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Attento a quel che desideri
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Attento a quel che desideri

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About this ebook

Bristol 1957.

Harry Clifton e sua moglie Emma stanno ancora cercando di capire chi ha attentato alla vita di Sebastian e perché, quando Ross Buchanan, fidato presidente della Compagnia di navigazione Barrington, viene costretto a dimettersi. Emma vorrebbe sostituirlo alla guida dell’impresa, ma è contrastata da Pedro Martinez, che mira a insediare un suo fedelissimo e a gettare i Barrington sul lastrico proprio mentre la società progetta di costruire un nuovo, monumentale transatlantico.

Intanto Jessica, figlia adottiva dei Clifton, vince una borsa di studio a Londra, dove si innamora di un compagno di studi, Clive Bingham, che ne chiede la mano. L'unione è ben vista dalle rispettive famiglie, ma una vecchia amica della madre dello sposo, Lady Virginia Fenwick, lascia cadere la sua goccia di veleno nel calice nuziale… Poi, a sorpresa, Cedric Hardcastle si insedia nel consiglio d’amministrazione della Barrington, e la difficile decisione che è chiamato a prendere darà una svolta del tutto inaspettata agli eventi.

LanguageItaliano
Release dateAug 29, 2019
ISBN9788830502109
Attento a quel che desideri
Author

Jeffrey Archer

Barone Archer di Weston-super-Mare, è nato in Inghilterra nel 1940 e si è laureato a Oxford. È stato candidato sindaco di Londra, membro del Parlamento europeo, e deputato alla Camera dei Lord per venticinque anni. Scrittore e drammaturgo, autore di romanzi, raccolte di racconti, opere teatrali e saggi, con i suoi libri è regolarmente ai vertici delle classifiche in tutto il mondo. È sposato da oltre cinquant’anni con una compagna di università, ha due figli e vive tra Londra, Cambridge e Maiorca. Con HarperCollins ha pubblicato i sette volumi della Saga dei Clifton, Chi nulla rischia e Nascosto in bella vista della nuova serie Le indagini di William Warwick, e la trilogia  dedicata alle famiglie Kane e Rosnovsky, di cui Non fu mai gloria è il volume conclusivo.

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    Attento a quel che desideri - Jeffrey Archer

    HARRY ED EMMA

    1957-1958

    1

    Harry Clifton fu svegliato dal trillo del telefono.

    Era nel bel mezzo di un sogno, ma non ricordava di cosa si trattasse. Forse quel suono metallico insistente faceva semplicemente parte del suo sogno. Si girò con riluttanza e sbarrò gli occhi davanti alle lancette fosforescenti della sveglia che aveva sul comodino: 6.43. Sorrise. Una sola persona avrebbe avuto l’ardire di chiamare a quell’ora del mattino. Prese in mano il telefono e mormorò, con voce esageratamente assonnata: «Buongiorno, cara». La risposta non fu immediata e, per un istante, Harry si chiese se per caso il centralinista dell’albergo non avesse passato la telefonata alla camera sbagliata. Stava per posare la cornetta, quando udì un singhiozzo. «Sei tu, Emma?»

    «Sì» fu la risposta.

    «Che succede?» chiese, cercando di calmarla.

    «Sebastian è morto.»

    Harry non rispose immediatamente, perché voleva credere che fosse ancora un sogno. «Com’è possibile?» disse infine. «Gli ho parlato ieri.»

    «È successo stamattina» rispose Emma, che evidentemente riusciva a pronunciare solo qualche parola per volta.

    Harry si mise a sedere, ora del tutto sveglio.

    «In un incidente» continuò Emma, tra un singhiozzo e l’altro.

    Harry tentò di restare calmo, in attesa che lei gli dicesse esattamente cos’era successo.

    «Stavano andando a Cambridge insieme.»

    «Stavano?» ripeté Harry.

    «Sebastian e Bruno.»

    «Bruno è vivo?»

    «Sì, ma è in ospedale, a Harlow, e i medici non sono certi che supererà la nottata.»

    Harry scostò bruscamente la coperta e posò i piedi sulla moquette. Aveva freddo e sentì salire la nausea. «Prendo subito un taxi per l’aeroporto e salgo sul primo volo per Londra.»

    «Io vado all’ospedale» disse Emma. Non aggiunse nient’altro e Harry si chiese per un istante se per caso non fosse caduta la linea. Poi la udì sussurrare: «Bisogna identificare il corpo».

    Emma posò la cornetta, ma passò un po’ di tempo prima che riuscisse a trovare la forza di alzarsi in piedi. Alla fine, attraversò la stanza con qualche difficoltà, aggrappandosi ai mobili come un marinaio in mezzo a una tempesta. Aprì la porta del salotto e trovò Marsden in piedi nell’atrio, a capo chino. Non aveva mai visto il loro domestico mostrare alcun tipo di emozione di fronte a un membro della famiglia e fece fatica a riconoscere la sua sagoma avvizzita ora che, per sorreggersi, aveva afferrato la mensola del camino: la consueta maschera di autocontrollo aveva lasciato il posto alla dura realtà della morte.

    «Mabel le ha preparato una borsa da viaggio, signora» balbettò. «Se me lo permette, la accompagnerò in macchina all’ospedale.»

    «Grazie, Marsden, è davvero premuroso da parte sua» disse Emma, mentre lui le apriva il portone.

    Marsden la prese sottobraccio mentre scendevano i gradini in direzione dell’automobile: era la prima volta che sfiorava la signora Clifton. Aprì la portiera e lei salì; si sedette come una vecchia signora sul rivestimento di cuoio. Marsden avviò il motore, inserì la prima e partì per il lungo viaggio da Manor House al Princess Alexandra Hospital di Harlow.

    Emma si rese conto di non aver chiamato suo fratello o sua sorella per informarli dell’accaduto. Avrebbe telefonato a Grace e Giles in serata, quando le probabilità che fossero soli sarebbero state più alte. Non era una notizia che desiderasse condividere con eventuali estranei. E fu in quel momento che avvertì una fitta lancinante allo stomaco, come una pugnalata. Chi avrebbe detto a Jessica che non avrebbe mai più visto il fratello? Sarebbe rimasta la stessa ragazzina allegra che correva intorno a Seb come un cucciolo obbediente, scodinzolante e in sfrenata adorazione? Jessica non doveva saperlo dalle labbra di qualcun altro, il che significava che Emma sarebbe dovuta ritornare a Manor House il prima possibile.

    Marsden si immise nel piazzale della stazione di servizio locale, dove faceva il pieno ogni venerdì pomeriggio. Quando l’addetto alla pompa notò la signora Clifton sul sedile posteriore della Austin A30 verde, si sfiorò la visiera del cappellino. Lei non rispose al saluto e il giovane si chiese se per caso aveva fatto qualcosa di sbagliato. Riempì il serbatoio e alzò il cofano per controllare l’olio. Una volta chiuso il cofano, si sfiorò nuovamente il cappello, ma Marsden si allontanò senza dire una parola e senza lasciare la consueta moneta da mezzo scellino.

    «Che gli è preso?» mormorò il giovane mentre l’automobile spariva.

    Tornati sulla strada, Emma cercò di farsi venire in mente le parole esatte utilizzate dal tutor per le ammissioni del Peterhouse College per comunicarle la notizia. Mi rincresce doverle dire, signora Clifton, che suo figlio è rimasto ucciso in un incidente stradale. Al di là del quel crudo comunicato, il signor Padgett sembrava sapere pochissimo. Del resto, come aveva spiegato, non era altro che un messaggero.

    Una serie di interrogativi seguitava a scontrarsi nella mente di Emma. Perché suo figlio stava andando a Cambridge in macchina, se lei gli aveva acquistato un biglietto del treno un paio di giorni prima? Chi guidava, Sebastian o Bruno? Viaggiavano a velocità eccessiva? Era scoppiata una gomma? Era rimasta coinvolta un’altra macchina? Tante domande, ma dubitava che qualcuno conoscesse tutte le risposte.

    Qualche minuto dopo la telefonata del tutor, la polizia aveva chiamato per informarsi se il signor Clifton potesse passare dall’ospedale per l’identificazione del corpo. Emma aveva spiegato che suo marito era a New York, impegnato in un tour di promozione dei suoi libri. Forse, se avesse saputo che l’indomani sarebbe stato di ritorno in Inghilterra, non avrebbe accettato di prendere il suo posto. Grazie a Dio, sarebbe arrivato in aereo e non avrebbe dovuto attraversare l’Atlantico in cinque giorni e piangere da solo.

    Mentre Marsden attraversava cittadine sconosciute – Chippenham, Newbury, Slough – Don Pedro Martinez si insinuò nei pensieri di Emma in più di una occasione. Possibile che quell’uomo avesse cercato vendetta per ciò che era accaduto a Southampton qualche settimana prima? Se la persona a bordo dell’automobile era Bruno, il figlio di Martinez, la cosa non aveva alcun senso. I pensieri di Emma tornarono a Sebastian, mentre Marsden abbandonava la Great West Road e puntava a nord, in direzione della A1, la strada su cui aveva viaggiato Sebastian poche ore prima. Emma una volta aveva letto che, toccate da una tragedia, le persone non desiderano altro che riportare indietro l’orologio. Lei non rappresentava l’eccezione.

    Il viaggio trascorse rapidamente e solo di rado Sebastian non fu nei suoi pensieri. Ricordò la sua nascita, quando Harry era in carcere all’altro capo del mondo; i suoi primi passi, a otto mesi e quattro giorni; la sua prima parola, Più, e il primo giorno di scuola, quando era saltato giù dall’automobile ancor prima che Harry tirasse il freno a mano. Poi pensò alla Beechcroft Abbey, quando il preside avrebbe voluto espellerlo ma, dopo che Seb si era aggiudicato una borsa di studio per Cambridge, gli aveva concesso un semplice ammonimento. Tante cose in cui sperare, tante ancora da realizzare, tutte diventate storia in un istante. E, per finire, ricordò il suo terribile errore, quando si era lasciata convincere dal segretario di gabinetto a coinvolgere Seb nei piani del governo per portare Don Pedro Martinez davanti alla giustizia. Se lei avesse respinto la richiesta di Sir Alan Redmayne, il suo unico figlio maschio sarebbe stato ancora vivo. Se, se…

    Mentre raggiungevano la periferia di Harlow, Emma vide un cartello stradale che indicava il Princess Alexandra Hospital. Cercò di concentrarsi su ciò che si aspettavano da lei. Qualche minuto dopo, Marsden superò un cancello di ferro battuto che non si chiudeva mai, prima di fermarsi davanti all’ingresso principale dell’ospedale. Emma smontò dall’automobile e si incamminò verso il portone, mentre Marsden andava a cercare parcheggio.

    Comunicò il proprio nome alla giovane addetta all’accoglienza e il sorriso allegro sul viso della ragazza fu rimpiazzato da un’espressione addolorata. «Le dispiace attendere un istante, signora Clifton?» disse, prendendo in mano un telefono. «Avviso il signor Owen che lei è qui.»

    «Il signor Owen?»

    «Il primario in servizio quando suo figlio è stato ricoverato, stamattina.»

    Emma annuì e iniziò a fare avanti e indietro nervosamente nel corridoio, mentre pensieri incoerenti rimpiazzavano ricordi incoerenti. Chi, perché, quando… Smise di passeggiare solo quando un’infermiera elegante, dal colletto inamidato, chiese: «È lei la signora Clifton?». Emma annuì. «La prego, venga con me.»

    L’infermiera condusse Emma lungo un corridoio dalle pareti verdi. Non si scambiarono una sola parola. Del resto, cosa avrebbero potuto dire? Si fermarono davanti a una porta con la targhetta WILLIAM OWEN, PRIMARIO. L’infermiera bussò, aprì la porta e cedette il passo a Emma.

    Un uomo alto, sottile e stempiato, con l’espressione addolorata da becchino, si alzò dalla scrivania. Emma si chiese se quella faccia sorridesse mai. «Buon pomeriggio, signora Clifton» disse, e la fece sedere sull’unica sedia comoda della stanza. «Mi addolora doverla incontrare in circostanze tanto tristi» aggiunse.

    Emma provò pietà per quel pover’uomo. Quante volte al giorno era costretto a pronunciare le stesse parole? A giudicare dall’espressione del suo viso, la cosa non si faceva mai più semplice.

    «Temo che ci siano parecchi moduli da riempire, ma prima di potercene occupare ho paura che il coroner abbia bisogno di un’identificazione formale.»

    Emma chinò il capo e scoppiò in lacrime, rimpiangendo, come le aveva proposto Harry, di non aver lasciato svolgere a lui quel compito insopportabile. Il signor Owen si alzò di scatto dalla scrivania, le si accucciò accanto e disse: «Mi dispiace, signora Clifton».

    Harold Guinzburg non avrebbe potuto essere più premuroso e disponibile.

    L’editore aveva preso a Harry un biglietto di prima classe sul primo volo disponibile per Londra. Per lo meno, sarebbe stato comodo, pensò Harold, per quanto non riuscisse a immaginare come quel pover’uomo potesse prendere sonno. Decise che non era il momento di dargli la buona notizia e si limitò a chiedere a Harry di portare le sue sentite condoglianze a Emma.

    Una quarantina di minuti più tardi, quando Harry uscì dal Pierre Hotel, trovò l’autista di Harold fermo sul marciapiedi, pronto ad accompagnarlo all’aeroporto di Idlewild. Non aveva voglia di parlare con nessuno, così salì nel retro della limousine. Istintivamente i suoi pensieri tornarono a Emma, a ciò che sicuramente stava passando in quel momento. L’idea che toccasse a lei identificare il corpo di loro figlio non gli piaceva per niente. Forse il personale ospedaliero le avrebbe suggerito di attendere il suo ritorno.

    Non badò minimamente al fatto che sarebbe stato uno dei primissimi passeggeri ad attraversare l’Atlantico senza fare scali, pensava solo a suo figlio e a quanto avesse desiderato iniziare il primo anno di università a Cambridge. Con la naturale predisposizione di Seb per le lingue, aveva dato per scontato che avrebbe voluto entrare a far parte del Foreign Office o mettersi a fare il traduttore o addirittura l’insegnante, o…

    Dopo il decollo del Comet, Harry declinò il bicchiere di champagne offerto da una hostess sorridente. Come avrebbe potuto sapere che lui non aveva il minimo motivo per sorridere? Non le spiegò perché non avrebbe mangiato né dormito. Durante la guerra, dietro le linee nemiche, Harry aveva imparato a restare sveglio per trentasei ore, nutrendosi unicamente dell’adrenalina della paura. Sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio fintanto che non avesse visto suo figlio per l’ultima volta e aveva il sospetto che, a quel punto, non avrebbe dormito per parecchio altro tempo: l’adrenalina della disperazione.

    Il primario accompagnò Emma lungo un tetro corridoio finché non si fermarono davanti a una porta a chiusura ermetica su cui campeggiava una sola parola, OBITORIO, scritta a caratteri debitamente neri sul pannello di vetro smerigliato. Il signor Owen aprì la porta e si fece da parte per consentire a Emma di entrare. La porta si chiuse dietro di lei con un soffio. Il brusco cambio di temperatura la fece rabbrividire e fu allora che i suoi occhi si posarono su un carrello al centro della stanza. Sotto il lenzuolo, si scorgeva la sagoma del corpo di suo figlio.

    Alla testa del carrello c’era un assistente dal camice bianco che, però, non parlò.

    «È pronta, signora Clifton?» chiese delicatamente il signor Owen.

    «Sì» disse Emma, con decisione, affondando le unghie nei palmi delle mani.

    Owen fece un cenno e il necroforo tirò indietro il lenzuolo, rivelando un volto sfregiato e deturpato che Emma riconobbe immediatamente. Lanciò un grido, crollò sulle ginocchia e si abbandonò a un pianto incontrollabile.

    La reazione di una madre alla vista del figlio morto non sorprese né il signor Owen né il necroforo, lo shock fu quando disse: «Non è Sebastian».

    2

    Quando il taxi si fermò davanti all’ospedale, Harry fu sorpreso di vedere Emma davanti all’ingresso. Era chiaro che lo stava aspettando. Fu ancor più sorpreso quando lei gli corse incontro, con il sollievo scolpito sul viso.

    «Seb è vivo» gli gridò, ben prima di averlo raggiunto.

    «Ma avevi detto che…» fece, mentre lei gli gettava le braccia al collo.

    «La polizia si è sbagliata. Hanno ipotizzato che alla guida ci fosse il titolare dell’automobile e che, dunque, Seb dovesse occupare il sedile del passeggero.»

    «Dunque il passeggero era Bruno?» chiese Harry sommessamente.

    «Sì» confermò Emma, con un leggero senso di colpa.

    «Ti rendi conto di che cosa significa?» disse Harry sciogliendosi dal suo abbraccio.

    «No. Dove vuoi andare a parare?»

    «La polizia deve aver detto a Martinez che suo figlio era sopravvissuto e lui, in seguito, deve aver scoperto che a essere rimasto ucciso era Bruno e non Sebastian.»

    Emma chinò il capo. «Poveretto» disse, mentre entravano nell’ospedale.

    «A meno che…» Harry non finì la frase. «E Seb come sta?» chiese a bassa voce. «In che condizioni è?»

    «Molto brutte, temo. Il signor Owen mi ha detto che non gli restavano molte ossa da spezzare in corpo. Pare che dovrà rimanere in ospedale per diversi mesi e c’è il rischio che debba passare il resto della vita su una sedia a rotelle.»

    «Ringrazia il cielo che sia vivo» disse Harry, cingendo le spalle della moglie con un braccio. «Me lo faranno vedere?»

    «Sì, ma solo per qualche minuto. E sii pronto, caro: è coperto di gessi e bende, potresti addirittura non riconoscerlo.» Emma lo prese per mano e lo condusse fin su al primo piano, dove si imbatterono in una donna dalla divisa blu che si stava affaccendando a destra e a manca per tenere d’occhio i pazienti e, al tempo stesso, dare qualche istruzione al personale.

    «Sono la signorina Puddicombe» annunciò la capoinfermiera, facendo scattare in fuori una mano.

    «Tu chiamala matron» sussurrò Emma. Harry le strinse la mano e disse: «Buongiorno, matron».

    Senza aggiungere altro, la donna minuta li condusse nella Bevan Ward, dove trovarono due file ordinate di letti, ciascuno dei quali era occupato. La signorina Puddicombe raggiunse un paziente che si trovava all’estremità opposta della stanza. Tirò una tenda intorno a Sebastian Arthur Clifton e poi se ne andò. Harry posò lo sguardo sul figlio. La gamba sinistra era tenuta in alto da una carrucola mentre l’altra, a sua volta ingessata, poggiava sul letto. La testa era coperta di bende che lasciavano solo un occhio libero di fissare i suoi genitori, ma le labbra non si mossero.

    Quando Harry si chinò per baciarlo in fronte, le prime parole di Sebastian furono: «Come sta Bruno?».

    «Spiacente di dovervi fare delle domande, dopo tutto quello che avete passato» disse l’ispettore capo Miles, «non lo farei se non fosse assolutamente necessario.»

    «Perché è necessario?» chiese Harry, che qualcosa sapeva sui detective e sui loro metodi per ottenere informazioni.

    «Non sono ancora convinto che quanto successo sull’A1 sia stato un incidente.»

    «Che cosa sta insinuando?» chiese Harry, guardando il detective in faccia.

    «Non sto insinuando nulla, signore, ma i nostri investigatori hanno condotto un’ispezione accurata del veicolo e pensano che ci siano un paio di cose che non tornano.»

    «Tipo?» chiese Emma.

    «Tanto per cominciare, signora Clifton» disse Miles, «non riusciamo a capire come mai vostro figlio abbia attraversato l’area spartitraffico malgrado il rischio evidente di essere investito da un veicolo proveniente dalla direzione opposta.»

    «È possibile un guasto meccanico?» ipotizzò Harry.

    «È stata la nostra prima riflessione» ribatté Miles. «Però, nonostante l’automobile fosse pesantemente danneggiata, nessuna gomma era squarciata e l’asta del volante era intatta, cosa che, in incidenti di quel tipo, è una rarità.»

    «Non è certo la prova che sia stato commesso un crimine» disse Harry.

    «No, signore» disse Miles, «e, di per sé, non sarebbe bastato a farmi chiedere al coroner di riferire il caso al capo della pubblica accusa. Ma si è presentato un testimone che ci ha offerto prove davvero inquietanti.»

    «Che cosa vi ha detto quell’uomo?»

    «Quella donna» disse Miles, citando dal suo taccuino. «Una certa signora Challis ci ha detto di essere stata sorpassata da una mg spider che stava per superare una sorta di convoglio di tre camion sulla corsia interna quando il primo camion della fila si è spostato nella corsia esterna, pur non avendo alcun veicolo davanti. Cosa che ha spinto il conducente dell’MG a frenare bruscamente. A sua volta, il terzo camion si è spostato sulla corsia esterna, di nuovo senza una ragione apparente, mentre il camion intermedio manteneva la propria velocità, togliendo all’MG ogni possibilità di effettuare una manovra di sorpasso o di cercare riparo nella corsia interna. La signora Challis ha aggiunto che i tre camion hanno tenuto l’MG bloccata in quel modo per parecchio tempo» continuò il detective, «finché il suo conducente, inspiegabilmente, si è lanciato nell’area spartitraffico, verso il flusso proveniente dalla direzione opposta.»

    «Siete riusciti a interrogare qualcuno dei tre camionisti?» chiese Emma.

    «No. Non siamo riusciti a rintracciarne nemmeno uno, signora Clifton. E non pensi che non ci abbiamo provato.»

    «Ma ciò che lei sta insinuando è impensabile» disse Harry. «Chi mai avrebbe voluto uccidere due ragazzi innocenti?»

    «Sarei d’accordo con lei, signor Clifton, se non avessimo da poco scoperto che inizialmente Bruno Martinez non avrebbe dovuto accompagnare vostro figlio a Cambridge.»

    «E come fate a saperlo?»

    «Perché la sua ragazza, la signorina Thornton, è venuta a informarci che era sua intenzione andare al cinema con Bruno quel giorno, ma che era stata costretta a cancellare l’impegno all’ultimo momento perché si era presa un raffreddore.» L’ispettore capo estrasse una penna da una tasca, voltò una pagina del taccuino e guardò i genitori di Sebastian in faccia, prima di chiedere: «Avete motivo di ritenere che qualcuno potesse voler fare del male a vostro figlio?».

    «No» disse Harry.

    «Sì» disse Emma.

    3

    «Stavolta, assicurati di finire il lavoro» disse Don Pedro Martinez, praticamente urlando. «Non dovrebbe essere troppo difficile» aggiunse, scivolando più avanti sulla sedia. «Ieri mattina sono riuscito a entrare nell’ospedale senza che nessuno mi chiedesse niente e di notte la cosa dovrebbe essere molto più semplice.»

    «Come vuole che lo elimini?» chiese Karl, prosaico.

    «Tagliagli la gola» disse Martinez. «Non ti servirà altro che un camice bianco, uno stetoscopio e un bisturi. Accertati solo che sia affilato.»

    «Potrebbe non essere saggio squarciare la gola del ragazzo» provò a dire Karl. «Meglio soffocarlo con un cuscino e dare la sensazione che sia morto per le lesioni ­subite.»

    «No. Voglio che il giovane Clifton patisca una morte lenta e dolorosa. Anzi, più lenta è, meglio è.»

    «Capisco come si sente, capo, ma non è il caso di dare a quel detective ulteriore motivo per riaprire le indagini.»

    Martinez parve deluso. «D’accordo, allora soffocalo» disse con riluttanza. «Però, fa’ in modo che la cosa duri il più a lungo possibile.»

    «Vuole coinvolgere Diego e Luis?»

    «No, però, come amici di Sebastian, voglio che partecipino al funerale, in modo da potermi poi raccontare tutto. Voglio sentirmi dire che quella gente ha sofferto tanto quanto me quando ho scoperto che a sopravvivere non era stato Bruno.»

    «Ma, che mi dice di…»

    Il telefono sulla scrivania di Don Pedro iniziò a squillare. Lui lo agguantò. «Sì?»

    «C’è un certo colonnello Scott-Hopkins in linea» disse la sua segretaria. «Vuole discutere di una faccenda personale con lei. Dice che è urgente.»

    Tutti e quattro avevano riprogrammato le rispettive agende per poter presenziare alla riunione di gabinetto a Downing Street alle nove del mattino seguente.

    Sir Alan Redmayne, il segretario di gabinetto, aveva cancellato il suo incontro con Monsieur Chauvel, l’ambasciatore francese, con il quale avrebbe voluto discutere delle implicazioni di un possibile ritorno di Charles de Gaulle all’Eliseo.

    L’onorevole Sir Giles Barrington non avrebbe preso parte all’incontro settimanale del governo ombra perché, come aveva spiegato al signor Gaitskell, il leader dell’opposizione, era sorto un urgente problema familiare.

    Harry Clifton non avrebbe firmato copie del suo ultimo romanzo, Il sangue è più denso dell’acqua, alla Hatchards di Piccadilly. Aveva firmato un centinaio di libri in anticipo nel tentativo di placare il direttore della libreria, che non era riuscito a nascondere la delusione soprattutto dopo aver saputo che domenica Harry sarebbe stato ai vertici della classifica dei bestseller.

    Emma Clifton aveva posticipato l’incontro con Ross Buchanan. Il presidente avrebbe voluto discutere delle sue idee circa la costruzione di un nuovo transatlantico di lusso che, se avesse avuto il sostegno del consiglio di amministrazione, sarebbe entrato a far parte della compagnia di navigazione Barrington’s.

    I quattro si sedettero intorno a un tavolo ovale, nell’ufficio del segretario di gabinetto.

    «È stato gentile da parte sua incontrarci con un preavviso così breve» disse Giles dall’estremità opposta del tavolo. Sir Alan annuì. «Ma sono certo che lei capisca che il signore e la signora Clifton sono preoccupati che la vita di loro figlio sia tuttora in pericolo.»

    «Condivido la loro preoccupazione» disse Redmayne, «e permettetemi di dire quanto mi sia dispiaciuto apprendere dell’incidente di vostro figlio, signora Clifton. Soprattutto perché mi sento in parte colpevole di ciò che è accaduto. Tuttavia, vi assicuro che non sono rimasto con le mani in mano. Nel corso del weekend ho parlato con il signor Owen, con l’ispettore capo Miles e con il coroner locale. Non avrebbero potuto essere più disponibili. Sono costretto a convenire con Miles che non ci sono prove sufficienti per dimostrare un coinvolgimento di Don Pedro Martinez nell’incidente.» L’espressione esasperata di Emma spinse Sir Alan ad aggiungere subito: «Tuttavia, l’esistenza di prove e l’assenza di dubbi sono due bestie molto diverse e, dopo aver scoperto che Martinez non sapeva che suo figlio in quel momento si trovava a bordo dell’automobile, ho concluso che potrebbe valutare la possibilità di colpire di nuovo, per quanto la cosa possa sembrare irrazionale».

    «Occhio per occhio» disse Harry.

    «Potrebbe avere ragione» disse il segretario di gabinetto. «È chiaro che non ci ha perdonato quello che lui ritiene un furto di otto milioni di sterline di sua proprietà, per quanto tutte false. Potrebbe non aver ancora capito che dietro tale operazione c’era il governo, ma non v’è dubbio che ritenga vostro figlio personalmente responsabile per quanto accaduto a Southampton. Mi spiace solo di non aver preso con sufficiente serietà le comprensibili preoccupazioni che mi avevate espresso al tempo.»

    «Sono grata almeno di sentirglielo dire» disse Emma. «Ma non è lei a chiedersi continuamente quando e dove Martinez colpirà la prossima volta. Entrare e uscire da quell’ospedale è semplice come se fosse una stazione degli autobus.»

    «Non posso che essere d’accordo» disse Redmayne. «L’ho fatto io stesso ieri pomeriggio.» La sua rivelazione creò un silenzio transitorio che gli consentì di continuare. «Tuttavia può stare certa, signora Clifton, che stavolta ho fatto tutto il necessario per non far correre a suo figlio alcun pericolo.»

    «Può spiegare al signore e alla signora Clifton per quale motivo ne è convinto?» chiese Giles.

    «No, Sir Giles, non posso.»

    «Perché no?» volle sapere Emma.

    «Perché in questa occasione ho dovuto coinvolgere il ministro dell’Interno oltre che il segretario di stato per la Difesa e, dunque, sono vincolato dalla clausola di riservatezza del Consiglio della Corona.»

    «Ma che discorso nebuloso sta facendo?» chiese Emma. «Cerchi di non dimenticare che qui si parla della vita di mio figlio.»

    «Se una parte di queste parole dovesse mai diventare di pubblico dominio» disse Giles rivolgendosi alla sorella, «persino tra cinquant’anni, sarà importante dimostrare che né tu né Harry eravate al corrente di un eventuale coinvolgimento di ministri della corona.»

    «Le sono grato, Sir Giles» disse il segretario di gabinetto.

    «Sebbene a fatica, posso tollerare i pomposi messaggi in codice che vi state scambiando» disse Harry, «a patto che la vita di mio figlio non sia più in pericolo, perché se dovesse capitare qualcos’altro a Sebastian, Sir Alan, ci sarebbe una sola persona a cui dare la colpa.»

    «Prendo atto del suo monito, signor Clifton. Tuttavia, sono in grado di confermarle che Martinez non rappresenta più una minaccia per Sebastian né per alcun membro della vostra famiglia. Francamente, ho quasi infranto le regole per essere certo che la cosa valesse letteralmente più della vita di Martinez.»

    Harry aveva ancora l’aria scettica e, per quanto Giles sembrasse accettare la parola di Sir Alan, si rendeva conto che, prima che il segretario di gabinetto gli rivelasse il motivo della sua sicurezza, sarebbe dovuto diventare primo ministro. E, magari, non lo avrebbe fatto nemmeno allora.

    «A ogni buon conto» continuò Sir Alan, «non va dimenticato che Martinez è un uomo infido e privo di scrupoli: non ho dubbi che desideri tuttora vendicarsi in qualche modo. E nessuno di noi può fare granché, fintanto che lui è ligio alla legge.»

    «Per lo meno, stavolta saremo preparati» disse Emma, capendo fin troppo bene cosa intendesse il segretario di gabinetto.

    Il colonnello Scott-Hopkins bussò al numero 44 di Eaton Square quando mancava un minuto alle dieci. Qualche istante dopo, il portone venne aperto da un gigante che faceva sembrare minuscolo l’ufficiale delle SAS.

    «Sono Scott-Hopkins, ho un appuntamento con il signor Martinez.»

    Karl accennò un inchino e aprì la porta quel tanto da consentire all’ospite del signor Martinez di entrare. Accompagnò il colonnello sull’altro lato dell’atrio e bussò alla porta dello studio.

    «Avanti.»

    Quando il colonnello entrò nella stanza, Don Pedro si alzò dalla scrivania e studiò l’ospite con diffidenza. Non aveva idea del perché quell’uomo delle SAS avesse bisogno di vederlo con tanta urgenza.

    «Gradisce un caffè, colonnello?» chiese Don Pedro dopo che i due uomini si furono stretti la mano. «O, magari, qualcosa di più forte?»

    «No, grazie, signore. È un po’ troppo presto per me.»

    «In tal caso, si accomodi e mi dica perché ha voluto vedermi con tanta urgenza.» Fece una pausa. «Sono certo che lei sa che sono un uomo molto impegnato.»

    «So fin troppo bene quanto è stato impegnato ultimamente, signor Martinez, e andrò subito al dunque.»

    Don Pedro cercò di non mostrare alcuna reazione mentre si riaccomodava sulla poltrona, e seguitò a fissare il colonnello.

    «Intendo solo accertarmi che Sebastian Clifton abbia una vita lunga e serena.»

    La maschera di arrogante sicurezza si staccò dalla faccia di Martinez, che tuttavia si riprese subito e raddrizzò bruscamente la schiena. «Cosa sta insinuando?» gridò, stringendo i braccioli della poltrona.

    «Credo che lei lo sappia fin troppo bene, signor Martinez. Tuttavia, mi permetta di mettere in chiaro la mia posizione. Sono qui per assicurarmi che a nessun membro della famiglia Clifton succeda qualcosa di brutto.»

    Don Pedro si alzò di scatto dalla poltrona e puntò un dito contro il colonnello. «Sebastian Clifton era il miglior amico di mio figlio.»

    «Non ne dubito, signor Martinez. Ma le mie istruzioni non potrebbero essere più chiare: devo avvertirla che, se Sebastian o qualsiasi altro membro della sua famiglia dovesse restare coinvolto in un altro incidente, i suoi figli Diego e Luis prenderebbero il primo volo per l’Argentina e non viaggerebbero in prima classe, bensì nella stiva, all’interno di due casse di legno.»

    «Chi pensa di minacciare?» tuonò Martinez, a pugni chiusi.

    «Un gangster sudamericano da strapazzo che, solo perché ha un po’ di soldi e abita a Eaton Square, pensa di poter passare per un gentiluomo.»

    Don Pedro schiacciò un tasto sotto la sua scrivania. Un istante dopo, la porta si spalancò e Karl si precipitò dentro. «Butta fuori quest’uomo» gli disse indicando il colonnello, «mentre io chiamo il mio avvocato.»

    «Buongiorno, tenente Lunsdorf» disse il colonnello quando Karl iniziò ad andargli incontro. «Da membro delle SS, capirà quanto sia debole la posizione del suo padrone.» Karl si impietrì. «Pertanto, mi permetta di darle un consiglio. Se il signor Martinez non dovesse attenersi alle mie condizioni, i nostri progetti per lei non prevedono un ordine di deportazione a Buenos Aires, dove languiscono tanti suoi ex colleghi. No, abbiamo in mente un’altra destinazione, dove troverà diversi cittadini felici di testimoniare la sua fedeltà a Himmler in qualità di suo luogotenente e gli sforzi da lei fatti per estorcere loro delle informazioni.»

    «Sta bluffando» gli disse Martinez. «Non ce la farà mai.»

    «Conosce davvero poco gli inglesi, signor Martinez» replicò il colonnello, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla finestra. «Consentitemi di mostrarvi alcuni esempi peculiari di noi isolani.»

    Martinez e Karl lo raggiunsero e guardarono fuori dalla finestra. Sul lato opposto della strada c’erano tre uomini che sarebbe stato meglio non farsi nemici.

    «Tre dei miei colleghi più fidati» spiegò il colonnello. «Uno di loro vi terrà d’occhio, notte e giorno, sperando solo che compiate un passo falso. Quello sulla sinistra è il capitano Hartley, sfortunatamente radiato dal reggimento a cavallo dei Dragoni per aver versato del petrolio addosso a sua moglie e al suo amante, che dormivano beatamente finché lui non ha accesso un fiammifero. Com’è comprensibile, una volta uscito di prigione, ha avuto qualche difficoltà a trovare un impiego. Finché io non l’ho tolto dalla strada e ho restituito un minimo di senso alla sua vita.»

    Hartley sorrise, come se sapesse che stavano parlando di lui.

    «Quello in mezzo è il caporale Crann, un carpentiere. Maneggiare una sega gli piace così tanto che sembra non faccia la minima differenza che si tratti di legname o di ossa.» Crann li fissò con espressione vacua. «Confesso, però» continuò il colonnello, «che il mio preferito è il sergente Roberts, un sociopatico conclamato. Quasi sempre inoffensivo, ma temo che, dopo la guerra, non sia mai riuscito a tornare alla vita da civile.» Il colonnello si rivolse a Martinez. «Forse non avrei dovuto dirgli che lei ha fatto fortuna collaborando con i nazisti ma, ovviamente, è così che ha conosciuto il tenente Lunsdorf. Una primizia che credo non comunicherò a Roberts, a meno che non mi facciate davvero arrabbiare. Perché, vede, la madre del sergente Roberts era ebrea.»

    Don Pedro voltò le spalle alla finestra e vide Karl fissare il colonnello, come se avesse una gran voglia di strangolarlo, convinto però che quello non fosse né il momento né il luogo giusto.

    «Sono davvero felice di aver destato la vostra attenzione» disse Scott-Hopkins, «perché ora sono ancor più certo che abbiate capito cos’è nei vostri migliori interessi. Buona giornata, signori. Non occorre che mi accompagnate alla porta.»

    4

    «Abbiamo tante cose di cui occuparci nell’ordine del giorno» disse il presidente. «Pertanto, apprezzerei che i miei colleghi consiglieri fornissero contributi brevi e pertinenti.»

    Emma aveva imparato ad ammirare l’approccio pratico di Ross Buchanan quando presiedeva le riunioni del consiglio di amministrazione della Barrington Shipping Company. Non mostrava mai favoritismi per alcun consigliere e ascoltava sempre con attenzione chiunque offrisse vedute contrarie alla sua. Talvolta, solo talvolta, lo si poteva addirittura convincere a cambiare idea. Possedeva, inoltre, la capacità di riassumere una discussione complessa riuscendo, al tempo stesso, a rappresentare la visione particolare di ognuno. Sebbene sapesse che alcuni membri del consiglio di amministrazione trovavano leggermente brusco il suo stile scozzese, agli occhi di Emma si trattava di un atteggiamento pratico. Di tanto in tanto si chiedeva quanto avrebbe potuto essere diverso il suo approccio se il posto di presidente fosse mai spettato a lei. Allontanò subito il pensiero dalla mente e iniziò a concentrarsi sul punto più importante all’ordine del giorno. La sera prima, Emma aveva provato il proprio intervento e Harry aveva recitato il ruolo del presidente.

    Dopo che Philip Webster, il segretario della società per azioni, aveva letto il verbale dell’ultima riunione e aveva evaso le domande che si erano presentate, il presidente era passato al primo punto: la proposta di una gara d’appalto da parte del consiglio d’amministrazione per la costruzione del Buckingham, un transatlantico di lusso da aggiungere alla flotta della Barrington’s.

    Buchanan chiarì che secondo lui si trattava dell’unica via da percorrere se la Barrington’s sperava di continuare a essere una delle più importanti compagnie di navigazione del paese. Diversi membri del consiglio di amministrazione espressero il loro consenso annuendo.

    Una volta che il presidente ebbe messo in chiaro il suo parere, chiamò Emma a presentare il punto di vista opposto. Lei esordì sostenendo che, per quanto il tasso ufficiale di sconto fosse il più alto di sempre, la compagnia avrebbe dovuto consolidare la propria posizione, e non rischiare un esborso economico così ingente in qualcosa che, a suo parere, aveva al massimo il 50 per cento di probabilità di successo.

    Il signor Anscott, consigliere non esecutivo nominato da Sir Hugo Barrington, il suo povero padre, disse che era ora di salpare a gonfie vele. Nessuno rise.

    Il contrammiraglio Summers era convinto che non si potesse procedere con una decisione così radicale senza l’approvazione degli azionisti.

    «Sul ponte di comando ci siamo noi» rammentò il presidente all’ammiraglio, «e, dunque, le decisioni spettano a noi.» L’ammiraglio si accigliò, ma non fece ulteriori commenti. Dopotutto, il suo voto avrebbe parlato per lui.

    Emma ascoltò con attenzione ogni membro del consiglio esprimere la propria opinione e subito si rese conto che i consiglieri erano equamente divisi. Uno o due non avevano ancora preso una decisione, ma lei sospettava che, se la cosa fosse stata messa al voto, il presidente avrebbe prevalso.

    Un’ora dopo, la decisione del consiglio di amministrazione non era più vicina e alcuni consiglieri stavano semplicemente ripetendo le argomentazioni di prima, cosa che irritò palesemente Buchanan. Ma Emma sapeva che alla fine sarebbe dovuto andare avanti, essendoci altre importanti faccende di cui discutere.

    «Mi sento di affermare» disse il presidente nel discorso riassuntivo, «che non possiamo rinviare ancora per molto questa decisione e, dunque, suggerisco di allontanarci tutti e di riflettere attentamente sulla nostra posizione riguardo a questa particolare faccenda. Francamente, ne va del futuro della compagnia. Propongo che, in occasione della riunione del mese prossimo, si voti per stabilire se fare una gara d’appalto o abbandonare del tutto l’idea.»

    «O, quantomeno, attendere che le acque si calmino» suggerì Emma.

    Con riluttanza, il presidente passò ad altro e, dato che i restanti punti in agenda erano decisamente

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