanza.

    Leo chiuse la porta dell'attico, avanzò verso il bar e versò una dose abbondante di whisky in un bicchiere. Scolò il liquido, posò il bicchiere vuoto sul mobile bar e si rivolse a Helena, la cui presenza rischiava di lacerare la sua maschera di calma.

    «Vuoi bere qualcosa?»

    «No.» Sottolineò il rifiuto scuotendo la testa e facendo ondeggiare i riccioli ramati. «Grazie.»

    Aveva i capelli più corti: i riccioli di seta che una volta le arrivavano in vita, erano tagliati alle spalle in un'acconciatura sofisticata. Anche il viso era cambiato, si era assottigliato come il corpo, eppure in qualche modo lo colpiva di più. Aveva le occhiaie, ma per il resto la pelle era tonica, liscia e priva di imperfezioni. Un viso che nessun uomo avrebbe potuto lasciarsi alle spalle senza lanciare una seconda occhiata di apprezzamento.

    Helena, dovette ammettere Leo, non era più una ragazza carina, era una donna incredibilmente attraente.

    Accigliandosi, ricordò a se stesso che non nutriva alcun interesse nei suoi confronti, né dal punto di vista fisico né d'altro.

    Anni prima era rimasto folgorato dalla sua bellezza e innocenza, un errore che gli era costato molto più del semplice orgoglio ferito, e aveva giurato a se stesso di non ripeterlo mai più.

    Con nessuna donna, ma specialmente con lei.

    «Dunque mi vuoi parlare.» Avrei dovuto farla scendere dall'ascensore e al diavolo il rischio di una scenata pubblica. Le indicò due divani di cuoio. «Siediti» ordinò. Poi controllò l'orologio e aggiunse: «Hai dieci minuti».

    Lei posò la borsa sulla superficie di vetro del tavolino da caffè e si sistemò sull'orlo del divano. Sospirò.

    «Ho letto che hai lanciato un'offerta per acquisire la società di mio padre.»

    Leo si lasciò cadere sul divano opposto. «Un'accurata sintesi.» Fece una pausa. «E...?»

    Helena sospirò. «Non hai intenzione di facilitarmi le cose, vero?»

    Facilitare? Quell'idea gli fece digrignare i denti. La vita di Helena era stata sempre in discesa. La ricchezza della famiglia, le conoscenze del padre avevano fatto sì che non le mancasse nulla. A differenza di Leo e di sua sorella che, dopo la morte della madre, avevano vissuto un'infanzia tetra, soli e abbandonati a se stessi. Per loro, niente era stato facile.

    «Vuoi che ti renda le cose facili?» Col cavolo!

    Helena scosse la testa. «Voglio solo capire perché lo stai facendo.»

    Non riuscirà a fermarmi. Da troppi anni aspetto di saldare i conti con suo padre. La fissò a lungo. «Si tratta di affari.»

    Lei scoppiò a ridere. Un suono nervoso, non la risata sexy che ricordava. «Ma per favore! Non sono affari, la tua è... vendetta.»

    La voce tremò sull'ultima parola, tuttavia quella richiesta di empatia, se di quello si trattava, non lo smosse.

    «E se io ammettessi che è davvero vendetta, che cosa diresti?»

    «Che due torti non fanno una cosa giusta.»

    «Sentimento datato. Personalmente ritengo che il detto occhio per occhio abbia un suono più invitante.»

    Lei abbassò lo sguardo, incontrando il movimento nervoso delle proprie dita. «Le persone non sono perfette. A volte commettono degli errori.»

    Sta parlando di suo padre? O di se stessa? «Sei venuta per scusarti?»

    Lei alzò lo sguardo. «Ci ho già provato una volta, però tu non hai voluto ascoltarmi. Farebbe differenza se lo facessi adesso?»

    «No.»

    «Ho cercato di proteggerti.»

    Lui soffocò un'altra risata. Andandotene via senza darmi la possibilità di dire la mia?

    Sette anni prima era arrivato a Londra per collaborare con un giovane mago dei software su un progetto che, se avesse funzionato, avrebbe dato vita a un successo senza precedenti. Lui era stato, come sempre, concentrato, disciplinato.

    Poi aveva conosciuto una ragazza. Una ragazza bellissima, al punto che sarebbe potuta essere una delle sculture in mostra all'inaugurazione della galleria d'arte nel West End dove si erano incontrati.

    Aveva cercato di resistere. Per prima cosa era troppo giovane per lui, troppo inesperta. Una distrazione troppo grande, mentre doveva dedicarsi solo al lavoro.

    Tuttavia la tentazione aveva vinto e Leo aveva immediatamente perso la testa per una ragazza che, solo cinque settimane dopo, lo aveva messo da parte come un giocattolo vecchio

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